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ISSN 2282-1694
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Numero 1 / 2021

Saggi

Sviluppo delle competenze e politiche per l’occupabilità dei giovani. Buone pratiche da un caso studio

Samuele Poy, Giuseppe Scaratti

Abstract

La disoccupazione giovanile rappresenta uno dei problemi pubblici più rilevanti dei nostri giorni. Le politiche adottate per contrastare il problema sono molteplici. L’articolo discute il valore di misure che possano favorire un migliore incontro tra domanda e offerta di lavoro, facilitando l’avviamento al lavoro e agendo sulle competenze dei giovani intese in senso lato, anche e soprattutto trasversali (soft skills). Un programma realizzato in Lombardia (2015-2017) sostenuto da JPMorgan Chase Foundation e realizzato da Fondazione L. Clerici suggerisce buone pratiche, i cui risultati possono essere di utilità per policy maker e attori pubblici impegnati nel disegno di innovative politiche attive del lavoro.

Keywords: competenze, disoccupazione giovanile, politiche attive del lavoro, skill mismatch.

DOI: 10.7425/IS.2021.01.09

Introduzione

La crisi economica che ha coinvolto, a partire dal 2007-2008, buona parte dei Paesi economicamente sviluppati ha ampliato questioni che, ancor prima della crisi pandemica, risultavano del tutto evidenti nel nostro Paese. Nonostante i timidi segnali positivi che l’economia nazionale ha esibito di recente, il quadro economico rimane ancora incerto; nel mentre, le disuguaglianze sociali e di reddito si sono accresciute (Nicoletta, 2013; Filandri, Struffolino, 2013). Per quanto le ripercussioni negative dell’ultima grande crisi abbiano riguardato trasversalmente diverse categorie sociali e fasce demografiche della popolazione, gli effetti della stessa si sono manifestati – non sorprendentemente – in modo più intenso per alcune categorie tra quelle più fragili, e in modo particolare sui giovani[1]. Conferme in tal senso si desumono dai dati ISTAT sulla condizione dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione). Infatti, secondo i dati Eurostat in Italia i NEET nella fascia d’età 20-34 anni erano, nel 2017, quasi 3 milioni (pari al 29,5% della relativa popolazione), un dato tra i più alti in Europa. La crisi sanitaria sembra aver accentuato ancor più, se possibile, il problema della condizione giovanile.

Parte cospicua della popolazione corre il rischio di non riuscire a trovare il proprio posto nella società posticipando i tempi della realizzazione lavorativa, personale e di vita. Le varie tappe della transizione verso l’età adulta risultano rallentate; i giovani fuoriusciti dal sistema formativo senza aver trovato accesso al mondo del lavoro rappresentano una “generazione in panchina” dai costi sociali elevatissimi (Alfieri, Sironi, 2017). Diverse politiche sono state introdotte, anche in sede europea, per tentare di contrastare il problema, come ad esempio Garanzia Giovani (si veda tra gli altri ISFOL, 2016). Con tale intervento, si è inteso favorire l’approdo dei giovani verso il mercato del lavoro sostenendo percorsi di accompagnamento personalizzato, formazione professionalizzante, ed esperienze di vario tipo (es. tirocini, servizio civile). Come suggerito da Vesan e Lizzi (2017) ciò ha rappresentato un’importante opportunità in Italia per una riflessione sul paradigma di organizzazione, responsabilità e governance (anche a livello territoriale) delle politiche attive del lavoro indirizzate alla fascia di popolazione giovanile.

Con i dispositivi di Garanzia Giovani si è inteso, in particolare, fornire ai giovani opportunità per acquisire e/o potenziare abilità spendibili dal punto di vista occupazionale e utili nella vita. Un punto fondamentale in tal senso riguarda il rapporto con le persone e le organizzazioni. Diverse e molteplici abilità, che ricadono nei domini tipici dell’esperienza personale e delle attitudini (es. intraprendenza e creatività, la fattiva messa in relazione con gli altri, le abilità comunicative, la capacità di reggere alle pressioni, il porsi in modo opportuno in contesti diversi, il rispetto delle regole, la leadership, la soddisfazione di vita, etc.) possono infatti beneficiare notevolmente di concrete esperienze di lavoro e/o di vita. Come suggerito da Marta (2012) – in quel caso con riferimento all’ambito di progetti di Servizio Civile – l’esperienza può rappresentare per i giovani una importante “palestra”, e l’ente ospitante è il “contenitore”, lo strumento per “imparare a relazionarsi sia personalmente sia professionalmente, l’incubatore delle competenze ben di più di quanto lo sia il singolo progetto”.

Le soluzioni che ricercatori e/o attori pubblici sociali hanno avanzato per contrastare il problema della condizione giovanile sono molteplici. In questo articolo si pone il focus sul ruolo delle “competenze” (tecniche e trasversali) e sulla rilevanza di interventi che supportino i giovani nella fase di sviluppo e ideazione della propria proposta professionale, favorendo nel contempo concrete esperienze di lavoro. Come illustrato da Marzana et al. (2019), la percezione dei giovani italiani è che i percorsi scolastici rappresentino un’esperienza solo parzialmente efficace nel dotarli di abilità diverse da quelle nozionistiche. Allo stesso tempo, le migliori best practices in tema di politiche per l’inserimento/re-inserimento lavorativo, anche nell’ambito dei servizi pubblici per l’impiego (si veda Giubileo, 2011), pongono particolare enfasi sull’efficacia di misure che favoriscano la commistione tra competenze di diverso tipo. Esiste una crescente consapevolezza circa la necessità di programmi che aiutino i giovani a inserirsi in percorsi di crescita in cui il “sapere” (tecnico) messo alla prova stimola e potenzia abilità legate al “saper fare” e al “saper essere” (Rosina, 2018).

