Nell’analisi del bilancio di esercizio di un’impresa sociale si assiste normalmente a due approcci specularmente opposti. Da una parte, si tende a mettere in dubbio la capacità di tale documento di fornire informazioni utili alla comprensione del valore e dei valori realizzati, essendo ritenuti necessari altri strumenti, tipicamente di rendicontazione sociale (bilancio sociale e valutazioni d’impatto). Dall’altra, nel riconoscere l’importanza del bilancio d’esercizio, questo viene esaminato impiegando le metodologie di analisi tradizionali, costruite per le imprese profit pure. Tale analisi, spesso svolta senza la necessaria conoscenza della natura dell’impresa sociale e del suo modello di business, determina l’incapacità di apprezzare a pieno la portata dei dati e delle informazioni di natura economico-finanziaria.
Obiettivo del presente contributo è quello di affermare la capacità segnaletica dell’informativa economico-finanziaria, sottolineando l’opportunità di una lettura consapevole del bilancio d’esercizio di un’impresa sociale. A tal fine vengono preliminarmente circoscritti l’assetto istituzionale per la gestione di un’impresa sociale e il modello di rendiconto di riferimento. All’interno di tale bilancio vengono poi evidenziati i dati economico-finanziari, e segnatamente le specifiche voci rilevanti per un’impresa sociale. Infine, nella consapevolezza della dimensione mediamente limitata di tali imprese, si procede a evidenziare sinteticamente tecniche, indicatori e indici, strumentali ad una miglior comprensione del bilancio e, soprattutto, dell’andamento economico-finanziario dell’impresa sociale rappresentata.
Keywords: imprese sociali, bilancio di esercizio, valore aggiunto
DOI: 10.7425/IS.2021.01.02
Il bilancio d’esercizio risponde a una duplice finalità di informazione e controllo in merito al raggiungimento ed il mantenimento degli equilibri – patrimoniale, finanziario, economico – che caratterizzano un’impresa sociale e, in generale, qualsiasi azienda di produzione, intesa nell’accezione dottrinale classica della scienza economico-aziendale (Terzani, 1989 - p.3).
Lettura, analisi e soprattutto comprensione di tale documento non possono però prescindere da una preliminare definizione del soggetto – quale impresa sociale? – e dell’oggetto – quale bilancio? – di riferimento.
In altri termini, in modo strumentale alla ricerca della piena conoscenza circa il modello di business sottostante e descritto dal bilancio vanno ben delimitati sia il possibile assetto istituzionale impiegato per gestire l’impresa sociale sia, soprattutto, i conseguenti obblighi in materia di rendicontazione economico-finanziaria, i quali in questo momento storico risultano finalizzati all’attribuzione all’esercizio del reddito di competenza. Le stesse metodologie di analisi di bilancio, costruite per l’impresa lucrativa e tradizionalmente basate sulla valutazione dei flussi economici e finanziari, devono essere adeguate alla diversa natura dell’impresa sociale.
Nel proseguo si procede lungo la strada appena indicata, definendo in via preliminare il soggetto giuridico “impresa sociale”, poiché alla scelta di un assetto istituzionale conseguono ben determinati obblighi rendicontativi. Tali obblighi risultano successivamente individuati al fine di fissare il modello di bilancio la cui analisi è oggetto del presente scritto, evidenziando le aree di bilancio suscettibili di opportuni approfondimenti informativi.
Infine si procede nell’elaborazione di alcune chiavi di lettura, nel tentativo, pur nel costante riferimento alla dottrina e prassi in tema di analisi di bilancio, di tipizzarne contenuto ed esiti rispetto all’impresa sociale.
Seppur fondamentali nel definire l’articolato e complesso sistema di bilancio per un’impresa sociale e il connesso tema della misurazione delle performance complessive (Bagnoli, Megali, 2011), in questa sede non vengono affrontate le modalità di rendicontazione non economico-finanziarie, quali il bilancio sociale e le misurazioni di impatto sociale. Quanto scritto si limita al bilancio d’esercizio, nell’auspicio di poter fornire un utile contributo sia nella fase di redazione sia soprattutto alla lettura e comprensione dello stesso.
