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Numero 3 / 2025

Saggi

Codice dei contratti pubblici e imprese sociali. Gli spunti da una recente sentenza del TAR Sicilia

Alceste Santuari

Introduzione

Lo spunto per la scrittura di questo articolo è offerto da una sentenza del TAR Sicilia rispetto alla scelta di una IPAB di affidare la gestione di una RSA ad una cooperativa sociale. Al di là del caso specifico, questo caso è di interesse perché si colloca all’incrocio di due filoni tematici che meritano di essere approfonditi: da una parte, ci consente di affrontare un tema più generale e cioè gli strumenti del Codice dei contratti pubblici, che, riconoscendo la specificità delle imprese sociali o le peculiarità delle attività da esse realizzate, presentano caratteristiche diverse da quelle generalmente previste; dall’altra, offre la possibilità di ragionare sulle possibili forme gestionali attraverso le quali un servizio può essere realizzato e delle relazioni tra tali forme.

Il caso affrontato dal TAR Sicilia

Il servizio di RSA o di altra locuzione similare,[1] in ragione delle competenze assegnate agli enti locali,[2] può essere gestito direttamente dagli enti pubblici competenti, attraverso società in house o aziende speciali, IPAB[3] ovvero Aziende di servizi alla persona ovvero può essere oggetto di esternalizzazione a favore di operatori economici, in specie di imprese sociali o, ancora, risultare l’esito di un partenariato pubblico-privato istituzionalizzato, che si realizza, generalmente, nella forma della società mista.[4]

Il caso che qui si analizza merita particolare attenzione, in quanto riguarda la decisione di una IPAB – che come sopra indicato, rappresenta una delle modalità di gestione del servizio di casa di riposo - di affidare il servizio in parola ad una cooperativa sociale ricorrendo alle disposizioni previste nel Codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 36/2023), che legittimano le imprese sociali a risultare affidatarie del servizio di RSA[5] e che, di seguito, ancorché brevemente, verranno sintetizzate.

L’esternalizzazione dei servizi sociali nel Codice dei contratti pubblici

Prima di analizzare le diverse formule a disposizione degli enti pubblici per realizzare l’esternalizzazione dei servizi sociali, preme ricordare che con la disciplina contenuta negli artt. da 127 a 131, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 il legislatore statale, riprendendo, in larga parte, i contenuti dell’abrogato d. lgs. n. 50/2016, ha recepito diverse disposizioni delle direttive europee in materia di concessioni e di appalti del 2014,[6] integrandole con previsioni volte a garantire esigenze specifiche dei servizi oggetto di analisi. L’Allegato XIV della Direttiva 2014/24 specifica i servizi che sono soggetti a norme più semplici e più specifiche, rispetto ai servizi che sono regolati dalla Direttiva nella sua interezza e tra questi sono annoverati i servizi sociali e sanitari. Collocati nella nozione di servizi di interesse generale,[7] i servizi in parola rientrano nella piena competenza degli Stati membri, chiamati a definirne l’organizzazione, la gestione e l’erogazione. I servizi sociali e sanitari non risultano, dunque, sottratti in termini generali ai principi della libera concorrenza, sia essa comunitaria ovvero nazionale. Tuttavia, le autorità competenti, proprio in ragione della loro specifica “missione” pubblica e delle loro caratteristiche “territoriali”, sono autorizzate dal diritto eurounitario a prevedere procedure che possono sottrarre i servizi sociali (e sanitari) dall’applicazione tout court delle regole concorrenziali. In quest’ottica, la Direttiva 2014/24/UE esprime un “arretramento” del diritto Ue per “disinteresse economico”. Così è, ad esempio, per la definizione dell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in esame, ora individuato anche sulla base di un criterio quantitativo: è infatti prevista una soglia ben più elevata rispetto a quella che si applica ad altri servizi (750.000 in luogo di 143.000 euro), giustificata dalla “dimensione limitatamente transfrontaliera” di tali servizi, molti dei quali prestati in contesti che variano tra i vari Stati membri “a causa delle diverse tradizioni culturali” (considerando n. 114).[8]

Ciò premesso, nella prima parte di questo articolo si passeranno in rassegna i casi in cui il Codice dei Contratti pubblici prevede norme specifiche relativamente alle cooperative sociali o ai settori in cui esse operano. Si tratta di un tema di notevole interesse, che evidenzia come, a fianco dell’ampio dibattito sugli strumenti originatisi nell’ambito del Codice del Terzo settore, si trovi traccia del riconoscimento del particolare rilievo di queste forme di impresa anche nel Codice dei Contratti pubblici.

Si affronteranno pertanto l’istituto dei contratti riservati e l’istituto dell’art. 5 della 381/1991, stante la sua natura, seppur in forma derogatoria, di norma riferita al Codice dei contratti pubblici (paragrafo 1 e 2), le specificità previste dal Codice per l’ambito dei servizi sociali (paragrafo 3 e poi paragrafo 5), il modo con cui il principio di rotazione viene declinato in questi servizi (paragrafo 4). Dopo questi approfondimenti, si ritornerà al tema oggetto della sentenza del TAR Sicilia, approfondendo l’altra questione qui trattata, cioè quella relativa alle forme gestionali e delle loro relazioni. Infine, si proporranno alcuni brevi considerazioni finali.

