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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-2-2023-tra-paternalismo-filantropia-e-prestigio-sociale-le-iniziative-solidaristiche-degli-industriali-pugliesi-nel-xix-secolo

Numero 2 / 2023

Saggi

Tra paternalismo, filantropia e prestigio sociale. Le iniziative solidaristiche degli industriali pugliesi nel XIX secolo

Ezio Ritrovato


Abstract

Nella storia della prima industrializzazione pugliese, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento e concentrata prevalentemente nella provincia di Bari, emergono figure di imprenditori dell’industria tessile cotoniera che manifestano un’embrionale consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa, spesso associata a livelli di istruzione superiore e ad una non comune inclinazione ai viaggi di istruzione all’estero. Attraverso lo studio delle biografie di alcuni industriali cotonieri - i fratelli De Bellis e Saverio Costantino – questo articolo vuole evidenziare le peculiarità del loro agire altruistico e delle diverse iniziative filantropiche. Ritroviamo modi differenti di intendere e praticare l’impegno sociale, comportamenti incongrui o contraddittori, luci ed ombre che rappresentano l’inevitabile riflesso di esperienze di vita, gratificazioni imprenditoriali e spirito dei tempi.


Negli studi di Storia d’impresa, l’impegno sociale degli imprenditori ha ricevuto minore attenzione rispetto alle consolidate ricerche sull’evoluzione storica delle strutture organizzative delle aziende in relazione alle loro dimensioni, sui rapporti tra proprietà e gestione o sulle forme di finanza d’impresa[1]. Questa lacuna storiografica si è rivelata ancora più sostanziale nelle ricerche che si sono occupate dei percorsi di industrializzazione delle regioni meridionali, per le quali lo storico d’impresa ha dovuto operare in un contesto di acclarata carenza di archivi aziendali e, più in generale, di fonti “quantitative”, relative alla crescita degli impianti, dei dipendenti, dei volumi produttivi[2].

Di conseguenza, per reperire documentazione e per rendere conto delle opere di impegno sociale degli imprenditori meridionali, si rende necessario lo studio della storia personale degli imprenditori, realizzando il lontano auspicio di Luigi de Rosa per una “storia dell’industria attraverso l’uomo-imprenditore”[3], ormai definitivamente acquisito e sviluppato nel filone della entrepreneurial history. Tale assunto mostra tutta la sua validità euristica anche per un ambito di ricerca che, come nel caso di questo mio contributo, si limita geograficamente alla Puglia e, in particolare, alla provincia di Bari, l’area regionale più intensamente investita dal processo di industrializzazione nella seconda metà dell’Ottocento.

Anche tenendo in debita considerazione i limiti della ricostruzione biografica, resta evidente l’utilità del filone prosopografico nella storia dell’industria pugliese fra Otto e Novecento; una storia di uomini che in modi e forme eterogenee diedero vita a iniziative industriali a volte embrionali, spesso polisettoriali, ma che inevitabilmente finivano per intrecciarsi con la vita privata dell’imprenditore, le sue vicende personali, le gioie e i drammi della quotidianità domestica. Si crea, così, un legame simbiotico che nelle imprese a proprietà familiare della prima industrializzazione pugliese traspare anche dagli atti di liberalità dell’imprenditore verso i lavoratori, replicando un rapporto padre-figli finalizzato a legittimare bonariamente l’autorità del padrone.

Nelle storie di uomini, di famiglie, di avventure imprenditoriali possiamo inquadrare quel fermento di iniziative che nella seconda metà dell’Ottocento interessò Bari e la sua provincia nei settori della trasformazione dei prodotti agricoli, del tessile e del meccanico. Soprattutto nell’ambito dell’industria tessile emergono personaggi caratterizzati da un percorso di crescita formativa che, partendo dalla condizione tipica dell’operatore non specializzato ottocentesco, giungono a qualificarsi come industriali cotonieri di rilevanza nazionale. In questo cammino di crescita imprenditoriale, prende forma anche un’embrionale consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa, associata alla componente culturale e a livelli di istruzione superiore che connotano esclusivamente gli industriali tessili e, come vedremo, si concretizzano, al pari di un Giovan Battista Pirelli[4] o di un Adriano Olivetti[5], nella pratica dei viaggi di istruzione all’estero.

Ripercorrere la storia della prima industrializzazione pugliese costringe a circoscrivere l’indagine al territorio di Bari e della sua provincia, allora Terra di Bari, e a ricordare l’importanza della presenza straniera nell’avvio delle prime iniziative nel settore tessile, meccanico e agro-alimentare[6]. Sono francesi all’inizio, ma poi anche svizzeri e tedeschi i promotori di insediamenti che costituirono il nucleo originario dello sviluppo industriale regionale già a partire dai primi decenni dell’Ottocento.

Ne è scaturito un processo di disseminazione di cultura imprenditoriale che, da un lato si è tradotto in nuove fabbriche fondate da industriali locali per replicare il successo dei “forestieri”, dall’altro ha inciso in maniera profonda sull’atavica diffidenza verso il rischio d’impresa e sull’orientamento tradizionale verso le attività commerciali e le comode rendite finanziarie e immobiliari. Del resto, l’osservazione della successiva fase di industrializzazione ad opera di imprenditori baresi mette in risalto anche il ruolo formativo degli operatori stranieri nell’addestramento tecnico dei futuri industriali locali[7]. Ancor più evidente la particolare influenza esercitata dal primato della scuola industriale tedesca e inglese su alcuni imprenditori del tessile cotoniero[8], che compresero da subito l’importanza della formazione tecnica e gestionale e, pertanto, prima di avviare nuovi impianti o prima di ammodernare quelli già esistenti, intrapresero viaggi di istruzione e soggiorni di studio all’estero.

Questa particolare disposizione - peraltro comune a tanti imprenditori nell’Italia dell’Ottocento[9] - per l’acquisizione di nuove conoscenze tecniche attraverso l’esperienza del soggiorno all’estero, denota un’apertura degli industriali tessili baresi verso lo studio e l’apprendimento, e una curiosità intellettuale sicuramente propedeutiche per le loro iniziative di natura solidaristica, culturale e politica, volte al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori o della comunità in cui operavano.

