Luca Bizzarri (a cura di) (2019), Il ritorno a casa degli Ulissi. Le professioni al tempo della rigenerazione urbana, Pacini Editore, Pisa.
In questi ultimi anni si sono moltiplicati i saperi e le esperienze nel campo della rigenerazione urbana, dei processi partecipativi e della co-progettazione, capaci di rispondere ai bisogni sociali stimolando relazioni tra persone e ambiti diversi e distanti. Gli operatori, gli osservatori e le Istituzioni si sono interrogati in modo via via più articolato sul fenomeno, sperimentando e indagando i nuovi meccanismi di ricomposizione dei legami sociali e di produzione delle nuove infrastrutture comunitarie; lo hanno fatto puntando l’obiettivo sull’oggetto della rigenerazione urbana (i modelli) piuttosto che sui soggetti precursori di tali processi, per lo più giovani che – superando talvolta diffidenze e pregiudizi – hanno determinato iniziative trasformative o, comunque, di produzione comunitaria della conoscenza. A spostare lo sguardo su di loro, denominandoli nuovi Ulisse contemporanei, è il volume della Pacini Editore intitolato Il ritorno a casa degli Ulissi. Le professioni al tempo della rigenerazione urbana. Il testo, curato da Luca Bizzarri per la Collana New Fabric (2019, pp. 151), rievoca già nel titolo il “folle volo” dell’Ulisse dantesco compiuto “per seguir virtute e canoscenza”.
Il lavoro, che muove dalla seconda edizione del PRiNT – la call promossa dalla collana New Fabric di Pacini – Reinventare il lavoro, aggregare persone, rigenerare comunità, è una raccolta di undici racconti scritti direttamente dai professionisti della rigenerazione urbana, quasi a marcare l’esistenza di “percorsi inattesi ma consapevoli di donne e uomini che hanno determinato il cambiamento dei luoghi e dei territori”.
Il volume è destinato a “chi fa le cose, mettendo insieme più ambiti” per “aprire nuove possibilità alla rigenerazione dei contesti”, ed è munito di cinque contributi di esperti che forniscono prospettive di osservazione del fenomeno, delle esperienze e delle professioni emergenti narrate nell’opera. In particolare, i primi tre contributi degli osservatori svolgono nella lettura una funzione introduttiva alla narrazione e pongono l’accento su tre aspetti peculiari: i possibili percorsi entro cui agire per disinnescare i “cortocircuiti del sistema operativo mutualistico” e rimediare ai fallimenti dell’innovazione sociale; la trasformazione in corso dell’istituzione museale, come luogo di propulsione futura della rigenerazione urbana; le identità degli Ulisse contemporanei, in movimento ed equilibrio precario, tra partenze e ritorni creativi ed emozionali, orientati alla costruzione di senso e bene comune. I due contributi ai quali è, invece, affidata la chiusura del volume, offrono strumenti e chiavi di lettura delle nuove professioni oggetto del lavoro e forniscono prospettive di indagine utili a una loro legittimazione nell’ambito delle professioni riconosciute.
I nuovi Ulisse contemporanei appartengono per lo più alla “generazione di mezzo nata tra la metà degli anni 70 e la metà degli anni 80”, sono “arrivati alla vita adulta in piena crisi economica” e sociale, e hanno vissuto in prima persona l’esperienza della migrazione, geografica e/o interiore: un viaggio verso l’ignoto dal quale hanno fatto ritorno con un atto creativo di ribellione e autentica empatia, inventandosi un lavoro capace di rigenerare identità e radici comunitarie. Il ritorno degli Ulisse disegna cioè una “geografia emozionale” del noi, alla ricerca perenne della conoscenza, della marginalità e del sé diverso cui tutti apparteniamo; una rivoluzione dolce (ma non per questo romantica) verso i meccanismi di funzionamento dei modelli economici e sociali dominanti che hanno spesso limitato identità e dignità nella persona, e che ancora oggi, spiegano impatti negativi sul benessere delle comunità locali.