In relazione ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, ad esempio, Tino (2018) sottolinea come possano configurare un paradigma pedagogico capace di “restituire unitarietà al sapere”, inteso come complementarità tra sapere teorico e pratico in una relazione di circolarità virtuosa. In questo contesto la fattiva collaborazione tra scuole e altri enti (ad esempio le imprese) nella realizzazione di percorsi adeguati (in compiti e contesti) svolge un ruolo chiave nella possibilità di favorire il protagonismo dei giovani tramite learning by doing. Secondo Gentili (2018), l’eccessiva autoreferenzialità della scuola ha comportato effetti negativi sulle prospettive dei giovani formati prettamente con competenze nozionistiche; mentre, percorsi di apprendimento efficaci dovrebbero tenere conto in modo sostanziale del valore educativo del lavoro. Diversi studi (si veda, tra gli altri, Signoretti, 2010; Berton et al., 2012) sottolineano come con il coinvolgimento degli stakeholder nella valorizzazione del legame tra attività formative e soggetti produttivi possano risultare dispositivi di policy in grado di offrire efficaci porte di ingresso verso il mercato del lavoro per i giovani.

Nell’articolo sono discussi i motivi per cui, nel supportare i giovani nel difficile processo di inserimento lavorativo, sia fondamentale incentivare la definizione di una proposta professionale compiuta dove competenze base, tecniche e trasversali si compenetrino. Una sistematizzazione dei principali risultati della letteratura nel campo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni suggerisce alcune riflessioni finalizzare a politiche pubbliche più efficaci. In tale direzione – e in un’ottica di diffusione di buone pratiche – viene quindi presentata un’esperienza condotta da Fondazione L. Clerici (con il sostegno di JPMorgan Chase Foundation) in Regione Lombardia tra il 2015 e il 2017 e sono discusse alcune buone pratiche emergenti.

La struttura dell’articolo è la seguente. Nel prossimo paragrafo si discute di come l’interconnessione tra competenze di diverso tipo possa giocare un ruolo rilevante per favorire l’occupabilità dei giovani. Nel successivo, si illustrano le caratteristiche del caso studio (il programma di Fondazione L. Clerici “Mechanical employment”). A seguire sono mostrati alcuni indicatori e risultati da affondi di ricerca qualitativa circa l’esito del programma. L’ultimo paragrafo chiude questa analisi discutendo la buona prassi presentata.

Sviluppare una valida proposta professionale tra i giovani: competenze tecniche, ma non solo

Le difficoltà di inserimento lavorativo che le fasce più giovani della popolazione sperimentano possono, quantomeno in parte, verificarsi anche in caso di percorsi di istruzione e di formazione conseguiti con successo; in generale, la durata della transizione tra scuola e lavoro è in Italia molto prolungata[2]. Tra le principali cause dei tempi elevati di questo passaggio vi è il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro ricollegabile in modo significativo al tema delle competenze.

I percorsi di studio e/o formazione hanno l’obiettivo di sviluppare abilità di tipo scientifico oppure tecnico-professionali; queste non possono però che rappresentare una parte delle competenze che costituiscono una valida proposta di valore, da accompagnarsi necessariamente con competenze di tipo relazionale e/o socio-emotivo (trasversali o soft skills), che possono essere accresciute sia in ambito scolastico, sia attraverso altre esperienze, ritenute da più parti come fondamentali per il successo sul mercato del lavoro. Per competenze di tipo trasversale si intendono generalmente dimensioni individuali che non sono totalmente riconducibili a caratteristiche intrinseche della persona, causalmente collegate a una performance efficace o superiore in una mansione e/o in una situazione e che sono misurate sulla base di un criterio prestabilito[3]. Non esiste, come spesso accade per concetti dai tratti vasti e poco definiti, un elenco di competenze di tipo soft che possa essere ritenuto esaustivo. Piuttosto, viene sottolineata per gli aspiranti lavoratori l’importanza di sviluppare e consolidare gli aspetti di fiducia, rispetto, collaborazione e responsabilità reciproca che dovrebbero improntare rinnovate esperienze organizzative (Mintzberg, 2009; Scaratti, Ivaldi, 2015b).

La letteratura empirica ha approcciato in modo vasto il tema della relazione tra disponibilità di soft skills e prospettive occupazionali. Per esempio, Luthans et al. (2007) analizzano la relazione tra il possesso di alcune competenze trasversali (quali l’adattabilità ai compiti, l’ottimismo, il desiderio di imparare, l’efficacia individuale e il grado di soddisfazione personale) e alcuni outcome del mercato del lavoro. I risultati dello studio dimostrano come soggetti che posseggono maggiormente tali abilità dimostrino generalmente migliori performance lavorative. Fortin (2008), invece, studia la relazione tra alcuni tratti della personalità, tra i quali l’autostima e il controllo di sé, e il profilo salariale nel corso della carriera lavorativa. I risultati segnalano, anche in questo caso, una relazione positiva tra la disponibilità delle competenze e il salario ricevuto. Klaus (2010) e John (2009) riscontrano come larga parte del successo lavorativo (inteso nel percorso di crescita interna alle imprese) risulti legato alla disponibilità di soft skillsIl lavoro di ricerca di Kautz et al. (2014) è invece la pubblicazione più completa che studia la relazione tra competenze trasversali e il successo nella vita: gli autori provvedono a una review sistemica che evidenzia la forte relazione esistente tra disponibilità di competenze trasversali e una pluralità di outcome.

Qual è l’importanza delle competenze trasversali, assieme a quelle di tipo tecnico, per decretare una valida proposta professionale, in modo particolare per i giovani? Si possono sinteticamente indicare al riguardo almeno tre riferimenti concettuali che concorrono a configurare un terreno comune di sostenibilità organizzativa in termini di capitale personale, sociale e organizzativo (Bodega, Scaratti, 2013). Il capitale personale riguarda caratteristiche e aspetti (motivazione, commitment, proattività, investimento, contratto psicologico, disponibilità, agency) che connotano la qualità dell’esperienza soggettiva in termini di attenzione e cura, partecipazione, adesione, pratica, investimento e riconoscimento di senso e significato in ciò che si fa. Il capitale sociale (fiducia, rispetto, collaborazione, relationship, cooperazione e conflitto, appartenenza) concerne la possibilità di alimentare adeguati processi di circolazione e di scambio delle conoscenze, negoziazione di obiettivi convergenti, conversazione, dialogo e costruzione congiunta di processi operativi condivisi. Il capitale organizzativo (cittadinanza organizzativa, sense making, cultura organizzativa, corporate social responsability, tensione verso risultati concordati) attiene alle modalità che facilitano un diffuso e radicato sentirsi responsabili della propria organizzazione (Scaratti, Ivaldi, 2015).