1. Contratti riservati

L’articolo 61 del Codice, rubricato “contratti riservati”[9], prevede che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di concessione o possono riservarne l'esecuzione a operatori economici e a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l'integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate, o possono riservarne l'esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 per cento dei lavoratori sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati. Si segnala che le ipotesi indicate nell’articolo in parola devono considerarsi alternative tra loro e che nel primo caso non è più obbligatorio quanto previsto dall’art. 20 della Direttiva 2014/24/UE[10]. Mentre quest’ultima, infatti, stabilisce che la facoltà di riserva è subordinata al verificarsi di due condizioni cumulative, segnatamente, lo scopo degli operatori economici e il 30 per cento dei suddetti operatori economici deve essere costituito da persone disabili o svantaggiate,[11] l’art. 61 di nuovo conio non contempla come necessario che il 30 per cento dei lavoratori degli operatori economici in parola siano persone con disabilità o svantaggiate nella specifica commessa di lavoro oggetto di appalto riservato, fermo restando che tale requisito è soddisfatto dalla cooperativa sociale nel complesso delle sue attività, in osservanza di quanto previsto dall’art. 4 della legge 381/1991. In sostanza, più che uno scambio “meccanico” tra commessa e inserimento della persona svantaggiata, sembra configurarsi un riconoscimento della funzione di inserimento lavorativo in quanto tale. Ne risulta che, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 61 del Codice dei contratti pubblici, è oggi sufficiente che lo scopo degli operatori economici sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate.[12]

2. Appalti riservati alle cooperative sociali ex l. n. 381/1991

Una ulteriore forma di riserva nell’affidamento di attività realizzate da cooperative sociali è quella riconducibile all’art. 5, comma 1 della legge n. 381/1991, che riconosce alle pubbliche amministrazioni il potere discrezionale di conferire alle cooperative sociali di tipo b), mediante la stipulazione di una convenzione, “la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate”, sempre nel rispetto “di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.[13]

Viene in considerazione dunque l’intenzione del legislatore, da un lato, di mantenere e valorizzare la specificità giuridico-organizzativa delle cooperative sociali e, dall’altro, di inserire le medesime tra i soggetti deputati a realizzare progetti di inserimento lavorativo, che proprio in ragione della loro particolare finalità sono meritevoli di una tutela giuridica “rafforzata”. Il favor legis per le cooperative sociali di inserimento lavorativo è rinvenibile anche per gli affidamenti di servizi sopra soglia comunitaria. In questo senso, infatti, l’art. 5, comma 4, l. n. 381 del 1991 dispone in ordine alla possibilità per le stazioni appaltanti di inserire, tra le condizioni d’esecuzione dell’appalto, l’obbligo di eseguire il contratto con l’impiego delle persone svantaggiate di cui all’art. 4, comma 1, e con l’adozione di specifici programmi di recupero e inserimento lavorativo.[14]

3. Norme applicabili ai servizi sociali e assimilati

Collocato nella Parte VII del d. lgs. n. 36/2023, dedicata alle “Disposizioni particolari per alcuni contratti dei settori ordinari”, l’art. 127, rubricato “Norme applicabili ai servizi sociali e assimilati”, si apre con il rinvio all’art. 6 del Codice, che recependo i contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 131/2020, conferma la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, segnatamente, quello riconducibile alle regole del mercato e alla concorrenza, basato su contratti a prestazioni corrispettive[15] e quello, invece, definito dai principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale.

L’art. 127 in parola stabilisce le procedure che le stazioni appaltanti devono esperire per l’affidamento della gestione dei servizi sociali e degli altri servizi assimilati (quelli di cui all’Allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014), per valori pari o superiori alla soglia comunitaria (euro 750.000,00). Si tratta di: a) un avviso di pre-informazione periodico, per periodi non superiori a 24 mesi, recante l’avvertenza che l’aggiudicazione avverrà senza ulteriore pubblicazione di un avviso di indizione di gara; b) un bando/avviso; c) una procedura negoziata senza pubblicazione di bando, al ricorrere delle relative condizioni.

Si ritiene utile sottolineare che l’art. 127, in specie per quanto attiene ai contenuti dei commi 1 e 2, conferma quell’allontanamento dalle previsioni dell’art. 6, d.P.C.M. 30 marzo 2001, che peraltro già era rinvenibile nei previgenti artt. 140 e 142 del d. lgs. n. 50/2016. Infatti, il dpcm del 2001, attuativo delle disposizioni di cui alla legge n. 328/2000, si esprimeva a favore del ricorso alle procedure ristrette e negoziate per l’affidamento dei servizi alla persona.[16] Al contrario, infatti, l’art. 127 esprime il proprio favor per le procedure aperte (comma 1, lett. a)) o ristrette (comma 1, lett. b)) e, in subordine, negoziate (comma 3), attuabili solo qualora si verifichino i presupposti sub art. 76.[17]

Se, da un lato, rispetto alle previsioni della legge n. 328/2000, l’art. 127 del Codice dei contratti pubblici apre ad una maggiore competizione tra operatori economici, dall’altro, il medesimo articolo individua alcuni parametri/requisiti che le imprese sociali, più di altri soggetti giuridici, sono in grado di rispettare e, quindi, possono rafforzare il loro coinvolgimento nella realizzazione dei servizi in parola.

4. I servizi alla persona e il principio di rotazione

L’art. 128 rappresenta la disposizione di riferimento per tutti i servizi sociali affidati mediante appalto e come tale quindi si pone quale norma di inquadramento[18] da applicarsi ai:

  1. Servizi sanitari, servizi sociali e servizi connessi;
  2. Servizi di prestazioni sociali;
  • Altri servizi pubblici, sociali e personali, ivi inclusi quelli forniti da associazioni sindacali, da organizzazioni politiche, da associazioni giovanili, nonché altri servizi di organizzazioni associative.

