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ISSN 2282-1694
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Numero 2 / 2023

Saggi

L’amministrazione condivisa e l’“effetto di sistema”: prime valutazioni

Patrick Vesan, Federico Razetti, Massimo Papa


L’articolo presenta i risultati preliminari di un progetto di ricerca in corso di realizzazione da parte di Patrik Vesan e Federico Razetti dell’Università della Valle d’Aosta, grazie a un finanziamento del CSV-Valle d’Aosta a valere su fondi ministeriali ex DM 44/2020 e di uno studio realizzato da Massimo Papa in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore. Da questo lavoro comune è scaturito il primo tentativo di esaminare gli istituti di amministrazione condivisa ricostruendo un ampio repertorio di avvisi pubblici. Si tratta di un valore aggiunto conoscitivo importante, dal momento che, a nostra conoscenza, le analisi finora proposte da altri ricercatori riguardano campioni di qualche decina di casi.


1. Introduzione

Una riforma nazionale, come quelle avviata con l’adozione del Codice del Terzo settore (CTS, D.lgs. 117/2017), e in particolare con la disciplina degli strumenti di amministrazione condivisa[2], può essere analizzata a partire da una pluralità di fuochi analitici, quali ad esempio l’evoluzione giurisprudenziale connessa alle novità introdotte, gli impatti sui modelli e sulle strategie organizzative del Terzo settore e della Pubblica amministrazione (PA), l’individuazione di condizioni abilitanti e ostative l’esercizio dell’amministrazione condivisa, oppure ancora gli esiti riconducibili ai procedimenti avviati.

Un tema ancora poco esplorato riguarda l’impatto complessivo generato dall’articolo 55 del CTS a quasi sei anni dalla sua introduzione. Tale impatto, a cui ci si riferirà con la locuzione “effetto di sistema”, può essere colto a partire da almeno due dimensioni. La prima dimensione investe il piano regolativo e concerne l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia, mentre la seconda attiene al concreto dispiegarsi delle norme, ovvero al diffondersi di prassi di “amministrazione condivisa” connesse all’adozione del CTS.

In merito alla prima dimensione, un’ampia letteratura si è già soffermata sull’evoluzione della disciplina in materia, considerando anche la produzione di sentenze e l’adozione di linee guida da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali[3] e dell’Autorità nazionale anticorruzione[4](Gallo, 2020, 2022; Frediani, 2021; Fici, 2022; Gori, 2022). Tale evoluzione a livello nazionale è stata accompagnata anche da ulteriori processi di “espansione regolativa” che hanno avuto luogo a diversi livelli di governo.

In primis, è possibile osservare un’espansione regolativa indiretta riferibile, ad esempio, ai nuovi rapporti che si pongono tra il Codice del Terzo settore, il Codice dei contratti pubblici[5] o il Decreto legislativo 201/2022 sul Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Allo stesso modo, è possibile menzionare le sinergie che potrebbero crearsi tra il Piano d’azione europeo sull’economia sociale e le sue declinazioni a livello nazionale e locale o ancora con il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023. Il processo di espansione regolativa più evidente è però quello diretto, relativo alla proliferazione di leggi regionali e provinciali, linee-guida, regolamenti e delibere su scala territoriale (Gallo, 2022). Dal 2020 ad oggi, quattro amministrazioni regionali hanno infatti legiferato in materia, adottando norme di ampio respiro volte alla promozione del Terzo settore e delle nuove modalità di relazione PA-ETS (Toscana, Molise ed Emilia-Romagna) o, specificamente, dell’amministrazione condivisa (Umbria). Altre amministrazioni regionali, quali il Friuli-Venezia Giulia, il Lazio, la Lombardia, le Marche, il Piemonte e la Puglia, nonché la Provincia autonoma di Trento, hanno invece dedicato una qualche attenzione al tema dell’amministrazione condivisa in seno a provvedimenti di carattere settoriale relativi, ad esempio, all’assistenza sociosanitaria, all’odontoiatria sociale oppure all’invecchiamento attivo. Al di là delle fonti di diritto primario, è possibile inoltre rinvenire più di una trentina di regolamenti, linee-guida e protocolli operativi adottati da amministrazioni comunali, sovracomunali (distretti) e aziende sociosanitarie.

