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ISSN 2282-1694
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Numero 1 / 2020

Recensioni

Oltre il ‘68. Due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione alla integrazione sociale. Recensione

Redazione

Giovanni Garena, Luciano Tosco (2018), Oltre il 68. Due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione alla integrazione sociale, Libreriauniversitaria.it Editrice

Va detto subito: nel libro “Oltre il ‘68: due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione alla integrazione sociale”, di impresa sociale se ne trova relativamente poca, solo per cenni laterali: gli autori hanno lavorato sempre nell’ente pubblico e i loro racconti prendono le mosse da questo tipo di esperienza. Ma si trova – e questo può sicuramente interessare i nostri lettori – molto “lavoro sociale trasformativo”: il lavoro educativo dei protagonisti che nasce dalla consapevolezza della necessità di cambiamento e diventa pertanto azione politica. Un lavoro sociale che tocca insieme le persone, ma anche il modo in cui la società sceglie di affrontare i problemi sociali.

Il Sessantotto, evocato nel titolo e che può far nascere nel lettore un qualche timore di prendere in mano un volume nostalgico e reducistico, è in realtà sullo sfondo: è un punto di partenza ideale, una tappa nelle biografie degli autori e protagonisti del racconto – Gianni Garena e Luciano Tosco – che introduce in loro le istanze di cambiamento sociale che li accompagneranno nei successivi decenni di esperienza professionale e anche oltre (gli autori oggi sono entrambi felicemente nonni e hanno scritto, sempre insieme, per Maggioli un altro volume che merita attenzione in quanto esamina il ruolo insostituibile dei nonni nel nostro affaticato welfare; ma questa è un’altra storia).

Il libro, edito da Libreriauniversitaria.it Edizioni, conta oltre 500 pagine e, a partire appunto dal Sessantotto, narra, anno per anno, la vicenda umana e professionale dei due autori e protagonisti; è una prospettiva insieme personale – il punto di vista degli autori, il loro modo di vivere il lavoro educativo e le vicende che li hanno accompagnati dai primi anni settanta al 1985 – e pubblica, dal momento che il libro intreccia continuamente il percorso di cambiamento nell’assetto dei servizi che porta, come richiamato dal titolo, da un paradigma di separazione – del disagio, dell’anomalia sociale – a un paradigma di inclusione. Questo doppio registro si traduce nella struttura del libro dove il flusso narrativo incardinato sul racconto della vicenda degli autori è inframezzato da box dove è possibile trovare informazioni storiche e di contesto e approfondimenti bibliografici.

La scena dell’azione è il territorio torinese, in quegli anni particolarmente vivace; ma il lettore non farà fatica a riferire quanto narrato a molti altri contesti in cui il lavoro sociale si è trovato al centro delle istanze di cambiamento.

Ecco Villa Azzurra, ma che ci sarà di azzurro qui dentro? Il cielo è grigio come le mura scrostate e sporche, come i pavimenti sudici. Cancelli e chiavi, chiavi e cancelli, facce stanche e distratte. … «Siamo venuti a prendere Valeria». «Valeria chi?». Flavia legge il cognome e solo allora ci indicano due cameroni più avanti. Il camerone è tetro, sbarre alle finestre, una quindicina di ragazzi e ragazze vocianti e mugolanti, chi sdraiato a terra, chi impegnato in dondolii compulsivi, chi gira vorticosamente in tondo. Hanno tutti addosso un brutto camicione abbottonato dietro. Ci interpella un assistente, «Siamo venuti a prendere Valeria». «Sì un momento che te la slego!» e va verso un termosifone al quale era trattenuta per un polso con una benda, la nostra nuova amica Valeria. Appena svincolata, Valeria si mette a correre e cerca immediatamente di uscire dallo stanzone. È magra come un chiodo ha i denti completamente rovinati, conseguenza dell’elettroshock … Valeria non parla, sembra un animaletto impaurito, le stiamo accanto sul sedile posteriore, cerchiamo di tranquillizzarla … Abbraccio Valeria, vorrei abbracciarla fortissimo e con lei i suoi undici anni infelici, lei tenta di svincolarsi, ansima, sento il suo alito cattivo, è sporca, da quando non vede il bagno o una doccia?

Questa è una delle storie che aprono il libro e che ben documenta il contesto di inizio anni Settanta in cui i due autori, da poco tempo terminati gli studi, avevano iniziato a lavorare. Il lavoro sociale è per entrambi un modo per trasformare un sistema tanto profondamente ingiusto, quanto ritenuto dalle istituzioni del tempo naturale e immutabile. Ogni modifica, anche lieve, è frutto di faticose negoziazioni politiche, di ipotesi di cambiamento negate e poi parzialmente riprese, spesso con il ruolo decisivo dell’interlocuzione con forze politiche apparentemente più lontane da quelle portatrici di istanze di cambiamento radicale, ma tuttavia disponibili ad accogliere almeno parzialmente proposte innovative. Sullo sfondo personaggi e situazioni che al lettore di oggi appaiono abnormi – il famigerato psichiatra Coda, detto “l’elettricista”, solito applicare dolorose scariche alla testa e ai genitali delle sue vittime – che danno l’idea del contesto in cui Gianni e Luciano operano e dell’urgenza di cambiamento da loro avvertita.

