Le considerazioni che seguono prendono spunto dagli articoli di Gianfranco Marocchi e di Andrea Bernardoni e Antonio Picciotti pubblicati su questo numero di Impresa Sociale. Gli autori in queste ricerche presentano alcune fotografie dell’universo cooperazione sociale meritevoli di attenzione, le quali appaiono utili per chi si occupa di politiche sociali e industriali ma anche per chi è chiamato a gestire il quotidiano aziendale di tali realtà imprenditoriali.
Una prima osservazione è sui numeri di partenza. In entrambi i casi i campioni sono frutto di interpretazioni. Non si ha, anche nell’odierna realtà dell’intelligenza artificiale, la possibilità di isolare con precisione il fenomeno impresa cooperativa sociale, sia sotto il profilo dell’esistenza attiva, sia per quanto riguarda i dati economico-finanziari. Su questo gli uffici studi, a partire da quelli, strutturati, delle Centrali cooperative, sono chiamati ad intensificare il lavoro di coordinamento con le banche dati esistenti, da Unioncamere a Inps e ai Ministeri competenti. Creare una banca dati integrata, capace di rappresentare l’imprenditorialità sociale nelle sue articolazioni giuridiche, appare un obiettivo opportuno e condivisibile. E, in aggiunta, sarebbe un formidabile strumento per orientare le decisioni della politica, nazionale e locale, in settori di attività fondamentali quali il welfare e l’inserimento lavorativo.
Premesso quanto sopra, l’attenzione va alla lettura dei dati quantitativi effettuata dalle suddette ricerche, e segnatamente ai dati di bilancio.
L’analisi dei bilanci d’esercizio è strumentale a valutare la sostenibilità economico-finanziaria, nel senso di capacità di sopravvivenza di una cooperativa sociale. Come ben evidenziato, il focus è sull’assetto istituzionale – la forma giuridica scelta, ovvero la società cooperativa sociale – e l’essere in grado di continuare a svolgere l’attività in un prevedibile futuro (principio del going concern o continuità aziendale).
Altro, e tema ben distinto, è quello di valutare la rispondenza ai principi e ai valori che si ritengono idealmente connaturati a tale forma giuridica. In sostanza, l’essere una cooperativa buona, nella definizione di Gianfranco Marocchi, prescinde dai risultati di bilancio.
Leggere e interpretare il bilancio di una cooperativa sociale risulta, da sempre, una vera e propria sfida. Da una parte si tratta, infatti, di utilizzare le tradizionali tecniche di analisi elaborate dalla dottrina economico-aziendale adeguandole al modello di business e all’assetto istituzionale di una società commerciale che assume la forma giuridica di cooperativa sociale. Dall’altra, siamo di fronte a imprese sociali per le quali il modello ispiratore dell’analisi di bilancio, la dimostrazione di redditività aziendale, evidenzia tutti i suoi limiti, imponendo dei correttivi volti a facilitare la comprensione delle modalità di perseguimento della mutualità allargata.
Partiamo dai numeri:
Si tratta indubbiamente di buone notizie – l’assetto istituzionale cooperativa sociale rimane competitivo - e la positività permane anche depurando i dati dal fenomeno inflattivo. Al contempo, la disaggregazione evidenzia i limiti del metodo, come per tutte le analisi di questo tipo ci troviamo di fronte al pollo statistico di Trilussa. Dunque, studiando una forma giuridica più che un modello di business, ben venga la creazione di classi dimensionali confrontabili.
Se ne traggono suggestioni interessanti.
In termini di equilibrio economico,
Dunque, in sintesi, forte concentrazione del fatturato e redditività di questo inversamente proporzionale anche per la presenza di una incidenza del costo del lavoro più elevata in presenza di maggiori volumi di attività. Le cooperative sociali più strutturate rappresentano la gran parte del fatturato aggregato, pur risultando percentualmente meno redditizie in termini di incidenza utili/fatturato.