In sintesi, l’adozione del CTS ha attivato un processo di proliferazione regolativa che si è alimentato per interazione tra normative, semplice emulazione o ancora a seguito dell’esplicito desiderio delle PA di “calare” la disciplina dell’amministrazione condivisa nei rispettivi contesti territoriali. Senza addentrarci in questa sede in una disamina comparata dei provvedimenti adottati, la proliferazione normativa su scala regionale o comunale si è finora svolta come un processo di “assunzione” a livello locale di quanto già previsto dall’articolo 55 del CTS. Questo processo, da un lato, testimonia il sostegno politico-simbolico verso i nuovi strumenti di amministrazione condivisa, consolidando la legittimazione del ricorso alle nuove prassi partecipate. Dall’altro, l’ipotesi che ciascuna regione italiana, financo ciascuna amministrazione di una grande città, possa adottare una sua disciplina in materia solleva alcune domande. La necessità di normare gli istituti dell’amministrazione condivisa a livello locale potrebbe infatti preludere all’emergenza di micro-variazioni, ovvero di una pluralità di discipline parallele a seconda del luogo in cui ci si trovi. Se queste micro-variazioni consentano di introdurre elementi innovativi, pur all’interno di una cornice regolativa coerente con lo spirito della norma originaria, o finiscano con l’alimentare una sovraproduzione normativa che potrebbe aggiungere poco alla “messa a regime” del sistema, rimane un tema da investigare.

Ciò detto, al fine di compiere una prima valutazione dell’“effetto di sistema” prodotto dal CTS, che vada al di là dei processi di espansione regolativa a cui si è fatto cenno, occorre considerare la concreta diffusione delle prassi di amministrazione condivisa. Il prosieguo dell’articolo si soffermerà su questa specifica questione.

2. Gli sviluppi sul piano delle prassi: un quadro d’insieme

Qualsiasi analisi di carattere esplorativo della diffusione di prassi di co-programmazione e co-progettazione non può che partire dalla raccolta e sistematizzazione di avvisi pubblicati dalle PA, in particolare con riferimento al periodo successivo all’approvazione del Decreto Legislativo 117/2017. Al fine di censire il maggiore numero di avvisi possibile in assenza di fonti ufficiali o repertori nazionali, e in attesa della piena operatività dell’Osservatorio Nazionale sull’Amministrazione condivisa[6], si è proceduto a un’accurata analisi di pagine web, adottando una pluralità di chiavi di ricerca e di strategie tese a “neutralizzare” l’orientamento dei motori di ricerca a restituire risultati che sovrastimino aree geografiche o altre caratteristiche connesse all’utilizzatore[7].

Il numero di avvisi individuati dal 2009 al 2022 è pari a 1.748. Anche se tale raccolta non ha l’ambizione di restituire una panoramica esaustiva delle prassi esistenti in Italia[8], a nostra conoscenza, si tratta ad oggi del più ampio repertorio disponibile e pertanto può essere considerato un buon punto di partenza per la disamina complessiva di un fenomeno in espansione.

Dal punto di vista della diffusione temporale, benché sia stato possibile rilevare un’ottantina di avvisi risalenti a prima del 2017, a partire dall’adozione del CTS si distinguono due fasi relative alla diffusione dei procedimenti di amministrazione condivisa (fig. 1). Una prima fase – dove il numero di avvisi reperibili appare ancora piuttosto contenuto – è collocabile tra il 2017 e il 2020. Si tratta di un periodo in cui le prassi di co-programmazione e co-progettazione, seppur già rinvenibili in Italia (in particolare nell’alveo delle disposizioni della Legge 328/2000), conoscono un nuovo impulso grazie alla disciplina del CTS. Il contesto in cui tali avvisi sono emanati è però ancora segnato da una forte incertezza dovuta alle posizioni espresse dall’ANAC e al noto parere emesso dal Consiglio di Stato nel 2018[9]. L’intervento della Consulta del 26 giugno 2020[10] segna certamente un punto di svolta che si riflette nell’anno successivo in un’accelerazione nella diffusione dei procedimenti di “amministrazione condivisa”, favorita anche dall’adozione delle Linee guida ministeriali sui rapporti tra PA ed ETS (D.M. n. 72/2021)[11]. A partire dal 2021, è possibile infatti osservare una crescita significativa del numero di avvisi pari a + 220% nel 2021 e + 338% nel 2022 rispetto alla media del triennio 2018-2020.

Figura. 1 - Avvisi di co-programmazione e co-progettazione: andamento temporale (2009-2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

Concentrando l’analisi sugli avvisi pubblicati a partire dal 2018, ovvero a partire dall’anno successivo all’entrata in vigore del nuovo Codice, dal dataset emerge che, quanto al tipo di procedimenti attivati, gli avvisi censiti fanno riferimento nella stragrande maggioranza dei casi (il 92,7% del totale) a procedimenti di co-progettazione. Al contrario, i procedimenti di co-programmazione, come riportato nella figura 1, rimangono al di sotto del 10%[12] e si concentrano quasi interamente nel 2021 e nel 2022.

Osservando la distribuzione tra macro-aree territoriali degli avvisi raccolti, nel periodo 2018-2022 quasi la metà dei procedimenti di amministrazione condivisa è stata avviata nelle regioni settentrionali (il 47,3% del totale); seguono quelli banditi da enti pubblici del Mezzogiorno (28,7%) e del Centro Italia (23,7%).