In effetti, questo sembra essere un tratto tipico dell’imprenditoria tessile, esigua come presenza nel tessuto produttivo di Terra di Bari fra Otto e Novecento, ma rilevante per dimensione degli impianti, numero di occupati e livello di sviluppo tecnologico. E così, nel corso del processo di industrializzazione che in forme diversificate interessò la provincia di Bari nella seconda metà dell’Ottocento, il quadro delle iniziative imprenditoriali si è arricchito di esperienze rivolte ai temi di natura sociale, grazie ad alcuni protagonisti della vita economica locale. Parliamo dei fratelli Saverio e Nicola De Bellis, vissuti a Castellana, e del barese Saverio Costantino, industriali tessili accomunati da un livello di istruzione superiore che ne esaltò le doti organizzative e lo spirito di iniziativa, ma diversi per le esperienze di vita che influenzarono il loro concreto operare sul piano dell’impegno sociale.

L’azienda dei fratelli De Bellis di Castellana è stata per gran parte dell’Ottocento la maggiore, se non l’unica, realtà pugliese nella produzione cotoniera meccanizzata, affiancandosi ad altre iniziative in campo vitivinicolo e commerciale che resero Saverio e Nicola De Bellis uno dei pochi esempi di imprenditori locali in grado di contrastare con successo l’egemonia degli industriali stranieri[10]. Nel cammino che li condusse ad una posizione economica di grande agiatezza, i due fratelli riuscirono a coniugare il fervore imprenditoriale con una costante attenzione alle necessità dei concittadini più bisognosi.

Già in epoca preunitaria, nel 1855, con una piccola somma ricevuta dal padre, Saverio De Bellis impiantò uno dei primi mulini a vapore della provincia di Bari, mentre Nicola compiva il suo percorso di formazione superiore che, dopo la laurea in giurisprudenza, lo portò a soggiornare a Parigi, Londra, Liverpool e Manchester. Il diverso grado di istruzione fra i due fratelli si riflette anche nelle forme di partecipazione alla vita pubblica cittadina e nazionale. Nicola De Bellis esercitò la sua passione per la politica come sindaco di Castellana dal 1877 al 1884 e deputato al Parlamento per pochi mesi nel 1908, mentre Saverio mantenne sempre il ruolo di promotore e guida delle varie aziende di famiglia fino alla sua morte nel 1918.

Infatti, proseguendo nel processo di diversificazione settoriale, Saverio De Bellis, dopo aver dato vita nel 1872 all’impianto di tessitura meccanica, assieme al fratello si lanciò nella “corsa al vigneto” che nella seconda metà dell’Ottocento cambiò il volto dell’agricoltura pugliese e meridionale e si risolse nel più intenso fenomeno di trasformazione agricola del Mezzogiorno. Nel 1878, acquistò circa 130 ettari di seminativo nel territorio di Castellana e nel giro di tre anni ne fece vigneti che alimentavano un grande impianto di lavorazione delle uve per la produzione di vini, liquori, spumanti e cremore di tartaro. Per offrire una sistemazione decorosa ai contadini e agli operai che vi lavoravano, fece costruire alcune palazzine per abitazioni, cui si aggiunsero dei negozi, la chiesa, l’ufficio postale, fino a diventare il Borgo Villanova De Bellis, abitato da circa 700 persone.

Negli anni successivi, ai De Bellis non mancarono le occasioni per praticare con convinzione il sostegno all’edilizia popolare, come strumento anticiclico di assorbimento della disoccupazione e di conforto alle tribolazioni delle classi più umili. Un’attività filantropica che Saverio rivendicò con orgoglio, quando nel 1902 scrisse una lettera all’onorevole Baccelli, Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, per perorare la sua richiesta di concessione dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro:

 

Amico molto dell’operaio, quale io sono, vedendo un momento di crisi nel comune di Polignano nella classe dei muratori ed avendo un piccolo fondo di circa ettari 1,5 contiguo all’abitato, e prossimo alla stazione, invitai gli operai a costruire case per operai, ed in quattro anni ne fecero circa 80 a pian terreno e primo piano, oggi un terzo di questi vendute ai medesimi, con pagamenti mensili e molti l’hanno rinfrancato.[11]

 

L’elenco delle iniziative solidaristiche realizzate dai De Bellis si completa con la migliore prova del loro filantropismo nel 1905, al culmine della fortuna economica dei due imprenditori pugliesi. Su un terreno di loro proprietà, Saverio finanziò la costruzione di un ospedale con annesso ricovero di mendicità e orfanotrofio, ampliato anni dopo con un asilo d’infanzia ed una scuola femminile di avviamento professionale; il tutto donato al Comune di Castellana nel 1913. In questa occasione, Saverio De Bellis manifesta concretamente la sua particolare sensibilità verso i problemi dell’infanzia, ribadita nelle sue disposizioni testamentarie, in cui riafferma i “più sacri e delicati vincoli di paternità” con il Giardino d’Infanzia, al quale – dice – “dedicai tutta l’anima mia, ed in mezzo al quale trascorsi i miei più bei momenti di lieta pace e di spirituale riposo”; e ammonisce gli eredi affinché dedichino “tutta l’opera di attività loro, promuovendone lo sviluppo e l’incremento, e curando che nemmeno un soldo delle sue rendite sia sperperato ma devoluto a sollievo dell’umanità sofferente di questa istituzione e dell’infanzia abbandonata”[12].

L’impegno di Nicola De Bellis, invece, si è esplicato prevalentemente nell’ambito della sua esperienza politica di Sindaco di Castellana prima e Deputato poi, anche se per pochi mesi. A capo dell’Amministrazione comunale nel 1877, vi rimase fino al 1884, adoperandosi con successo per migliorare la dotazione infrastrutturale della cittadina, sistemandone le vie interne, istituendo nuove scuole di vario grado, guidando il movimento popolare che reclamava la costruzione della ferrovia Bari - Locorotondo, di grande importanza per il collegamento con la rete nazionale e, infine, organizzando la costituzione del Consorzio Idraulico per la sistemazione del territorio di Castellana, colpito in passato da alluvioni devastanti. Provvide personalmente alle spese d’amministrazione del Consorzio e, dopo la sua morte, i relativi mandati di pagamento sono stati trovati, chiusi in una busta sulla quale di suo pugno era scritto: «Prego i miei eredi di non esigere questo denaro da me versato[13].

Per quanto concerne l’altro protagonista dell’industria tessile pugliese, Saverio Costantino, le manifestazioni del suo impegno sociale furono orientate soprattutto a incidere sul quadro normativo e sulla diffusione dell’associazionismo cooperativo e solidale in favore dei lavoratori. Peraltro, una parte consistente della sua azione propositiva si è concentrata sulla necessità di rimuovere gli ostacoli di natura creditizia e organizzativa che rallentavano lo sviluppo delle imprese locali.

