Il Decreto Legislativo 62/2024 introduce un cambiamento radicale nel sistema di welfare per le persone con disabilità, ponendo al centro il Progetto di Vita Individuale, Personalizzato e Partecipato (PdVIPP). Per gli enti gestori e le imprese sociali del Terzo Settore, storicamente protagonisti nell’erogazione dei servizi, questa trasformazione rappresenta una sfida complessa che richiede il ripensamento dei modelli organizzativi, delle competenze professionali e delle modalità di relazione con la Pubblica Amministrazione. L’articolo analizza le criticità specifiche che il mondo del Terzo Settore gestore deve affrontare nell’implementare il nuovo paradigma, evidenziando le difficoltà operative, amministrative ed economiche, proponendo strategie concrete per accompagnare la transizione nell’applicazione della riforma. Particolare attenzione viene dedicata alla ridefinizione del ruolo degli enti gestori da meri erogatori di prestazioni a partner strategici nella co-progettazione del Progetto di Vita, con tutte le implicazioni che questo comporta in termini di riorganizzazione dei servizi e sviluppo di nuove competenze.
Il Decreto Legislativo 62/2024 ridefinisce profondamente il ruolo degli enti del Terzo Settore gestori nel sistema di welfare per la disabilità, operando una vera e propria svolta culturale nel rapporto tra servizi e persona e determinando un passaggio dalla tradizionale funzione di erogatori di prestazioni standardizzate, regolata da accreditamenti, convenzioni e appalti, in favore di un modello di partnership strategica nella costruzione del Progetto di Vita.
L’evoluzione da logica prestazionale a logica progettuale rappresenta il cuore di questa trasformazione. Mentre il modello pre-riforma si basava sulla fornitura di servizi predefiniti – ad esempio dal centro diurno alla comunità alloggio - il nuovo paradigma richiederà agli enti gestori di entrare nella fase più delicata del processo: la co-costruzione degli obiettivi esistenziali (c.d. Progetto di Vita) della persona con disabilità. Questo passaggio implica una capacità di ascolto profondo, di facilitazione dei processi decisionali e di traduzione dei desideri in progetti concreti e sostenibili. Non si tratta più di applicare protocolli standardizzati e procedure amministrative rigide bensì di accompagnare ogni persona nel definire cosa significa per lei “vivere bene” e come raggiungere questo obiettivo attraverso un percorso personalizzato.
La partecipazione alle Unità di Valutazione Multidimensionale degli Enti del Terzo Settore, pur se eventuale poiché deve essere richiesta ai sensi dell’articolo 24 comma 3 lettera c), costituisce un altro elemento di profonda novità. Gli enti gestori non sono più chiamati semplicemente a “ricevere” la persona dopo che altri hanno stabilito i suoi bisogni, ma possono contribuire attivamente al processo valutativo, mettendo a disposizione le proprie competenze specifiche e la conoscenza diretta della persona e del suo contesto. Questo richiede la destinazione di risorse professionali qualificate ai processi valutativi, spesso senza un riconoscimento economico specifico, creando un paradosso: maggiori responsabilità e impegno senza corrispondente remunerazione. La flessibilità organizzativa diventa quindi una necessità imprescindibile. Gli enti gestori devono sviluppare la capacità di adattare i servizi alle esigenze individuali emergenti dal PdVIPP, superando completamente la standardizzazione delle prestazioni. Ciò significa ripensare orari, spazi, metodologie, competenze professionali, funzioni e modalità organizzative connesse alle specifiche esigenze di ogni progetto di vita, con non semplici implicazioni sulla gestione del personale, sulla sostenibilità economica e sulla complessità operativa quotidiana.
La transizione al nuovo modello presenta possibili difficoltà per gli enti gestori: queste criticità non sono semplici problemi tecnici da risolvere, ma sfide sistemiche che richiedono una ristrutturazione complessiva del modello di impianto di intervento sociale e sociosanitario.
