Questo articolo si concentra sulle metodologie adottabili e adattabili dagli ETS per promuovere e sviluppare processi partecipativi ibridi di persone vulnerabili in comunità liminali che servano come premessa fondamentale a qualsiasi processo di co-programmazione e co-progettazione previsto dal codice del terzo settore.
Le comunità liminali possono essere definite come contesti in cui è evidente la coesistenza di processi di rifigurazione degli spazi sociali e digitali (Knoublach & Low, 2017), dovuti alla profonda mediatizzazione della società (Hepp, 2020), ai processi di marginalizzazione (Brown et al., 2017) e defamiliarizzazione (Blokland et al., 2022). La centralità della spazialità nelle dinamiche sociali e mediali (Couldry & Hepp, 2017; Couldry 2024) ha riformulato il concetto di comunità, portando, da un lato, a una maggiore flessibilità e moltiplicazione dei nuclei di riferimento e, dall'altro, a forme di innovazione sociale e resistenza in parte inedite. Gli spazi urbani costituiscono il terreno centrale in cui si manifestano le esperienze comunitarie contemporanee, spesso caratterizzate da una maggiore densità relazionale e da un profondo senso di appartenenza emotiva. Come definito da Dale e Burrell (2008), uno spazio liminale si trova "al confine di due spazi dominanti senza essere pienamente parte di nessuno dei due". Sono spazi in transizione (Turner, 1982), dove le identità individuali e collettive rimangono fluide. A volte sono ancorate alle sfaccettature anche devianti dei territori circostanti, diventando familiari e scontate nella vita quotidiana. Quando le comunità abitano e valorizzano gli spazi liminali come elementi vitali e significativi, essi diventano luoghi di residenza transitori, capaci di aggiungere significato alle attività, ai linguaggi e ai desideri che vi si sviluppano (Casey, 1993). In questi spazi gli ETS possono trovare linfa vitale per costruire imprenditorialità sociale innovativa.
Questo lavoro è il risultato di dieci anni di formazione da parte di FQTS (Formazione Dirigenti Terzo Settore Sud)[1], che ci ha permesso di costruire percorsi di ricerca-azione ed edu-communication (Barbas, 2020) in alcuni quartieri di comunità liminali nelle regioni del Sud Italia con l'approccio e le metodologie che descriveremo di seguito. L'idea di ricerca-azione si differenzia da quella tradizionale (McIntyre, 2008) perché integra l'approccio edu-comunicativo e lo sviluppo sociale della comunità (Squillaci, Volterrani 2021). Al protagonismo di parte della popolazione residente insieme agli ETS nella comprensione del proprio contesto di vita, tipico della ricerca-azione, si aggiungono processi educativi e comunicativi (formazione peer-to-peer, formazione alla cittadinanza, formazione sulle soft skills, formazione sui metodi di facilitazione della partecipazione, formazione alla co-progettazione e al co-design partecipato[2]) che permettono di acquisire strumenti concettuali e, soprattutto, operativi per intervenire nelle proprie comunità. Ciò è particolarmente rilevante nelle comunità liminali, dove la vulnerabilità economica e sociale si accompagna a una profonda vulnerabilità educativa.
Tra queste numerose esperienze, abbiamo selezionato le cinque più significative (Tabella 1) per discutere le metodologie utilizzate, considerando le loro caratteristiche e problematiche, le azioni svolte, gli ostacoli incontrati e i risultati ottenuti.
Tabella 1 - Tabella riassuntiva delle comunità
Comunità liminale |
Popolazione[1] |
ETS coinvolti |
Peculiarità |
Metodologie adottate[2] |
Ostacoli incontrati |
Risultati raggiunti |
Librino (Catania) |
15,000 abitanti |
Associazione Auser e Comitati di quartiere |
Elevata vulnerabilità economica e sociale e presenza diffusa della criminalità organizzata tra il centro, l'aeroporto e l'area commerciale di Catania. |
Azioni condotte: 1) sviluppo della comunità 2) implementazione di una piattaforma digitale per la partecipazione ibrida degli abitanti |
1) difficile coinvolgimento dei cittadini a causa della diffusa sfiducia e della presenza della criminalità organizzata (mafia) 2) assenza in alcune abitazioni delle condizioni minime per la vita quotidiana (acqua sanitaria ed elettricità) |
1) sviluppo della Piattaforma per Librino. 2) prototipo della piattaforma digitale per favorire processi di partecipazione ibrida. https://www.facebook.com/piattaformalibrino |
Margi (Gela) |
1,000 abitanti |
ARCI Circolo Le Nuvole |
Area profondamente inquinata, situata tra la strada principale, la ferrovia e l'impianto petrolchimico dismesso. |
Azioni condotte: 1) sviluppo della comunità 2) empowerment della popolazione giovane sotto i 18 anni in condizioni di vulnerabilità |
1) Problemi di infrastrutture (fognature) e degrado degli spazi pubblici e privati 2) povertà economica diffusa 3) Presenza diffusa della criminalità organizzata (mafia) |
1) su un totale di 1000 residenti 100 persone hanno partecipato ad attività di co-costruzione di proposte di miglioramento del quartiere 2) attivazione di madri con figlie piccole per individuare percorsi educativi per il futuro |
Panebianco (Cosenza) |
12,000 abitanti |
ARCI Cosenza e Cooperativa Hoplà |
Tre grandi strade parallele collegate tra loro, situate a cavallo tra i quartieri periferici di Cosenza e Rende |
Azioni condotte: 1) facilitazione della partecipazione ibrida dei cittadini per la realizzazione di azioni volte a migliorare la sostenibilità ambientale del quartiere 2) uso dei social media commerciali per costruire comunità |
1) presenza di comunità multiple, frammentate e in conflitto nel quartiere 2) difficile accessibilità degli spazi urbani collettivi (piazze, luoghi sociali) |
1) costruzione di un gruppo di 150 cittadini residenti che hanno promosso attività di incontro e partecipazione in presenza (uso sociale di una piazza degradata) e online (utilizzando un gruppo chiuso su Facebook) 2) realizzazione di un progetto di pulizia del quartiere dai rifiuti con la cittadinanza 3) partecipazione ad un progetto europeo CERV Co-Green per lo sviluppo di comunità sostenibili |