Le note biografiche di Saverio Costantino, nato a Bari nel 1868, raccontano dell’unico figlio di un commerciante di stoffe che, ancora diciottenne, si trasferisce a Manchester, la capitale mondiale dell’industria tessile, per approfondire le conoscenze tecniche nel campo della tessitura e della colorazione del cotone. Qui frequentò per nove mesi la School of Dyeing (Scuola di tintoria) presso la Manchester Technical School, affiancando l’esperienza sul campo all’apprendimento delle tecniche più moderne per la lavorazione dei tessuti di cotone. Per questo, si fece assumere come operaio, dapprima presso il cotonificio Hiltermann Brothers di Manchester e, nel 1886, al Cotonificio Cantoni di Castellanza.

Nei quasi due anni trascorsi lontano da Bari si trovò ad affrontare difficoltà, incomprensioni e angherie, rese più sopportabili dal continuo conforto e incitamento del padre che già gli riconosceva e ne apprezzava le capacità di iniziativa e il talento innovativo. Quando rientrò a Bari, Saverio Costantino aveva definitivamente maturato l’idea di tentare il grande balzo imprenditoriale con il progetto di uno stabilimento di tessitura meccanica e annessa tintoria a vapore che fu inaugurato nel 1888, a circa vent’anni di distanza dalla nascita dell’unico cotonificio industriale esistente in Puglia, quello dei De Bellis a Castellana. L’iniziativa si presentava irta di ostacoli, derivanti dal perdurare della crisi economica in cui si dibatteva la provincia di Bari dopo la svolta protezionistica del 1887 e gli effetti della guerra commerciale con la Francia.

Nel corso dei “tre lustri d’oro” (1872-1887) tutti i settori produttivi, dall’agricoltura al credito, avevano conosciuto una tumultuosa espansione, grazie all’improvviso flusso di ricchezza derivante dalla diffusione della viticoltura e dalle esportazioni di vini da taglio verso la Francia. A seguito della rottura dei rapporti commerciali con la Francia nel 1887 e della successiva chiusura di quel mercato ai vini pugliesi, l’economia di Terra di Bari subì un vero tracollo che travolse produttori, commercianti e banchieri, lasciando in miseria una larghissima parte della popolazione[14].

In una simile temperie economica e sociale, il progetto industriale di Saverio Costantino appariva quanto mai temerario, ma la tenacia e la voglia di riuscire che animavano il giovane Saverio e suo padre resero possibile la realizzazione dello Stabilimento di Tessitura Meccanica e Tintoria a Vapore “Giovanni Costantino”, che comprendeva il primo impianto meridionale di “tintoria a vapore diretto” e poneva l’azienda all’avanguardia per la modernità delle attrezzature e dei processi di lavorazione. La produzione veniva commercializzata in tutto il Regno, da Aosta a Palermo, utilizzando agenti di commercio e rappresentanti in ogni regione, accompagnati periodicamente da Saverio Costantino, il quale tentò anche la strada dell’esportazione, visitando i Paesi del Levante balcanico e del Nord Africa mediterraneo, senza però riuscire a stabilire relazioni commerciali durature.

Fu proprio in occasione di un viaggio in Tunisia nel 1893 che, a causa di una tempesta nel Canale di Sicilia, il vapore “Leone” su cui era imbarcato corse il rischio di affondare sotto i colpi delle onde altissime e delle raffiche di vento:

 

In questo modo sono passate parecchie ore, quando sballottolati e inondati d’acqua, tra le grida e pianti di donne, uomini, ad un forte krak il nostro piroscafo si ferma. Inutile sperare più, siamo perduti! Addio miei cari! Figli miei addio! Addio mio lieto e splendido avvenire! A 25 anni la vita mi sorrideva nella più confortante maniera e non pertanto bisogna seguire la dura sorte! Siamo per morire! Invoco tra me il nostro S. Nicola, mi raccomando a Lui che ci salvi! Fo voto di allumargli 20 grosse candele e fare un maritaggio[15].

 

Sarà stato per la perizia del capitano o per la benevolenza di San Nicola, la nave riuscì a riparare a Pantelleria e i passeggeri poterono sbarcare e ricoverarsi in locande e abitazioni dell’isola. Rientrato a Bari dopo circa un mese, Saverio tenne fede al voto e offrì 100 lire per la dote maritale di una ragazza indigente, estratta a sorte tra le sue operaie, che andò sposa nel maggio del 1904. La documentazione familiare ci consegna questo episodio di beneficenza diretta, ma è plausibile presumerne altri di analoga rilevanza e frequenti nelle consuetudini di liberalità dei benestanti. Nella documentazione disponibile troviamo notizie dell’accoglienza fornita ai terremotati di Messina e Reggio Calabria negli spazi liberi del suo palazzo e del nuovo capannone, appena costruito per ingrandire lo stabilimento. Dopo la catastrofe che colpì i due capoluoghi dello Stretto il 28 dicembre 1908, migliaia di famiglie prive di alloggio furono sfollate in diverse città italiane. Anche a Bari ne giunsero molte e Saverio Costantino non esitò a ospitare decine di profughi, allestendo, con l’aiuto del Comune, letti e arredo per un minimo conforto[16].

Ancor più incisiva, invece, fu la sua azione come amministratore comunale e consigliere della Camera di Commercio di Bari, carica che ricoprì ininterrottamente dal 1902 fino al 1915, anno della sua morte. Con interventi in aula, proposte, studi e relazioni al Consiglio camerale, tentò di fornire risposte adeguate ai problemi che ancora rallentavano la ripresa dell’economia barese, dopo la grave crisi di fine Ottocento. Fra questi, ebbe particolarmente a cuore il progetto di fondazione di una banca che sostenesse le iniziative degli imprenditori locali, evidenziando la necessità di garantire il credito alle imprese industriali, al pari di quanto era stato fatto per incentivare il credito agrario[17]. In una relazione scritta nel marzo 1903, Saverio Costantino analizzò la situazione del credito alle imprese del Mezzogiorno e, più in dettaglio, della provincia di Bari, indicando tutte le lacune cui occorreva porre rimedio per agevolare il processo di industrializzazione che avanzava con fatica nel capoluogo pugliese.