La concentrazione delle pratiche di amministrazione condivisa nelle regioni settentrionali non stupisce per una serie di motivazioni, tra cui il fatto che in quelle stesse aree possiamo osservare un’analoga distribuzione (circa il 46%) delle stazioni appaltanti (database ANAC, 2023). Disaggregando il dato a livello regionale, è possibile infine osservare che, tra 2018 e 2022, le prime tre regioni per diffusione degli avvisi da noi rilevati sono la Lombardia (il 16,3%), la Toscana (14,7%) e l’Emilia-Romagna (14%) (fig. 2)[13].

Figura 2 – La diffusione degli avvisi di amministrazione condivisa nelle regioni italiane (2018-2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti. 

3. Un approfondimento sul 2022

In questa sezione, ci soffermeremo solo sugli avvisi di amministrazione condivisa pubblicati nel 2022, ovvero la prima annualità completa in cui tali prassi hanno potuto essere avviate tenendo potenzialmente conto anche delle Linee-guida ministeriali (D.M. n. 72/2021). Si tratta nel complesso di 600 avvisi, il 73% dei quali presenta in effetti un richiamo esplicito all’art. 55 del CTS e/o al D.M. 72; negli altri casi, i documenti, pur istruendo procedimenti definiti di “co-programmazione” o “co-progettazione”, si ancorano invece ad altre norme, come la Legge 328 del 2000.

In circa il 70% degli avvisi inclusi nel dataset, l’amministrazione procedente è il Comune, come singola amministrazione (41%) o in qualità di capofila di raggruppamenti più ampi (distretti, ambiti e così via; 29,3%); il Comune è peraltro l’amministrazione-chiave anche quando a procedere sono le unioni di Comuni (4,2%) o i consorzi e le aziende consortili (11,8%). Seguono, con percentuali via via decrescenti, le regioni, le aziende sanitarie, le articolazioni periferiche delle amministrazioni centrali (come istituti scolastici e prefetture), le province e le città metropolitane[14] (fig. 3). Solo una frazione residuale (lo 0,2%) è al momento riconducibile a iniziative attivate da amministrazioni centrali dello Stato[15].

Figura 3 – Tipi di PA “procedenti” (2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

 

Osservando invece il contesto territoriale in cui operano gli enti che hanno pubblicato gli avvisi, si è considerato sia il grado di urbanizzazione, in base alla classificazione Istat-Eurostat, sia il livello di “perifericità”, così come definito dalla Strategia Nazionale Aree Interne (Snai), del comune in cui ha sede l’ente procedente[16]. Nell’insieme, i dati indicano che l’amministrazione condivisa è, almeno per ora, un fenomeno prevalentemente urbano e che lambisce le cosiddette “aree interne”.

Emerge infatti che le Pubbliche Amministrazioni che hanno avviato i procedimenti di amministrazione condivisa si trovano in oltre la metà dei casi in territori molto popolati (classificati come “città”; 51,6%); seguono le PA collocate in comuni a densità intermedia di popolazione (“piccole città e sobborghi”; 44%), mentre solo il 4,4% degli avvisi è stato avviato da amministrazioni con sede in “zone rurali” (fig. 4). Per quanto sia degno di nota che un elevato numero di avvisi siano stati pubblicati da enti di dimensioni medio-piccole, è anche vero che poco più della metà degli avvisi sono al momento riconducibili a un numero circoscritto di amministrazioni di grandi Comuni[17] (Istat, 2023a). Quanto al livello di perifericità – misura che prova a catturare il maggiore o minore grado di difficoltà da parte della popolazione nella fruizione di servizi (salute, istruzione e mobilità) in ragione della collocazione territoriale del Comune (Nuvap, 2022) - gli enti che hanno pubblicato gli avvisi si situano perlopiù in Comuni classificati dalla Snai come “poli” e “poli intercomunali” (64%)[18]. Nelle “aree interne” – di grado intermedio, periferico e ultraperiferico – si colloca invece il 13,2% delle PA che hanno pubblicato gli avvisi analizzati (fig. 5)[19].

Figura 4 – Grado di urbanizzazione dei Comuni in cui operano le PA procedenti (2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

 

Figura 5 - Contesto territoriale: grado di perifericità dei Comuni in cui operano le PA procedenti (2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

 

Un altro aspetto che emerge dall’analisi condotta riguarda i temi oggetto degli avvisi pubblicati nel 2022. Nella maggior parte dei casi (circa l’89%), l’amministrazione condivisa riguarda l’area delle politiche sociali (Fig. 6). Nel dettaglio, oltre il 16% degli avvisi si riferiscono a programmi di contrasto a varie forme di esclusione sociale e povertà; seguono, per numerosità, gli avvisi che riguardano interventi destinati a “persone con disabilità e/o non autosufficienti” (13,8%) e quelli destinati a “minori e giovani” (10,8%)[20].