Certo, viste con gli occhi dei protagonisti, le trasformazioni possono apparire a volte lente e insoddisfacenti, ma esse portano un passo alla volta ad un profondo cambiamento culturale e dell’assetto dei servizi. Tanto è vero che se nella prima metà degli anni Settanta si legge delle prime passeggiate di Gianni e Luciano per la città con i loro ragazzi subnormali, tra passanti irritati, commercianti che si lamentano del fatto che quando arrivano quei ragazzi gli altri clienti scappano, dieci anni dopo il sistema dei servizi torinese è profondamento cambiato; è la Torino che sperimenta educativa di strada, peer educator, coinvolgimento del tessuto sociale nella presa in carico dei bisogni del territorio, servizi domiciliari, centri diurni aggregativi, laboratori di quartiere, lavoro di rete.

In mezzo vi è un decennio di lavoro intenso che coinvolge i protagonisti. Lavoro educativo in prima persona e poi assunzione di responsabilità nel sistema dei servizi; attività di ricerca, che accompagna i cambiamenti, relazioni, moltissime, con i movimenti, con i sindacati, con altri operatori e poi con il Terzo settore nelle sue varie forme. Insomma, questo viaggio di due educatori “nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale” è un racconto che, senza tacere le fatiche, le contraddizioni, gli insuccessi, racconta di un sistema dei servizi che prende forma coerentemente con una visione sociale orientata all’inclusione e all’integrazione, profondamente diversa da quella precedente basata su istituzioni totali, funzionali ad un paradigma teso a separare ogni anomalia dal resto del contesto sociale.

È una storia di entusiasmo e passione, dove si intrecciano crescita professionale, visione politica e tensione valoriale, utile a ricordare che i servizi così come oggi li conosciamo sono frutto di un percorso mai concluso e che anzi, qualora se ne perdesse la consapevolezza, può sempre essere messo in discussione.

Ma ciò che è più importante avere a mente è che le stesse istanze di inclusione possono spingere oggi operatori sociali consapevoli del proprio ruolo a cercare ulteriori spazi di cambiamento. Alcune direzioni iniziano a profilarsi, prima tra tutte il lavoro con le comunità, dove le persone sino ad oggi identificate come “beneficiari degli interventi” diventano invece co-protagonisti della definizione dei propri bisogni e dell’elaborazione delle risposte. E, come quarant’anni fa, tutto ciò richiede operatori sociali che non si limitino a posizionarsi in un quadro di strategie e di servizi esistenti, ma continuino ad interrogarsi sulla valenza trasformativa del proprio lavoro.

Capitolo 1: Anno 1972 e ancor prima, soprattutto il mitico '68. Gianni inizia a lavorare come educatore ed è testimone dell’inizio della liberazione dei ragazzi internati nel “manicomio dei bambini”, con i primi tentativi di costruire percorsi educativi alternativi. Gli educatori iniziano i contatti con i movimenti di base.

Capitolo 2: Anni ruggenti, 1973 e 1974. Si inizia a intendere il lavoro educativo come rivolto non solo ai minori, ma anche alla città che deve integrarli e si lavora alla mobilitazione pubblica su tematiche sociali.

Capitolo 3: 1975, Mainero tra entusiasmo e disillusione. Anche Luciano incomincia a lavorare come educatore. Entrambi sperimentano le difficoltà del lavoro quotidiano e la distanza tra gli auspici politici e l’azione educativa. Si iniziano comunque a sperimentare nuove soluzioni, come centri di lavoro protetto e centri educativi.

Capitolo 4: 1976-1977, tra disillusione e speranze. Le giunte di sinistra imprimono alcune svolte significative, pur tra le resistenze della macchina comunale. Vengonoistituiti affidi e comunità alloggio; inizia un processo di riforme con interventi per accogliere le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici e dagli istituti per minori.

Capitolo 5: 1978-1979, discesa sul territorio. Mentre Gianni ha iniziato a collaborare con l’assessorato, Luciano lavora a Venaria. È il momento degli incontri-scontri con la burocrazia comunale e i suoi vincoli e impedimenti alla “creatività” educativa. Gianni segue la deistituzionalizzazione di disabili da istituti di fuori regione, mentre il Comune di Torino avvia un programma organico di creazione di nuove comunità alloggio per minori. Ci si confronta con gli aspetti culturali e organizzativi nei primi mesi di attuazione della legge 180 e poi della riforma sanitaria.

Capitolo 6: 1980-1985. Tutto cambia: liberati i “matti”, siamo adesso noi un po’ matti. Gianni e Luciano, coordinatori dei servizi in due Circoscrizioni vivono lo “stato nascente” dei servizi torinesi: lavoro domiciliare con i minori e le famiglie, lavoro di comunità, definitiva chiusura del manicomio, prime comunità per disabili, istituzione dei servizi per senza fissa dimora, laboratori di quartiere, raccordo con il volontariato, gruppi di obiettori di coscienza, le polisportive, gli oratori e in generale il lavoro in rete con il Terzo settore, educativa di strada nei quartieri difficili della città, i primi tentativi di superare il concetto di presa in carico del singolo caso, servizi domiciliari per anziani.

Capitolo 7: Oltre il 1985… per non concludere, qualche possibile spazio agibile per una rinnovata immaginazione. Al termine di questo percorso, è il momento di interrogarsi sulle prospettive per la politica democratica, per il lavoro sociale, per gli operatori. Quale spazio questi futuri professionisti vorranno riservare alla creatività, all’immaginazione, allo sperimentarsi con un “nuovo” che abbia valore etico e scientifico? Sarà possibile continuare a nutrire e a far crescere quelle straordinarie sperimentazioni e innovazioni che hanno non solo dato vita ai servizi così come oggi li conosciamo?

Oltre il ‘68 è in disponibilità immediata presso libreriauniversitaria.it e altre librerie on line; è prenotabile presso le librerie fisiche.

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