Nella sua disamina affidava la soluzione alla nascita di “un Istituto di credito che s’interessi con capitali propri in imprese industriali, commerciali, agricole, suscitando la vita industriale, introducendo nei vari rami del lavoro barese i nuovi e più recenti portati della civiltà”[18]. Dalle indicazioni operative emergeva il modello della banca mista con i caratteri di prudenza gestionale tipici della Cassa di Risparmio. Infatti, l’atto costitutivo avrebbe dovuto prevedere:

 

1° - Capitale interamente versato almeno 10 milioni di lire,

2° - Sede a Bari e rappresentanza in tutti o nei principali comuni della provincia,

3° - Amministrazione e Direzione sotto tutti i riguardi irreprensibili,

4° - Immobilizzamento di capitale e sviluppo di lavoro unicamente nella provincia di Bari,

5° - Metà del capitale immobilizzato sotto forma d’interessamento sociale in aziende industriali, agricole, commerciali, che avessero:

- Residenza e produzione nella provincia di Bari,

– Capitale, interamente versato, almeno doppio della quota d’interessamento del menzionato Istituto di Credito,

Una produzione dissimile e non di concorrenza a quella esistente nella provincia

6° - Metà del capitale utilizzato a servizio e protezione delle sane aziende, nelle quali sarà interessato l’Istituto e in quelle che non usufruissero dei vantaggi di cui al capo 5°.[19]

 

Il progetto di Costantino e il successivo voto unanime della Camera di Commercio porteranno alla sua nomina quale rappresentante della Camera nella neoistituita Commissione Ministeriale per il Credito nelle Puglie e troveranno parziale attuazione, nel 1907, con la costituzione della prima Cassa di Risparmio operante nel capoluogo pugliese, la Cassa di Risparmio di Bari e Provincia, della quale fu a lungo consigliere di amministrazione. Perseverando nel suo impegno per un maggiore supporto creditizio alle imprese pugliesi, fu anche tra i fondatori della Banca Meridionale per le Industrie Agricole.

Erano anni di convulsa e disordinata trasformazione dei tradizionali assetti produttivi baresi, scompaginati dagli effetti di una crisi vitivinicola di ampiezza inattesa e da una industrializzazione ancora ambigua nelle sue ricadute sui livelli generali di benessere della popolazione. Ad un aumento degli occupati nel settore industriale, che nel 1911 raggiungono il 13% della popolazione e fanno di Bari la città del Mezzogiorno con la più alta percentuale di addetti all’industria[20], non aveva fatto seguito un analogo incremento delle misure di tutela per l’incolumità degli operai nelle fabbriche e nei cantieri. Paradossalmente, in quegli anni di inizio Novecento l’assenza di misure di prevenzione degli infortuni negli opifici baresi finisce per assurgere quasi a macabro indicatore di sviluppo industriale. Così mostra di intenderla Enzo Savarese, autore nel 1913 di uno Studio demografico, economico e finanziario sulla città di Bari, quando dichiara che fra gli operai di Terra di Bari “le morti violente sono abbastanza numerose; ma si riferiscono quasi tutte a cause accidentali; il che sta a dimostrare che l’industria locale è molto sviluppata”[21].

Proprio questo atavico disinteresse per la sicurezza sul lavoro spinse Costantino a presentare, in una riunione del Consiglio della Camera di Commercio, le sue osservazioni e le sue richieste di emendamenti alla legge del 31 gennaio 1904 per gli infortuni sul lavoro e al relativo Regolamento emanato il 13 marzo 1904. Tra le altre modifiche, si richiedeva:

Che il beneficio della legge e l’obbligo dell’assicurazione vengano estesi a tutti gli operai;

Che per gli infortuni seguiti da morte l’indennità da darsi agli aventi diritto sia convertita presso la Cassa Nazionale in rendita vitalizia;

Che a facilitare nel Mezzogiorno la costituzione di casse private sia ridotto il numero minimo degli operai richiesti per la loro costituzione a 200 invece di 500;

Che il pagamento dell’indennità venga fatto dalla Società assicuratrice appena in possesso della denunzia e del certificato medico, anticipando sulle previsioni di detto certificato una metà almeno di quanto prevedesi dovuto, e che in ogni caso l’indennità venga pagata non oltre il decimo giorno da quello dell’infortunio.[22]

Negli anni successivi dedicò grande impegno a questo progetto, fino a quando nel 1912 fondò il Sindacato Pugliese di Mutua Assicurazione contro gli Infortuni degli Operai sul Lavoro, una cassa consorziale di assicurazione che ottenne un crescente consenso di adesioni in molte regioni d’Italia e della quale fu presidente fino agli ultimi giorni di vita[23]. Le sue proposte sulla tutela del lavoro operaio furono integralmente applicate dal Sindacato Pugliese affinché “di quel vantaggio si giovino tutti indistintamente gli operai, i quali in generale non hanno altra risorsa che il lavoro quotidiano; senza di questo, quando manchi l’assicurazione, la loro vita e quella delle loro famiglie è gravemente compromessa dalle conseguenze finanziarie dell’infortunio”[24].

Il suo riconosciuto impegno per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori gli valse anche la carica di sindaco, tenuta per 15 anni, della Società Cooperativa di Mutuo Soccorso fra Lavoranti Muratori, a testimoniare, da grande esponente dell’imprenditoria pugliese, “l’attaccamento alle sorti della classe operaia” e “la nobilissima ambizione di concorrere con le sue forze morali e spesso anche con mezzi finanziari a dar opera a tutto ciò che potesse accrescere il patrimonio civile di Bari, la prosperità, il decoro e la fama della regione pugliese”[25].

Dalle attività filantropiche dei De Bellis e di Saverio Costantino emergono sostanzialmente due modi diversi di intendere e praticare l’impegno sociale. Per i fratelli De Bellis, al culmine della loro ascesa imprenditoriale, l’attività filantropica, il prodigarsi concretamente per migliorare le condizioni di vita dei concittadini, serviva a perpetuare il nome della famiglia nella realizzazione di strutture di assistenza e cura per i più bisognosi, segno tangibile e immediato di una generosità solidale in cui trasfondere, e in qualche modo condividere, una quota delle fortune accumulate. Tuttavia, in queste iniziative filantropiche convive una diffusa mentalità che considerava un dovere la beneficenza ai poveri con finalità di pubblica celebrazione e di riconoscimento sociale, in cui si intravede “il retaggio di rapporti tradizionali di antico regime tra gli esponenti delle classi superiori e il popolo dei poveri”[26]. Inoltre, i De Bellis si sono distinti anche nella costruzione di case per gli operai, un’altra pratica solidaristica tipica del paternalismo industriale del XIX secolo e, in particolare, degli industriali tessili italiani[27].