Figura 6 – Distribuzione degli avvisi per ambiti di policy (2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

 

Solo poco più del 11% degli avvisi si rivolgono invece ad ambiti tematici diversi dagli interventi e dai servizi sociali in senso stretto. Si tratta dunque di un fenomeno ancora circoscritto, ma foriero di sviluppi, dovuto alla possibilità di applicare l’articolo 55 del CTS in tutti i settori di interesse generale e a effetti di “emulazione” che spesso vengono a crearsi tra articolazioni interne della medesima amministrazione procedente. Fra gli avvisi che si estendono al di là dell’area dei servizi e dei progetti sociali in senso stretto, troviamo casi relativi al (ri-)utilizzo di immobili, come ad esempio auditorium, teatri o impianti sportivi, oppure co-progettazioni che intervengono in campo culturale-turistico e nella gestione di strutture museali nell’ottica del “valorizzazione del territorio”[21] o ancora collegati al “bando Borghi” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Sempre con rifermento al PNRR, è possibile osservare come quest’ultimo abbia fornito una qualche spinta al ricorso all’amministrazione condivisa. In particolare, con specifico riferimento alla Missione 5 (dedicata a “Inclusione e coesione”), il piano approvato dal governo ha indicato, sin dal principio, come l’azione pubblica si sarebbe potuta avvalere «del contributo del Terzo settore. La pianificazione in co-progettazione di servizi sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione, consent[irà] di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze che arricchiranno sia la PA sia il Terzo settore» (Governo italiano, 2021, p. 203). Inoltre, è previsto che la realizzazione di “Piani Urbani Integrati” possa avvenire tramite la co-progettazione e così anche per i «programmi per valorizzare l’identità di luoghi, parchi e giardini storici, rigenerazione partecipata delle periferie urbane (Missione 1)» o ancora per gli «interventi socioeducativi strutturati per combattere la povertà educativa nel Mezzogiorno» (Ascoli e Campedelli, 2021).

Considerando gli avvisi ricompresi nel nostro dataset con riferimento al solo 2022, il 17,5% di questi fa esplicito riferimento al PNRR. Ciò avviene prevalentemente nelle regioni settentrionali (62,9%), seguite da quelle meridionali (25,7%) e da quelle centrali (11,4%). Gli obiettivi di sviluppo sociale dei territori hanno così trovato nel PNRR, e soprattutto nella Componente 2 della Missione 5 (“Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore”), una possibile leva per coinvolgere attivamente gli Enti del Terzo settore nella messa a punto delle candidature ai bandi ministeriali oppure nella progettazione di misure finanziate[22].

Analizzando infine i finanziamenti pubblici allocati attraverso procedimenti di amministrazione condivisa, anche in questo caso la varianza è ampia. Da un lato, sono rinvenibili diversi avvisi di co-progettazione “a importo zero”, dove l’amministrazione procedente mette ad esempio a disposizione degli immobili sostenendo al massimo, ma non sempre, i costi di gestione. Dall’altro, esistono alcuni casi di avvisi con importi anche superiori ai 7 milioni di euro per la gestione di servizi sociali non legati a progetti finanziati in seno al PNRR (cfr. infra), a testimonianza di come la co-progettazione possa essere utilizzata anche per interventi di una certa entità. Più in dettaglio, i dati disponibili nel 2022 indicano che oltre il 56% delle co-progettazioni ha riguardato misure e iniziative con dotazioni finanziarie inferiori ai 250mila euro. Il valore mediano degli importi allocati indicati negli avvisi si attesta a 188mila euro[23], mentre il valore medio è sensibilmente più alto (circa 709mila euro[24]) in ragione del fatto che quasi il 30% degli avvisi ha comunque previsto finanziamenti superiori al mezzo milione di euro; la quota restante si è collocata nella fascia tra i 250 e i 500mila euro (cfr. fig. 7). I valori medi più alti si registrano nelle regioni del Nord (837mila euro), seguite da quelle del Mezzogiorno (614mila euro) e del Centro (500mila euro). È interessante osservare che, al netto degli avvisi collegati agli interventi promossi dal PNRR, la spesa pubblica allocata attraverso procedimenti di amministrazione condivisa sarebbe stata considerevolmente più bassa: a livello nazionale, circa 450mila euro il valore medio, 134mila quello mediano. In altre parole, le iniziative di co-progettazione collegate al PNRR si sono contraddistinte per budget medi di valore molto superiore (circa quattro volte) a quelli disponibili su altre linee di finanziamento (nazionali e comunitarie).

Fig. 7 - Valore dell’importo finanziario messo a disposizione dalla PA (2022).

Fonte: elaborazione su dati da noi raccolti.