Per quanto attiene le regole di affidamento, il comma 3, precisa che “L’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e promuovendo il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti”.[19] I principi sopra indicati si pongono come vere e proprie finalità che la Pubblica Amministrazione ha il dovere di conseguire con l’affidamento dei servizi in parola. Al contempo, in applicazione dei principi generali sull’azione e sul procedimento amministrativo, nonché di ragionevolezza e proporzionalità, la “qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi” assurgono a veri e propri criteri di valutazione delle offerte, da aggiungersi alle previsioni di cui all’art. 108 del Codice dei contratti pubblici in tema di criteri di aggiudicazione.[20]

Nello specifico, preme evidenziare la necessità di assicurare la continuità assistenziale, specie quando i servizi sociali sono rivolti all’erogazione di servizi i cui beneficiari sono persone fragili o in condizioni di marginalità. La continuità assistenziale, tuttavia, non costituisce per sé un elemento che possa legittimare l’inosservanza di un principio caratterizzante gli affidamenti pubblici di servizi, segnatamente, il principio di rotazione. Quest’ultimo, in termini generali:

  1. è peculiare per le procedure di gara cd. “negoziate”, alle quali, solitamente, accedono un numero di partecipanti limitato ed inferiore rispetto alle gare “aperte”;
  2. è posto a presidio dei principi fondanti l’azione amministrativa, che deve rispettare i principi di cui all’art. 97 Costituzione e quindi la P.A. deve evitare che si creino “posizioni privilegiate, in spregio al principio di imparzialità, con violazione del principio di rotazione previsto dal legislatore”;
  3. tutela l’avvicendamento (in primo luogo negli inviti e, conseguentemente, nell’aggiudicazione) fra i diversi operatori economici aspiranti;
  4. si applica nell’ipotesi in cui, a seguito della pubblicazione dell’avviso di manifestazione di interesse e delle richieste di partecipazione presentate dagli operatori economici, l’amministrazione operi una restrizione della platea dei concorrenti;
  5. trova applicazione con riferimento alla singola amministrazione aggiudicatrice, anche nel caso di gestione associata delle attività inerenti all’affidamento di contratti pubblici.

Nel nuovo Codice dei contratti pubblici, il principio di rotazione è così disciplinato: “In applicazione del principio di rotazione è vietato l’affidamento o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano a oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi.”[21] Il successivo comma 5 esenta le pubbliche amministrazioni dall’applicazione del principio in parola quando gli affidamenti siano inferiori a € 5.000. Escludendo gli affidamenti dei servizi sociali dalla previsione del comma 5, a causa dell’esiguità della somma oggetto dell’attività, i medesimi servizi potrebbero rientrare, almeno in linea teorica, tra quelli cui applicare la previsione del comma 2 sopra richiamato.[22]

Per vero, il Codice dei contratti pubblici non stabilisce una vera e propria deroga al principio di rotazione per gli affidamenti dei servizi sociali, bensì una sua attenuazione, che è inferibile dalla lettura combinata delle previsioni contenute nei commi 3 e 8 dell’art. 128.[23] Infatti, mentre tra i principi richiamati nel comma 3 citato non appare il principio di rotazione, il comma 8 ribadisce che gli affidamenti dei servizi sociali possano avvenire anche derogando al principio di rotazione.[24]

Il principio di rotazione negli affidamenti dei servizi sociali è stato oggetto di attenzione anche da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che, nelle Linee guida n. 17 del 27 luglio 2022, per gli importi sotto soglia eurounitaria, ha previsto che “la stazione appaltante specifichi nella motivazione della sua decisione perché le esigenze a questa sottostante non possano essere soddisfatte individuando una durata idonea del contratto o prevedendo, nei documenti di gara, la possibilità del rinnovo del contratto alla scadenza oppure, ancora, attivando la clausola sociale prevista nel contratto collettivo nazionale di riferimento”. E, ancora, sul punto, le Linee guida hanno evidenziato come “i servizi sociali dovrebbero essere organizzati in modo da assicurare la continuità del servizio per tutta la durata del bisogno. In particolare, quando i servizi rispondono a necessità di sviluppo ed esigenze di lungo termine, i beneficiari devono poter contare su una serie di interventi, evitando l’impatto negativo dell’interruzione del servizio”. Da quanto precede emerge con chiarezza il riconoscimento della funzione pubblica e delle peculiari caratteristiche dei servizi sociali, che, se da un lato, rendono la deroga al principio di rotazione stringente e derogabile soltanto con motivazione vincolata, dall’altro, ne riconoscono la piena legittimità.

Un efficace “antidoto” all’attenuazione del principio di rotazione sembra rinvenirsi nel criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del quale (anche) gli affidamenti dei servizi sociali devono essere realizzati.[25]

L’esclusione, anzi, l’attenuazione del principio di rotazione nel sistema degli affidamenti dei servizi sociali acquista una particolare importanza in un momento storico quale quello che stiamo vivendo, caratterizzato dalla necessità, anche sollecitata dalle Missioni 5 e 6 del PNRR, di trovare soluzioni, interventi e progettualità capaci di farsi carico di percorsi personalizzati e individualizzati delle persone con fragilità. Le procedure di affidamento, pertanto, una volta assicurato il rispetto dei principi fondamentali cui si ispira l’agire amministrativo, possono contemplare clausole e contenuti finalizzati a garantire la continuità assistenziale. In questo senso, il mancato rispetto del principio di rotazione,[26] che significa che anche il soggetto incumbent possa prendere parte alla valutazione comparativa delle offerte progettuali, non equivale ad affermare un’automatica formazione di monopoli. Tuttavia, il Codice dei contratti pubblici non sembra legittimare le Stazioni Appaltanti a procedere ad affidamenti reiterati, con conseguente consolidamento di posizioni dominanti, omettendo di motivare le ragioni dell’affidamento ripetuto. Ed è proprio la motivazione che può rappresentare il “punto di equilibrio” tra esigenze competitive e necessità di assicurare la continuità di attività e di servizio, in specie in ambiti, quali l’assistenza e la cura, che, in ragione dei loro destinatari, risultano poco inclini ad accettare continue sostituzioni degli erogatori di quelle attività e di quei servizi.