L’impresa sociale, dalla complessa e dibattuta definizione dottrinale (Defourny, Nyssens, 2017), sfugge altresì a un inquadramento giuridico unitario a livello europeo. Ciò appare evidente nel percorso di mappatura delle imprese sociali intrapreso dalla Commissione Europea negli ultimi anni e sfociato in due studi, rispettivamente del 2014 e il successivo aggiornamento del 2020 (European Commission, 2014; 2020). Ne emerge una realtà comunitaria che, a partire dalla definizione contenuta nella Social Business Initiative[1], è stata ulteriormente articolata sulle dimensioni imprenditoriale, sociale e di governance. Si parla di impresa, sia pure con vincolo di distribuzione degli utili a tutela della sopravvivenza del fine sociale rispetto all’impegno dei fondatori, di produzione caratterizzata da interesse generale e di modelli di governance inclusivi.
A livello nazionale l’avvento delle imprese sociali ha modificato a fondo l’immagine del terzo settore (Borzaga, Santuari, 2000). Il riconoscimento di una funzione di produzione di beni e servizi senza il perseguimento di fini esclusivamente lucrativi, ponendo l’interesse generale al centro dell’attività e degli obiettivi di sviluppo, ha implicato una crescente attenzione, negli anni sfociata nell’emanazione della conosciuta legislazione speciale in materia.
Da ultimo il D.Lgs. 112/2017, riformando il precedente D.Lgs. 155/2006, ha disciplinato il brand legale “impresa sociale” sul territorio nazionale. Come ampiamente noto, ai sensi dell’art. 1 possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati che esercitano un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. È inoltre richiesta l’adozione di modalità di gestione responsabili e trasparenti nonché il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati. Le cooperative sociali acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociale, pur mantenendo la loro regolamentazione specifica.
Per quanto di interesse in questa sede, l’impresa sociale “legale”, così come le cooperative sociali e le società cooperative, soggiacciono agli stessi obblighi rendicontativi, facendo riferimento agli artt. 2423 e ss. C.C. in tema di bilancio delle società di capitali.
Le medesime regole di rendicontazione valgono anche per gli enti del terzo settore che, pur non rientrando nella definizione legale di impresa sociale, esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale (art. 13, D.Lgs. 117/2017).
Definita l’impresa sociale, si procede con l’individuazione del modello di bilancio preso a riferimento della nostra analisi. Come già evidenziato, pressoché tutte le imprese sociali nazionali[2] redigono il bilancio d’esercizio secondo le regole dettate dal Codice Civile per le società di capitale[3]. A tale modello di rendicontazione si aggiunge quanto prescritto:
Sotto il primo profilo si ricordano le seguenti integrazioni informative:
Sotto il secondo profilo si ritiene di segnalare, con specifico riferimento alle società cooperative – e di fatto anche alle cooperative sociali – in quanto assetto istituzionale prevalente nella gestione dell’impresa sociale, le c.d. integrazioni civilistiche al bilancio d’esercizio, che interessano la nota integrativa e la relazione sulla gestione[4]. In particolare, vengono richieste le seguenti informazioni aggiuntive:
Così strutturato, il bilancio d’esercizio, nell’evidenziare gli andamenti passati delle principali variabili economiche e finanziarie nonché delle relazioni esistenti tra esse, contribuisce alla individuazione delle determinanti dei risultati aziendali. Dunque risulta strumentale per, e concorre alla, definizione di ipotesi sul futuro andamento della gestione.
Di conseguenza tale bilancio deve essere letto e compreso – in una parola, analizzato – nella sua capacità di rappresentare le logiche di funzionamento, beninteso patrimoniali, economiche e finanziarie, dell’impresa sociale. Il modello di analisi conseguentemente si dovrà concentrare sulle due aree, quella operativa e quella finanziaria, caratterizzanti la gestione.