 

Nel complesso, nel corso del 2022, sono stati potenzialmente assegnati oltre 325 milioni di euro attraverso iniziative oggetto di co-progettazione[25]. Si tratta di una somma ancora contenuta, ma pur sempre significativa, se paragonata ai circa 2,8 miliardi di euro spesi dalle amministrazioni comunali (singole o in forma aggregata) per interventi e servizi in ambito di welfare locale nel 2020 (ultimo dato disponibile), a cui si aggiungono altri 45,6 milioni di euro spesi da regioni e province o città metropolitane (dati Istat, 2023b).

4. Uno, nessuno, centomila avvisi di amministrazione condivisa

Esaminando più da vicino una rosa circoscritta di avvisi di co-progettazione[26], è possibile mettere in evidenza come, nonostante le Linee guida ministeriali e una sostanziale convergenza del diritto primario e secondario, gli avvisi affrontano alcuni “snodi” in maniera alquanto differente. Il nostro intento, anche in questo caso, non è quello di restituire una disamina esaustiva delle numerose criticità applicative che si possono cogliere dalla lettura dei documenti in nostro possesso, quanto di esemplificare, a fini esplorativi, alcuni temi in parte messi in luce dalle prime analisi disponibili. Fra questi ci soffermeremo brevemente sugli spazi potenziali di co-progettazione, sul livello di inclusione degli enti convolti, sulla durata della co-progettazione e infine sulle forme di compartecipazione economica.

Per quanto riguarda il primo tema, relativo agli spazi lasciati alla determinazione dei tavoli di  co-progettazione, una co-progettazione autentica dovrebbe prevedere che, una volta definiti gli obiettivi del progetto, la durata e le caratteristiche essenziali, gli interventi da attivare siano frutto del confronto tra Pubblica amministrazione e Terzo settore nell’ambito dei tavoli di lavoro; confronto che dovrebbe concretizzarsi in una collaborazione sinergica e sussidiaria da cui scaturisce una comune definizione del progetto. Se, nella maggioranza dei casi, da quanto si può evincere dalla lettura degli avvisi, questa impostazione pare rispettata, alcuni avvisi mostrano una situazione diversa. Considerando ad esempio un avviso volto alla realizzazione di un centro di ascolto per uomini autori di violenza, si rileva come siano state definite in maniera molto dettagliata tutte le caratteristiche che il centro dovrà avere. È vero che in questo caso, come in altri, bisogna fare i conti con disposizioni normative che vincolano talune caratteristiche delle strutture (nello specifico, il documento d’intesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 14 settembre 2022 sui requisiti minimi dei centri per uomini autori di violenza domestica), ma l’avviso in questione, oltre a tali requisiti, specifica elementi quali il numero di giorni e il numero di ore di apertura, il personale da impiegare con dettaglio di qualifiche e formazione, l’utenza e la modalità di accesso; e tutto ciò evidentemente diminuisce di fatto in modo drastico la possibilità che la co-progettazione sia il luogo in cui dare spazio alla creatività e alla progettualità dei partecipanti. Situazioni simili sono rinvenibili anche in altri avvisi in cui, pur in assenza di vincoli imposti da normative di settore, l’amministrazione procedente elenca in maniera specifica le attività che il soggetto “co-progettante” dovrebbe svolgere. È il caso, ad esempio, di un avviso di co-progettazione per la realizzazione dei servizi di integrazione e inclusione scolastica di minori rom, nel quale sono definite non solo le attività da svolgere, ma anche le figure previste e il dettaglio delle attività di cui si dovranno occupare, analogamente a quanto avviene nelle gare di appalto.

Se è ragionevole, anche rispetto a quanto indicato nelle Linee guida, che gli obiettivi siano individuati dall’amministrazione procedente, gli interventi da realizzare non possono che essere lasciati alla co-progettazione, pena, in caso contrario, il rischio di “sterilizzare” i tavoli, delegittimando di fatto la procedura e la stessa ratio che dovrebbe esserne alla base.

Perché, viene da chiedersi, in casi come questi si dà vita ad un procedimento di co-progettazione invece che ricorrere ad una gara di appalto? Le risposte vanno cercate in varie direzioni, dalla limitata cultura dell’amministrazione condivisa fino a una scelta strategica dettata dalla consapevolezza che, comunque, lo strumento della co-progettazione consente una maggiore “flessibilità” di intervento e variazione in corso d’opera rispetto a un classico affidamento competitivo di servizi.