L’applicazione delle soft skills nei contesti lavorativi è continuativa. È vero che le imprese ricercano personale in possesso di competenze tecniche utili allo svolgimento dei lavori assegnati, ma l’attenzione verso altri tipi di competenze è sempre più strategica ed essenziale per il mutamento degli scenari lavorativi e organizzativi che i candidati a posizioni lavorative devono affrontare. Da un lato, è sempre più diffusa la necessità di misurarsi con situazioni in cui l’irrompere dell’inatteso, dell’urgenza, del “non previsto” costituisce un’esperienza non eccezionale nella quotidianità dei processi, dove errori e inconvenienti dovuti a molteplici e imprevedibili circostanze si propongono come “l’inatteso” da fronteggiare e da gestire. Dall’altro, emerge l’esigenza di architetture in grado di declinare diversamente la differenziazione e l’integrazione propria di ogni struttura organizzativa. Gli scenari attuali chiedono un’attenzione a processi di apprendimento diffusi, caratterizzati da una elevata circolazione delle conoscenze disponibili e dalla non gerarchizzazione delle decisioni: il trasferimento delle stesse segnala la possibilità di aumentare il livello di partecipazione di ogni attore organizzativo al buon funzionamento complessivo.

Sono stati individuati in letteratura alcuni costrutti che costituiscono riferimenti importanti e ormai consolidati per orientare la pratica manageriale e operativa. Il primo è il concetto di sensemaking (Weick, 1997) che indica la possibilità/necessità di attivare spazi di riflessione funzionali alla ricognizione ed elaborazione delle opacità, delle oscurità e dei chiaro-scuri connessi ai processi del concreto “fare in azione”. Si tratta di aprire occasioni di visione in cui le prestazioni lavorative possono essere riconosciute intersoggettivamente e assumere una forma che le rende riproducibili tra costanti e varianze, ripetizioni e improvvisazioni. È l’antidoto alla “stupidità organizzativa” che Alvesson e Spicer (2017) identificano nella diffusa mancanza di riflessività, di giustificazione e di ragionamento sostanziale (Scaratti, 2017). Il secondo si riferisce al loose coupling (“legame lasco”) e rimanda alla necessità di rappresentare e articolare processi organizzativi opportunamente flessibili (né troppo strutturati per evitare irrigidimenti e conseguenti inadeguate letture dei bisogni; né troppo sfilacciati e allentati per evitare dispersioni e inefficienze), così da rapportarsi al contesto di riferimento con la giusta adattività richiesta dal costante mutare ed evolvere della domanda. Il terzo riguarda la mindfulness, descritta come la complessa capacità di attivare le diverse risorse disponibili, individuali e collettive, in grado di valorizzare le conoscenze sedimentate e di sviluppare una articolata consapevolezza degli scenari in cui si è coinvolti, una rappresentazione della complessità dei problemi da fronteggiare e un’attivazione congruente e pertinente delle azioni e delle competenze esistenti.

Unioncamere (2015) ha sondato il parere delle imprese italiane su questi temi con risultati particolarmente netti. Un campione rappresentativo di imprenditori ha segnalato come le competenze di tipo trasversale siano ricercate allo stesso modo (lo dichiara il 78% degli imprenditori), quando non addirittura in maggior misura (8%), rispetto alle competenze di tipo tecnico-specialistico. Alcuni studi (Smith, 2007; Manpower Group, 2015) segnalano come le competenze di tipo soft siano richieste in modo indifferenziato tra livelli di inquadramento lavorativo diversi. Le ripercussioni della mancanza del primo (competenze tecniche) o dell’altro tassello (competenze trasversali) possono dunque influire in modo rilevante sulla probabilità di trovare posizioni lavorative a tutti i livelli.

Il programma di Fondazione L. Clerici nel settore della meccanica

Le attività del programma “Mechanical employment. Prospettive di formazione e inserimento lavorativo nel settore della meccanica” si sono sviluppate tra la fine dell’anno 2015 e il luglio 2017 in Regione Lombardia grazie al sostegno economico di JPMorgan Chase Foundation. L’azione progettuale ha visto la collaborazione di diversi enti e istituzioni di natura pubblica e privata (A.P.I., Adecco, TRAILab-Università Cattolica) nonché il patrocinio della Regione Lombardia.

Con le attività progettuali sono stati coinvolti oltre 1.000 giovani sotto i 30 anni. I beneficiari sono in parte giovani inoccupati, in larga misura studenti dei corsi Diritto e Dovere all’Istruzione e Formazione obbligatoria (DDIF) attivati da Fondazione L. Clerici (in altri casi – invero in numero limitato – sono studenti dei percorsi di studi di scuola superiore oppure laureandi venuti a conoscenza delle attività progettuali). Un secondo sotto-insieme di beneficiari è invece costituito da giovani disoccupati con esperienze di lavoro pregresse. A titolo illustrativo, nella Tabella 1 sono presentate alcune caratteristiche socio-anagrafiche dei partecipanti. La maggioranza sono uomini (il 78%), il 54% ha meno di 20 anni, il 29% ha 21-25 anni. I giovani hanno nella maggior parte dei casi conseguito un titolo di studio presso istituti professionali e/o centri di formazione professionale. È ampia la quota di persone di origine straniera (il 40% circa). Complessivamente, come da obiettivi di progetto, il target intercettato è fragile.

Tabella 1. Le principali caratteristiche socio-anagrafiche dei partecipanti. Valori percentuali.

