I contorni di un fenomeno complesso. Al centro di questo numero di Impresa Sociale vi sono i dati economici sulle cooperative sociali. Per quanto possa sembrare paradossale, dopo oltre trent’anni dal riconoscimento giuridico di queste imprese, dopo l’istituzione di registri ufficiali oggi confluiti nel RUNTS e malgrado la raccolta di una mole notevole di informazioni da parte di Istat attraverso i censimenti permanenti delle istituzioni non profit, avere un’immagine certa sul dimensionamento del fenomeno, sulle sue evoluzioni e sugli aspetti principali che lo caratterizzano è un’operazione tutt’altro che scontata. E così, anche chi studia la cooperazione sociale, può incontrare difficoltà non secondarie anche nel rispondere a domande apparentemente semplici: quante sono le cooperative sociali, qual è la loro dimensione media economica e occupazionale, come si stanno evolvendo queste grandezze, qual è l’equilibrio dei loro conti e lo stato del loro patrimonio e così via.
Addentrandosi in queste domande, come si farà nelle prossime pagine, emergerà come l’incertezza nel rispondere a tali interrogativi sia determinata in parte dalla frammentarietà dei dati, dall’altra da taluni fattori di complessità del fenomeno. Ad uno sguardo non superficiale, infatti, la cooperazione sociale italiana appare percorsa da dinamiche per nulla scontate, per alcuni versi contraddittorie; e si caratterizza come fenomeno in evoluzione, dove accanto ad alcuni aspetti di continuità con gli anni precedenti, si manifestano cambiamenti significativi, che in meno di un decennio hanno modificato in modo profondo la cooperazione sociale italiana.
Anche talune rappresentazioni del fenomeno appaiono per molti versi da aggiornare. Per fare un esempio, generalmente chi debba introdurre una prima presentazione della cooperazione sociale spiegherà, come primo inquadramento, che esistono cooperative di tipo A che si occupano di servizi alla persona e cooperative di tipo B che si occupano di inserimento lavorativo; ebbene, oggi la cooperazione ad oggetto plurimo (cioè con entrambe le attività), dieci anni fa residuale, ha superato la cooperazione B rispetto all’entità economica e ha numeri doppi di nuove cooperative costituite.
Altre rappresentazioni richiedono di introdurre ragionamenti complessi. Taluni indicatori mostrano la crescita lineare che da decenni ormai siamo abituati a leggere nelle indagini sul tema, altri mostrano segnali diversi. Da una parte vi sono dati aggregati che esprimono tendenze in linea generale positive, dall’altra emerge come tali dati risultino da sottogruppi con caratteristiche tra loro molto diverse e in evoluzione. Insomma, tutti indizi di una articolazione del fenomeno che va compresa e che in parte spiega le diverse narrazioni che descrivono la cooperazione sociale. È vero che – guardando i dati aggregati – si conferma l’ormai nota resilienza della cooperazione sociale, è vero che uno sguardo ai sottogruppi che compongono tale aggregato fa emergere una visione compatibile con le narrazioni problematiche che spesso emergono dai cooperatori sociali.
Ancora, alcuni esiti invitano a mettere in discussione convinzioni consolidate: ad esempio è significativo che i dati di Marocchi da una parte e di Bernardoni e Picciotti dall’altra, elaborati a partire da fonti diverse – per Marocchi principalmente a partire dalla base dati AIDA, integrata da elenchi MISE e dai dati del Censimento permanente Istat, per Bernardoni e Picciotti la banca dati Orbis della Bureau Van Dijk – e frutto di percorsi di analisi in parte differenti, convergano sul mettere in discussione la relazione positiva, data per assodata, tra dimensione e redditività: in sostanza che i margini economici crescano al crescere delle dimensioni. Ebbene, questa convinzione non pare corroborata dai fatti, che mostrano tendenze diverse.
Insomma, vi sono molti buoni motivi per riprendere in mano i numeri.
Dati e narrazioni. Nel concentrarsi sui numeri, va ricordato che i dati economici non possono dirci se una certa cooperativa sociale sia o meno, dal punto di vista dell’azione sociale che essa realizza, una “buona” cooperativa. I dati economici nulla dicono di quanto operi a favore dei cittadini fragili o della qualità del suo lavoro dell’inserimento lavorativo, del livello di democraticità e di partecipazione dei soci, della capacità di creare fiducia e relazioni nel territorio in cui opera. Questo è particolarmente importante perché la tentazione di collegare andamento economico e risultato sociale è sempre presente e può agire in senso diverso: ad esempio facendo coincidere il successo economico con una generale valutazione positiva della cooperativa o, al contrario, ritenendo che le cooperative imprenditorialmente più solide abbiano necessariamente attuato compromessi con la purezza degli intenti sociali. Ebbene, ragionamenti dell’uno o dell’altro tipo rimangono semplicemente estranei alle analisi proposte; e, per inciso, si esprime una certa diffidenza rispetto alla presunzione di corrispondenze come quelli sopra accennate.
E, allo stesso modo, i dati non sempre possono dirci se un certo fenomeno che interessa il mondo cooperativo – se ne esamineranno diversi, dalla consistenza dei diversi tipi di cooperative, alle tendenze rispetto alla numerosità delle cooperative o al loro valore economico e occupazionale – sia o meno auspicabile: come vedremo, molto spesso il dato è compatibile con narrazioni diverse, anche di segno opposto; e l’individuazione della narrazione che meglio risponde alla effettiva realtà dei fatti richiede di integrare il dato con considerazioni ulteriori e diverse.
E, di conseguenza, i dati inoltre non possono dirci, da soli, quali siano le politiche più opportune da intraprendere, in quanto la definizione delle politiche non può prescindere da una valutazione di aspetti extra economici e dall’inserire i dati economici entro una narrazione dotata di senso. Ma d’altra parte, appare imprescindibile, per sviluppare politiche adeguate, che il dato sia conosciuto e che il confronto parta da una considerazione e un’interpretazione dei dati; e, in questo senso, si auspica che il presente lavoro possa offrire un utile contributo.
Nel primo degli articoli presentati, Marocchi affronta le questioni solo apparentemente più semplici: quante sono le cooperative sociali, qual è la loro dimensione economica e occupazionale e come tali dati evolvano nel corso del tempo; e come tutto ciò interessi i diversi tipi di cooperativa sociale – A, B, oggetto plurimo – e le diverse aree territoriali del paese.
Nel secondo articolo, ancora Marocchi affronta il tema della redditività e della solidità patrimoniale ed evidenzia una significativa articolazione interna della cooperazione sociale, che porta ad individuare un numero di cooperative che soddisfano criteri minimi circa le dimensioni economiche, le marginalità e la patrimonializzazione diverso – assai inferiore - rispetto a quello delle cooperative formalmente attive.
Nel terzo articolo, Bernardoni e Picciotti si concentrano sulla relazione tra redditività e dimensioni, giungendo ad auspicare un “ripensamento strategico delle traiettorie di sviluppo della cooperazione sociale fondate sulla valorizzazione degli elementi distintivi e sui vantaggi competitivi tipici di questa forma di impresa sociale, immaginando nuove strategie di sviluppo non più fondate sulle economie di scala e sulla standardizza-zione degli interventi ma sulle economie di rete e sulla valorizzazione delle risorse presenti nelle comunità”.
Seguono un articolo di Bagnoli e uno di Fazzi che, da punti di vista diversi e complementari – l’economista e il sociologo – commentano questi dati offrendo al lettore ulteriori chiavi interpretative.
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