Fantasia (San Severo, Foggia) |
2500 abitanti |
Consulta del volontariato di San Severo |
Tra il centro storico e il ghetto delle baracche dei lavoratori stagionali dell'agricoltura |
Azioni condotte: 1) sviluppo della comunità 2) facilitazione della partecipazione degli ETS attivi sul territorio nel processo di sviluppo di comunità |
1) dimenticato dai residenti del centro storico della città perché considerato pericoloso 2) i residenti del quartiere si trovano nel mezzo (liminale) tra l'estrema vulnerabilità dei lavoratori stagionali e l'inclusione della popolazione del centro città 3) presenza di vulnerabilità economiche e sociali molto elevate e diffidenza diffusa |
1) costruzione di un gruppo misto di residenti del centro storico e del quartiere Fantasia (250 persone) e processo di co-progettazione partecipata sulle aspirazioni per il futuro della città 2) partecipazione di un nucleo di 150 residenti di Fantasia alla definizione delle priorità del quartiere con l'amministrazione locale |
Pellaro (Reggio Calabria) |
12,000 abitanti |
Consorzio cooperative sociali Macramè |
Vicino alla città di Reggio Calabria, tra l'area grecanica della Calabria sud-orientale e il punto più meridionale della penisola italiana (Punta Pellaro). |
Azioni condotte: 1) sviluppo della comunità 2) costruzione di una piattaforma digitale per la partecipazione ibrida degli abitanti (Ekei) |
1) forte nostalgia per un'idea di comunità autonoma immaginata nel passato del primo Novecento 2) presenza diffusa della criminalità organizzata (ndrangheta) nelle attività quotidiane del quartiere 3) vulnerabilità economica e sociale e sfiducia diffusa |
1) identificazione collettiva di uno spazio fisico in cui è stato avviato un processo di co-progettazione partecipativa 2) costruzione della piattaforma digitale di outreach https://webapp.ekei.it insieme alla community Facebook e ai profili Instagram |
La tabella riassume le caratteristiche demografiche e la collocazione spaziale dei quartieri liminali all'interno delle città (ad esempio, tra centro e periferia o quartieri con caratteristiche diverse). Quest'ultimo aspetto e la dimensione demografica sono essenziali per la scelta iniziale delle comunità. L'identificazione degli spazi di transizione all'interno della città è il primo passo che influenzerà quelli successivi. L'identificazione avviene attraverso l'uso della passeggiata di quartiere e dell'osservazione partecipante, entrambe con il coinvolgimento attivo degli abitanti del quartiere insieme agli ETS.
Tra le azioni metodologiche indicate (che svilupperemo nei prossimi paragrafi), la scelta è stata guidata dall'osservazione partecipante e dai risultati delle passeggiate di quartiere. In particolare, si evidenziano le seguenti dimensioni: 1) le caratteristiche prevalenti delle vulnerabilità presenti nelle comunità liminali (si veda la Figura 6 nella Sezione 4.1). Ad esempio, una presenza più significativa di vulnerabilità sociali e educative sposterà l'attenzione su azioni di comunicazione educativa e sui processi di empowerment dei residenti piuttosto che sulla ricerca azione come, ad esempio, a Gela e a Librino dove è stato preliminarmente importante lavorare su processi che consentissero alle persone di accrescere in consapevolezza e, almeno parzialmente, in competenze; 2) la posizione spaziale delle comunità liminali. Ad esempio, se non sono presenti spazi pubblici accessibili, l'attenzione si sposterà, almeno inizialmente, sugli spazi digitali (pubblici e privati). È quello che è avvenuto a Pellaro dove spazi pubblici aperti o coperti non era momentaneamente disponibili e dove la presenza del Covid non consentiva le relazioni di prossimità; 3) la presenza della criminalità organizzata. Nelle regioni dell'Italia meridionale, l'infiltrazione della criminalità nelle comunità locali spesso altera pesantemente le relazioni sociali ed economiche. Una maggiore densità di questa presenza costituisce una comunità nella comunità con potere coercitivo ed economico egemonico sugli abitanti e anche sugli ETS.
Gli ostacoli evidenziati per ogni comunità possono essere raggruppati in due grandi categorie. La prima è la diffusa vulnerabilità estesa a ogni sfera della vita che caratterizza la maggior parte degli abitanti. La seconda è il degrado, la marginalità percepita dall'esterno del quartiere e la presenza della criminalità organizzata.
I risultati della ricerca-azione e del lavoro di edu-communication sono peculiari di ogni comunità liminale. In questa sede, vogliamo sottolineare la necessità e l'opportunità offerta dagli spazi digitali, non come alternativa agli spazi fisici, ma da un lato come continuità per l'impegno e, dall’altro, per dare più voce alle persone vulnerabili dall'altro. Inoltre, i processi partecipativi finalizzati alla co-costruzione di qualcosa per le comunità, per quanto parziali e apparentemente limitati, rappresentano un punto di svolta e di speranza per una parte degli abitanti.
Nella ricerca-azione e nella comunicazione educativa nei quartieri delle comunità liminali che abbiamo descritto sopra, i risultati sono stati raggiunti combinando tre metodologie, che hanno un elemento comune fondamentale: rendere protagoniste le persone vulnerabili.
Per descrivere l'approccio metodologico dello sviluppo sociale comunitario, cercheremo di fornire una rappresentazione bidimensionale dello spazio identificando i confini. Come suggerisce Lefebvre (1974), la produzione dello spazio è molto più complessa e multidimensionale. La nostra riduzione ci permette di concentrarci sui processi partecipativi e di empowerment.
Nella maggior parte delle comunità, possiamo ipotizzare la situazione di partenza descritta in precedenza per le cinque comunità raffigurate nella Figura 1. Esistono legami tra le persone, ma anche legami tra le persone e le comunità. Ci sono legami tra le persone, ma anche molti individui isolati e distanti.