A tal fine nel prosieguo si farà riferimento agli schemi di bilancio civilistico di cui agli artt. 2424 e 2425 C.C., così come sinteticamente rappresentati (Figura 1 e 2), dandone per conosciuta la struttura formale e cercando di evidenziare alcuni aspetti, e quindi alcune voci, che assumono un significato e una capacità segnaletica particolari quando riferiti ad un’impresa sociale.
Figura 1. Stato patrimoniale civilistico (art. 2424 C.C.).
Figura 2. Conto economico civilistico (art. 2425 C.C.).
Attraverso la gestione operativa un’impresa sociale pone in essere le attività per le quali si è costituita e esiste. In concreto, si tratta dello scambio di beni e soprattutto di servizi con economie esterne il quale appare ben rappresentato dalla contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio. Oggetto di analisi risulta il Conto economico (da ora CE), strumento di sintesi quantitativo-monetaria del suddetto scambio, e segnatamente le macro-classi A) Valore della produzione e B) Costi della produzione, nonché la voce 20 – Imposte sul reddito (OIC, 2017).
Per completezza, si ricorda come nel caso dell’impresa sociale il rapporto con le economie esterne non sempre avvenga a condizioni c.d. di mercato. Questo può inquinare la capacità di costi e ricavi di competenza di rappresentare adeguatamente la gestione operativa. Entrano in gioco logiche sociali nella erogazione di servizi, così come la capacità di utilizzare fattori produttivi extra-mercato, aspetti che andranno adeguatamente argomentati nei documenti di accompagnamento agli schemi contabili e tenuti ben presenti nell’analisi.
Nella macro-classe A) Valore della produzione si trovano i componenti positivi di reddito riconducibili alla gestione caratteristica e a quella accessoria, nonché, in seguito alle modifiche legislative apportate dal D.Lgs. 139/2015, i proventi straordinari.
La comprensione del modello di business di un’impresa sociale, e di conseguenza dell’identità e dell’orientamento strategico, parte dalla conoscenza della natura dei ricavi caratteristici – i quali legittimano la stessa esistenza dell’impresa (Dart, 2004) – generati dalle operazioni ricorrenti realizzate all’interno dei settori di attività rilevanti[5].
L’attenzione va, principalmente e in modo coordinato, alla voce A1 – Ricavi delle vendite e delle prestazioni; alla Nota integrativa, e segnatamente al punto 10) Ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo categorie di attività e secondo aree geografiche dell’art. 2427, comma 1 C.C.; nonché, infine, alla descrizione contenuta nella Relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 C.C.
In aggiunta, si rileva una importante opportunità di miglioramento della capacità informativa del bilancio da parte dei redattori dello stesso. La realizzazione di attività non “a mercato”, ovvero relative a servizi offerti a titolo gratuito o sottocosto e rese possibili per la presenza di economie gestionali o di risorse c.d. residuali (Bertola et al., 2007 - p. 175), può essere valorizzata nei documenti di accompagnamento degli schemi contabili e opportunamente aggiunta – ovviamente in via extra-contabile – al valore dei ricavi.
Le voci da A2 e A3, sostanzialmente riferibili alla gestione delle rimanenze di magazzino e/o di commessa, appaiono di solito trascurabili in presenza di imprese sociali produttrici di servizi.
La voce A4 – Incremento di immobilizzazioni per lavori interni si riferisce alla capitalizzazione di costi e, soprattutto se tale da incidere significativamente sul risultato dell’esercizio, dovrà essere attentamente monitorata.
Infine, di interesse risulta essere la voce A5 – Altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio. Questa comprende i contributi che hanno natura di integrazione dei ricavi della gestione operativa ed è quindi naturalmente destinata ad accogliere componenti positivi non generati dal mercato, inteso quale luogo di scambio a condizioni concorrenziali.
L’articolato civilistico ben rappresenta un’esaustiva classificazione per natura dei possibili fattori produttivi acquisiti a condizioni di mercato. Da sottolineare come nell’impresa sociale i fattori di remunerazione del fattore produttivo “lavoro” possano essere molteplici, per cui il costo riportato alla voce B9 – Per il personale andrà arricchito dalla considerazione dei meccanismi valoriali e motivazionali – auspicabilmente riportati in Nota integrativa – capaci di favorire partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori.