Ogni storia, narrata nel volume dai diretti protagonisti, riguarda determinati ambiti di intervento (turismo, migrazione, riuso di spazi urbani, trasformazione di “vecchie” professioni, ecc.). Tuttavia, ciò che emerge dalla lettura dei racconti è l’esistenza di più frammenti che sono “parti peculiari di un quasi insieme”, e al tempo stesso comuni a tutti gli Ulisse contemporanei. Tali frammenti rappresentano sfumature o caratterizzazioni differenti di identità che, se osservate allargando il campo visivo, aiutano a ricomporre la condizione esistenziale e identitaria entro cui gli stessi Ulisse contemporanei vivono. Tra di essi vi sono: la ricerca della felicità in un equilibrio precario, il desiderio di sperimentare nuove relazioni collaborative, la resilienza propria posta al servizio del bene comune, la riorganizzazione e rivendicazione dei propri diritti, la libertà di mettere in discussione gli orientamenti economici, sociali e culturali dominanti, l’esigenza di trovare una mediazione tra luoghi e identità, la consapevolezza di promuovere la cultura come dialogo, l’autenticità delle relazioni e il fare insieme come la più naturale risposta possibile a una domanda di connessione e di costruzione di senso dell’umano.
Nella lettura, il trait d’union narrativo, in cui il disagio dei nuovi Ulissi contemporanei è quasi interpretato come una forma di ribellione verso una società non sempre equa e giusta per tutti, evoca quasi i frammenti complementari del quadro di insieme richiamato. In questo percorso il lettore è portato a riflettere anche sulle capacità e i limiti dei contesti territoriali e dei sistemi sociali (tra pubblico e privato, profit e non profit) di rispondere con adeguata intelligenza collettiva alle visioni mosse dai cercatori-produttori di senso, legami e socialità; in altri termini, di agevolare la cooperazione tra diversi in un rapporto alla pari, quasi ispirato alla metafora delle api e degli alberi nota in campo di innovazione sociale.
Il testo si caratterizza in positivo, per l’alternanza di registri, tra analisi e narrazione, tensione razionale e spinta emozionale, richiamando espressamente nei contenuti una certa attitudine allo strabismo, ovvero “l’abilità di guardare contemporaneamente in due direzioni” costruendo una “forte interdipendenza tra luoghi molto distanti e aspetti molto diversi”, il globale e il locale, gli spazi e le relazioni, la formazione e l’esperienza, la competizione e la cooperazione, il lavoro e il tempo libero. In questo ritmo, cha fa da sottofondo a un nuovo e desiderato paradigma culturale, il cambio di prospettiva del volume – che rappresenta un ulteriore punto di forza – è anche nei significati e nei destinatari della narrazione che attraversa “domande scomode”: ora sulla capacità (volontà? necessità?) dei protagonisti di autodefinirsi, confezionando un’espressione capace di tenere insieme le tante sfumature del proprio lavoro; ora sui “fallimenti in corso dell’innovazione sociale”, l’assenza di una “normalità trasformativa” e l’attitudine diffusa alla “non soluzione della chiusura”. È il segno anche del “conflitto tra generazioni” ma riguarda in ogni ambito, tutti coloro che incontrando i nuovi Ulisse contemporanei marcano il proprio “giardino”, difendono “rendite di posizione”, competono piuttosto che cooperare.
Sul tema o fenomeno da ultimo richiamato, gli addetti ai lavori o i lettori più curiosi, potrebbero evidenziare l’esigenza di una riflessione più approfondita, ad esempio laddove possibile, attraverso la previsione di un focus sulle esperienze e/o i punti di vista dei nuovi Ulisse riguardanti le resistenze al cambiamento che li stessi incontrano “lungo la via del ritorno”, ovvero nei sistemi territoriali in cui tentano di implementare iniziative trasformative di innovazione sociale. Un ulteriore approfondimento potrebbe riguardare, inoltre, i criteri di selezione dei racconti e i caratteri principali delle storie non incluse nel testo.
Il lavoro, che ha il merito di fornire una “cassetta degli attrezzi” utile a decifrare capacità e competenze di una “professionalità dai tratti indefiniti”, è il racconto di uno “sforzo che da singolo diventa collettivo”. Perché ciò avvenga – sembrano suggerire gli autori all’unisono – è necessario “ammettere l’incertezza avendo il coraggio dei propri dubbi”. Lungo la via della conoscenza, in altri termini, sarebbe utile “acquisire la capacità di non capire”, non cercare di comprendere la complessità ma accettarla come si accoglie l’ignoto in un viaggio, dal quale si ritorna sempre più se stessi, sempre un po’ diversi.
La lettura restituisce una maggiore consapevolezza sulle trasformazioni in atto delle professioni, le identità e i modelli della rigenerazione urbana e non solo, in un tempo sospeso – quasi di mezzo – tra vecchi e nuovi paradigmi culturali e sociali.
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