Figura 1 – Situazione iniziale ipotetica delle comunità liminali
All’interno di questo spazio, che è sia un luogo digitale che fisico, è possibile rilevare, attraverso il lavoro di osservazione partecipante, l’ascolto diffuso e le passeggiate di quartiere, i molteplici tipi di relazioni e legami sociali tra persone frammentate e coese (per i legami familiari e i legami sociali di qualche tipo) – così come le aspirazioni e i desideri, i problemi e gli ostacoli. Le relazioni si distinguono dai legami sociali per la profondità, la reciprocità e l’intenzionalità delle azioni comunicative. Entrambi sono fondamentali per costruire fiducia e capitale sociale. In cosa consistono in concreto le attività di ascolto partecipato? Attraverso l’uso combinato di open space e world cafè adattati, è stato possibile a San Severo avere l’opportunità di costruire un percorso con circa 250 persone. Invece a Panebianco attraverso l’uso di un open space diffuso nelle attività commerciali ed artigiane del quartiere, è stato possibile ascoltare in modo asincrono le persone che avevano qualcosa da dire senza avere il tempo per farlo insieme agli altri.
Nella Figura 2 possiamo individuare tre situazioni più interessanti di altre. La prima riguarda i vuoti relazionali, individui che non hanno relazioni e legami sociali significativi, né di tipo familiare né di tipo comunitario. Pur appartenendo alla comunità liminale come residenti, possono essere isolati per scelta (più raramente) a causa della vulnerabilità delle sfere di vita, delle condizioni temporanee e delle caratteristiche specifiche della comunità. Si tratta di condizioni completamente diverse, che all'interno di una comunità possono rappresentare un problema e una risorsa per costruire ponti relazionali con altre realtà e comunità. La seconda riguarda gli spazi con una maggiore densità di relazioni da un punto di vista quantitativo. Se questa si correla positivamente con la qualità delle relazioni, abbiamo la costituzione e la permanenza di micronuclei di capitale sociale comunitario a disposizione di chi vive in quell'area. Il terzo è costituito dalle molteplici situazioni intermedie che spesso compongono molte relazioni e legami sociali comunitari rilevabili. Le relazioni che di solito costituiscono la spina dorsale delle comunità non possono influire sulla possibile coscientizzazione ed empowerment (Freire, 1970) delle persone vulnerabili nelle comunità liminali.
Figura 2 - Identificazione dei tipi di relazioni e legami sociali
Chi opera negli Ets di solito si concentra solo sulle lacune relazionali[5] e non, invece, sulla costruzione sia di micronuclei di capitale sociale sia di ponti fra comunità, micronuclei e singole persone. La difficoltà nel lavorare sulla comunità territoriale nel suo insieme ha bisogno di essere decodificata dagli ETS non come un problema, ma come una opportunità di sviluppo. A Panebianco gli ETS (Arci Cosenza e la cooperativa Hoplà) hanno adottato la metodologia in altre progettualità in altre comunità della provincia cosentina sia per costruire sviluppo sociale ma anche per costruire nuove attività e servizi.
Nella prospettiva del cambiamento delle comunità liminali (vedi Figura 3), la prospettiva rilevabile in alcuni contesti è duplice. Da un lato, si attivano e si costruiscono reti relazionali e legami sociali per "colmare" i vuoti relazionali. Dall'altro, aumenta la densità delle relazioni e dei rapporti sociali nelle situazioni intermedie, collegandole ai micro-nuclei di capitale sociale già presenti e favorendo la costruzione di nuove densità. Ovviamente questo non prevede la costruzione di un capitale sociale segregato ad uso e consumo solo dei circoli, ma, piuttosto, di un flusso costante di costruzione di relazioni-ponte e di relazioni-scambio.
Figura 3 - I nuovi cluster di relazioni e i micronuclei di capitale sociale.
In questo processo di attivazione della comunità liminale (aumento della densità e della qualità delle relazioni sociali), giocano un ruolo cruciale gli attivatori di comunità, ovvero figure che possiedono un mix di competenze e conoscenze che possono essere individuati e formati all’interno degli Ets presenti nella comunità stessa o nel territorio limitrofo. Ad esempio, sono metodi e strumenti dell'antropologo (ascolto, osservazione partecipante); metodi e strumenti per la gestione della comunicazione interpersonale faccia a faccia e mediata digitalmente; metodi e strumenti per la creazione di produzioni multimediali digitali e non e per la gestione di piattaforme digitali partecipative e comunitarie; metodi e strumenti per facilitare la partecipazione, la costruzione di reti e l'empowerment individuale, di gruppo e di comunità; metodi e strumenti per la costruzione di gruppi informali e formali e, più in generale, di forme associative. Nelle comunità liminali citate nella tabella 1, la presenza degli attivatori è stata decisiva per avviare i processi di sviluppo di comunità. La figura è stata inglobata dalle varie tipologie di ETS con contratti diversi e, talvolta, con un impegno volontario. Le maggiori criticità sono state in alcuni casi (Macramè) l’incapacità di valutare gli esiti del lavoro di attivazione con i metodi quantitativi tradizionali[6].
Attraverso una presenza continuativa nei territori in presenza e nelle comunità digitali, gli attivatori, a fianco delle persone nelle comunità liminali ed insieme agli Ets, possono sostenere (non sostituire) la creazione di gruppi informali e formali, associazioni di base, comitati di quartiere, piattaforme digitali specifiche e spazi digitali per l'inclusione sociale, come illustrato nella Figura 4.
Figura 4 - Attivazione delle comunità liminali
Gli esiti di questo processo non possono essere previsti o illustrati in un primo momento perché coinvolgono una vasta complessità e articolazione di comunità liminali. In secondo luogo, le reazioni degli appartenenti a quello specifico contesto comunitario alle sollecitazioni degli attivatori sono imprevedibili. Infine, nella logica della consapevolezza e del protagonismo delle persone e delle comunità, non avrebbe senso portare idee esterne allo sviluppo per aderire ai risultati attesi. Le variabili da tenere sotto controllo in un approccio di sviluppo sociale delle comunità liminali sono, innanzitutto, il tempo. I processi devono essere prolungati nel tempo per costruire la fiducia con le persone e, soprattutto, per renderle consapevoli e protagoniste. Non sempre si riesce ad aspettare pur operando quotidianamente nelle comunità liminali. In secondo luogo, i metodi di facilitazione di processi partecipativi e democratici ibridi (che vedremo nella prossima sezione) sono essenziali per avviare percorsi di empowerment. Infine, la terza variabile è che la costruzione di relazioni e legami sociali deve essere riconosciuta. Collegare, ricucire e costruire sono ancora più critici laddove questi sono scarsi o raramente praticati.