Vi possono essere due ulteriori aspetti meritevoli di attenzione:
In presenza di società cooperative, soprattutto non sociali, parte del rischio economico d’impresa può essere sopportato dai soci conferenti le risorse produttive, corrispondenti a beni, servizi e lavoro. La fissazione dei prezzi di scambio, in questi casi, può seguire criteri residuali – si pensi alle cooperative agricole di conferimento – o di mercato/legali, con successiva ed eventuale attribuzione di ristorni, questi ultimi esplicitamente riconosciuti anche dalla normativa sull’impresa sociale (art. 3, comma 2-bis, D.Lgs 112). Una successiva analisi di redditività e/o di incidenza dei costi dovrà necessariamente tenerne conto.
Laddove si ravvisino fattori produttivi acquisiti al di fuori del normale svolgimento del processo produttivo quali lavoro volontario, contributi senza sinallagma (si pensi alle erogazioni da parte delle Fondazioni bancarie) o la disponibilità di immobili a titolo gratuito, questi andranno valorizzati e considerati parte integrante dei calcoli di equilibrio economico e gestionale. Dunque, di nuovo, al redattore del bilancio d’esercizio di un’impresa sociale risulta affidato un compito importante, quello di rendere un’adeguata informativa in Nota integrativa sulla presenza e sulla destinazione di tali risorse extra-mercato. Peraltro in questo senso esiste già un esplicito obbligo di trasparenza per quanto riguarda i vantaggi economici ricevuti dalla Pubblica Amministrazione (commi 124-129, art. 1, L. 124/2017), tra i quali rientrano, accanto ai contributi accolti nella voce A5, tutte le esenzioni o riduzioni di prestazioni dovute, così come le assegnazioni in comodato o concessione di beni mobili registrati (es. autoveicoli) o immobili.
Accanto alla macro-classi di cui sopra nella lettura del bilancio di un’impresa sociale, soprattutto con riferimento ad una miglior comprensione della gestione operativa, assume importanza la considerazione del carico fiscale. La voce 20 del CE riporta le imposte di competenza, determinate secondo il regime tributario applicabile all’assetto istituzionale prescelto. Senza entrare nel merito dei complessi meccanismi di determinazione del reddito (d’impresa) imponibile, sia la formula cooperativa – sociale o meno – sia l’impresa sociale ex lege prevedono significative agevolazioni in materia (CNDCEC, 2016; CNDCEC - FNC, 2018). Quantificare il risparmio d’imposta, e quindi il maggior autofinanziamento riconducibile ad esso, può rappresentare una interessante indicazione circa il vantaggio competitivo dell’assetto istituzionale prescelto per la gestione dell’impresa sociale.
Lo Stato patrimoniale (da ora SP) rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa sociale. Esso riporta il totale delle attività, e quindi la tipologia di investimenti che caratterizzano l’impresa alla quale il bilancio si riferisce, nonché il patrimonio netto e le passività, ovvero come tale impresa ha provveduto a finanziare le suddette attività (OIC, 2017).
Prescindendo da considerazioni generali su aspetti formali – lo schema – e sostanziali – i criteri di valutazione, per i quali si rimanda a dottrina e prassi aziendale – anche in questo caso la comprensione del modello di business dell’impresa sociale implica attenzione ad alcune voci. In particolare, a parere di chi scrive, il redattore del bilancio è chiamato a fornire un’informativa approfondita – e il lettore a fare particolare attenzione – con riferimento a:
L’analisi del bilancio d’esercizio rientra normalmente in una più ampia analisi dell’impresa – analisi che potremo definire fondamentale – finalizzata a determinarne il valore sia economico sia sociale (Giunta, Pisani, 2016). Le tecniche di analisi sono quelle tipiche della dottrina aziendale classica, anche se devono essere adattate e integrate alla luce delle finalità di un’impresa sociale. Dunque, i risultati andranno interpretati secondo diverse chiavi di lettura, anche tenendo conto delle peculiarità già evidenziate. In aggiunta, l’analisi del bilancio deve necessariamente considerare alcune caratteristiche tipiche di un’impresa sociale, tra le quali la dimensione medio-piccola, e – normalmente – l’assenza di una gestione accessoria e finanziaria attiva significative. Pertanto l’adattamento delle tecniche di analisi passa anche attraverso il ricorso a semplificazioni, tra le quali forse la più importante è il venire meno della necessità di procedere alla riclassificazione degli schemi contabili.