Tabella 1. Principali criticità per gli enti gestori nell’implementazione del D.lgs. 62/2024
Area di criticità |
Problematiche specifiche |
Impatto operativo |
Rischi per la sostenibilità |
Sostenibilità economica |
Costi della transizione non coperti, attività di coprogettazione non remunerate incertezza sui flussi di finanziamento |
Necessità di investimenti, difficoltà nella pianificazione economica |
Rischi di deficit operativi, possibile riduzione della qualità dei servizi |
Riorganizzazione dei servizi |
Superamento della standardizzazione, necessità della personalizzazione, integrazione con altri soggetti |
Aumento dei costi di coordinamento, complessità gestionale crescente |
Difficoltà nel mantenere economie di scala, possibile aumento dei costi unitari |
Competenze professionali |
Gap formativo del personale, necessità di figure specializzate nella progettazione esistenziale |
Costi di formazione aggiuntivi, difficoltà nel reperire professionalità adeguate |
Turn over del personale, perdita di competenze consolidate |
Rapporti con la PPAA |
Incertezza normativa, ritardi nell’adeguamento amministrativo degli enti pubblici locali |
Difficoltà operative quotidiane, rallentamento dei processi |
Rischio di contenziosi, criticità rendicontative e ritardi nei pagamenti |
Sistemi Informativi |
Necessità di integrazione con piattaforme pubbliche, investimenti tecnologici non previsti |
Costo di implementazione, formazione del personale |
Digitale divide organizzativo, esclusione da processi innovativi |
L’analisi di queste criticità rivela come il d.lgs. 62/2024 non sia semplicemente una riforma normativa, ma richieda una vera e propria metamorfosi organizzativa per i servizi gestiti dalle imprese sociali e dalle altre organizzazioni del Terzo Settore. La sostenibilità economica emerge come il nodo più critico: gli enti gestori si trovano a dover investire risorse significative in attività di co-progettazione e riorganizzazione senza avere garanzie di return on investment e certezza del payback. Questo paradosso rischia di penalizzare proprio quegli enti più virtuosi e innovativi, che per primi si impegneranno nella transizione dalla standardizzazione alla personalizzazione. Le economie di scala, che costituivano uno dei pilastri della sostenibilità economica degli enti gestori, potrebbero essere messe in discussione. Come può un centro diurno che ha costruito la propria efficienza su routine standardizzate adattarsi a progetti di vita completamente individualizzati? Come possono gli operatori, formati su approcci categoriali alla disabilità, sviluppare competenze di progettazione esistenziale?
Il passaggio al budget di progetto, previsto dall’articolo 28 del d.lgs. 62/2024 rappresenta uno dei nodi più complessi per gli enti gestori, perché il nuovo impianto normativo determina una trasformazione che non è solo tecnica-operativa ma anche concettuale, richiedendo una revisione del modello economico-finanziario che ha caratterizzato, per decenni, la gestione dei servizi per gli enti del Terzo Settore.
Lo schema tradizionale (ed attuale), basato su rette giornaliere o prestazioni orarie, offre agli enti gestori importanti certezze di sostenibilità economica dei servizi. La prevedibilità dei ricavi, determinati dai budget annuali contrattualizzati con le Aziende Sanitarie o con gli Ambiti Territoriali, permette una pianificazione economica accurata: sapere che per ogni utente del centro diurno si genera una retta giornaliera fissa consente di calcolare con precisione i ricavi annuali e di dimensionare, di conseguenza, i relativi costi. La possibilità di pianificazione economica si estende anche agli investimenti strutturali: un contratto pluriennale con rette garantite permette di accendere mutui, di assumere personale a tempo indeterminato, di programmare interventi di miglioramento delle strutture. Le economie di scala nella gestione dei servizi hanno rappresentato il terzo pilastro di questo schema amministrativo: il numero di persone presenti in un servizio determinano costi fissi certi, maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse, possibilità di sviluppare competenze specialistiche.
Il nuovo modello, previsto dall’articolo 28 del d.lgs. 62/2024, potrebbe introdurre invece elementi di incertezza mettendo in discussione i criteri di efficienza organica e strutturale. I budget variabili legati ai singoli progetti di vita potrebbero creare un sistema di ricavi non prevedibili: ogni progetto ha una sua specificità, una sua durata, un suo budget che dipende da variabili non controllabili sia per l’ente pubblico, sia per l’ente gestore. L’integrazione (o come viene definita dalla norma “l’interoperabilità”) di fonti di finanziamento diverse - fondi sanitari, sociali, scolastici, delle politiche attive del lavoro, così come riporta la Relazione al decreto legislativo – potrebbe complicare ulteriormente il quadro, richiedendo competenze amministrative specifiche e creando possibili potenziali ritardi e contenziosi amministrativi. Le tempistiche di erogazione non standardizzate potrebbero aggiungere un ulteriore elemento di complessità, costringendo, probabilmente, gli enti a gestire flussi di cassa potenzialmente critici.
Di fronte a questo possibile nuovo quadro di conduzione dei servizi, gli enti del Terzo Settore gestori devono, quindi, sviluppare nuove competenze e strumenti per navigare in uno scenario nuovo. La sfida è strategica: come mantenere la sostenibilità economica in un contesto nuovo non standardizzato? Come trasformare le criticità in opportunità di sviluppo?