Un secondo elemento da tenere in considerazione riguarda il livello di apertura dei tavoli e, di conseguenza, il grado di potenziale competitività fra chi vi partecipa. I procedimenti di co-progettazione possono infatti mirare alla selezione di più soggetti e più progetti, chiamati poi a confrontarsi nella co-progettazione, o di un solo soggetto e dunque di un’unica proposta preliminare. Ciò comporta che prassi di amministrazione condivisa possano prevedere meccanismi più o meno competitivi. Nel caso in cui i soggetti, e dunque le proposte selezionate, siano più di uno, il procedimento generalmente è volto alla definizione di un “progetto unitario”, frutto dell’integrazione di una o più idee progettuali. Tale ricomposizione delle candidature può però avvenire seguendo diverse strategie. Da una parte, il progetto “unitario” potrebbe consistere in una rielaborazione di alcuni elementi tratti dalle proposte pervenute, ricombinati come esito di un processo deliberativo; d’altra parte, l’unitarietà potrebbe essere perseguita attraverso una semplice aggregazione delle proposte presentate, vale a dire seguendo una logica di mera suddivisione dei compiti che conduce a un basso livello di sinergia fra le parti.

Un altro aspetto interessante riguarda l’assunzione, da parte del tavolo di lavoro, delle caratteristiche di gruppo di lavoro “permanente” con compiti di monitoraggio, orientamento, revisione periodica degli obiettivi oppure integrazione dei medesimi a seconda delle necessità eventualmente sopravvenute. Questo è spesso osservabile, ad esempio, con riferimento ad avvisi legati ad azioni finanziate dal PNRR o connessi ai Progetti di Intervento Sociale (PrINS). È interessante notare i casi – quali ad esempio due avvisi emananti in Lombardia – dove l’importanza di sedi di confronto permanenti è esplicitamente tematizzata: è infatti espressamente indicato che «la  co-progettazione consente di mettere a valore diverse competenze e professionalità espresse dall’ente pubblico e dal soggetto del Terzo settore, in una logica di progettazione permanente degli interventi, che non si esaurisce nel momento della scelta del partner, ma che si mantiene per tutto lo sviluppo progettuale e gestionale della partnership, con l’obiettivo di adattare tale sviluppo alla lettura dei bisogni via via emergenti».

L’ultimo tema analizzato riguarda la richiesta di compartecipazione ai costi rivolta dalle amministrazioni procedenti agli enti del Terzo settore coinvolti. Molti avvisi prevedono che gli enti di Terzo settore esplicitino le risorse aggiuntive messe a disposizione, talvolta richiedendo percentuali di co-finanziamento che possono arrivare al 15% o al 20% del totale. Di norma, tali risorse possono consistere in risorse strumentali, organizzative o professionali, che potranno essere valorizzate dai proponenti; si tratta in teoria di una compartecipazione volta a “responsabilizzare” il Terzo settore, anche se il rischio è di rendere non sostenibile la partecipazione alle co-progettazioni o comunque di precludere la partecipazione a soggetti che potrebbero offrire un contributo ideativo ed esperienziale importante. La disamina di alcuni avvisi sembra inoltre mettere in evidenza prassi perlomeno discutibili[27].

Un’altra forma di compartecipazione economica rinvenibile nell’analisi degli avvisi, che può coesistere con quella precedentemente analizzata, consiste nel mettere a disposizioni immobili da parte dell’ente procedente, coprendo solo parte dei costi di gestione, ma lasciando a carico degli enti del Terzo settore buona parte degli oneri progettuali. La stessa logica è rinvenibile in una recente norma adottata dalla regione Piemonte sull’odontoiatria solidale (Legge regionale 25/2022), dove, a fronte della promozione di interventi in questo ambito attraverso il ricorso all’amministrazione condivisa, i costi necessari all’erogazione delle prestazioni vengono imputati al Terzo settore, salvo il materiale strumentale necessario all’attività ambulatoriale.

 

Infine, un ultimo caso concerne la richiesta di corresponsabilizzazione nella ricerca di ulteriori fonti di finanziamento. In un avviso destinato alla co-progettazione di servizi e azioni per la prevenzione e il contrasto della violenza nei confronti delle donne, tra gli elementi di valutazione era considerata anche la capacità dell’ente di attrarre ulteriori risorse del territorio a supporto dell’intervento. Un altro avviso (relativo alla co-progettazione di interventi di Pronto Intervento Sociale) ha invece espressamente previsto che l’Amministrazione procedente e l’ente partecipante alla co-progettazione potranno intraprendere congiuntamente azioni di raccolta fondi o di progettazione tese a incrementare le risorse a disposizione del budget di progetto. In questo frangente, è la stessa PA proponente ad assicurare il proprio sostegno a tali azioni di ricerca di risorse aggiuntive, a condizione che siano destinate esclusivamente al perseguimento degli scopi progettuali. La ricerca di ulteriori finanziamenti diventa dunque essa stessa elemento di corresponsabilizzazione e compartecipazione, ovvero di condivisione di obiettivi tra tutti gli attori coinvolti.