Per comprendere meglio i processi partecipativi e democratici ibridi che abbiamo utilizzato all'interno delle comunità liminali e le dimensioni dell'impegno civico-politico e pubblico-privato (Pellizzoni, 2005), dobbiamo aggiungere la dimensione onsite/online e la dimensione formale/informale (Figura 5).
Figura 5 - I metodi informali/formali e on/offline dei processi partecipativi ibridi
La prima dimensione si colloca sul continuum ai cui estremi troviamo la partecipazione di persona e quella online. Questo non significa che avremo processi partecipativi in loco per una certa quantità e online per la restante quantità, ma piuttosto un'ibridazione con una configurazione diversa in ogni contesto. Ad esempio, è immaginabile attivare un processo partecipativo sul tema della gestione dello spazio pubblico da parte delle giovani generazioni, per poi continuare le discussioni sui social media anche con chi non ha potuto essere presente e, quindi, tornare sul territorio con un numero più significativo di partecipanti e una maggiore consapevolezza delle azioni necessarie da intraprendere, come avvenuto almeno parzialmente a San Severo.
La seconda dimensione dei processi partecipativi ibridi si colloca proprio tra formalità e informalità. Esempi del primo aspetto sono i processi partecipativi che possono essere immaginati e costruiti all'interno di percorsi di rigenerazione urbana nel quadro istituzionale pubblico. Spesso hanno le caratteristiche di un processo top-down finalizzato esclusivamente alla costruzione del consenso su scelte già fatte, senza dare ai cittadini la possibilità di una naturale ed effettiva partecipazione. Esempi del secondo aspetto, invece, sono i processi partecipativi che nascono spontaneamente a seguito di stimoli diversi (un problema specifico legato all'ambiente, un evento eccezionale, un cambiamento nel contesto sociale, ecc.) e che vedono l'utilizzo di strumenti che permettono alle persone di partecipare se lo desiderano. Nella Figura 5 vengono identificati alcuni luoghi, soggetti, approcci e strumenti che possono far parte di processi di partecipazione ibridi.
In alcuni casi, possono essere utilizzati contemporaneamente, consapevolmente, all'interno di comunità liminali, dando vita a percorsi che alternano momenti in loco e online. In altri casi, come evidenziato nel diagramma, nella sfera informale abbiamo processi che sono prevalentemente in situ, come gli spazi aperti auto-organizzati o i comitati informali di quartiere, o prevalentemente online, come le piattaforme digitali di prossimità, ma anche spazi costruiti all'interno di piattaforme sociali commerciali ("se sei di..." è uno degli spazi che troviamo più comunemente all'interno dei social media) come nel caso di Panebianco. Nella sfera formale, invece, abbiamo processi decisionali che coinvolgono i cittadini, come i cosiddetti bilanci partecipativi o le piattaforme digitali pubbliche, che spesso hanno spazi di supporto relazionale e partecipativo.
La terza dimensione riguarda le relazioni interpersonali, intra e intergruppo. In molte comunità liminali si possono trovare senza soluzione di continuità presenze duali (in loco e digitali), dove l'intensificazione delle relazioni è il primo passo rilevante che può anticipare la capacità di immaginare processi partecipativi. L'immaterialità delle relazioni sociali e il loro valore per la coesione e la mobilità sociale non sono certo una scoperta della nostra riflessione, ma ciò che riteniamo vada sottolineato è quanto sia lontana la consapevolezza della loro rilevanza e centralità nello sviluppo partecipativo e sociale e nel rafforzamento degli ecosistemi mediali. Nel primo caso, è sufficiente fare riferimento a come la lotta all'egemonia della criminalità organizzata (presente in molte delle comunità liminali esaminate) derivi proprio dal terreno delle relazioni sociali positive rispetto a quelle diffuse orientate allo sfruttamento e alla tacita sottomissione. Nel secondo caso, la capacità di espandere la narrazione dalle comunità liminali dipende proprio dalla densità e dalla qualità delle relazioni sociali presenti. Infatti, l'esperienza individuale diventa collettiva nelle comunità liminali se e come naviga nelle relazioni. È questo, ad esempio, il caso di Gela, dove le giovani madri hanno potuto partecipare e raccontare le loro storie grazie alle relazioni costruite attraverso le figlie e i figli che hanno partecipato alle attività ludiche con gli educatori volontari del quartiere Margi. Si attiva una fluidità nella comunicazione relazionale, che diventa una risorsa per l'empowerment senza essere imposta o prescritta dall'esterno.
Il quadro delle possibili combinazioni di processi partecipativi ibridi che si snodano lungo le prime due dimensioni deve essere completato a causa della proliferazione delle piattaforme partecipative online e, soprattutto, della creatività con cui vengono costruiti i percorsi nelle comunità. Tuttavia, è utile identificare tra le due dimensioni una serie di metodi che aiutano a facilitare la partecipazione ibrida. Dall'informale/online (spazi comunitari su social network commerciali, piattaforme digitali nate dal basso, spazi digitali comunitari) al formale/online (piattaforme digitali pubbliche, spazi digitali istituzionali pubblici per percorsi di rigenerazione urbana), dall'informale/in-presenza (spazi aperti tecnologici auto-organizzati, comitati di quartiere e spazi aperti organizzati da organizzazioni non profit) al formale in-presenza (spazi aperti guidati da istituzioni pubbliche con il coinvolgimento dei cittadini). Ognuno di questi ha alla base l'idea del protagonismo delle persone vulnerabili e adotta, in misura maggiore o minore, i metodi più noti e diffusi di facilitazione della partecipazione.