Tabella 2. Strategie di adattamento economico-finanziario per gli enti gestori
Strategia |
Azioni concrete |
Benefici attesi |
Investimenti necessari |
Diversificazione delle fonti |
Interoperabilità delle risorse (sociali, sociosanitarie, sanitarie e formative) |
L’unicità del budget e vantaggi dei servizi in filiera |
Personale dedicato, competenze specifiche |
Controllo di gestione avanzato |
Implementazione contabilità analitica per progetto, dashboard real-time |
Monitoraggio puntuale, decisioni data driven |
Software gestionali, formazione amministrativa, riorganizzazione amministrativa |
Alleanze strategiche |
Contratti di rete territoriali, partnership pubblico -privato |
Condivisione rischi e competenze, economie di rete |
Tempo per governance condivisa, costi di coordinamento |
Innovazione dei servizi |
Sviluppo servizi complementari (innovazione adiacente), offerta integrata di filiera |
Maggiore sostenibilità |
R&D Sociale, marketing sociale |
L’interoperabilità delle fonti di finanziamento emerge come strategia prioritaria per ridurre la segmentazione dell’offerta. Questo significa sviluppare competenze specialistiche di management, sperimentare strumenti di finanza sociale e di marketing. Tuttavia, questa diversificazione richiede investimenti significativi in competenze specifiche e personale dedicato, oltre a un cambio di mentalità che veda negli enti gestori non solo fornitori di servizi bensì imprese sociali capaci di generare, in ottica di sostenibilità, valore economico e sociale.
Il controllo di gestione avanzato diventa indispensabile per navigare in un sistema di ricavi variabili e complessi. Non è più sufficiente una contabilità generale che misuri i risultati complessivi dell’ente ovvero anche per singola unità di offerta, ma è necessaria una contabilità analitica per progetto che permetta di monitorare in tempo ogni singolo progetto di vita ed insieme dei sostegni. Questo richiede investimenti in software gestionali specifici e formazione del personale amministrativo in modo da permettere decisioni data-driven che possono fare la differenza tra sostenibilità e crisi.
Le alleanze strategiche rappresentano una risposta naturale alla maggiore complessità del sistema. Accordi di reti territoriali, partnership pubblico-privato permettono di condividere rischi e competenze, di raggiungere le economie di rete che compensano la perdita delle economie di scala. Tuttavia, queste alleanze richiedono tempo per la governance condivisa e costi di coordinamento che devono essere attentamente valutati.
L’innovazione dei servizi emerge come opportunità per creare nuove fonti di sostenibilità che compensino l’incertezza di quelle tradizionali. Sviluppare servizi complementari, offrire prestazioni integrative (sia in regime privato che pubblicistico), creare prodotti e servizi innovativi che rispondano ai bisogni emergenti dal nuovo paradigma del progetto di vita può aprire segmenti non ancora esplorati dal Terzo Settore.
La personalizzazione richiesta dal PdVIPP impone, dunque, agli enti gestori una rimodulazione radicale dei modelli organizzativi consolidati. Questa trasformazione tocca tutti gli aspetti dell’organizzazione, dalla struttura operativa ai sistemi di controllo, dalla gestione del personale alla definizione degli spazi.
Il superamento della logica dei “centri di costo” rappresenta forse la sfida organizzativa più complessa. Il modello tradizionale organizzava i servizi per tipologia standardizzata - centro diurno, comunità alloggio, assistenza domiciliare - ognuno con i propri costi, i propri ricavi, i propri indicatori di performance. Questo approccio permette una gestione relativamente semplice: ogni servizio ha i suoi operatori, i suoi spazi, le sue routine consolidate. Il nuovo paradigma richiede invece che questi servizi si integrino fluidamente secondo le esigenze del progetto di vita, creando configurazioni sempre diverse e personalizzate. Cosa significa concretamente questo cambiamento? Un utente del centro diurno potrebbe aver bisogno di alcune ore di assistenza domiciliare per sviluppare competenze di vita indipendente, di supporto per attività sociali in ambienti esterni, di accompagnamento per attività ricreative serali. Tradizionalmente, questo richiederebbe l’intervento di tre servizi diversi, con procedure amministrative separate, operatori diversi, logiche di finanziamento differenti. Nel nuovo modello, tutti questi interventi devono essere coordinati all’interno di un unico progetto di vita, richiedendo una flessibilità organizzativa che mette in discussione le strutture consolidate.