 

% partecipanti

Sesso

 

Uomini

78,0

Donne

22,0

Classe d’età

 

Sotto i 20 anni

54,7

21-25 anni

29,7

26-29 anni

15,6

Scuola secondaria superiore

 

Istituto professionale /

Centro di formazione professionale

51,9

Istituto tecnico

33,8

Liceo (classico, scientifico, linguistico, tecnologico, delle scienze umane)

14,3

Nazionalità

 

Italiana

62,6

Straniera

37,4

Numerosità

 

Tot. giovani coinvolti

# 1.070


L’obiettivo è quello di fungere da “porta di ingresso” verso il mercato del lavoro. Il tema delle competenze è stato considerato, sulla base dei più recenti sviluppi della letteratura scientifica in ambito sociale e di psicologia del lavoro, nella sua interezza. Ciò si è tradotto operativamente in una funzione di accompagnamento delle persone (i destinatari) e dei processi (i vari stakeholder da coinvolgere e mettere in rete) con la consapevolezza del lavoro necessario a perseguire una tale tessitura sociale.

Personale specializzato (tutor) ha supportato sin dalla presa in carico i beneficiari tramite una approfondita ricognizione delle competenze base e di quelle tecnico-specialistiche, ma anche e soprattutto trasversali (soft skills). Con riferimento alle soft skills, è stato redatto per ciascun utente un bilancio delle competenze che ha permesso di valutare con strumenti dedicati il grado di possesso di alcune abilità quali ad esempio l’autostima, l’autoefficacia nelle relazioni e interpersonali e nella comunicazione, la grinta e la determinazione, l’autonomia e il controllo, l’impegno. I percorsi, di tipo individuale, hanno consentito ai professionisti di FLC di evidenziare e discutere con i giovani i principali punti di forza e di debolezza della loro proposta professionale rispetto all’ampio spettro di competenze considerate, al fine di aiutare a ridisegnarla eventualmente in modo appropriato. Il fine ultimo è stato quello di prospettare soluzioni e/o rafforzare competenze per quanto possibile e in accordo con la volontà dei giovani stessi, i quali (forse per la prima volta) sono stati guidati nella riflessione sull’importanza di alcune competenze in contesti lavorativi (nonché nella vita), discutendo delle loro aree di forza e debolezza.

In molti casi (circa 300 da parte della sola FLC) è stata rilevata la possibilità, a seguito di attività di scouting e networking, di favorire la messa in relazione tra giovani e imprese alla ricerca di posizioni lavorative[4]. In un’ottica di accrescimento delle informazioni disponibili, gli operatori hanno realizzato azioni informative presso i giovani e le imprese in relazione all’esistenza di misure come Garanzia Giovani e/o Dote Unica Lavoro di Regione Lombardia, eventualmente attivabili. In ulteriori altri 450 casi il progetto ha favorito inserimenti lavorativi tramite la collaborazione con partner progettuali (Adecco). È stato infatti riscontrata la preferenza di un numero cospicuo di imprese per l’utilizzo di contratti di somministrazione piuttosto che tramite assunzione diretta[5].

Tra i circa 300 avviamenti favoriti dagli operatori di FLC (unici sui quali si hanno informazioni dettagliate) le assunzioni con contratto a tempo determinato o indeterminato sono il 10%, mentre il 50% si riferiscono a contratti di apprendistato (di primo o secondo livello). Il 40% sono invece tirocini formativi. In impresa i giovani sono stati affiancati per alcuni mesi da tutor di FLC e tutor aziendali dedicati per favorire un inserimento adeguato alle esigenze delle parti in causa, valutarne tramite monitoraggio l’evoluzione, e implementare eventualmente la risoluzione di criticità emergenti.

La leva principale intrapresa dal programma, con l’obiettivo di rafforzare le competenze trasversali dei giovani target, è consistita in un deciso investimento formativo sulle competenze degli operatori preposti all’inserimento lavorativo degli allievi. L’idea alla base della proposta progettuale è la promozione di figure chiave con elevate competenze di coaching in grado di presidiare professionalmente il processo di accompagnamento e cura della relazione tra giovani da un lato e istituto formativo, famiglie e aziende dall’altro. In gioco non è tanto un insieme di corsi o pacchetti di saperi pronti all’uso, da trasmettere in riferimento alle soft skills, ma l’attivazione di un processo di accompagnamento supportato da figure professionalmente competenti e dedicate allo specifico obiettivo di curare e sostenere processi adeguati di inclusione lavorativa. La conseguente implicazione strategica è consistita in un approccio di rete, mobilitando e coinvolgendo sul territorio diversi interlocutori e stakeholder in movimenti di partnership e joint venture orientati alla delicata transizione dalla formazione al lavoro.

Da un lato agli operatori con competenze di coach hanno acquisito nuovi strumenti (in particolare, il bilancio di competenze secondo strumenti validati dalla letteratura) per un assessment iniziale degli allievi relativamente ad una serie di caratteristiche, spesso poco considerate, che possono giocare un ruolo fondamentale per il buon esito dei percorsi in sistema duale, che alterna cioè momenti formativi in aula e formazione pratica in un contesto lavorativo. La formazione è stata curata da docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con competenze nella psicologia del lavoro e dell’organizzazione; di qui gli strumenti e l’approccio più generale per una articolata conoscenza delle persone in modo da accrescere la possibilità di avviare percorsi educativi adatti ai giovani su aspetti specifici della loro vita. Dall’altro, gli operatori con competenze di coach hanno avuto il compito sia di supportare lo studente nella costruzione del proprio futuro, disegnando percorsi nel presente che gli consentissero di perseguire i suoi obiettivi e integrare conoscenze e competenze già sviluppate all’interno del contesto scolastico, sia di configurare un abbinamento appropriato, sulla base delle informazioni disponibili, tra allievo e imprese, avviando esperienze lavorative adeguate ai contesti specifici delle imprese, creati su base individuale in relazione alle potenzialità e alle specificità degli allievi.