5. Conclusioni. Verso un cambio di postura?

Lo scopo di questo articolo è stato quello di fornire una prima analisi dell’effetto di sistema del Codice del Terzo settore, con riferimento alle novità introdotte in materia di amministrazione condivisa. Ciò che possiamo osservare è un processo di espansione regolativa e di diffusione delle prassi applicative lento e graduale, che non ci deve sorprendere. È infatti del tutto normale che, come avviene anche in altri ambiti di policy (Gallo, 2022), l’introduzione di novità di un certo rilievo richieda tempo per la loro eventuale “messa a regime”. Quest’ultima, in ogni caso, sarà sempre da intendersi come un processo di adattamento aperto che può prevedere sia fasi di accelerazione, sia “passi indietro” o situazioni di relativo “stallo”. Inoltre, se sul piano teorico in molti hanno segnalato il cambio di passo introdotto dal CTS rispetto alle prassi del recente passato, non possiamo aspettarci che strumenti alternativi all’amministrazione condivisa come le gare d’appalto, cui la PA ricorre ormai da decenni, possano (e forse neppure debbano) essere sostituiti nel giro di poco tempo da altri dispositivi procedimentali come quelli della co-programmazione e della co-progettazione. A titolo esemplificativo, a fronte della netta crescita del numero di avvisi di amministrazione condivisa, se dovessimo confrontare quelli censiti nel 2022 con il numero delle gare di appalto pubblicate dalle PA nello stesso periodo, la differenza apparirebbe rilevante. Limitando l’analisi al campo delle politiche sociali che, come si è detto, resta l’ambito di elezione degli strumenti collaborativi, si osserverebbe infatti che a fronte di circa 550 avvisi di co-progettazione, le PA italiane hanno avviato 7.410 procedure d’appalto, ovvero un numero quasi 14 volte superiore[28]. Al contempo, occorrerà vigilare affinché la diffusione di prassi di amministrazione condivisa, laddove presente, favorisca effettivamente l’emergenza di una logica alternativa a quella degli appalti che trasformi i rapporti tra Pubblica Amministrazione e Terzo settore nella direzione di una crescita del “valore pubblico” (Moore 1995).

Ciò detto, con gli art. 55 e seguenti del CTS, il legislatore nazionale ha voluto promuovere l’avvio di un processo che può condurre a un relativo “cambio di postura” nei rapporti tra PA e Terzo settore. Tale trasformazione, per essere effettiva, presuppone però la pratica ripetuta nel tempo di esercizi corretti, adattivi e progressivi. Questa pratica sarà influenzata non solo dalla volontà politica di proseguire lungo questo percorso – elemento che chi scrive ritiene di fondamentale importanza – ma anche dalla messa a punto di aspetti di “governance operativa” (operational governance), ovvero dal chiarimento di questioni applicative che possono facilitare o meno il ricorso agli strumenti e la diffusione di nuovi “contesti sperimentali” di amministrazione condivisa, da sottoporre a valutazione (Bateson, 1976).

 

DOI: 10.7425/IS.2023.02.10

 

Bibliografia

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Ascoli, U. e Campedelli, M. (2021), Insostituibilità, riconoscenza, integrazione funzionale: la parabola del Terzo settore nella pandemia, in «Politiche Sociali/Social Policies», n. 2, pp. 369-388. 

Bateson, G. (1976), Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi.

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[1] Patrik Vesan è professore associato di Politiche sociali e del lavoro presso l’Università della Valle d’Aosta. Federico Razetti è assegnista di ricerca presso l’Università della Valle d’Aosta. Massimo Papa, dottore commercialista, è consulente e formatore in materia di Terzo settore e rapporti con la Pubblica amministrazione.

[2] Con tale espressione, introdotta nel dibattito italiano dal saggio di Arena (1997) e ripresa dalla sentenza 131/2020 della Corte costituzionale, facciamo riferimento in questo testo ai procedimenti di co-programmazione e co-progettazione disciplinati dall’ art. 55 del CTS.

[3] D.M. n. 72 del 31 marzo 2021 recante le Linee guida sul rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore negli artt. 55-57 del D.lgs. n.117/2017 (Codice del Terzo settore).

[4] Linee guida n. 17, deliberazione n. 382 del 27 luglio 2022 (Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali).

[5] Da ultimo, il D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici); per un commento, si veda Santuari (2023).

[6] Istituito dal D.M. n. 169 del 7 ottobre 2022.

[7] Nonostante gli accorgimenti adottati, occorre una certa cautela nell’interpretare i dati raccolti attraverso i motori di ricerca che potrebbero presentare una sovra rappresentazione degli avvisi pubblicati in date piu recenti.

[8] In assenza di un universo di riferimento noto, non è al momento attuale possibile valutare la rappresentatività statistica del campione.

[9] Parere n. 2052 del 20 agosto 2018. È interessante notare che, nonostante le ombre gettate da tale parere, il numero di avvisi pubblicati nel 2019 non sia comunque diminuito.

[10] Sentenza n. 130/2020; vd. Pellizzari e Borzaga (2020).