La flessibilità degli orari e delle prestazioni diventa una necessità operativa quotidiana. Il personale deve essere disponibile a lavorare secondo modalità non standardizzate, adattandosi ai ritmi e alle esigenze di ogni progetto di vita. Questo ha evidenti implicazioni contrattuali - come gestire orari non standardizzati nel rispetto della normativa del lavoro? - e organizzative - come garantire la continuità e la sostenibilità del servizio con orari flessibili?
L’integrazione multiprofessionale rappresenta un ulteriore elemento di complessità e di opportunità. I team trasversali che superano le tradizionali divisioni per servizio possono offrire un approccio più olistico e personalizzato, richiedendo competenze di coordinamento, sistemi di comunicazione efficaci, modalità di lavoro collaborative che non sempre sono presenti nelle organizzazioni del Terzo Settore.
La transizione verso modelli organizzativi flessibili richiede strumenti operativi specifici che permettano di gestire la complessità senza perdere efficacia ed efficienza.
Tabella 3. Strumenti operativi per la riorganizzazione dei servizi
Ambito |
Strumento |
Modalità di implementazione |
Criticità da gestire |
Gestione del personale |
Job rotation, formazione continua |
Piani formativi personalizzati |
Resistenze del personale, costi della flessibilità |
Coordinamento dei servizi |
Case management cooperativo, piattaforme digitali condivise |
Investimento in figure di coordinamento, sistemi informativi integrati |
Costi di direzione e coordinamento, complessità gestionale |
Qualità e monitoraggio |
Indicatori di outcome personalizzati, valutazione partecipata |
Riprogettazione sistema di gestione della qualità, coinvolgimento utenti e famiglie |
Abbandono standard consolidati, formazione valutatori |
Relazioni territoriali |
Tavoli di co-progettazione permanenti, protocolli operativi condivisi |
Partecipazione attiva a reti territoriali, advocacy istituzionale |
Tempo dedicato non remunerato, possibili conflitti di interesse |
La gestione del personale in un sistema flessibile richiede modalità innovative che permettano di ottimizzare l’utilizzo delle competenze professionali. La job rotation può arricchire le competenze professionali e aumentare la flessibilità, gestita con attenzione per non creare disorientamento o perdita di specializzazione. La formazione continua diventa indispensabile per mantenere aggiornate le competenze in un contesto in continua evoluzione e trasformazione che mette al centro non più il servizio bensì il PdVPP.
Il coordinamento dei servizi è una funzione strategica che richiede competenze specifiche e strumenti adeguati. Il case management cooperativo permette di gestire la complessità dei progetti di vita mantenendo una visione unitaria, seppur richiede investimenti in figure professionali specializzate. Le piattaforme digitali condivise possono facilitare la comunicazione e il coordinamento tra i diversi operatori, ma richiedono investimenti tecnologici e formazione del personale.
Il monitoraggio della qualità deve essere ripensato per adattarsi alla logica della personalizzazione. Gli indicatori di outcome personalizzati permettono di valutare l’efficacia degli interventi in relazione agli obiettivi specifici di ogni progetto di vita; tuttavia, richiedono competenze valutative specialistiche e sistemi di raccolta dati più sofisticati. La valutazione partecipata coinvolge utenti e famiglie nel processo di valutazione e necessita di metodologie specifiche e formazione degli operatori.
Le relazioni territoriali assumono un ruolo fondamentale nella logica della co-progettazione. I tavoli permanenti della co-progettazione permettono di costruire alleanze stabili con gli altri attori del territorio. I protocolli operativi condivisi possono facilitare la collaborazione tra enti diversi, facilitando processi partecipativi che necessitano di competenze specifiche nel problem solving e nella negoziazione e mediazione.
Il nuovo sistema dei sostegni necessita di skills professionali che vanno oltre quelle tradizionalmente presenti, oggi, negli enti gestori e nella Pubblica Amministrazione. Questo gap non è solo quantitativo, bensì qualitativo perché richiede una ristrutturazione, anche solo parziale, dei profili professionali e dei percorsi formativi ad oggi esistenti ovvero un aggiornamento dei corsi di Laurea nelle professioni di cura e di educazione.
Il design skill esistenziale rappresenta forse la novità più significativa. Mentre le competenze tradizionali del settore si concentravano sulla gestione dei bisogni e dei deficit, oggi è necessario sviluppare capacità che facilitino l’emersione di desideri e aspettative, che supportino le persone nel definire i propri obiettivi di vita e nel tradurli in progetti concreti e sostenibili. Questo richiede un ascolto attivo che vada oltre l’intervista strutturata, tecniche di facilitazione capaci di favorire l’espressione dei desideri anche in presenza di difficoltà comunicative, e un approccio di progettazione partecipata che coinvolga la persona e la sua rete relazionale.