5. Ulteriore riserva per appalti di servizi sociali e di altri servizi nei settori ordinari

La specificità dei servizi sociali, o meglio, le specifiche caratteristiche dei soggetti giuridici di diritto privato che spesso risultano affidatari / incaricati di gestire ed erogare quei servizi, è rinvenibile in nell’art. 129 del Codice dei contratti pubblici.[27] Questa disposizione contempla la facoltà per le stazioni appaltanti di riservare a determinate organizzazioni il diritto di partecipare alle procedure per l’affidamento dei servizi sanitari, sociali e culturali individuati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE.[28] Le organizzazioni individuate devono:

  1. avere come obiettivo statutario il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi previsti per la riserva;
  2. prevedere un vincolo di reinvestimento dei profitti, per il conseguimento degli obiettivi statutari e strutture di gestione o proprietà degli enti;
  3. essere basate su principi partecipativi o di azionariato dei dipendenti, ovvero richiedere la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti interessati.[29]

I tre requisiti previsti dalla Direttiva europea del 2014 appaiono perfettamente coerenti con la struttura organizzativa delle imprese sociali: queste ultime devono invero essere definite da una governance democratica, dal reinvestimento degli eventuali utili maturati nella realizzazione delle finalità statutarie e dal perseguimento di obiettivi di interesse generale.

La riserva è possibile soltanto a favore di enti che nei 3 anni precedenti all’affidamento non siano stati già aggiudicatari di un appalto o di una concessione per i servizi previsti per la riserva e la durata massima del contratto non può superare i tre anni. Si tratta di una previsione problematica, tanto più che essa si riferisce ai servizi sociali, chiamati, come già sopra richiamato, ad assicurare la continuità degli interventi. Ancorché le stazioni appaltati potrebbero attenuare il rigore di tale previsione tramite opportuni accorgimenti nella formulazione degli atti della successiva gara non riservata[30], la previsione in oggetto appare quale contraddizione in termini della necessaria continuità degli interventi e delle attività che i servizi sociali devono assicurare.

In sintesi

Alla luce del complesso quadro normativo tratteggiato, si può, in ultima analisi, affermare che alle cooperative sociali, in particolare a quelle di inserimento lavorativo, l’ordinamento giuridico, proprio in ragione delle finalità di interesse generale dalle stesse perseguito, stabilisce non tanto un trattamento di favore, quanto un framework regolatrice che permetta a queste forme imprenditoriali di esprimere al meglio la propria fisionomia organizzativa e gestionale.[31]

Nel contesto sopra delineato, rimane ferma la competenza e prerogativa della Regioni di favorire il coinvolgimento delle cooperative sociali nell’organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi di interesse generale.[32]

Lessons to be learnt ovvero brevi considerazioni in ordine alla sentenza Tar Sicilia, sez. II, 27 maggio 2025, n. 1165

Nella cornice fin qui descritta, si colloca la sentenza del TAR per la Sicilia, sez. II, 27 maggio 2025, n. 1165, con la quale i giudici amministrativi, in parte, hanno accolto il ricorso presentato da una cooperativa sociale avverso la decisione di una IPAB di affidare direttamente la gestione della casa di riposo ad un’altra cooperativa sociale.

La doglianza “madre” della società ricorrente riguarda l’interpretazione della qualificazione giuridica del contratto di gestione del servizio in parola. Infatti, la società cooperativa ricorrente ha contestato che non si trattava di contratto di appalto, bensì di contratto di concessione, definito – come evidenziato nella delibera di affidamento – dall’obbligo imposto in capo al concessionario di versare un canone prefissato. Dalla qualificazione del contratto come concessione, pertanto, deriverebbero le seguenti conseguenze:

  1. nelle concessioni non è consentito l’affidamento diretto anche se temporaneo di un servizio, neanche quando il valore della concessione è inferiore alla soglia dei 140.000 euro stabilita per gli appalti di servizi dall’art. 50, comma 1, lett. b), del codice dei contratti pubblici, dovendosi invece necessariamente seguire la procedura indicata dall’art. 187 del D.lgs. n. 36/2023;
  2. sarebbe altresì impossibile fare ricorso al cosiddetto “affidamento ponte” in materia di concessioni, in quanto l’art. 178, comma 5, del codice dei contratti pubblici contempla una tale possibilità solo per la gestione delle tratte autostradali;
  3. non sussisterebbero nemmeno i presupposti per l’applicazione dell’art. 76, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 36/2023, per lo svolgimento per ragioni di urgenza della procedura negoziata senza pubblicazione del bando, in relazione ad eventi imprevedibili “non imputabili” alla stazione appaltante e che potrebbero giustificare il ricorso eccezionale alla procedura negoziata;
  4. l’Amministrazione intimata era ben consapevole della scadenza del contratto di gestione in corso e avrebbe dovuto, pertanto, avviare tempestivamente le procedure selettive previste dalla legge.

Il Tar ha confermato che, nel caso di specie, l’affidamento in oggetto deve ricondursi nell’alveo di un contratto di concessione e non costituisca, pertanto, un appalto di servizi. Sul punto, i giudici amministrativi hanno sottolineato che il Codice dei contratti pubblici ha inteso “regolamentare in via autonoma le concessioni, quali species del genus del partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale, riconoscendone l’autonomia rispetto ai contratti di appalto, non solo per quanto attiene agli aspetti sostanziali, ma anche per quanto di specifica attinenza ai profili procedurali”. La conseguenza diretta di una siffatta qualificazione giuridica implica che la procedura di affidamento delle concessioni sotto la soglia di rilevanza europea può avvenire secondo le modalità delineate dal citato art. 187, ovvero mediante procedura negoziata, senza pubblicazione di un bando di gara, previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 operatori economici, ferma restando l’opzione dell’ente concedente di utilizzare le procedure di gara disciplinate, per le concessioni, dalle altre disposizioni del Titolo II, della Parte II, del Libro IV del Codice.[33]