Nel proseguo si presenta l’insieme di strumenti che, a parere di chi scrive, rappresenta la base di partenza per l’analisi del bilancio di un’impresa sociale.
Una prima informazione si trae dalla bottom line del CE. La presenza di un risultato d’esercizio in utile, o comunque non in perdita, e di una sua costanza nel tempo, rappresenta la capacità dell’impresa di perseguire sopravvivenza e sviluppo duraturo. La positività del risultato economico costituisce, inoltre, un punto di riferimento essenziale nelle decisioni di partecipazione al capitale dell’impresa sociale da parte dei soci, soprattutto negli assetti istituzionali cooperativi.
Al fine di esprimere un giudizio sintetico su tale saldo economico si procede normalmente al confronto tra Risultato d’esercizio (voce 21 del CE) e Patrimonio netto (macroclasse A del passivo di SP) dell’impresa sociale. Ne deriva un indicatore che prende il nome di ROE (Return on equity) e permette di individuare la c.d. redditività netta, ovvero quanto rende, in termini percentuali, un euro investito nell’impresa sociale. Tradizionalmente tale indicatore, così come tutte le analisi di redditività, è stato ritenuto di scarsa utilità negli studi sulle imprese sociali. La storica presenza del non-distribution constraint (Gui, 1990; Valentinov, 2008) ha relegato l’equilibrio contabile a semplice vincolo dell’agire trascurando la necessaria remunerazione del fattore produttivo “capitale proprio”. Al contrario, l’apertura alla corresponsione di dividendi commisurati a parametri di mercato (art. 8, comma 3, D.Lgs. 112; art. 2514 C.C.), permette – finalmente, a parere di chi scrive – di riconoscere agli apportatori di capitale sociale un compenso al pari di chi cede beni, servizi o lavoro. In altri termini, l’attenzione al risultato d’esercizio non solo come forma virtuosa di autofinanziamento ma anche quale strumento di remunerazione del fattore produttivo capitale completa l’aziendalità dell’impresa sociale. Permette quindi di valutare, leggendo il bilancio d’esercizio, in che modo sia perseguito l’equilibrio economico a valere nel tempo in presenza di una remunerazione adeguata ai fattori utilizzati (Giannessi, 1960 - p. 46).
Risalendo il CE alla ricerca di misure di giudizio sulla gestione operativa l’attenzione va al risultato intermedio Differenza tra valore e costi della produzione (A-B). In assenza di componenti di reddito accessorie e straordinarie significative, le quali in caso contrario andrebbero eliminate intervenendo sulle voci A5 e B14, si ottiene una approssimazione del reddito operativo o EBIT (Earnings before interest and taxes) e, recuperando la voce B10 –Ammortamenti e svalutazioni, del margine operativo lordo o EBITDA (Earnings before interests, taxes and depreciation and amortization) (Montrone et al., 2020). Particolare attenzione deve essere attribuita alla voce A5, essendo questa nelle imprese sociali suscettibile di accogliere integrazioni strutturali ai ricavi d’esercizio, sia quali risorse extra-mercato sia quali contributi a copertura di costi rendicontati e rilevati nella macroclasse B). In questi casi i relativi importi assumono rilevanza pari a quella dei ricavi di cui alla voce A1 nella determinazione di margini o indici reddituali.