Le competenze valutative multidimensionali richiedono una padronanza approfondita dell’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) e degli strumenti di valutazione bio-psico-sociale (Croce, 2008). Non si tratta solo di conoscere classificazioni e scale valutative, quanto di saperle utilizzare in modo dinamico e partecipativo, integrando la valutazione professionale con l’autovalutazione della persona e con l’analisi del contesto. Queste abilità devono, inoltre, consentire di tradurre i risultati della valutazione in obiettivi concreti e misurabili del progetto di vita.
Le abilità di rete (Venturi e Baldazzini, 2025) diventano fondamentali in un sistema che richiede la collaborazione (Como e Battistoni, 2015) tra soggetti diversi. Significa saper operare in contesti multi-stakeholder, dove ogni attore ha la propria logica, i propri vincoli e i propri obiettivi. Sono quindi indispensabili la mediazione per gestire conflitti inter-organizzativi, la negoziazione per trovare soluzioni condivise e una comunicazione efficace per favorire la comprensione reciproca tra professionisti con linguaggi e culture differenti.
Le competenze digitali avanzate non sono più un facoltative, diventano una necessità operativa. L’uso di piattaforme collaborative per la gestione dei progetti di vita, l’analisi dei dati per il monitoraggio degli outcome e la documentazione digitale per la condivisione delle informazioni tra i diversi attori richiedono capacità professionali che vanno ben oltre l’uso quotidiano degli strumenti informatici.
La trasformazione del sistema richiede, anche, una strategia formativa articolata che vada oltre i tradizionali corsi di aggiornamento, costruendo nuovi percorsi formativi (anche riformando i percorsi accademici attuali) che permettano una vera e propria riconversione professionale del capitale umano delle figure educative e di cura direttamente coinvolte nella costruzione e gestione dei progetti di vita personalizzati e partecipati.
Tabella 4. Piano formativo strategico per gli enti gestori
Area formativa |
Contenuti prioritari |
Modalità didattiche |
Partnership formativa |
Progettazione centrata sulla persona |
Metodologie di co-design, facilitazioni gruppi, tecniche narrative |
Workshop esperienziali, learning by doing, supervisione |
Università, centri di formazione accreditati ECM, organizzazione di advocacy |
Valutazione multidimensionale |
ICF, Scale valutative, approccio bio-psico-sociale |
Formazione certificata, pratica guidata, peer learning |
ATS e ASL. Equipe specialistiche, formatori accreditati |
Management innovativo |
Project management sociale, controllo di gestione |
Blended learning, mentoring, study visit |
Business school, fondazioni bancarie, enti di secondo livello |
Competenze digitali |
Piattaforme collaborative, data analysis, documentazione digitale |
e-learning, laboratori pratici on the job, certificazioni |
Provider tecnologici, università, enti di formazione accreditati ECM |
La progettazione centrata sulla persona implica l’utilizzo di metodologie formative che consentano di sperimentare in modo diretto gli approcci partecipativi. I workshop esperienziali offrono l’opportunità di vivere le dinamiche del co-design, sviluppando competenze sia tecniche che relazionali. Il learning by doing favorisce l’applicazione immediata delle competenze acquisite, mentre la supervisione offre uno spazio per riflessioni critiche e consolidamento degli apprendimenti. La valutazione multidimensionale necessita di una formazione certificata in soft skills per la multidisciplinarietà, tecniche di design thinking e project planning, e tecniche di ascolto attivo e motivational interviewing, assicurando così alti standard qualitativi. La pratica guidata consente l’applicazione degli strumenti valutativi sotto la supervisione di esperti, mentre il peer learning stimola la condivisione delle esperienze e la costruzione di comunità professionali. Il management innovativo deve integrare le competenze gestionali tradizionali con le specificità del nuovo paradigma. Il project management sociale richiede un’adeguata preparazione per affrontare la complessità dei progetti di vita. Il fundraising può rappresentare una competenza strategica per la sostenibilità economica dei servizi innovativi complementari (quella che potremmo definire “innovazione adiacente”, Venturi e Zandonai 2022), mentre il controllo di gestione dovrà evolversi per allinearsi alla logica del budget di progetto e dei singoli sostegni rendicontabili. Infine, le competenze digitali richiedono una formazione pratica che consenta l’uso efficace degli strumenti tecnologici.
Il d.lgs. 62/2024 presuppone, anche, una profonda trasformazione della Pubblica Amministrazione, che tuttavia procede a velocità diverse nei vari territori, creando un disallineamento che genera criticità significative per gli enti gestori.