Due le condizioni essenziali che hanno contribuito allo sviluppo positivo di tali esperienze e alla generazione di competenze trasversali negli allievi. La prima riguarda la realizzazione di un importante lavoro di lettura dei bisogni e delle necessità dei diversi attori in gioco (aziende, famiglie, studenti), nonché di negoziazione al fine di creare una convergenza generativa su interessi comuni. Si tratta di una mobilitazione che investe non solo aspetti professionali dei coach, ma anche organizzativi e istituzionali, avendo in mente una strategia di promozione di modi diversi di costruire valore su un medesimo territorioLa seconda riguarda l’effettiva configurazione e realizzazione di un patto formativo tra istituto professionale e aziende e tra coach e tutor aziendale, funzionale a comprendere e ad accogliere le specificità dei giovani, aiutandoli a gestire in modo opportuno possibili situazioni di criticità emergenti durante l’esperienza del giovane in impresa. Il programma si è proposto di potenziare la relazione tra la figura dell’operatore del sistema duale e il tutor aziendale, garantendo una presenza concordata dell’operatore con competenze di coach (sono generalmente previsti incontri settimanali) e un comune monitoraggio degli obiettivi di inserimento perseguiti, valutando eventuali aggiustamenti e adattamenti del caso.

Esiti

Non è disponibile a fini valutativi un adeguato gruppo di controllo, che possa fungere da credibile termine di paragone per i beneficiari, al fine di stimare l’effetto causale della partecipazione al programma sopra descritto. In quel caso sarebbe stato possibile attribuire a una causa (la partecipazione al programma) un effetto (un più ampio possesso di soft skills o la più alta probabilità di risultare occupati, per esempio). Il target è peculiare, e i dati sono stati raccolti esclusivamente presso i partecipanti. Sono quindi fruibili esiti di tipo quantitativo e qualitativo raccolti presso gli utenti e gli operatori, frutto di un lavoro di ricerca sul campo (con questionari e focus group, interviste, analisi di fonti documentali) informativi di elementi, seppur da intendersi in senso descrittivo-illustrativo, circa l’esito della partecipazione. Sono presentati in seguito alcuni indicatori.

Accrescimento di competenze e condizione occupazionale

Una prima fonte informativa è costituita da un’indagine svolta tra i beneficiari che hanno goduto di esperienze lavorative a circa un anno di distanza dalla presa in carico. Complessivamente, il numero di inserimenti lavorativi favoriti direttamente da FLC è stato di 289. Tra questi, 151 giovani hanno dato la disponibilità a essere ricontattati nell’ambito dell’indagine di follow-up, 60 dei quali (il 39,7%) hanno poi effettivamente compilato il questionario online[6]. Tra i 60 rispondenti all’indagine di follow-up, 47 appartengono al gruppo di giovani che avevano già avuto esperienze di lavoro pregresse la partecipazione, mentre 13 sono persone inoccupate (il più in precedenza studenti). Con riferimento a tale gruppo di persone si presentano alcuni indicatori in merito all’accrescimento di competenze e la condizione lavorativa.

In primis, si considera il tema delle competenze di tipo trasversale, abilità che il programma ha inteso valorizzare nel legame con altre di tipo tecnico-specialistico in chiave innovativa. È di interesse valutare se, e lungo quale direzione, il loro possesso (ritenuto da buona parte della letteratura psicologica come poco mutevole nel breve periodo) si sia modificato a seguito della partecipazione. Dal punto di vista operativo, sono state elaborate due tipologie di questionari per la redazione del bilancio delle competenze. I questionari sono stati ideati per servire a scopi differenziati in relazione ai due diversi target, i giovani con esperienze lavorative pregresse e i giovani inoccupati. I due strumenti si differenziano per un linguaggio adeguato a persone con età e ad uno stadio di attivazione sul mercato del lavoro diverse. Sono state generalmente utilizzate batterie di domande validate dalla letteratura psicologica sociale che permettono di misurare, tramite punteggi normalizzati su valori di scala 0-100, alcuni costrutti. Tali strumenti sono stati somministrati alla presa in carico degli utenti nell’ambito della redazione dei bilanci di competenza, e nuovamente è stata richiesta la compilazione nell’indagine di follow-up[7].

Si consideri prima il gruppo dei beneficiari composto dai 47 partecipanti con esperienze di lavoro pregresse (Tabella 2). Di seguito è mostrato il valore medio del punteggio che misura la disponibilità delle diverse soft skills prima e dopo la partecipazione al programma, quantomeno nella percezione degli intervistati nel momento in cui sono stati contattati. Il confronto pre/post permette di dare indicazioni grezze sulla percezione dell’evoluzione nel possesso delle competenze da parte degli intervistati a seguito della partecipazione. Tra le diverse soft skills l’incremento principale è registrato nell’abilità di impegno verso il raggiungimento di obiettivi (+9,0 punti nell’indicatore). Si registra, dunque, a seguito della partecipazione una migliore percezione dei giovani circa la capacità di assumere compiti e portarli a termine, come ambito rispetto al quale si sarebbero sostanziati i principali esiti positivi della partecipazione. È registrato in aumento, a seguito dell’esperienza progettuale, in media anche l’indicatore che quantifica il grado di autostima (+2,9 punti su 100): l’esperienza sarebbe dunque servita, almeno parzialmente, nel favorire un miglioramento dell’opinione che i giovani stessi hanno di sé. Si rileva un incremento (+1,1 punti) anche nell’indicatore sull’autoefficacia nella risoluzione dei problemi e nelle abilità di tipo comunicativo e interpersonale.

Su valori sostanzialmente invariati l’indicatore sul possesso di grinta e determinazione. Si registra una flessione, invece, dell’abilità di autonomia e controllo (-6,4). Quest’ultimo costrutto registra la predisposizione a percepire “sotto il proprio controllo” gli eventi della vita, nella capacità presupposta di saperli gestire e indirizzare in modo opportuno e autonomo (tale abilità era su valori più alti tra quelli registrati prima della partecipazione al programma). La spiegazione di tale evidenza, sulla base delle informazioni quali-quantitative disponibili, non trova chiari elementi di sintesi. Ad esempio, una diminuzione nel possesso di “autonomia e controllo” potrebbe segnalare una relativa presa di coscienza, anche a seguito dell’esperienza vissuta, circa la generale complessità degli eventi e delle situazioni ben oltre quanto percepito in precedenza. Ciò non rappresenta invero l’unica spiegazione, molti potrebbero essere i meccanismi in atto. Saranno necessari ulteriori approfondimenti di ricerca e/o comparazioni con altri casi studio per elaborare maggiormente su quanto emerso.