Non segue, invece, le stesse modalità di attuazione, proprio perché non legata alla beneficenza diretta, l’attività svolta da Saverio Costantino sul piano dell’impegno sociale. Essa interviene in maniera continuativa nell’intento di sostenere i lavoratori, senza trascurare gli interessi degli imprenditori, attraverso le proposte di nuove norme in tema di sicurezza sul lavoro o attraverso la costituzione di aziende di credito popolare e di Casse di previdenza.

Ampliando lo sguardo ad altri protagonisti della scena imprenditoriale pugliese, non si incontrano esempi analoghi di comportamenti solidaristici o di iniziative filantropiche da parte di industriali metalmeccanici, quali Francesco De Blasio, un ex operaio dell’imprenditore tedesco Lindemann, messosi in proprio nel 1885 e arrivato a far concorrenza al suo maestro con una fabbrica di grandi dimensioni in cui lavoravano circa 250 operai[28]. Nemmeno di Sebastiano Natrella, passato da piccolo falegname a titolare dello Stabilimento artistico-industriale con i suoi 190 operai e i 3.000 mq di estensione[29], si ricordano iniziative di qualche rilievo in ambito sociale.

In entrambi i casi si tratta di imprenditori cresciuti all’interno di aziende altrui come operai e comunque provvisti soltanto di una formazione pratica artigianale che non contemplava studi o percorsi di istruzione più elevata. Questa constatazione, riferita alle sue ricadute sulle forme di impegno sociale, ci porta a considerare la componente culturale come elemento costitutivo di una sensibilità solidaristica che, nel caso dell’imprenditoria pugliese del primo Novecento, sembra essere prerogativa esclusiva degli industriali tessili. E non potrebbe essere diversamente, considerato che i De Bellis, Saverio Costantino, ma anche un altro importante industriale cotoniero, Tomaso Columbo, avevano in comune sia un livello di istruzione superiore – dalla laurea in giurisprudenza di Nicola De Bellis alla licenza liceale e successiva specializzazione presso la Manchester Technical School di Costantino – sia la propensione ai viaggi di istruzione e aggiornamento, la partecipazione alla vita pubblica e la presenza nelle varie associazioni imprenditoriali a livello locale e nazionale.

Se appare evidente l’importanza della componente culturale nella formazione di una sensibilità sociale fra i maggiori industriali tessili, non altrettanto nitidi, e talvolta contradditori, risultano i collegamenti fra la comune educazione cattolica e la sua applicazione nei comportamenti e nelle politiche aziendali. Proprio nei primi anni del Novecento, la Rerum Novarum, promulgata da Leone XIII nel 1891, aveva favorito lo sviluppo e la diffusione del cooperativismo creditizio in Puglia, in senso autenticamente solidaristico grazie alla costituzione delle prime Casse rurali di ispirazione cattolica[30]. Fondate spesso per iniziativa di sacerdoti e regolate da norme e statuti aperti ad un azionariato popolare diffuso, le Casse rurali realizzano in Puglia l’auspicio di Leone XIII affinché “all’operaio non manchi mai il lavoro, e vi siano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno, non solamente nelle improvvise e inattese crisi dell’industria, ma altresì nei casi di infermità, di vecchiaia, di infortunio”[31].

In tema di tutela del lavoro delle donne e dei minori, di giusta mercede e di orario di lavoro[32], invece, le indicazioni del Pontefice non ricevono analoga accoglienza fra gli imprenditori pugliesi, nemmeno fra coloro - è il caso degli industriali tessili - che hanno dato prova di propensione non occasionale verso iniziative di tipo solidaristico e filantropico. A fronte di comportamenti pubblici decisamente improntati al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti e della popolazione - vedi la costruzione di alloggi per le maestranze, la donazione di case di ricovero alla cittadinanza, le proposte di legge a favore della sicurezza sul lavoro e della previdenza per i lavoratori dell’industria – ritroviamo, all’interno delle aziende dei De Bellis e di Saverio Costantino, la tradizionale avversione verso l’introduzione di condizioni di lavoro rispettose delle raccomandazioni della Rerum Novarum.

Stride, infatti, il contrasto tra le parole di “amicizia verso l’operaio” di Saverio De Bellis e le regole organizzative imposte in azienda. Nei suoi stabilimenti di Castellana lavoravano circa 230 operai, dei quali solo “15 maschi adulti, 4 fanciulle dai 9 ai 12 anni, 55 ragazze dai 12 ai 15 anni e 156 tessitrici oltre i 15 anni; 12 ore di lavoro per tutti e 11 ore per le fanciulle. […] I 15 maschi adulti prendono da 1 a 4,5 lire al giorno, le 4 fanciulle 0,25, le 55 ragazze 0,60, le 156 tessitrici da 0,60 a 1,40 lire al giorno”[33]. Analoga situazione si registra nello stabilimento di Saverio Costantino, dove erano occupati circa 200 operai, dei quali 160 donne “di assai miti pretese”, alle quali veniva riconosciuto un salario giornaliero da 30 centesimi a 1,20 lire, contro le 1 - 2 lire percepite dagli uomini[34].

Se ne deduce, allora, che anche le denunce de “La Conquista”, settimanale della sezione barese del Partito Socialista Italiano, potrebbero essere veritiere e non soltanto insinuazioni diffamatorie originate dall’annosa ostilità nei confronti di Costantino, ritenuto il rappresentante più conservatore della classe industriale barese. Ad esempio, in un articolo dell’agosto 1911, si riferiscono comportamenti aziendali piuttosto gravi, per quanto non comprovati da testimonianze inconfutabili: «Ci consta che nella fabbrica di filati della ditta Costantino la gragnuola delle multe colpisca assai spesso le povere operaie, fatte segno, purtroppo a quanto ci si dice, a rimproveri di genere anche manesco»[35].

Ferma restando la generale valenza sociale delle iniziative realizzate e delle proposte sostenute dagli industriali tessili baresi, ne risulta, tuttavia, in qualche modo ridimensionata l’autenticità di quella che, a prima vista, appare come una effettiva apertura nelle relazioni fra padrone e lavoratore, finalizzata all’introduzione di migliori condizioni di vita in fabbrica.

Non si può non rilevare un’incoerenza di fondo fra le proposte di legge di Saverio Costantino per una maggiore sicurezza sul lavoro e il suo collocarsi, in occasione delle agitazioni operaie verificatesi a Bari fra il 1913 e il 1914, fra coloro che invocavano con insistenza l’intervento delle forze di polizia per il ripristino dell’ordine pubblico[36]. Anche quando biografie semi-agiografiche ci ricordano che “presentò nel settembre del 1902 un elaboratissimo progetto per un migliore ordinamento delle comunicazioni ferroviarie fra le Puglie e la Sicilia”[37], il sospetto dell’interesse aziendale è insinuato da una relazione consuntiva del 1895 in cui si dichiara che la “produzione della tessitura Costantino viene quasi tutta collocata in Sicilia”[38].