Il disallineamento temporale rappresenta una delle criticità più evidenti. Mentre alcuni enti gestori del Terzo Settore si sono già attrezzati per implementare il nuovo paradigma, investendo in formazione, riorganizzazione interna e sviluppo di nuove competenze, molte amministrazioni pubbliche mantengono logiche operative tradizionali. Questo crea una situazione paradossale: enti gestori pronti al cambiamento che si scontrano con procedure amministrative obsolete, sistemi informativi non integrati, personale pubblico non formato sui nuovi strumenti. Da ciò conseguono la frustrazione degli operatori più innovativi e i ritardi nell’implementazione del nuovo sistema. L’incertezza normativa costituisce un ulteriore elemento di complessità: la mancanza di un’interpretazione univoca ed il disallineamento applicativo normativo a livello regionale e territoriale potrebbe creare possibili attuazioni divergenti e differenziate della stessa normativa, con amministrazioni che adottano criteri diversi per le medesime fattispecie. Questa incertezza potrebbe tradursi in difficoltà operative quotidiane per gli enti gestori, che si troveranno a dover gestire procedure differenti in territori diversi, con evidenti impatti sui costi e sulla qualità dei servizi. Le procedure amministrative per la liquidazione dei budget (derivanti dall’interoperabilità delle risorse) potrebbero essere, in termini rendicontativi, più complesse di quelle tradizionali, richiedendo la verifica di documentazione proveniente dalle diverse fonti di finanziamento. Tutto ciò potrebbe generare ritardi nei controlli delle rendicontazioni e conseguentemente nei pagamenti, mettendo a rischio la sostenibilità economica degli enti gestori.
Le resistenze culturali rappresentano forse l’ostacolo più difficile da superare. Il rapporto committente - fornitore, che ha caratterizzato per decenni la relazione tra PA e Terzo Settore, ha creato culture organizzative e modalità operative che non si cambiano facilmente e velocemente. La transizione verso gli istituti dell’amministrazione condivisa (coprogrammazione in primis e coprogettazione), più volte richiamata dal Decreto Legislativo 62/2024 negli articoli 24, 28 e 30, richiede un cambio di mentalità che coinvolge sia i funzionari pubblici che gli operatori del Terzo Settore, ma questo processo, ancora poco maturo, richiede tempo e investimenti specifici, evitando gli effetti distorsivi delle procedure selettive.
Gli istituti dell’amministrazione condivisa, disciplinati dal Codice del Terzo Settore (d.lgs. 117/2017) ed ormai consolidati dalla prassi giurisprudenziale costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 131/2020) oltre che operativa, sono richiamati dagli articoli 24 comma 6[1], dall’articolo 28 comma 2 e dall’articolo 30 comma 1[2] del d.lgs. 62/2024. Se risulta chiara l’interpretazione dei richiami alla coprogrammazione negli articoli 24 e 30, risulta interpretabile, almeno ad un primo impatto, il riferimento dell’articolo 28 comma 2 (Santuari 2024): “La predisposizione del budget di progetto è effettuata secondo i principi della co-programmazione, della coprogettazione con gli enti del terzo settore, dell’integrazione e dell’interoperabilità nell’impiego delle risorse e degli interventi pubblici e, se disponibili, degli interventi privati”. Bisogna riconoscere che la specificazione della norma e la sua collocazione (all’interno del titolo dedicato al Budget di Progetto, e non nella parte relativa alla costruzione del progetto di vita) potrebbe apparire, almeno a prima lettura, una scelta infelice o quantomeno ambigua. Tuttavia, proprio questa collocazione si presta a una lettura ermeneutica che apre a una interpretazione sistemica della norma, capace di cogliere il suo significato più profondo e la sua portata trasformatrice sull’intero impianto dei servizi. L’art. 28 del d.lgs. 62/2024, intitolato “Budget di progetto”, nell’introdurre gli istituti della coprogettazione e coprogrammazione, non si limita a codificare mere tecniche collaborative di gestione dei servizi, ma delinea un paradigma costituzionalmente orientato di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, comma 4, della Costituzione e secondo i principi della sussidiarietà circolare (Zamagni, 2024; Becchetti e Zamagni, 2019; Venturi e Zandonai, 2022; Fazzi, 2020) dell’amministrazione condivisa.