Va sottolineato che nei processi di partecipazione ibrida il tema della disuguaglianza digitale non scompare ma viene, almeno in parte, mitigato dall'opportunità di poter partecipare localmente senza perdere il filo che lega l'intero processo partecipativo per chi ha poco capitale digitale (Ragnedda, 2020). Vorremmo sottolineare che non esistono processi partecipativi "perfetti", ma piuttosto percorsi che intersecano i processi di rifigurazione delle comunità liminali, sviluppando spazi e contesti, a volte di sviluppo, spesso di resistenza e innovazione. I primi due punti critici sono quindi, da un lato, la cura e la promozione dei luoghi di partecipazione e, dall'altro, l'attivazione di processi di inclusione per coloro che non possono accedervi consapevolmente. Curare i luoghi significa costruire le condizioni affinché la partecipazione avvenga in modo rapido, consapevole e rispettoso dei tempi di ciascuno. Ad esempio, non è possibile pensare a piattaforme online che richiedano competenze sofisticate per l'accesso o che offrano percorsi di partecipazione così contorti da rendere difficile anche l'orientamento e l'individuazione delle risorse digitali accessibili. A Librino l’idea di base è andata nella direzione della semplificazione nell’accesso e nella facilità di orientamento nello spazio digitale. Trasferirsi in spazi in loco e avere la penalizzante condizione di sedie fissate al pavimento in cui non si possono immaginare diverse configurazioni è un altro esempio di mancata cura dei luoghi. La promozione dei luoghi è un altro aspetto cruciale. Spesso siamo erroneamente convinti che un luogo sia conosciuto perché ci è particolarmente familiare. Questa è una prospettiva che ostacola la partecipazione ibrida. La comunicazione è fondamentale sia per la cura che per la promozione. Rendere i luoghi di partecipazione semplici e accessibili significa anche condividere i processi di comunicazione con i potenziali partecipanti. Così come creare un luogo percepito e conosciuto è strettamente legato all'essenza della comunicazione. A Panebianco una delle piazze oggetto del percorso di sviluppo sociale sostenibile è stata scelta perché conosciuta e frequentata dai cittadini del quartiere. I processi inclusivi e partecipativi sono complicati perché si scontrano con una mancanza di consapevolezza e con un diffuso scetticismo sull'opportunità della partecipazione. Come abbiamo detto all'inizio, lo sviluppo del protagonismo è una delle possibili strade da percorrere, anche se con molte ambivalenze. È impegnativo costruire percorsi in cui le persone siano protagoniste nell'individuazione di temi e problemi, nelle discussioni e nelle decisioni, perché è necessario rispettare i tempi, le sensibilità e le potenzialità di ciascuno. Costruire un reale protagonismo nei processi partecipativi richiede un'intensa attività di formazione affinché le persone possano agire con facilità e consapevolezza. Le tecniche di facilitazione e comunicazione promuovono il protagonismo nella partecipazione e possono essere utilizzate per sviluppare processi partecipativi ibridi.
L'uso di metodi che facilitano il protagonismo e la partecipazione di persone vulnerabili e non vulnerabili che vivono in comunità liminali presenta limiti e opportunità, che cercheremo di elencare.
Il primo limite è insito nella diffidenza verso le proposte partecipative, particolarmente accentuata nelle comunità liminali o marginali e periferiche. Questo aspetto permette solo a volte di sviluppare adeguatamente l'aspetto relazionale, che è la base essenziale nello sviluppo sociale e nei processi ibridi di partecipazione e co-progettazione. La sfiducia nello specifico delle comunità liminali del Sud Italia deriva anche dalle caratteristiche del contesto storico e culturale in cui si sono sviluppate forme di resistenza a mostrare idee, proposte e problemi in pubblico a causa della reazione violenta sia delle organizzazioni criminali che controllano il territorio sia delle stesse istituzioni pubbliche.
Le caratteristiche delle comunità liminali, con profonde fratture sociali, economiche e ambientali e un'alta densità di persone vulnerabili in molte sfere della vita, rappresentano il secondo limite. Questo aspetto consente talvolta di avviare le metodologie (sviluppo sociale della comunità e metodi per facilitare la partecipazione ibrida) in modo limitato, così da non avere l'impatto trasformativo ottenibile. Ad esempio, nel contesto di Pellaro, l'elevata presenza di persone culturalmente e socialmente vulnerabili ha reso difficile la diffusione della piattaforma digitale Ekei (cfr. Tabella 1), mentre è andata molto meglio con le relazioni di prossimità.
Nonostante questi limiti, le metodologie applicate nelle comunità liminali consentono a gruppi di persone, organizzazioni e cittadini di mobilitarsi verso la propria comunità. Lo slancio di un gruppo è diverso da quello che ci permetterà di sviluppare la coscientizzazione comunitaria a livello di società. Come seconda dimensione rilevante, i processi di comunicazione e gli ecosistemi mediali entrano prepotentemente in gioco sia come opportunità che come ostacolo. Nel primo caso, i social media, da un lato, e le piattaforme digitali partecipative e di prossimità, dall'altro, forniscono uno spazio informale e formale per l'incontro di persone non necessariamente motivate da una particolare spinta endogena o esogena. A Librino, ad esempio, la piattaforma digitale di prossimità ha permesso di raggiungere coloro che altrimenti sarebbero stati esclusi da qualsiasi processo democratico e partecipativo. Il circuito virtuoso tra coinvolgimento digitale e impegno dal basso ha permesso l'utilizzo di "orti comunitari", che sono diventati il motore di una rinnovata spinta all'uso consapevole degli spazi. A Panebianco, i gruppi informali su Facebook hanno imparato ad attivare una parte della comunità che ha deciso di rimanere all'interno del gruppo "Sono di Panebianco se...", descrivendo sentimenti, emozioni e anche idee sul futuro del quartiere. In altre situazioni, invece, gli spazi digitali hanno rappresentato un ostacolo allo sviluppo delle relazioni perché, come nel caso di Pellaro, le piattaforme digitali sono o troppo sofisticate e complesse da comprendere o ancora grezze e, quindi, non in grado di tenere il passo.