[11] Tra le ulteriori condizioni che hanno probabilmente favorito il ricorso a prassi di amministrazione condivisa possiamo anche menzionare il Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, detto “DL Semplificazioni”, convertito in Legge 120/2020, che ha dato un fondamentale contributo al coordinamento tra Codice dei contratti pubblici e CTS, nonché l’entrata del PNRR - e in particolare della Missione 5 - nella fase operativa.

[12] Sono stati classificati come avvisi di co-programmazione anche quelli che potremmo definire “misti”, ovvero che prevedono con un unico atto l’avvio di un procedimento di co-programmazione e di co-progettazione.

[13] Al di là dei valori assoluti, la rilevanza di queste tre regioni emerge anche rapportando il numero di avvisi pubblicati con il numero delle stazioni appaltanti o degli abitanti presenti nelle varie regioni.

[14] Valori molto simili si ottengono restringendo l’analisi ai soli avvisi che menzionano esplicitamente l’art 55 del CTS e/o il DM 72/2021.

[15] È il caso di tre avvisi pubblicati, rispettivamente, dal Ministero della Salute (nel 2018), dal Ministero dell’Istruzione (2021) e dall’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà - INMP (2022).

[16] In entrambi i casi, sono stati esclusi dall’analisi gli avvisi pubblicati da enti pubblici di scala provinciale, regionale o nazionale.

[17] Si consideri che le città sono il 3,2% dei Comuni, in cui si concentra il 35,3% della popolazione complessiva; le piccole città e sobborghi rappresentano il 33,0% dei Comuni, che raccolgono il 47,7% della popolazione; mentre le zone rurali rappresentano il 63,8% dei Comuni italiani, in cui vive il 17,1% della popolazione (Istat, 2021, p. 17).

[18] Come riportato da Nuvap (2022), la mappa delle Aree interne identifica i Comuni con un’offerta congiunta di tre tipi di servizio (salute, istruzione e mobilità), denominati “Poli”/“Poli intercomunali”, e «rappresenta tutti gli altri Comuni in base alla loro distanza da questi (in termini di tempi effettivi di percorrenza stradale), classificandoli in quattro fasce a crescente distanza relativa (Cintura, Intermedi, Periferici, Ultra-periferici) e, quindi, con un potenziale maggior disagio nella fruizione di servizi» (p. 3).

[19] La distribuzione complessiva dei Comuni italiani per livello di perifericità indica che i Comuni “polo” e “polo intercomunale” sono il 3% del totale, con una popolazione pari a circa 22 milioni di abitanti; i Comuni “cintura” sono il 44,1% del totale e raccolgono 22,4 milioni di abitanti; negli altri Comuni (di grado intermedio, periferici e ultraperiferici), che costituiscono il restante 48,5%, si concentrano 13,4 milioni di persone (Nuvap, 2022).

[20] La categoria “multi-ambito” comprende avvisi che hanno avviato una co-programmazione o una co-progettazione su interventi che ricadono su più ambiti (es. disabilità, povertà e minori), mentre “altro” raccoglie bandi che sono intervenuti su questioni diverse e, al momento, numericamente residuali (es. promozione dell’active aging, costruzione di reti sociali, ecc.).

[21] Non mancano però casi singolari. Ad esempio, vi sono avvisi per la co-progettazione di attività di promozione del gioco degli scacchi e per la definizione del calendario di eventi natalizi. In Trentino, è stato emesso un avviso per individuare enti del Terzo settore interessati alla co-progettazione di una “piattaforma informatica di comunità” destinata ai trentini ovunque residenti nel mondo e ai discendenti di trentini all’estero o un avviso di 3.000 euro per l’apertura e chiusura del cimitero comunale.

[22] Rispetto ai riferimenti normativi menzionati in questi avvisi, valgono le medesime considerazioni fatte poco sopra, nel senso che, anche limitando l’analisi ai soli avvisi legati al PNRR, emerge che poco più del 70% richiama l’art. 55 del CTS e/o le Linee guida ministeriali.

[23] 200mila euro se si limita l’analisi agli avvisi ex art. 55 CTS.

[24] 754.000 euro limitando il dato agli avvisi ex art. 55 CTS.

[25] Questa cifra tiene conto anche delle risorse indicate negli avvisi di co-progettazione, ma disponibili solo a seguito di eventuale definitiva assegnazione.

[26] Si tratta di un campione non rappresentativo di un’ottantina di casi, che rispecchia proporzionalmente la distribuzione tra regioni e livello di urbanizzazione.

[27] Ad esempio, in un avviso di co-progettazione rivolto a Odv e APS veniva richiesto un co-finanziamento, pari ad almeno il 10% del budget messo a disposizione, che sarebbe potuto consistere in risorse monetarie proprie o di altra provenienza, risorse non monetarie, risorse umane, con esclusione però del volontariato [corsivo nostro].

[28] Nostra elaborazione su dati Anac 2023.

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