La collocazione normativa della coprogrammazione e coprogettazione, all’interno dell’articolo 28 comma 2 del d.lgs. 62/2024, rivela la volontà del legislatore di conferire significanza giuridica strutturale alla sussidiarietà circolare, configurando il Terzo Settore quale soggetto abilitato alla co-determinazione dell’offerta pubblica. Nella lettura combinata della normativa del Codice del Terzo Settore (art. 55) e degli articoli 24 comma 6, dell’articolo 28 comma 2 e dell’articolo 30 comma del d.lgs. 62/2024, possiamo distinguere tre differenti forme di collaborazione tra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore, ciascuna con una propria funzione e portata:
La coprogrammazione è il momento costituente, in cui si stabilisce che cosa può essere progettato: è un atto di “urbanistica del welfare”, mentre la coprogettazione meta servizio è “architettura della singola casa”.
Se così configurata, la coprogrammazione, inserita nel contesto del budget di progetto, acquisisce funzione ricognitiva e riprogettuale dell’esistente sistema di offerta. Il Terzo Settore viene chiamato a partecipare alla fase strategica di individuazione dei bisogni, alla definizione delle modalità di risposta ed allocazione delle risorse, contribuendo alla revisione degli indirizzi dell’architettura complessiva dei servizi. Tale partecipazione non si configura come mera consultazione, ma come co-determinazione degli obiettivi e delle metodologie di intervento, in ragione dell’expertise specialistica e della prossimità territoriale degli enti del Terzo Settore. Da qui gli istituti dell’amministrazione condivisa richiamati nell’articolo del budget di progetto, in combinato disposto con gli articolo 24 comma 6 e dell’articolo 30 comma 1 del d.lgs. 62/2024 e dell’articolo 55 del d.lgs. 117/2017, assumono valenza di strumento metodologico attraverso cui formalizzare processi partecipativi di definizione, revisione e riprogettazione dei servizi di interesse generale.
La coprogettazione potrebbe assumere, invece in tale contesto, valenza di laboratorio istituzionale per l’evoluzione continua dell’offerta pubblica. Attraverso questo strumento, l’amministrazione può attivare processi di innovazione endogena, valorizzando l’apporto creativo e metodologico del privato sociale per la sperimentazione di nuove modalità di gestione servizio, attraverso la revisione delle unità di offerta. L’interpretazione sistematica, dei combinati disposti di cui sopra, comporta il superamento della logica del mercato dei servizi, sostituendola con un modello di co-governance dove la definizione dell’offerta pubblica avviene attraverso processi collaborativi strutturati (Santuari, 2023). La coprogettazione e il budget del valore dei singoli sostegni diventano così sede sistemica di negoziazione istituzionale tra amministrazione e Terzo Settore per la costruzione condivisa di risposte ai bisogni sociali. La norma riconosce al Terzo Settore non solo capacità operative, ma altresì competenze strategiche nella lettura dei bisogni e nella progettazione di risposte innovative aderenti ad una sostenibilità economica. Tale riconoscimento legittima la partecipazione degli enti del Terzo Settore ai processi decisionali relativi alla riconfigurazione dei servizi e delle nuove unità di offerta.
L’art. 28 comma 2 e l’articolo 24 comma 6, dunque, possono configurarsi come strumenti di democrazia amministrativa (Allegretti, 2007; Allegretti 2010) che consentono la partecipazione qualificata dei soggetti della società civile ai processi di definizione delle politiche pubbliche, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale circolare. La coprogrammazione abilita processi di revisione collaborativa delle unità di offerta esistenti, permettendo l’adeguamento continuo dei servizi all’evoluzione dei bisogni e delle metodologie di intervento. Il sistema delineato dagli art. 28 comma 2, 24 comma 6 e 30 comma 1 del d.lgs. 62/2024 consente una co-evoluzione delle politiche pubbliche attraverso l’integrazione sistematica dell’expertise del Terzo Settore nei processi di riprogrammazione dei servizi. Pertanto, tali articoli, se ben interpretati al di fuori dalla logica distorsiva e/o riduzionista (trasformando di fatto le procedure di co-progettazione in meri appalti, gestiti con una logica quasi-concorrenziale e di mercato ovvero di vuote procedure amministrative di assegnazione di singole attività o servizi) (Boschetti, 2024) che caratterizza oggi gran parte delle procedure dell’amministrazione condivisa su diversi territori, si configurano come un modello di governance collaborativa sostanziale che attua operativamente il principio costituzionale di sussidiarietà circolare. La coprogettazione e coprogrammazione sono strumenti di metodo per la costruzione partecipata delle politiche pubbliche (Fazzi, 2021), attraverso cui si realizza l’integrazione strutturale tra amministrazione pubblica e Terzo settore nella definizione e revisione dell’offerta di servizi di interesse generale, dando vita a percorsi e processi di coprogettazione meta servizio ed individuale. Un aspetto fondamentale del d.lgs. 62/2024 è proprio l’evoluzione del progetto di vita, che assume una dimensione sia collettiva che personalizzata. La co-progettazione collettiva meta servizio si concentra sullo sviluppo di progetti che rispondano ai bisogni di una comunità nel suo complesso, mentre la co-progettazione personalizzata si concentra sulla realizzazione di progetti adatti ai singoli individui, tenendo conto delle specifiche necessità di ciascuno. La sfida per le imprese sociali e gli enti del terzo settore gestori, in questo nuovo contesto, è quella di bilanciare questi due aspetti e trovare modalità efficaci di attuazione che non solo rispettino i principi normativi, ma che siano anche capaci di adattarsi alla complessità e diversità dei bisogni che caratterizzano la realtà locale. Tale interpretazione valorizza la portata innovativa della riforma, configurando, anche lo strumento del budget di progetto quale contenitore metodologico per l’attuazione di forme avanzate di democrazia amministrativa e di co-determinazione dell’interesse pubblico.