Infine, una riflessione non meno critica sui processi partecipativi. Nelle comunità liminali, avviare o facilitare un processo partecipativo è spesso complicato. Tuttavia, una volta realizzata l'esperienza, la formazione è continua e particolarmente generativa di percorsi innovativi. A Gela, dopo un anno di discussioni con un piccolo gruppo di attivisti, la creazione di uno spazio aperto con circa 100 cittadini (il 10% degli abitanti) del quartiere Margi è stato il punto di partenza di una possibile pratica di mobilitazione e resistenza. A Fantasia, dopo quasi due anni, è stato possibile avere uno spazio aperto e un fishbowl con più di 200 persone che hanno cercato di discutere insieme il futuro del quartiere e della città. Il tempo necessario per imparare o re-imparare a partecipare sembra lungo. Tuttavia, è il frutto di quei processi di individualizzazione, disconnessione e a-politica che caratterizzano l'attuale fase del neoliberismo e che costituiscono la sfida da vincere. Il punto centrale è stato l'investimento di risorse e di pazienza in relazioni di fiducia da parte dei gruppi promotori iniziali. Questi hanno permesso di non interrompere la mobilitazione e, contemporaneamente, di mantenere vivi i processi comunicativi e relazionali che, per avere un impatto sociale, dovevano essere estesi a un numero più significativo di cittadini della comunità liminale.
Le quattro cose principali che abbiamo imparato dall'uso dei metodi che abbiamo descritto sono una diversa nozione di vulnerabilità nelle comunità liminali, il ruolo contestato degli ecosistemi mediali, i limiti e le potenzialità dei processi partecipativi ibridi e il ruolo potenzialmente centrale degli Ets.
Il concetto di vulnerabilità è controverso perché in molti contesti viene utilizzato come sinonimo di esclusione sociale o tende a essere sostituito dall'idea di fragilità. Dal nostro punto di vista, adottare il concetto di vulnerabilità universale è congeniale alla nostra riflessione sui processi e le metodologie di educazione e partecipazione nelle comunità liminali perché affronta la condizione di ogni persona in modo più ampio e profondo (Brown et al., 2017). Fineman (2016: 13-23) approfondisce l'idea di vulnerabilità, evidenziandone l'universalità ma anche la dipendenza sia dalle relazioni con le altre persone sia dalle relazioni con le comunità di appartenenza in termini di beni disponibili (fisici, relazionali, sociali, ecologici e ambientali, esistenziali), sia a livello individuale che collettivo.
Figura 6 - Elaborazione del concetto di vulnerabilità universale (Karwacki, Volterrani, 2024)
Nella Figura 6, il tema della vulnerabilità è stato reso più complesso e articolato attraverso l'aggiunta di processi partecipativi, risorse in senso lato e diritti, e la questione del rapporto tra bisogni e aspirazioni (Appaduraj, 2004), nonché attraverso l'articolazione dettagliata delle sfere di vita in cui possono sorgere vecchie e nuove vulnerabilità. Nello schema, il ciclo di vita degli individui e delle famiglie non è inserito in contesti astratti. Ha comunque le sue radici nelle loro comunità, dove le diverse sfere di vita interagiscono e, soprattutto, con gli altri e gli spazi sociali e digitali disponibili. Questo aspetto è particolarmente rilevante per comprendere meglio le dinamiche delle comunità liminali, che coinvolgono attori sia individuali che collettivi. Un approccio metodologico come quello sopra descritto, partendo dai processi di vulnerabilità ma con una forte attenzione ai bisogni e alle aspirazioni, alla partecipazione e alla promozione dei diritti, mira a sostenere la crescita della consapevolezza e l'emancipazione delle persone che vivono in comunità emarginate, cercando di spostare le politiche e le azioni verso la prevenzione e la promozione.
Ma quali sono le caratteristiche delle comunità liminali? Non tutte le comunità sono liminali, ma quelle che presentano caratteristiche di rifigurazione particolarmente accentuate. La transizione delle figurazioni (Elias, 1987), le interdipendenze e le interazioni tra le persone, è uno degli aspetti più evidenti delle comunità liminali. Oltre alle figurazioni tradizionali come la famiglia, le comunità liminali includono gruppi di interesse formali e informali, conformazioni sociali che vivono nella completa illegalità (come la criminalità organizzata) o ai margini della legalità (come il lavoro precario), attori sociali della società civile con peculiarità organizzative e gestionali, piccoli percorsi artigianali e imprenditoriali precari e formazione. Un altro aspetto interessante delle comunità liminali è che sono spazi di singolarità (Reckwitz, 2020, pp. 35-37). Le comunità liminali diventano spazi di singolarità sia per il loro stato di transizione sia perché sono, almeno in parte, scelte.
Nelle comunità liminali, gli ecosistemi mediali svolgono un ruolo fondamentale nella trasformazione dello spazio e della sua percezione da due prospettive: la mediatizzazione e il ruolo delle piattaforme digitali commerciali e non commerciali e i potenziali processi di partecipazione ibrida. I processi di costruzione della comunità sono mediatizzati in quanto la loro articolazione di un senso di appartenenza condiviso avviene attraverso i media. I processi locali che coinvolgono anche i media si riferiscono a comunità mediatizzate (famiglia, gruppi di amici e persino comunità liminali), mentre i processi trans-locali sono caratteristici delle comunità mediatizzate o, se preferiamo, di nuova costituzione (Hepp, 2015, pp. 208-210). Nelle comunità liminali, entrambi i tipi di mediazione coesistono con potenziali processi di territorializzazione e de-territorializzazione profonda. In questo contesto, gli effetti delle società piattaforma (van Dijck et al., 2018) si fanno sentire maggiormente in quanto intervengono in processi identitari forti e radicati nel territorio, modificandone le caratteristiche e le specificità in direzioni inaspettate, come il mantenimento dei legami sociali.