La sentenza de qua consente di svolgere alcune brevi considerazioni finali, che forse possono risultare interessanti, anche in una prospettiva evolutiva della gestione dei servizi alla persona. La funzione sociale del modello cooperativo si manifesta, in particolare, proprio in relazione al rapporto con la comunità locale di riferimento. In quest’ottica, dunque, la cooperativa si caratterizza per essere un’impresa di territorio e la vicinanza alla comunità rende più agevole sia l’individuazione delle opportunità e delle criticità connesse alle risorse e alla struttura del territorio, sia la valorizzazione delle potenzialità e delle abilità professionali locali. Forse, proprio nell’ambito dei servizi sociali è possibile comprendere l’evoluzione della formula “funzione sociale” riferita alla cooperazione nell’art. 45 Cost. Invero, la Costituzione, riconoscendo la funzione sociale della cooperazione, ha espresso una valutazione di idoneità del fenomeno rispetto al perseguimento e alla soddisfazione di interessi collettivi. Nel contesto brevemente delineato, si può affermare, in primo luogo, che le cooperative sociali, alla stregua di altre imprese sociali, rappresentano i soggetti economici maggiormente “vocati” a gestire ed erogare i servizi in parola. La loro finalità, le loro caratteristiche interne e le attività di interesse generale che le medesime svolgono ne fanno un partner affidabile delle pubbliche amministrazioni nell’ambito dei servizi sociali. In secondo luogo, viene tuttavia in considerazione il fatto che le cooperative sociali rappresentano una dimensione imprenditoriale, con la quale gli enti pubblici si rapportano attraverso le procedure ad evidenza pubblica di matrice competitiva/concorrenziale. In terzo luogo, proprio in ragione delle loro caratteristiche di governance e in ragione delle finalità da esse perseguite, l’ordinamento giuridico (europeo e nazionale) riconosce alle pubbliche amministrazioni la facoltà di prevedere talune deroghe alle procedure ordinarie di affidamento, in specie allo scopo di valorizzare appieno il contributo che le cooperative sociali possono apportare alla realizzazione dei servizi socioassistenziali e alla persona in generale. Sono questi alcuni dei profili definenti la fattispecie della cooperazione sociale che, tra l’altro, depongono a favore di un ruolo affatto marginale per la stessa nella realizzazione dei servizi, attività e interventi richiesti dalla riforma della disabilità e della non autosufficienza, in specie laddove le pubbliche amministrazioni debbano definire percorsi e soluzioni di intervento che richiedano una specifica “mission” sociale.

DOI 10.7425/IS.2025.03.08

 

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[1] Nella rete dell’offerta sociosanitaria, la coesistenza delle due componenti di assistenza, una sanitaria a rilevanza sociale e una sociale a rilevanza sanitaria (come specificato nel D.lgs. 229/199919, art. 3-septies), rendono le RSA una risorsa importante del sistema integrato, che non viene però riconosciuta con una denominazione univoca, né a livello sanitario, né a livello sociale. Il riferimento alla “struttura residenziale sociosanitaria” spesso è, infatti, generico perché comprende un insieme di più tipologie di strutture di accoglienza per persone fragili o non autosufficienti, di cui le RSA ne fanno parte insieme ad altre strutture a carattere sia di tipo sanitario (come, ad esempio, le strutture residenziali extraospedaliere per trattamenti residenziali intensivi di cura e mantenimento funzionale oppure le Residenze Sanitarie per Disabili). Ogni Regione ha così adottato una definizione diversa di RSA, contribuendo a delineare una classificazione delle strutture in modo eterogeneo, anche in ragione della doppia funzione assistenziale che rende le RSA oggetto di normativa sia sanitaria che sociosanitaria. Sul punto, per tutti, si veda F. Pesaresi, S. Simoncelli “Analisi delle RSA in Italia: mandato e classificazione “Tendenze nuove - 2/2008 nuova serie https://www.academia.edu/36248468/Mandato_classificazione_ed_utenza_delle_RSA_residenze_sanitarie_assistenziali

[2] Il servizio e le attività di RSA rientrano, ai sensi dell’art. 128, comma 2, d. lgs. n. 112/1997, nella nozione di “servizi sociali”, nell’ambito di quali rientrano “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”.

[3] Si tratta, come è noto, delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, disciplinate dalla c.d. “legge Crispi” del 1890, abrogata dall’art. 10 della legge n. 328/2000 e dal successivo d. lgs. n. 207/2001, ma che, in talune Regioni, quali il Veneto e la Sicilia, mantengono ancora, in assenza di una disciplina regionale ad hoc riguardante la loro evoluzione e trasformazione, molti dei loro tratti originari.

[4] La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto tale modello, coerentemente con quanto previsto dal diritto comunitario in materia di partenariato pubblico privato, un “paradigma completo” (cfr. Cons. St., 16 marzo 2009, n. 1555), “anche al di fuori del settore dei servizi pubblici locali […]”. Così, A. Di Giovanni, Il contratto di partenariato pubblico privato tra sussidiarietà e solidarietà, Torino, 2012, p. 120. La società mista è stata considerata una forma di partenariato pubblico privato anche da Cons. St., Sez. V, 1 luglio 2005, n. 3672. In quell’occasione, il giudice amministrativo d’appello ha affermato che “l’affidamento di un servizio pubblico ad una società mista, seppure costituente un modello apparentemente alternativo alla “concessione”[…], a ben riflettere non si pone in radicale antitesi con il più generale e variegato fenomeno, in uno organizzatorio ed autoritativo, di tipo concessorio, qualora i tratti distintivi di quest’ultimo siano ricostruiti interpretando i dati del diritto interno al lume del formante comunitario”.

[5] Per una disamina approfondita degli articoli del Codice dei contratti pubblici in materia di affidamento dei servizi sociali e assimilati, si veda E. Caruso, Appalti nei servizi sociali e di ricerca e sviluppo (artt. 127-128, 129-131, 135), in M. Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, 2025, Terza edizione, Torino, Giappichelli, pp. 1308 ss.

[6] I riferimenti sono, rispettivamente, alla Direttiva 23/2014 e alla Direttiva 24/2014.