Quest’ultimo aspetto risulta meritevole di commento. I risultati economici sono mediamente poco significativi se rapportati al valore della produzione. Bernardoni e Picciotti parlano di un intervallo di redditività netta del fatturato nel triennio 2020 – 2022 pari a 0,3% - 0,7% per le coop di tipo A e pari a 0,4% - 1,1% per le coop di tipo B. Questa marginalità media risulta addirittura più bassa al crescere della dimensione cooperativa, testimonianza della onerosità delle grandi strutture e, forse, della minor elasticità di fronte al mercato. In aggiunta, sarebbe interessante porre gli utili in relazione allo stock di capitale sociale e patrimonio netto. I finanziamenti interni rappresentano un fattore produttivo al pari del lavoro, e in quanto tali generano un costo, seppur teorico. Gli utili, considerati spesso nel mondo cooperativo esclusivamente uno strumento di rafforzamento della struttura imprenditoriale, costituiscono in realtà la remunerazione del fattore produttivo mezzi propri e quindi si prestano anche a valutazioni in termini di costo opportunità.
Sempre in tema di redditività, Bernardoni e Picciotti accanto all’utile nelle loro valutazioni utilizzano anche l’incidenza del costo del lavoro e l’ebit, quale indicatore di redditività operativa, entrambi disaggregati per classi di valore della produzione. I risultati forniscono una interessante fotografia della redditività cooperativa, suddivisa tra settore del welfare e dell’inserimento lavorativo. Sarebbe importante stressare questa parte dell’analisi elaborando anche dei dati grezzi su ebitda, quale flusso di cassa potenziale dell’area operativa, ponendolo in relazione sia ai ricavi sia alla posizione finanziaria netta che caratterizzano l’aggregato e le sotto-articolazioni dimensionali.
In termini di equilibrio finanziario patrimoniale,
Ne risulta un quadro aggregato di sicuro interesse, che presenta luci ed ombre.
Secondo Bernardoni e Picciotti le cooperative sociali attive nel welfare appaiono mediamente avere un volume di investimenti immobilizzati superiori al patrimonio netto, ma questa forbice migliora al ridursi della classe di fatturato. Risultano, paradossalmente, più equilibrate quelle piccole. La situazione appare invertita nell’ambito delle cooperative a inserimento lavorativo, laddove quelle di dimensioni maggiori presentano un grado di autonomia finanziaria pari al 41,7%.
In entrambi i casi l’analisi restituisce un quadro positivo, sia a livello aggregato sia a livello di sottoclassi dimensionali.
Guardando alla solidità secondo i parametri Marocchi applicati al numero di cooperative esistenti il quadro appare più preoccupante: ben il 43% delle imprese presenta un patrimonio non in equilibrio e comunque non consistente e un altro 13% ha cessato di alimentare i mezzi propri. Al contrario, soltanto un 32% presenta un patrimonio in equilibrio e il restante 13% lo sta formando.
Siamo di fronte a una rappresentazione della realtà cooperazione sociale di grande importanza. La rilevazione di dati quantitativi fisici ed economico-finanziari insieme a una loro lettura integrata e coordinata fotografa una evoluzione sicuramente non scontata.
Partendo dal presupposto che la cooperazione sociale, nei numeri indagati, si identifica nel concetto giuridico di società cooperativa, vale la pena seguire gli autori lungo la disaggregazione dei numeri al fine di ottenere risultati più rappresentativi dei reali andamenti. In aggiunta, sarebbe interessante costruire due percorsi:
Questo al fine di aumentare ancor più l’utilità estrema di questo tipo di analisi, mettendola al servizio
In definitiva i dati raccolti diventano informazioni, le quali vanno semplicemente lette, comprese e utilizzate per prendere decisioni in modo consapevole, senza che questo incida sulla libertà di decisione stessa.
DOI: 10.7425/IS.2024.03.04
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