Sia EBIT sia EBITDA rappresentano una quantificazione contabile del risultato della gestione caratteristica – quella per cui l’impresa sociale esiste – e possono essere messi in relazione all’insieme degli investimenti che ne hanno permesso la realizzazione. Laddove non vi siano investimenti finanziari, ipotesi piuttosto frequente all’interno delle imprese sociali se si prescinde da impieghi tipicamente gestionali quali la partecipazione a iniziative consortili o società di capitale strumentali alla rete di riferimento, un’adeguata approssimazione degli investimenti operativi è rappresentata dal totale attivo dello SP. Conseguentemente il rapporto EBIT/Totale Attivo fornisce un’accettabile approssimazione del ROI (Return on investiment) e quindi della redditività degli investimenti nel business aziendale.
Sempre in tema di controllo della gestione operativa vi sono le comparazioni all’interno del CE civilistico. Punto di partenza è rappresentato dal tradizionale rapporto EBIT/A1, assimilabile a un ROS (Return on sales), il quale fornisce un dato puntuale di sintesi sulla redditività dei ricavi di vendita. Disaggregando tale indice si possono trarre numerosi approfondimenti, tra i quali in tema di impresa sociale si evidenziano i seguenti indicatori:
Di interesse risulta inoltre avere consapevolezza della gestione tributaria, soprattutto in tema di agevolazioni per quanto riguarda le imposte dirette. In questo senso l’indice 20 – Imposte sul reddito / Risultato prima delle imposte fornisce un’immediata informazione sulla percentuale di ricchezza economica complessivamente creata assorbita da IRES e IRAP. Se disponibile, il confronto con il carico fiscale in assenza di assetto istituzionale agevolato può fornire indicazioni sul relativo vantaggio competitivo in termini di imposte.
Infine, si ribadisce l’importanza di elaborare degli indici, ovviamente in presenza dei necessari dati, anche in tema di risorse extra-mercato, dandone conto in relazione al valore complessivamente creato e agli investimenti effettuati.
Una (diffusa) eccezione al venir meno delle esigenze di riclassificazione degli schemi contabili è rappresentata dal CE a valore aggiunto, visto il particolare rilievo di questo margine per un’impresa sociale.
Tale rilettura del CE civilistico costituisce una rivisitazione dell’equazione reddituale, in cui si re-interpreta il ruolo di alcuni fattori produttivi, considerandoli interni all’ente e trasformando i relativi costi in remunerazioni e quindi assimilandoli a degli “utili” (Bagnoli, 2008; Broglia Guiggi, 2004):
Esemplificando, l’equazione Ricavi – Costi = Risultato (Utile) si trasforma in Ricavi – Costi esterni = Costi interni + Risultato (Utile) = Valore aggiunto, dove i costi interni possono assumere uno dei significati su indicati. In altri termini, il valore aggiunto rappresenta il margine distribuibile ai partecipanti interni al processo di realizzazione dello stesso, laddove il concetto di interno risulta diversamente declinabile.
Anche in questo caso il redattore del bilancio di un’impresa sociale è chiamato a scegliere il modello di riclassificazione nonché a valutarne la collocazione all’interno dell’informativa esterna di natura economico-finanziaria.
Con riferimento ad una impresa sociale che abbia scelto l’assetto istituzionale “cooperativa” si propone il seguente schema di riclassificazione del conto economico civilistico – basato sulla numerazione di cui all’art. 2425 C.C. – al fine di quantificare il valore aggiunto “economico-sociale” effettivamente prodotto nonché i relativi destinatari (Tabella 1 e 2). In aggiunta a quanto previsto dai principi generali in materia (GBS, 2001) si prevede la presenza, tra i destinatari, sia di soci cooperatori che apportano prestazioni lavorative e/o finanziano la società sia di una eventuale rete (cooperativa) di riferimento.
Tabella 1. La determinazione del valore aggiunto economico-sociale.
Tabella 2. La distribuzione del valore aggiunto economico-sociale.
La riclassificazione a valore aggiunto economico-sociale può essere integrata con la previsione di eventuali risorse extra-mercato.