[7] In argomento, sia permesso il rinvio al mio Le attività di interesse generale degli Enti del Terzo Settore, in A. Crismani (a cura di), Pacini, 2025, pp. 153 ss., in part. p. 161, ove l’A. sottolinea quanto segue: “I SIG devono sì rispondere alle istanze pro-concorrenziali, ma allo stesso tempo, devono assicurare la tutela dei cittadini-utenti, in specie per quanto riguarda la fruizione di servizi universali e di qualità. Benché la definizione giuridica di SIG non sia in grado di presentarsi quale interpretazione univoca in ambito comunitario, è stata accolta e trasposta anche all’interno delle legislazioni nazionali. I singoli ordinamenti giuridici possono, inter alia, stabilire che i SIG siano erogati non soltanto dalle istituzioni pubbliche, ma anche da soggetti privati, siano essi for profit o non profit. In quest’ottica, lo status di diritto pubblico o di diritto privato delle imprese incaricate dell’erogazione dei servizi in parola deve considerarsi neutro in ordine all’erogazione dei servizi di interesse generale”.

[8] Così, E. Caruso, Appalti nei servizi sociali e di ricerca e sviluppo (artt. 127-128, 129-131, 135), in M. Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, Giappichelli, Terza edizione, 2025, p. 1314.

[9] L’articolo è stato novellato ad opera del d. lgs. 31 dicembre 2024, n. 209.

[10] L´art. 20 della Direttiva 2014/24/UE, rubricato “Appalti riservati”, prevede di riservare il diritto di partecipare alle procedure di appalto – o l’esecuzione di un appalto nel contesto di programmi di lavoro protetti – a laboratori protetti o ad operatori economici il cui scopo principale è l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o in situazione di svantaggio. L’art. 20 della direttiva 2014/24/UE conferma, dunque, in applicazione del principio di tutela della concorrenza, l’istituto giuridico della riserva dell’esecuzione dei contratti nell’ambito di programmi di lavoro protetti, all’interno dei quali si confrontano operatori for profit e non profit accomunati dallo scopo di realizzare l’appalto con almeno il 30% di lavoratori disabili o svantaggiati. Una tale interpretazione si rivela del tutto aderente all’orientamento interpretativo ormai consolidato della giurisprudenza comunitaria e di quella amministrativa nazionale secondo le quali nel novero degli operatori economici vanno ricompresi anche gli enti non profit che, in applicazione della nuova legislazione, possono diventare legittimamente interlocutori privilegiati della pubblica amministrazione.

[11] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione europea, sez. V, 6 ottobre 2021, C-598/19 e Cons. St. 1300/2022.

[12] In argomento, si veda l’articolo di E. Cavalleri, Il pasticcio del Correttivo sull’art. 61 c.1 del Codice (contratti riservati). Va disapplicato?, in www.giurisprudenzappalti.it, 26 febbraio 2025.

[13] “Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell'IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1. Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza.” Legge 381/1991, art. 5, comma 1, così modificato dall'art. 1, comma 610, legge n. 190 del 2014. Appare utile richiamare il fatto che il confronto concorrenziale introdotto dalla l. 190/2014 deve essere ricondotto alla volontà del legislatore di arginare i fenomeni di corruzione, quali quelli riguardanti il Comune di Roma (c.d. Mafia Capitale), che possono derivare dal perpetuarsi di affidamenti a favore di un unico operatore economico selezionato in via diretta. La novella tende dunque a dare vita ad un meccanismo di affidamento del confronto concorrenziale con procedure idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione, efficienza e rotazione (che è da applicare a fronte di prestazioni standardizzate e con un prezzo uniforme). Sul punto, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), nelle Linee guida per l’affidamento dei servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali (delibera 20 gennaio 2016, n. 32) specificava che, in assenza di previsioni alternative circa la procedura di affidamento da utilizzare, si ritiene che la materia debba essere disciplinata secondo i canoni previsti dal Codice dei Contratti, avendo a riferimento la natura degli affidamenti.

[14] Si tratta dell’inserimento nelle condizioni di esecuzione del contratto della c.d. “clausola sociale” (cfr. artt. 57, 61, 108 e Allegato II.3, d. lgs. n. 36/2023).

[15] Sul punto, si rinvia a A. Santuari, Appaltare o co-progettare: is that (really) the question?, in https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/appaltare-o-co-progettare-is-that-really-the-question. In vigenza dell’abrogato d. lgs. n. 50/2016, ANAC aveva ribadito che le stazioni appaltanti possono decidere di ricorrere alle procedure competitive ovvero agli istituti giuridici di natura collaborativa di cui al Codice del Terzo settore. Così, Linee guida n. 17, recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con Delibera n. 382 del 27 luglio 2022.

[16] In argomento, per tutti, si veda E. Balboni. M. Baroni, A. Mattioni, G. Pastori (a cura di), Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n.328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Seconda edizione, Milano, Giuffré, 2007.

[17] Sul punto, si rinvia a L. Ferrara, Art. 127, in L. R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, Milano, 2023, pp. 1086-1087.

[18] Si esprime positivamente sulla scelta del Codice del 2023, “di dedicare per ragioni di coerenza e di chiarezza, un apposito articolo ai servizi sottoposti al regime c.d. intermedio, come pure la scelta di ricorrere all’espressione sevizi alla persona per indicare le attività tassativamente elencate dall’art. 128”. Così, Caruso, op. cit., p. 1342.

[19] In argomento, si veda ANAC, Linee guida n. 17, recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali - 27 luglio 2022”.