Tabella 2. Le soft skills misurate prima e dopo la partecipazione al programma. Beneficiari con esperienze lavorative pregresse. Valori medi.

 

PRE

POST

Differenza

POST-PRE

Impegno

81,7

90,7

+9,0**

Autostima

76,6

79,5

+2,9

Autoefficacia nella risoluzione dei problemi e nella comunicazione interpersonale

69,9

71,0

+1,1

Grinta e determinazione

65,7

65,2

-0,5

Autonomia e controllo

77,7

71,3

-6,4*

Numero di persone

47

47

 

Note: indicatore normalizzato nell’intervallo 0 (minimo) – 100 (massimo). Significatività della differenza: * 0,1; **0,05; ***0,01.

Si considera ora il sottogruppo di giovani inoccupati: il gruppo di partecipanti all’indagine di follow-up è, come detto, di dimensioni molto ridotte (13 persone). Tuttavia, i risultati sono di particolare interesse a fini conoscitivi date le peculiarità che caratterizzano tale gruppo, costituto da persone avviate alla prima esperienza lavorativa (Tabella 3). Si verifica un incremento nel valore di tutti gli indicatori considerati. L’aumento più ampio concerne l’autostima (+13,1 punti dell’indicatore) e l’autonomia e controllo (+9,8 punti). Diversamente da quanto registrato nel collettivo di giovani con esperienze di lavoro pregresse, si rileva anche un accrescimento delle competenze che decretano grinta e determinazione personale (+6,8 punti). L’indicatore che misura la capacità di impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi (impegno) aumenta, seppur per valori relativamente più bassi tra quelle esaminate (+5,3)[8]. La lettura dei risultati va realizzata con cautela in considerazione della mancanza di un termine controfattuale e per l’ampia auto-selezione dei partecipanti all’indagine pre e post partecipazione entro un collettivo specifico e di limitata ampiezza. Tuttavia, i dati raccolti indicano che a seguito della partecipazione gli indicatori sul possesso di competenze subiscono variazioni in media positive. In virtù della relativa stabilità di tali competenze nel tempo, specie se breve, suggerita dalla letteratura, ciò depone a favore dell’utilità della partecipazione.

Tabella 3. Le soft skills misurate prima e dopo la partecipazione al programma. Beneficiari studenti senza esperienze lavorative. Valori medi.

 

PRE

POST

Differenza

POST-PRE

Autostima

71,0

84,1

+13,1**

Autonomia e controllo

71,6

81,4

+9,8**

Grinta e determinazione

78,4

85,2

+6,8

Impegno

79,9

85,2

+5,3

Numero di persone

13

13

 

Note: indicatore normalizzato nell’intervallo 0 (minimo) – 100 (massimo). Significatività della differenza: * 0,1; **0,05; ***0,01.

In Tabella 4 si valuta lo stato occupazionale, scegliendo in questo caso di considerare il campione complessivo dei 60 rispondenti. Si distingue, però, tra quanti sono risultati grazie al programma avviati al lavoro con tirocinio formativo (il 40% circa), oppure tramite inserimento lavorativo (apprendistato oppure contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato). I due percorsi sono stati utilizzati in modo flessibile dagli operatori al fine di favorire abbinamenti tra giovani e imprese coerenti alle aspettative e tipo di traiettoria lavorativa da accompagnare. I dati in Tabella 4 segnalano che il 69,3% dei beneficiari avviati al lavoro tramite tirocinio formativo hanno avuto una riconferma a scadenza. Risultati dello stesso tipo, particolarmente promettenti, si registrano anche in considerazione dei giovani inseriti al lavoro con contratti più robusti (apprendistato, o tramite altri contratti di lavoro dipendente): il 41,2% di quanti hanno sperimentato inserimenti lavorativi di questo tipo hanno avuto una riconferma contrattuale a scadenza (il 26,5% dei beneficiari non è ancora giunto a scadenza).

Complessivamente, quindi, circa 7 giovani su 10 tra i rispondenti all’indagine di follow-up a un anno di distanza è ancora impiegato presso l’azienda conosciuta grazie al programma Mechanical Employment. Il dato, seppur registrato nel breve-medio termine, segnala risultati incoraggianti circa la tenuta dei giovani entro i canali di lavoro avviati[9].

Tabella 4. Lo stato occupazionale dei giovani avviati al lavoro. Valori percentuali.

 

Tirocinio formativo

Inserimento lavorativo

Totale

Riconferma

69,3

41,2

53,4

Esperienza lavorativa ancora in corso

7,7

26,5

18,3

Mancata riconferma

11,5

11,7

11,6

Esperienza conclusa prima del previsto per scelta personale

11,5

20,6

16,7

Numero di persone

34

26

60


Infine, dai dati in Tabella 5 si rileva come, tra i giovani inseriti in tirocinio, i rinnovi contrattuali siano avvenuti prevalentemente con contratti a tempo determinato (il 47,0% del totale) oppure contratti di apprendistato (35,3%). Tra quanti hanno invece beneficiato inizialmente di inserimenti lavorativi più strutturati, il 64,3% dichiara di aver ottenuto un contratto a tempo indeterminato, nel 28,6% dei casi un contratto a tempo determinato. Non stupisce che, in un’ottica di progressività della carriera lavorativa proposta, l’approdo verso forme contrattuali più robuste (in particolare il tempo indeterminato) sia in relazione con il tipo (anch’esso più robusto) di inquadramento iniziale. Tuttavia, sia nel caso dei giovani inseriti con tirocinio formativo che per quelli avviati al lavoro tramite inserimenti lavorativi più robusti, il monitoraggio degli esiti occupazionali indica prospettive positive conseguenti all’inserimento.

Tabella 5. Tabella 5. La forma contrattuale delle riconferme lavorative. Valori percentuali.