A questo punto, senza dimenticare le generali ricadute benefiche delle iniziative filantropiche realizzate dai De Bellis o delle riforme e dei provvedimenti in tema di lavoro e di credito promossi da Costantino, può essere utile svolgere alcune considerazioni riguardo alle motivazioni originarie di un impegno sociale che, proprio nel caso di Saverio Costantino, sembra prendere spunto da esperienze di vita che, in qualche modo, potrebbero aver orientato la scelta delle battaglie da combattere. Nel caso della promessa di costituzione di dote maritale durante la tempesta al largo di Pantelleria, appare chiaro il nesso tra la situazione di pericolo da cui scampare e il ricorso in extremis al voto di devozione implorante. Ma anche per le altre iniziative di più ampia connotazione solidaristica è possibile risalire a vicende personali o aziendali da cui scaturisce una sensibilità “interessata” verso specifici temi di natura sociale.

Nei primi mesi del suo apprendistato come operaio presso la Hiltermann Brothers a Manchester, Saverio Costantino si ferì ad una mano e fu costretto a restare a casa per alcuni giorni senza percepire alcun salario[39]. Sembrerebbe, quindi, non del tutto azzardato individuare un collegamento, e una conseguente spinta emotiva, tra l’incidente occorsogli in Inghilterra e la sua campagna di proposte e interventi per il miglioramento della legge sugli infortuni sul lavoro e per la costituzione di una Cassa Mutua per l’assicurazione contro gli infortuni. Per di più, non dimentichiamo che le iniziative di Costantino riguardo alla sicurezza degli operai e alla necessità di adeguate forme di assicurazione contro gli infortuni erano dettate anche dall’esigenza di evitare agli industriali lunghi contenziosi e pesanti risarcimenti.

Sulla scorta di queste osservazioni, alcune manifestazioni di impegno sociale dei nostri imprenditori tessili baresi assumono un carattere strumentale tipico delle prime forme di paternalismo industriale, nel quale si rispecchiano una concezione dell’imprenditore e una retorica dell’iniziativa privata tipicamente ottocentesche[40]. Non si avverte una sensibilità originaria e spontanea nei confronti della tutela della salute dei lavoratori o della necessità di minimi investimenti per salvaguardare l’incolumità degli occupati negli stabilimenti industriali. In quegli anni, le misure per evitare gli incidenti in fabbrica o per garantire un risarcimento all’operaio infortunato sono ancora considerate dagli industriali un costo aggiuntivo e i conseguenti premi assicurativi rappresentano un onere finanziario di cui il padrone, obtorto collo, deve farsi carico[41].

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se il cavalier Costantino nelle sue proposte ritiene giusto assicurare gli operai per gli infortuni sul lavoro, ma procurando che l’esborso dell’imprenditore sia il meno gravoso possibile, anche a costo di ridurre il salario minimo annuo sul quale calcolare il premio da pagare all’Istituto di assicurazioni[42]. Così come non è del tutto infondato immaginare una relazione tra la sua opera di promozione di una Cassa di Risparmio locale, “necessaria all’economia regionale o provinciale”[43], e le resistenze opposte dalla filiale barese della Banca d’Italia a concedere tutto il credito richiesto dalla sua azienda. Ecco, nei documenti della Banca d’Italia, la valutazione del merito creditizio della Tessitura Meccanica “Giovanni Costantino” nel 1911:

 

Si vuole che il Giovanni Costantino tenda ad allargare un po’ troppo la cerchia dei suoi affari. Oltre la carta commerciale presenta qualche effetto di comodo con la firma del figlio Saverio che ha ben poco del proprio e che ultimamente ha impiantata una fabbrica di ghiaccio. A quanto mi fu detto, la prudenza consiglia di non andare molto in là con questo rischio[44].

 

A quanto è dato vedere, il ruolo di protagonisti dell’impegno sociale svolto in Puglia dagli industriali tessili si dipana fra luci e ombre. Più luci che ombre, però, illuminano uno scenario di atavica chiusura verso il miglioramento delle condizioni lavorative. In un simile contesto, tipico di una società prevalentemente agricola e dominata dalla grande proprietà assenteista, le iniziative di importanti esponenti di un settore economico in rapida espansione, quale quello industriale, cercano di modificare situazioni che sembravano immutabili, attraverso iniziative e proposte politiche ma anche attraverso opere di beneficenza diretta - di rilevanza non comune - che migliorano tangibilmente le condizioni di vita della popolazione.

Pertanto, ad una valutazione sicuramente positiva delle attività solidaristiche e filantropiche realizzate dai due maggiori industriali tessili pugliesi fra Otto e Novecento, non può far velo l’inevitabile riflesso di esperienze di vita, aspirazioni personali, gratificazioni imprenditoriali. È del tutto comprensibile che da queste sia scaturito il primo impulso a contribuire fattivamente allo sviluppo delle comunità locali, alleviando antichi disagi o tentando di modificare condizioni lavorative inique e retrive. Se per alcune forme di impegno sociale le finalità non appaiono limpidamente collegabili a moti di generosità disinteressata, ma piuttosto “al servizio del consenso e della legittimazione del ruolo dell’imprenditore”[45], per altre si può pensare ad una vocazione solidaristica in formazione, a volte contraddetta dal perseguimento di fini economici aziendali[46]. Oppure, ad un paternalismo industriale sensibile alle lusinghe della pubblica celebrazione ma - non va dimenticato - comunque operante in una temperie sociale e in un quadro di compatibilità che, soprattutto nel Mezzogiorno di fine Ottocento, perpetuava immutato il rapporto di ostile diffidenza fra imprenditore e operaio. Un rapporto autoritario nel quale le speranze di miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori erano da sempre affidate, quasi esclusivamente, all’assoluta discrezionalità del padrone.

 

DOI: 10.7425/IS.2023.02.02

 

FONTI E BIBLIOGRAFIA

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[1] Cfr. A. Cova, Le “opere sociali delle imprese” e degli imprenditori fra Ottocento e Novecento. Qualche considerazione a modo di introduzione, in L. Trezzi, V. Varini (a cura di), Le opere sociali delle imprese e degli imprenditori fra Ottocento e Novecento, Milano, Guerini e Associati, 2012, p. 11.