L'azione individuale e collettiva nelle comunità liminali avviene in spazi ibridi e mutevoli che non ci permettono di immaginare un ordine sociale. Tuttavia, può rappresentare un'opportunità di relazionalità estesa tra estranei. I processi ibridi (fisici e digitali) si intrecciano anche, in modo inconsapevole e non convenzionale, con i processi partecipativi degli abitanti degli spazi liminali. I flussi di comunicazione di un processo partecipativo ibrido iniziano con lo stimolo di interessi o problemi specifici e con l'"incontro" (casuale) nel processo stesso. In altre parole, i residenti possono trovare spazi di discussione organizzati che soddisfano i loro interessi specifici e contingenti e talvolta anche i loro desideri e aspirazioni. In rari casi, questi possono anche trasformarsi in desideri e aspirazioni collettive, permettendo la crescita di una capacità di aspirare che può consentire la lotta contro la povertà e le disuguaglianze. Proprio per questo motivo, la scelta del significato dei processi partecipativi, ovvero la possibilità di decidere (Geissel & Joas, 2013), è un elemento fondamentale anche nei processi partecipativi ibridi, perché l'intersezione di questi due processi permette di dare "valore" alla partecipazione nel locale e nel digitale e, soprattutto, di rendere appetibili gli spazi liminali riconfigurati anche dal punto di vista dell'incremento della democrazia locale.
Come affermato da molti autori (Tsatsou, 2022; Choudrie et al., 2018), l'inclusione digitale si riferisce alla crescente necessità di includere le popolazioni più vulnerabili negli spazi digitali e dovrebbe essere valutata in termini di capitale digitale (Ragnedda, 2020, p. 236). Negli spazi liminali, le opportunità e le contraddizioni tra processi di partecipazione tentati e parzialmente riusciti dipendono da ostacoli culturali, contestuali e sociali insormontabili, come quelli posti dalla criminalità organizzata. Inoltre, le opportunità digitali del mercato globale distorcono ulteriormente la capacità di consapevolezza degli abitanti. Concetti e metodi possono attivare le comunità liminali verso quella che Freire ha definito la "coscienza" degli oppressi (Freire, 1970). Attraverso il protagonismo e la partecipazione delle persone che vivono nelle comunità a questo processo collettivo di crescita della coscienza, è possibile avviare percorsi plurali di cambiamento nelle comunità. Il primo passo consiste nell'esaminare il lavoro di Freire e di altri nella prospettiva della comunicazione educativa (Barbas, 2020, pp. 74-75). In risposta all'approccio diffusionista, in cui la comunicazione era intesa come trasmissione gerarchica del sapere da uno a molti, Freire propose un approccio partecipativo e dialogico, in cui la comunicazione era intesa come produzione democratica del sapere. Queste sono le basi per costruire un modello di comunicazione educativa che promuova la partecipazione, l'empowerment e la consapevolezza per generare una trasformazione individuale e collettiva.
Gli Ets possono potenzialmente avere un ruolo centrale in più di una direzione.
La prima direzione possibile è quella del rafforzamento, del recupero o della scoperta delle radici nelle comunità liminali. Stare dentro alle comunità affiancando le persone che le abitano, è una prospettiva che consentirebbe agli Ets di non essere soggetti avulsi dai territori. Questo passa anche dall’idea che servizi e progetti sono fondamentali se condivisi e costruiti insieme alle persone che abitano le comunità territoriali.
La seconda è la spinta ad acquisire competenze e conoscenze per realizzare processi di partecipazione ibrida sia all’interno della propria organizzazione che nelle comunità liminali. Oltre ad essere all’interno di un contesto di trasformazione e di resistenza più ampia che coinvolge tante tipologie diverse di attori sociali (Antonucci, Sorice, Volterrani 2024), è un incremento fondamentale di democrazia che talvolta la svolta aziendalista ha relegato alle procedure formali previste dagli statuti per quanto riguarda l’interno mentre sull’esterno il tema non sta nell’agenda degli ETS.
La terza è dare le basi per un vero processo di co-design partecipativo (IxDF 2023) di progetti e servizi insieme alle comunità per dare continuità e senso alla presenza degli Ets nei territori. La presenza su delega della Pubblica Amministrazione non è la stessa cosa così come non lo sono i processi della cosiddetta amministrazione condivisa che, logicamente, dovrebbero venire dopo i processi di co-design partecipativo che rendono protagoniste le persone che vivono nelle comunità e gli Ets. La co-programmazione e la co-progettazione previste dal codice del terzo settore possono avere successo se come premessa è stato avviato un lavoro insieme alle comunità territoriali e alle persone che le abitano. Questo non significa perdere la propria identità, ma, piuttosto, rafforzarla nei tavoli e nei percorsi dell’amministrazione condivisa con un surplus di cittadinanza che cammina e partecipa sulla stessa lunghezza d’onda.
E su questo aspetto è la quarta direzione riguarda l’imprenditorialità sociale. Essere capaci di produrre investimenti sociali, relazionali ed economici capaci a loro volta di produrre cambiamenti e trasformazioni nelle comunità liminali prevede una grande creatività e imprenditorialità che diventa essa stessa partecipata e condivisa. Un nuovo modo di essere imprenditori sociali insieme alle persone e alle comunità, una imprenditorialità innovativa di comunità che raramente ancora fa parte del bagaglio formativo di molti Ets. Non ci riferiamo solo alle cooperative di comunità che, purtroppo, in poche occasioni sono davvero espressione di una comunità territoriale, assumendo, invece, l’identità delle cooperative di servizi tradizionali. Gli ETS possono mantenere la loro identità attuale, ma sviluppare a fianco anche processi e percorsi con le persone che abitano le comunità capaci di sviluppare e creare spazi di intervento progettuali, di servizio, di crescita della coesione sociale, ma anche di prevenzione e di trasformazione dello status quo.
Uno spazio nuovo per creare qualcosa che ancora non c’è, per fare insieme alle comunità innovazione che potrà essere sociale, economica, culturale oppure, più probabilmente, un mix di tutto questo. Uno spazio per creare nuovo lavoro sostenibile e duraturo nel tempo perché parte integrante di un modo diverso di vivere le comunità e le città. Le esperienze evidenziate raccontano che seppur con difficoltà, è una strada percorribile.
La quinta, infine, è fare parte di movimenti di resistenza al neoliberismo attraverso una reale presa di distanza dalle logiche meramente di mercato e dal dilagante individualismo. Assumere un ruolo politico insieme alle persone vulnerabili ha anche un valore simbolico da non sottovalutare per poter avviare una stagione di cambiamento che non segua unicamente il mantenimento delle attività e dei servizi realizzati sino ad ora, ma, piuttosto, guardi alla co-ideazione di comunità sostenibili e capaci di rispondere alle sfide attuali e del futuro. Questo non è solo uno slogan, ma un modo differente di guardare al ruolo politico degli ETS.