 

Tirocinio formativo

Inserimento lavorativo

Totale

Tempo determinato

47,0

28,6

38,7

Tempo indeterminato

17,7

64,3

38,7

Apprendistato

35,3

0,0

19,3

Altro

0,0

7,1

3,3

Numero di persone

23

10

33

Spunti di riflessione dalla ricerca qualitativa

Altri elementi sono ricavati dal materiale qualitativo raccolto con interviste di monitoraggio in itinere, dalla consultazione dei diari dei tutor aziendali e tramite un focus group con i giovani partecipanti. La documentazione offre spaccati utili per descrivere in particolare l’atteggiamento verso il lavoro dei giovani, sollevando sotto questo aspetto alcune problematicità.

Se gli indicatori illustrati nel precedente paragrafo suggeriscono una disposizione interessata, che rivela un investimento consistente ed un’attivazione proattiva nei confronti della propria progettualità lavorativa e professionale, dalla ricerca qualitativa la relazione prevalente con “l’oggetto lavoro” in relazione alla propria esistenza appare ancora frammentata, più che integrata. Ciò da un lato potrebbe essere imputabile alla non consolidata esperienza lavorativa dei giovani e nella gestione dei tempi e di conciliazione vita-lavoro; dall’altro, a una concezione del lavoro che, da un lato, riflette una tensione positiva a considerare fattori di umanità, senso, continuità; dall’altro, deve fare i conti con la realtà e la necessità di confrontarsi con contingenze, vincoli e contraddizioni. Elementi, questi, da interiorizzare in percorsi più lenti di crescita individuale e di relazione con l’esperienza lavorativa.

Uno degli aspetti più ricorrenti rilevati dai tutor, specie in riferimento ai soggetti con scarsa esperienza lavorativa pregressa la partecipazione, riguarda la criticità nella relazione con i sistemi di regole e vincoli esistenti. Emblematiche le notazioni nei diari di alcuni tutor:

«Noi diamo per scontate alcune cose che per i ragazzi non lo sono per niente. Loro spesso, se c’è lo sciopero dei treni, si sentono autorizzati a non andare al lavoro o ad arrivare in ritardo senza avvisare».

«I giovani oggi vorrebbero un bel lavoro servito sul piatto che però sia non troppo lontano da casa, che deve avere un certo orario, che gli dia la possibilità di andare in palestra. Anche lì ci vuole una persona che li porti un po’ verso una lettura realistica della realtà e faccia capire loro l’importanza dell’esperienza lavorativa per la crescita personale».

D’altro canto, le aziende si prefigurano il processo di inserimento come già “pronto all’uso”, attribuendo una minima attenzione al necessario lavoro di accompagnamento e di socializzazione richieste, specie dove le culture lavorative e professionali non sono sintoniche con le richieste organizzative attese. Di qui l’esigenza di tenere insieme diverse esigenze e prospettive: dell’utente, dell’organizzazione/azienda e della fondazione che offre il percorso di inserimento.

I tutor evidenziano come l’azienda sia «il terzo soggetto che interviene nel percorso educativo ed è importantissimo lavorare con l’azienda per disegnare dei percorsi che siano finalizzati a raggiungere anche lo scopo educativo, di accompagnamento e di avvicinamento culturale». Ne consegue ulteriormente la rilevanza assunta dalla funzione di tutorship come mediazione che connette il sistema educativo e il sistema lavorativo, andando oltre una concezione di consequenzialità meccanica tra i due universi in gioco.

Ribadiamo la funzione, sopra richiamata, dei tutor quali mediatori professionalmente competenti di processi, da sostenere e alimentare, relativi a tre traiettorie distinte ma convergenti:

  • la conoscenza mirata degli allievi e il supporto alla configurazione di un progetto di inclusione lavorativa sostenibile e appropriato;
  • l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, in stretta relazione con il tutor aziendale;
  • il lavoro di rete da promuovere e sviluppare nei contesti territoriali in funzione dei processi mobilitati di partnership e multistakholder engagement.

Riflessioni conclusive

Nell’articolo sono presentati alcuni risultati valutativi dal programma “Mechanical Employment” di Fondazione Clerici realizzato con il contributo economico di JPMorgan Chase Foundation in Lombardia tra il 2015 e il 2017. La condizione giovanile e la difficile transizione verso il lavoro dei giovani rappresenta da anni per l’Italia uno dei più rilevanti problemi pubblici. Le crisi economiche che si sono susseguite dal 2008 in avanti hanno avuto effetti negativi in modo particolare per i gruppi più giovani della popolazione: i tempi della transizione scuola-lavoro sono ampi rispetto ad altri Paesi, e indicatori quali il tasso di NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione) segnalano i risultati meno positivi. Di conseguenza, le politiche attive del lavoro e l’innovazione sociale nella ricerca di modalità adeguate a favorire l’approdo verso il lavoro dei giovani assumono, se possibile, ancor maggiore importanza.

Il programma realizzato da F. Clerici nel settore della meccanica offre una serie di indicazioni per un mercato del lavoro dinamico come quello moderno, in cui la formazione costituisce un tassello necessario ma non sufficiente. In primis, il tipo di competenze che aggiungono valore e accrescono le chance lavorative di persone disoccupate, anche tra i giovani, riguardano capacità di relazione positiva con gli altri, così come disposizioni di tipo emotivo-sociale che assumono una crescente rilevanza in contesti lavorativi e spesso non sono adeguatamente sviluppate. Le politiche attive del lavoro in Italia scontano, da questo punto di vista, qualche arretratezza, sostanziandosi storicamente in buona parte nel trasferimento di competenze di tipo pratico. Anche l’attività dei centri per l’impiego e delle agenzie formative è poco incisiva nell’investimento e nella valorizzazione di competenze non tecniche.

Il caso studio in esame suggerisce l’importanza di investire sulle competenze dei giovani in modo innovativo e a tutto tondo, favorendo la riflessività su abilità di tipo non standard, e infine accompagnando avviamenti al lavoro calibrati sulle esigenze di persone e imprese, mediando e riducendo l’asimmetria informativa. L’osservazione di alcuni indicatori sugli esiti in termini di competenze trasversali, occupabilità e tenuta sul mercato il lavoro osservati presso i partecipanti sembrano segnalare elementi incoraggianti, specie in considerazione di un target fragile quale quello coinvolto da F. Clerici. La ricerca qualitativa ha permesso di integrare tali note sostanzialmente positive con altre sui meccanismi da attenzionare: si segnalano alcune fragilità da sostenere particolarmente nell’ambito dell’avvio al lavoro dei giovani, specie se fragili, riguardanti l’atteggiamento verso il lavoro, i suoi tempi e regole, elementi da considerare in chiave prioritaria e rafforzata nell’ottica dell’accompagnamento.