[2] In generale, sulle tematiche relative all’evoluzione storica e alla teoria dell’impresa, cfr. P. A. Toninelli, Storia d’impresa, Bologna, Il Mulino, 2012; F. Amatori, A. Colli, Storia d’impresa. Complessità e comparazioni, Milano, Bruno Mondadori, 2011.

[3] Cfr. L. de Rosa, Per la storiografia industriale, in “Rassegna Economica”, n. 1, genn.-marzo 1988, p. 89.

[4] Cfr. B. Bezza, Il viaggio di istruzione all’estero di Giovanni Battista Pirelli, in “Annali di storia dell’impresa”, n. 1, 1985, pp. 287-351; F. Polese, Il diario del viaggio d’istruzione all’estero di Giovanni Battista Pirelli (1870-1871), in “Annali di storia dell’impresa”, n. 12, 2001, pp. 9-33.

[5] Cfr. N. Crepax, Adriano Olivetti: l’America in Italia durante il fascismo; G. Gemelli, Costruire la modernità: Adriano Olivetti e l’America; tutti in “Annali di storia dell’impresa”, n. 12, 2001, pp. 181-320.

[6] Sulla presenza degli industriali stranieri in provincia di Bari ancora alla fine dell’Ottocento, cfr. E. Ritrovato, Industriali stranieri in Terra di Bari nel XIX secolo, in F. Amatori, A. Colli (a cura di), Imprenditorialità e sviluppo economico. Il caso italiano (secc. XIII-XX), Atti del Convegno di Studi della Società Italiana degli Storici Economici (Milano, 14-15 novembre 2008) Milano, Egea, 2009, pp. 661-676; A. Giannuli, Il capitale straniero in Terra di Bari (1870-1904), in “Clio”, 1983, n. 3, pp. 465-476.

[7] Sulla condizione dell’industria pugliese nei primi decenni dell’Ottocento, cfr. S. La Sorsa, Stato delle manifatture in Terra di Bari nei primi del secolo XIX, Bari, Pansini, 1918; F. Assante, Mercato e congiuntura in Puglia dal 1815 al 1830, in Istituto per la storia del Risorgimento italiano (Comitato di Bari), L’età della Restaurazione (1815-1830), Bari, Bracciodieta, 1983, pp. 183-217. Per la fase di più intensa attività dell’imprenditoria industriale barese, nella seconda metà dell’Ottocento, cfr. G. Petroni, Della storia di Bari (1860-1895), Bari, Stab. Tipogr. “Unione”, 1912; S. La Sorsa, La vita di Bari durante il secolo XIX (Parte seconda. Dal 1860 al 1900), Trani, Vecchi, 1915; O. Bianchi, L’impresa agro – industriale. Una economia urbana e rurale tra XIX e XX secolo, Bari, Dedalo, 2000; F. De Mattia, C. Verdoscia, Ricerca documentaria sugli insediamenti industriali di Bari dal XIX secolo agli anni’40, Politecnico di Bari, Facoltà di Ingegneria, Bari, 1995.

[8] Si tratta di Tomaso Columbo, dei fratelli Saverio e Nicola De Bellis, e di Saverio Costantino, tutti industriali tessili cotonieri che viaggiarono e soggiornarono per diversi periodi in Germania, Francia, Svizzera e Inghilterra. Cfr. T. Columbo, I miei ricordi, Bari, 1918, pp. 10-11; R. Angiolillo, Puglia d’oro, Laterza & Polo, Bari, 1936, ad vocem. Gran parte delle notizie sulla permanenza all’estero e sull’attività imprenditoriale di Saverio Costantino sono state ricavate dalla consultazione di carte familiari e documentazione privata messe a disposizione dalla famiglia Costantino, cui da ora in poi si farà riferimento come Archivio familiare Costantino.

[9] Per una ricognizione bibliografica sui viaggi di istruzione degli imprenditori italiani fra Otto e Novecento, può essere utile il volume Le vie dell’innovazione. Viaggi tra scienza, tecnica ed economia (secoli XVIII-XX), (a cura di C. G. Lacaita), Milano, Casagrande, 2009, e, in particolare il saggio di Giorgio Bigatti, Vedere per apprendere. Tra istruzione e affari: imprenditori in viaggio (secolo XIX), pp. 277-311.

[10] Sulla storia imprenditoriale dei De Bellis di Castellana, cfr. N. De Bellis (a cura di), La storia meravigliosa di un pioniere dell’industria seminatore di bene, Putignano, Vito Radio Editore, 2006; nonché il volume fatto stampare dai figli di Saverio De Bellis, dal titolo Ricordo della festa civica del III giugno MCMVI. A Saverio De Bellis, i figli, Noci, Cressati, 1906, in occasione dell’inaugurazione dell’Orfanotrofio – Ospedale – Ricovero di mendicità donato al comune di Castellana.

[11] Cfr. la lettera del 26 settembre 1902, in N. De Bellis (a cura di), La storia meravigliosa di un pioniere, cit., p. 60.

[12] Dal testamento olografo di Saverio De Bellis, in N. De Bellis (a cura di), La storia meravigliosa di un pioniere, cit., p. 63.

[13] Cfr. C. Guarnieri, Onoranze a insigni cittadini di Puglia, in “Rassegna Pugliese di Scienze Lettere ed Arti”, 2/1912, p. 107.

[14] Cfr. S. Fiorese, Storia della crisi economica in Puglia dal 1887 al 1897, in AA.VV., La Terra di Bari sotto l’aspetto storico, economico e naturale, Trani, Vecchi, 1900, vol. II, pp. 4-122; E. Ritrovato, Il commercio estero in Terra di Bari. Dall’Unità alla Grande Guerra, Bari, Cacucci, 2004, pp. 7-89; ID., Crisi economica e disagio sociale in Terra di Bari (1887-1889), in “Archivio Storico Pugliese”, anno LVI, fasc. I-IV, gennaio-dicembre 2003, pp. 189-204.

 

[15] Lettera di Saverio Costantino alla moglie, 2 dicembre 1893, in Archivio familiare Costantino.

[16] Cfr. “Corriere delle Puglie”, 8 gennaio 1909, p. 8.

[17] Sull’evoluzione del sistema creditizio pugliese fra Otto e Novecento, cfr. AA.VV., La cooperazione nel credito in Puglia. Dalle origini alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Bari, Cacucci, 2000; per il credito agrario in particolare, cfr. L. De Rosa, Una storia dolente: le faticose origini del credito agrario, in “Rivista storica italiana”, 1964, e, dello stesso Autore, Il Banco di Napoli e la crisi economica del 1888-1894, in “Rassegna Economica”, n. 2/1963; G. Beltrani, Il credito agricolo nel barese, in “Rassegna Pugliese”, novembre 1884.