In conclusione, possiamo individuare alcuni aspetti che possono essere utili sia per sintetizzare le metodologie utilizzate, sia per individuare come queste possano essere replicate in comunità situate in altri contesti geografici. La distintività delle comunità liminali è un elemento essenziale da considerare se si intende proporre un percorso come quello descritto in questo capitolo. Le caratteristiche geografiche, la collocazione nel contesto urbano e la densità delle vulnerabilità esistenti definiscono la specificità.
La molteplicità delle sfere di vita che si intersecano con il ciclo di vita determina la vulnerabilità delle persone in ciascuna sfera. Tuttavia, queste non possono essere considerate in modo isolato; richiedono una lettura che tenga conto della loro sovrapposizione e del loro reciproco rafforzamento. Ad esempio, la vulnerabilità educativa rafforza la vulnerabilità digitale e viceversa. Nelle comunità liminali, le sovrapposizioni e le interconnessioni sono accentuate dalle transizioni che le persone sperimentano quotidianamente. Considerare questo aspetto nell'approccio che abbiamo descritto significa proporre percorsi diversi di protagonismo e partecipazione per le vulnerabilità più complesse.
In questo articolo abbiamo presentato diversi strumenti e metodi di approccio alle comunità liminali. Questa "cassetta degli attrezzi" metodologica ci permette di utilizzare strumenti diversi a seconda della situazione (comunità diverse, vulnerabilità diverse, esperienze di partecipazione diverse). Come abbiamo visto nella Tabella 1, alcuni strumenti possono andare bene per qualsiasi comunità (passeggiate di quartiere e osservazione partecipante), mentre altri sono utilizzati ad hoc (come le piattaforme digitali di prossimità). Questa scelta si basa principalmente sulla valutazione delle vulnerabilità e delle variabili contestuali in risposta alle proposte iniziali ai residenti e sull'analisi delle esperienze precedenti.
Avere un atteggiamento di “pazienza operosa” significa saper aspettare che i residenti acquisiscano, attraverso i processi di ricerca-azione e di edu-comunicazione, sia le competenze e le conoscenze sia la consapevolezza, ad esempio, del processo di sviluppo sociale della comunità. La fiducia e il capitale sociale territoriale non si sviluppano rapidamente, ma richiedono un lavoro costante e a lungo termine da parte del ricercatore e degli abitanti.
Questo approccio metodologico è adattabile a qualsiasi comunità liminale con caratteristiche diverse da quelle presentate in questo capitolo per diversi motivi che cercheremo di riassumere.
Lo sviluppo sociale comunitario e i processi partecipativi ibridi sono adattabili a qualsiasi tipo di quartiere/villaggio/città con una popolazione compresa tra 1000 e 30000 abitanti in qualsiasi Paese, indipendentemente dalla cultura locale. È essenziale svolgere le fasi preliminari descritte nel paragrafo 1 (osservazione partecipante e passeggiate di quartiere).
Le persone vulnerabili, insieme ai ricercatori e agli ETS, sono protagoniste fin dall'inizio del modello metodologico. Sono fondamentali per identificare problemi e aspirazioni, promuovere lo sviluppo di relazioni e facilitare l'attuazione di processi di partecipazione ibridi. Un protagonismo volto a migliorare le comunità emarginate in cui le persone vulnerabili vivono quotidianamente.
L'approccio metodologico si concentra sulle relazioni sociali come strumento indispensabile per ricostruire la fiducia e il capitale sociale esteso nelle comunità liminali. Lo sviluppo sociale delle comunità e i processi partecipativi ibridi sono guidati dalle relazioni sociali, che bloccano qualsiasi percorso se sono assenti. In questo caso, la ricostruzione e l'intreccio delle relazioni sociali prelude alle azioni metodologiche proposte. Il ruolo degli Ets nel mantenere e soprattutto incrementare le relazioni sociali all’interno delle comunità liminali è decisivo, ma rappresenta anche una sfida di ri-orientamento ed innovazione nelle metodologie e nelle azioni adottate abitualmente fino ad ora.
DOI: 10.7425/IS.2024.03.06
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1. FQTS è il programma di formazione promosso dal Forum Nazionale del Terzo Settore e da CSV Net e finanziato dalla Fondazione Con Il Sud.
2. La co-progettazione e il co-design non sono quelli relativi agli articoli 55 e 56 del Codice del Terzo Settore, ma processi partecipati di co-costruzione condivisa e partecipata.
3. Dati ISTAT, La dimensione demografica del quartiere/villaggio/città può variare tra 1000 e 30000 abitanti. Questo permette di applicarlo a un numero significativo di abitanti.
4. Sulle passeggiate di quartiere vedi Sclavi (2002) e sull’osservazione partecipante Balsiger, Lambelet (2014)
5. Perché per esempio inserito all’interno di un servizio appaltato dalla Asl e/o dalle istituzioni comunali che ha come vincolo solo una “categoria” di beneficiari singoli e non un intervento sulla comunità territoriale più larga difficile ancora da immaginare per una difficoltà di natura culturale e di natura pratica (non conosco come fare).
6. Non si possono “contare” il numero delle relazioni costruite in un giorno o in una settimana, ma, piuttosto e ad esempio, avere la capacità di valutare complessivamente l’impatto della presenza degli attivatori nelle comunità liminali in termini di idee, co-progettualità e azioni proiettate nel futuro.
7. Le metodologie di facilitazione della partecipazione utilizzate adattate al contesto delle comunità liminali e della forte densità di persone vulnerabili sono l’open space, il world cafè e il fishbowl che sono particolarmente conosciute tra i facilitatori, ma anche tra gli educatori professionali. Per un approfondimento vedi per l’open space https://en.wikipedia.org/wiki/Open_space_technology; per il world cafè https://theworldcafe.com; per il fishbowl https://www.fishbowlapp.com.
8. Sono debitore di questa espressione a Luciano Squillaci con cui ho condiviso un pezzo di strada comune sui temi affrontati in questo articolo.
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