[20] L’articolo citato, non facendo alcun riferimento alle regole degli affidamenti sottosoglia – come invece avveniva nel codice del 2016 – ha fatto sorgere il dubbio interpretativo circa la possibilità di far ricorso alle procedure semplificate sottosoglia e, in particolare, all’affidamento diretto nel caso di contratti di valore inferiore ad € 140.000. Il dubbio sembra avvalorato anche dal fatto che l’art. 108, comma 2, lett. a), nel confermare che i contratti di servizi sociali “sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo” non esclude, come faceva invece l’art. 95, comma 3, lett. a) del previgente codice, gli affidamenti diretti. Al riguardo, il MIT, con il parere n. 2103 del 05 luglio 2023, ha escluso che per i servizi sociali di importo inferiore ad € 140.000 sia possibile far ricorso all’affidamento diretto senza usare i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ponendo l’attenzione sul fatto che il legislatore ha scelto di non richiamare nell’ambito delle regole particolari sui servizi sociali la disciplina generale sul sottosoglia. Risulta, tuttavia, opportuno segnalare che il parere del MIT in parola non appare esaustivo e si limita esclusivamente a richiamare la Relazione Illustrativa al Codice che, con riferimento al comma 8 dell’art. 128, rileva come con quest’ultimo “si è scelto di non richiamare, in prospettiva liberalizzante, la disciplina generale degli appalti sotto soglia, ma di imporre (attraverso il richiamo al comma 3) esclusivamente il rispetto dei principi (generali) di qualità, continuità, accessibilità, disponibilità e completezza (…)”. È in questo senso che l’interpretazione fornita dal Ministero dei Trasporti non appare del tutto soddisfacente, atteso che la Direttiva europea in materia di appalti e concessioni (Direttiva n. 24/2014) auspica che gli Stati membri abbiano “un’ampia discrezionalità così da organizzare la scelta dei fornitori di servizi nel modo che considerano più adeguato”. Di tal che non si può presumere in capo alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di organizzare sempre una procedura competitiva basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, escludendo l’applicazione dell’affidamento diretto.

[21] Così recita, l’art. 49, comma 2, d. lgs. n. 36/2023.

[22] Sul punto, la giurisprudenza amministrativa, già in vigenza del d. lgs. n. 50/2016, aveva sottolineato come le stazioni appaltanti, giustificando con validi argomenti la loro scelta, possano chiamare in gara anche i gestori del servizio di assistenza nel precedente anno scolastico, qualora non siano emerse negatività della gestione. Cfr. Tar Lazio, Latina, Sez. I, sentenza 6 marzo 2018, n. 105.

[23]  In tema di principio di rotazione, è stato fatto notare che la mancata menzione del principio in parola tra quelli che devono informare l’affidamento dei servizi sociali è giustificata nella Relazione del Consiglio di Stato allo schema di Codice, la quale conferma che tale scelta non è casuale, essendo invece frutto della scelta “in prospettiva liberalizzante” di recepire le istanze degli operatori del settore, “con particolare riferimento alla obiettiva criticità dell’attuazione, nei settori in questione, del principio di rotazione”. Si tratta di un’affermazione “strategica” fondamentale per l’organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi in parola: essi, infatti, non soltanto richiedono continuità negli interventi, ma – ricordiamolo anche in questa sede – sono finalizzati, in molti casi, a garantire la fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Fruizione che richiede stabilità, accessibilità qualificata e affidabilità nel tempo del soggetto erogatore, spesso non lucrativo. Così, A. Donato, Il principio di rotazione negli affidamenti di servizi sociali nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in Lawforchange, 13 novembre 2023.

[24] Il comma 8 prevede che: “Per l’affidamento e l’esecuzione di servizi alla persona di importo inferiore alla soglia di cui all’articolo 14, comma 1, lettera d), si applicano i principi ed i criteri di cui al comma 3 del presente articolo.”.

[25] Art. 108, comma 2, d. lgs. n. 36/2023. In quest’ottica, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rispondendo ad un quesito (parere n. 2105 del 5 luglio 2023) sembra aver confermato che nell’affidamento dei servizi sociali il principio di rotazione non rientra tra quelli che le stazioni appaltanti sono chiamate a rispettare.

[26] In argomento, da ultimo, si veda Tar Pescara, 7 dicembre 2024, n. 765.

[27] L’articolo in questione ripropone i contenuti del Considerando n. 118 e dell’art. 77 della Direttiva 24/2014/UE, che, affermando il riconoscimento nell’ambito del diritto unionale di regole diverse rispetto a quelle concorrenziali, stabiliscono un’ulteriore ipotesi di procedura riservata, e quindi di «competizione limitata» a determinati soggetti.

[28] L’art. 129 recepisce l’art. 77 della Direttiva 2014/24/UE, introducendo, rispetto al previgente art. 143, limitati interventi di drafting e di semplificazione normativa. Così, Caruso, op. cit., p. 1355. Sul punto, merita ricordare che la Relazione allo schema del Codice, in relazione all’ambito oggettivo di operatività dell’art. 129, ha evidenziato che le procedure riservate in oggetto possono estendersi anche per l’affidamento di contratti di concessione (la direttiva 2014/23/Ue non contiene una previsione corrispondente all’art. 77 della direttiva appalti, ma alla luce del regime «minimo» previsto per le concessioni di servizi sociali, si ritiene che gli Stati membri possano procedere alla suddetta estensione). Come attenta dottrina ha inteso sottolineare, “[t]Tle intenzione, tuttavia, si è tradotta in una disciplina poco lineare: un riferimento alle concessioni è infatti contenuto solamente al comma 3 dell’art. 129, mentre la rubrica di tale disposizione fa riferimento ai soli appalti.” Caruso, ult. op. cit., nota 233.

[29] Sulle tre condizioni sopra richiamate, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha chiarito la non equivalenza tra le organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro di cui all’art. 10, par., 1, lett. h) e gli enti considerati dall’art. 77, i quali non possono essere assimilati nemmeno ai destinatari della riserva di cui all’art. 20 (cfr. sentenze Falck e Italy Emergenza Cooperativa sociale, Cause C-465/17 e C‑213/21 e C‑214/21). In altra occasione, (cfr. sentenza ASADE, 14 luglio 2022, C‑436/20), nelle proprie conclusioni, l’Avvocato Generale ha precisato come la riserva ex art. 77 non sia circoscritta a enti senza scopo di lucro, potendo altresì le tre condizioni prima richiamato possono essee soddisfatte da enti commerciali. Di converso, sempre nelle conclusioni della causa ASADE è stato chiarito come l’assenza di finalità lucrativa non sia ex se sufficiente ad assicurare il rispetto dell’art. 77, richiedendo le tre condizioni (in particolare quella di cui alla lett. c) sull’azionariato dei dipendenti) specifici accorgimenti organizzativi che molti enti del terzo settore potrebbero non soddisfare.