Un secondo tema di interesse generale riguarda le modalità operative con le quali favorire un più efficace incontro tra domanda e offerta di lavoro. È possibile che le frizioni tra domanda e offerta di lavoro possano almeno parzialmente essere ricomposte grazie al ruolo di intermediari capaci di operare come cursori del rapporto tra candidati a posizioni lavorative e imprese. È importante che ciò avvenga in modo flessibile e con strumenti tailor-made, a fronte dell’eterogeneità delle imprese e dell’esigenza di mettere in campo profili individuali variegati e plurali, corrispondenti alla varietà delle richieste di imprese altrettanto diversificate.

Lo sviluppo flessibile delle attività progettuali nel caso in esame è avvenuto con molteplici modalità, essenzialmente in relazione alle esigenze sollevate dalle imprese in termini di profili di competenze richieste, ma non solo. Così, per esempio è stata diffusamente rilevata la richiesta, da parte delle aziende, di garantire un approccio flessibile alla gestione della forza lavoro che non prevedesse l’assunzione diretta di personale a proprio carico. L’esigenza è stata accolta dai partner progettuali al fine di favorire opportunità lavorative che potevano essere garantite per alcuni proponendo l’inserimento tramite contratti di somministrazione, assicurati tramite la collaborazione con Adecco. L’ipotesi a monte è che attivando una logica di economia contributiva, in cui diversi stakeholder (pubblici e privati) partecipano alla produzione di valore contestuale, sia possibile realizzare iniziative dinamiche, integrate e ben organizzate per la realizzazione di sostenibili politiche attive del lavoro, in una logica win-win in cui ognuno è chiamato a contribuire per il valore che riesce a generare.

Un’ulteriore questione riguarda la necessità di prevedere una migliore complementarità tra l’azione di diversi stakeholder e differenti strumenti di policy. Vale la pena ricordare l’attenzione rivolta dai professionisti di FLC in merito alla consulenza circa gli strumenti che la legislazione nazionale e/o regionale garantisce. È stata rilevata, in diversi casi, la quasi assoluta mancanza di informazione circa l’esistenza di dispositivi pubblici disponibili. Per esempio, tra quanti ne avevano diritto ma non ne avevano conoscenza, è stata incentivata la partecipazione a programmi come Garanzia Giovani e/o Dote Unica Lavoro di Regione Lombardia. Le attività di FLC si sono, quindi, palesate anche nel favorire l’utilizzo di dispositivi fruibili. Non ci sono ragioni per dubitare che la questione “informativa” e la necessità di rendere più fluido il flusso di comunicazione circa i diversi strumenti di policy cui i giovani possono avere accesso rappresenti una questione strategica applicabile su più ampia scala.

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Footnotes

  1. ^ Secondo i dati ISTAT, nel 2006 il tasso di occupazione tra i 18-29enni era del 48,8%; nel 2016, tale indicatore è in contrazione di quasi 15 punti percentuali (36,5%). Una riduzione nel tasso di occupazione, seppur registrato in modo molto meno incisivo, è rilevata per le classi d’età relativamente più anziane (tra i 35-44enni, e nella fascia d’età 45-54 anni). Di converso, anche a seguito di una serie di iniziative legislative volte progressivamente a modificare l’età pensionabile, la quota di soggetti occupati in età più anziana (55-64enni) nell’ultimo decennio è in relativo aumento.
  2. ^ Secondo i più recenti dati Eurostat essa è pari a circa 9 mesi per i laureati e 14 mesi per i diplomati. Si veda qui.
  3. ^ Rispetto ai più tradizionali contributi di Boyatzis (1982) e Spencer e Spencer (1993), Le Boterf (2004, 2010) sostiene che la competenza non è uno stato o una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. La competenza, invero, non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità, etc.) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse.
  4. ^ In altri casi, non considerati in questo studio, FLC ha riscontrato la necessità di prevedere, prima della messa in relazione con le imprese, attività di formazione: sono stati quindi avviati diversi corsi (da quelli di lingua per stranieri, a quelli per disegnatore CAD CAM, contabilità e strumenti di comunicazione informativa, automazione in ambito meccanico, etc.).
  5. ^ In un certo numero di casi gli utenti coinvolti hanno beneficiato esclusivamente della redazione del bilancio di competenze (oppure di altre azioni, es. corsi di formazione aggiuntiva), ma non l’avviamento al lavoro.
  6. ^ Il bilancio delle competenze e la raccolta delle informazioni per misurare il possesso delle soft skills all’atto della presa in carico vengono svolti operatori insieme agli utenti; il questionario post partecipazione è invece compilato in modo autonomo dai partecipanti.
  7. ^ Il questionario predisposto per il gruppo dei giovani con esperienze di lavoro pregresse permette di misurare il grado di: autostima (scala di Rosenberg, 1965; versione italiana di Prezza et al.,1997), autoefficacia nella risoluzione dei problemi e nella comunicazione interpersonale (scala di Caprara et al., 2004), autonomia e controllo (scala di Pearlin e Schooler, 1978), grinta e determinazione (scala di Duckworth e Quinn, 2009), impegno (batteria di domanda sviluppata ad hoc). Nel questionario, per il gruppo di beneficiari inoccupati (il più studenti), il tipo di domande sono adattate lessicalmente (e scelte) così da renderne possibile la compilazione a soggetti di più giovane età.
  8. ^ Nel caso del gruppo di beneficiari studenti (inoccupati) non sono disponibili informazioni sulla competenza legata all’autoefficacia nella risoluzione dei problemi e nella comunicazione interpersonale.
  9. ^ Il lato della domanda, nel settore di inserimento lavorativo identificato (quello della meccanica), negli ultimi anni in relativa espansione rispetto ad altri, può aver contribuito a tale performance positiva.
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