[18] Cfr. S. Costantino, Il credito nelle Puglie. Relatore Cav. Saverio Costantino, Bari, G. Laterza & Figli, 1903, p. 17. Sullo stesso argomento, si veda anche un altro articolo di Saverio Costantino dal titolo Provvedimenti per le Puglie, sul “Corriere delle Puglie” del 9 gennaio 1905.

[19] S. Costantino, Il credito nelle Puglie, cit., p. 19.

[20] Cfr. E. Di Ciommo, Bari 1806-1940, Evoluzione del territorio e sviluppo urbanistico, Milano, FrancoAngeli, 1984, p. 281; E. Savarese, La città di Bari. Studio demografico, economico, finanziario, Bari, s.e., 1913, pp. 187-201.

[21] Cfr. E. Savarese, La città di Bari, cit., p. 65.

[22] Cfr. S. Costantino, Proposte di riforme della Legge e del Regolamento per gl’infortuni degli operai sul lavoro. Relatore Cav. Saverio Costantino, Bari, Tagliaferro & Troncone, 1906, cit., pp. 18-20.

[23] Cfr. Nel culto delle sacre memorie: il Cav. Uff. Saverio Costantino, in “Selecta”, 31 ottobre 1916, p. 3.

[24] Cfr. S. Costantino, Proposte di riforme della Legge, cit., p. 6.

[25] Sono le espressioni del ricordo di Saverio Costantino, contenute nelle lettere di condoglianze e nei discorsi di commemorazione per la sua morte, raccolti nel “Bollettino Mensile del Sindacato Pugliese Infortuni”, Anno 1, gennaio aprile 1915.

[26] Cfr. E. Benenati, Cento anni di paternalismo aziendale, in S. Musso (a cura di), Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento, “Annali” della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, XXXIII - 1997, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 44.

[27] Cfr. S. A. Conca Messina, Alle origini del welfare aziendale. Industria, manodopera e opere sociali degli imprenditori nell’Italia dell’Ottocento, in P. Battilani, S. A. Conca Messina, V. Varini (a cura di), Il welfare aziendale in Italia fra identità e immagine pubblica dell'impresa. Una prospettiva storica, Bologna, il Mulino, 2017, pp. 37-39. Sul paternalismo italiano in generale fra Otto e Novecento, cfr. D. Bigazzi, Le permanenze del paternalismo: le politiche sociali degli imprenditori in Italia tra Ottocento e Novecento, in M.L. Betri e D. Bigazzi (a cura di), Ricerche di storia in onore di Franco Della Peruta, vol. II, Economia e società, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 36-63; A. Ciuffetti, Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle «comunità globali»: villaggi e quartieri operai in Italia tra Otto e Novecento, Perugia, Crace, 2004.

[28] Cfr. G. Petroni, Della storia di Bari (1860-1895), cit., pp. 254-255; Spiritello (Pseud.), Le arti e le industrie in provincia di Bari. vol. I - Le ditte baresi, Bari, Losasso, 1899, pp. 142-144; S. La Sorsa, La vita di Bari durante il secolo XIX, cit., pp. 122, 438.

[29] Cfr. Stabilimento industriale di Sebastiano Natrella, Pubblicazione per l’Esposizione Generale Italiana di Torino 1898, Bari, s.e., 1898, p. 24.

[30] Cfr. E. Ritrovato, L’età giolittiana, in AA.VV., La cooperazione nel credito in Puglia. Dalle origini alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Bari, Cacucci, 2000, pp. 121-123; P. Cafaro, La solidarietà efficiente. Storia e prospettive del credito cooperativo in Italia (1883-2000), Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 93-163.

[31] Enciclica Rerum Novarum, 43.

[32] “Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze. […] Anzi, quanto ai fanciulli, si badi a non ammetterli nelle officine prima che l’età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. […] Così, certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per i lavori domestici”. Così la Rerum Novarum, 33.

[33] Cfr. O. Bianchi, Proletariato industriale e struttura produttiva in Terra di Bari tra ‘800 e ‘900, in AA.VV., Il movimento socialista e popolare in Puglia dalle origini alla Costituzione (1874-1946), Bari, Tipolito Mare, 1995, pp. 206-207.

[34] “E siccome nell’industria tessile il contingente maggiore di operaie si richiede pel facile lavoro alle macchine di preparazione in genere, specie per gli incannaggi, bobinoir, ordissage etc., così un risparmio di spesa diventa effettivo in confronto delle tariffe dell’alta Italia sulla mano d’opera”. Questo il commento riportato da Saverio Costantino in una relazione sull’andamento della sua azienda, in Archivio familiare Costantino.

[35] Cfr. “La Conquista”, 27 agosto 1911, p. 5.

[36] Cfr. E. Di Ciommo, Bari 1806-1940, cit., p. 327 (nota 239).

[37] Cfr. R. Angiolillo, Puglia d’oro, cit., p. 250.

[38] Cfr. la relazione dattiloscritta intitolata Cenni storici sullo stabilimento di Tessitura Meccanica e Tintoria a Vapore Giovanni Costantino – Bari, 28/6/1895, in Archivio familiare Costantino.

[39] Lettera di Saverio Costantino del 16 settembre 1885, in Archivio familiare Costantino.

[40] Cfr. V. Varini, Costruire un’impresa: il welfare alla Pirelli tra Otto e Novecento, in L. Trezzi, V. Varini (a cura di), Le opere sociali delle imprese e degli imprenditori fra Ottocento e Novecento, cit., pp. 115-116.

[41] Cfr. E. Benenati, Cento anni di paternalismo aziendale, cit., pp. 64-65.

[42] Cfr. “La Conquista”, 12 gennaio 1908, p. 2.

[43] Cfr. L’articolo di Saverio Costantino dal titolo Provvedimenti per le Puglie, sul “Corriere delle Puglie” del 9 gennaio 1905.

[44] Cfr. Relazione ispettiva del 1911, in Archivio Storico della Banca d’Italia, Ispettorato generale, pratt., n. 207, fasc. 1, p. 15.

[45] S. A. Conca Messina, Alle origini del welfare aziendale, cit., p. 45.

[46] Cfr. E. Benenati, Cento anni di paternalismo aziendale, cit., pp. 47-51.

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