L’equilibrio patrimoniale finanziario e quindi la solvibilità aziendale trova una sua rappresentazione nello SP. La contrapposizione tra l’insieme degli attivi che caratterizzano l’impresa, da una parte, e le modalità di finanziamento dello stesso, dall’altra, fornisce una fotografia puntuale del suddetto status. A ciò si aggiunge la rappresentazione dei flussi finanziari per aree di attività ad opera del rendiconto finanziario, dal 2016 parte integrante del bilancio d’esercizio ai sensi del riformato art. 2425-ter C.C.
Due sono le condizioni necessariamente oggetto di indagine: la solidità patrimoniale e la liquidità.
L’analisi della solidità patrimoniale passa attraverso l’esame della composizione di attivo e passivo patrimoniale. In concreto, con riferimento al medio-lungo termine si tratta di elaborare i seguenti indici:
L’impresa sociale, soprattutto se gestita con assetto istituzionale “cooperativa” e “cooperativa sociale” (Borzaga, Fontanari, 2020), si presenta normalmente con modelli di business c.d. labour intensive. Ne consegue talvolta una minor incidenza dell’attivo immobilizzato sul totale attivo e, quindi, una minor necessità di fondi di finanziamento strutturali. Laddove l’impresa si caratterizzi per la presenza significativa di fattori produttivi strumentali extra-mercato – per tutti, immobili in comodato per intervalli temporali rilevanti – nasce l’opportunità di recepire tali valori incrementando l’attivo e il patrimonio netto (contributo figurativo in conto capitale).
Con riferimento al breve termine e quindi nel passaggio dalle verifiche di solidità a quelle di liquidità si tratta di tenere sotto controllo il fabbisogno finanziario generato dai Crediti verso clienti (C.II.1. dell’attivo dello SP), ove rilevanti. Questo può avvenire attraverso l’elaborazione dei seguenti indici:
La liquidità, sempre sotto il profilo statico, può essere indagata attraverso l’indice Disponibilità liquide (C.IV dello SP attivo) / Debiti (D dello SP passivo) al netto dei debiti a medio-lungo termine.
In aggiunta, la liquidità può essere analizzata anche sotto il profilo dinamico, con particolare riferimento ai dati riportati nel Rendiconto finanziario.
Queste ultime analisi, fondamentali, non presentano aspetti peculiari quando riferite a un’impresa sociale.
Comprendere un’impresa sociale attraverso la lettura del suo bilancio d’esercizio rappresenta un’interessante sfida alla quale partecipano in egual misura redattore e lettore di tale rendiconto. Il redattore è chiamato ad ampliare la portata informativa dei documenti componenti il bilancio, con la finalità di rappresentare il complesso raggiungimento degli equilibri gestionali attraverso il ricorso a resources mix tipizzanti l’impresa sociale (Defourny, Nyssens, 2017). Risulta opportuno, se non necessario, che il redattore del bilancio di esercizio di un’impresa sociale proceda in autonomia a fornire dati e informazioni utili a una miglior lettura di tale rendiconto. Questo appare molto diffuso con riferimento alla rappresentazione della gestione economica grazie alla riclassificazione a valore aggiunto del Conto economico, mentre si rileva ancora una scarsa consapevolezza per quanto riguarda l’utilizzo di indici dedicati.
Il lettore deve cogliere le caratterizzazioni e trasformare tali dati e informazioni in giudizi sull’andamento dell’impresa. In questo, si ricorda come la lettura del bilancio d’esercizio di un’impresa sociale segua le modalità di analisi della tradizione economico-aziendale. Quello che cambia sono la consapevolezza di quali siano le voci tipizzanti il modello di business e la conseguente capacità di scegliere indicatori e indici – e talvolta le riclassificazioni – idonei alla rappresentazione (sintetica) della situazione patrimoniale e finanziaria nonché del risultato economico dell’impresa sociale indagata. In aggiunta, spesso manca consapevolezza sulla portata informativa dell’integrazione nell’informativa economico-finanziaria delle risorse extra-mercato, i cui effetti potrebbero in taluni casi stravolgere il giudizio sul modello di business oggetto di attenzione.
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