[30] Caruso, op. cit., p. 1329. Si pensi, al riguardo, alla possibilità che le amministrazioni inseriscano “tra gli elementi di valutazione dell’offerta tecnica, criteri correlati alla pregressa esperienza maturata dai concorrenti, specie se comprovata dall’attestazione (…) circa il buon esito del servizio”. Così, A. Magliari, I servizi sociali di interesse generale e appalti pubblici: concordia discors?, in Munus, 2, 2019, p. 622.

[31] Il Tar Abruzzo, sez. I, con la sentenza 18 giugno 2016, n. 380, ha statuito la necessità di esperire una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento, da parte di un ATO (autorità d’ambito territoriale), di un servizio idrico ad una cooperativa sociale. Tralasciando gli altri profili esaminati nella sentenza, in questa sede preme evidenziare quanto i giudici abruzzesi hanno deciso in ordine al rapporto intercorrente tra cooperazione sociale e organismo di diritto pubblico in tema di servizi pubblici locali. Il Tar ha affrontato il tema relativo alle previsioni normative che sarebbero alla base di un rapporto preferenziale a favore delle cooperative sociali. Al riguardo, i giudici hanno inteso segnalare che la disciplina regionale invocata dalla ricorrente non ha previsto un obbligo, ma una semplice possibilità in capo all’ente gestore d’ambito di avvalersi “o comunque di tenere conto nella scelta dei soggetti ausiliari, dei progetti regionali di avvio dei giovani associati in cooperative, e ciò comunque senza neanche delineare affidamenti diretti, ben potendo postularsi simili avvalimenti mediante gare pubbliche, riservate a tali cooperative.” E tali previsioni, a giudizio del Tar, riguardano comunque la gestione di piccole e medie gestione degli impianti idrici, che fuoriescono dalla fattispecie oggetto del caso in esame, che infatti attiene a “mega gestioni”. Una volta collocati gli interventi della cooperazione sociale, individuata dalla legislazione regionale quale possibile partner per la realizzazione dei servizi idrici, i giudici amministrativi hanno ribadito che un principio fondante dell’Unione Europea è identificato nel rispetto delle regole di concorrenza e di gara pubblica per appalti e/o concessioni conferiti da organismi di diritto pubblico comunitario, con particolare riguardo ad importi, come nella specie, sopra la soglia europea. Le regole della concorrenza, in termini generali, implicano l’indizione di procedure ad evidenza pubblica. Queste ultime possono prevedere, per quanto attiene ai potenziali soggetti affidatari, clausole semplificate e/o riservate alla categoria sociale oggetto di ausilio o di incentivo. Eventuali divergenti previsioni di legge o di contratto restano assoggettate a disapplicazione (e conformazione) comunitaria, ove non risultino praticabili interpretazioni orientate. Chiarito il quadro normativo e giuridico nell’ambito del quale gli organismi di diritto pubblico devono procedere all’affidamento dei servizi, con la possibilità di prevedere condizioni di esecuzione del contratto che tengano in debito conto le caratteristiche dei soggetti partecipanti, il Tar censura la modalità con la quale l’organismo di diritto pubblico ha stabilito di continuare nel rapporto contrattuale con la cooperativa sociale ricorrente, ossia la “proroga tacita” (da ritenersi nulla ex lege), che era stata disposta in attesa del riscontro ad un quesito formulato all’ANAC in ordine alla necessità o meno di gara pubblica per l’affidamento alle cooperative del servizio di manutenzione degli impianti idrici. In ultima analisi, il Tar ha inteso ribadire che le regole della concorrenza non possono essere derogate da previsioni rivolte a stabilire un rapporto diretto con le cooperative sociali, principio peraltro già presente nella legge n. 381/1991, che – infatti – ha previsto una deroga espressa per le sole cooperative sociali di tipo b) per importi inferiori alla soglia comunitaria. Ma i giudici amministrativi hanno altresì confermato la facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere apposite clausole (sociali e ambientali), in linea con le previsioni della Direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, che consentano di specificare le condizioni di esecuzione del contratto. Si tratta di un approccio molto importante per lo sviluppo della cooperazione sociale che alcune Regioni italiane hanno inteso fare proprio attraverso l’adozione di specifici atti di indirizzo agli enti locali.

[32] Ne è un esempio la L.R. dell’Emilia-Romagna, 30 luglio 2015, n. 14, il cui art. 25 dispone, tra l’altro, che il Piano integrato e i programmi di attuazione annuale a) stabiliscono una permanente interazione con le cooperative sociali del territorio; b) individuano le condizioni d'inserimento delle persone in condizioni di fragilità e vulnerabilità presso le cooperative sociali, in particolare di tipo B; c) verificano le possibilità di attribuzione e affidamento di servizi, da parte di soggetti istituzionali coinvolti nella elaborazione di entrambi, anche a beneficio delle cooperative sociali di tipo B. Al riguardo, si veda la Deliberazione della Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna 27 giugno 2016, n. 969, pubblicata sul BUR 7 luglio 2016 n. 202 recante “Adozione delle linee guida regionali sull'affidamento dei servizi alla cooperazione sociale”).

[33] Cfr. TAR Parma, sez. I, 18 giugno 2024, n. 155; TAR Catania, sez. II, 2 dicembre 2024, n. 3956 e, da ultimo, TAR Lazio, sez. II bis, 25 marzo 2025, n. 6043.

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