Tabella 5.A - Gli strumenti dell’amministrazione condivisa per l’implementazione del PdVIPP
Istituto |
Applicazione al Decreto Legislativo 62/24 |
Benefici per gli enti gestori |
Superamento criticità |
Co-programmazione (art. 55 del CTS) |
Definizione condivisa delle priorità territoriali per i Progetti di vita, attraverso una valutazione ed analisi dei bisogni della comunità e co-design dei servizi personalizzati |
Partecipazione alla fase strategica di ridisegno dei servizi, influenza sulle policy locali |
Supera frammentazione programmatoria, garantisce visione unitaria |
Co-progettazione (art.55 del CTS) |
Costruzione congiunta dei modelli di intervento, re-design dei servizi e dei sostegni, costruzione del PdVPP |
Partnership paritaria con la PPAA, valorizzazione know how del TS nel re-design dei servizi e dei sostegni, criteri per l’accreditamento istituzionale |
Elimina logica cliente-fornitore, riduce incertezza operativa |
Accreditamento, convenzionamento e/o contrattualizzazione |
Sistema di qualificazione per partecipare all’attuazione del PdVPP |
Semplificazione procedurale, focus sui sostegni e qualità dei servizi |
Riduce burocrazia, valorizza competenze specifiche |
La co-programmazione assume, perciò, nel contesto del d.lgs. 62/2024 una valenza strategica fondamentale che deve configurarsi come processo strutturato di rilevazione dei bisogni in evoluzione sulle diverse disabilità (ad esempio l’evoluzione del quadro epidemiologico), superando le logiche categoriali tradizionali per abbracciare una visione dinamica e personalizzata dei bisogni emergenti, ridisegnando i servizi, il processo di accreditamento socio sanitario e sociale e pianificando l’allocazione delle risorse (la co-pianificazione delle allocazioni ) in una logica di garanzia della sostenibilità e di interoperabilità dei fondi di finanziamento.
In questa prospettiva, l’istituto coprogrammatorio diventa il momento in cui enti locali, enti gestori, organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità e delle famiglie analizzano congiuntamente l’evoluzione dei bisogni territoriali, determinano i sostegni che possano dare risposta a tali bisogni, allocando le risorse necessarie. Non si tratta più di quantificare quanti “posti” servono nei centri diurni o nelle comunità alloggio, ma di comprendere come stanno cambiando le aspettative di vita delle persone con disabilità (oggi, ad esempio, abbiamo tante persone anziane che hanno acquisito una disabilità), quali nuovi desideri emergono, come si evolvono i contesti familiari e sociali, quali sono le opportunità e le barriere presenti nel territorio. Questo processo di rilevazione deve necessariamente essere partecipativo e inclusivo, coinvolgendo direttamente le persone con disabilità e le loro famiglie attraverso metodologie appropriate (focus group accessibili, interviste narrative, tecniche di easy reading, comunicazione aumentativa alternativa). Solo attraverso questa partecipazione diretta è possibile cogliere i bisogni emergenti che, spesso, non trovano risposta nei servizi tradizionali: il desiderio di vita indipendente, l’aspirazione al lavoro in ambienti inclusivi, il bisogno di relazioni affettive e sessuali, la volontà di partecipazione alla vita culturale e sportiva del territorio.
Il vero salto di qualità nell’implementazione del d.lgs. 62/2024 richiede un livello di co-progettazione che precede e orienta la costruzione dei singoli progetti di vita individuali. Si tratta della co-progettazione meta-servizio: un processo strategico che ridefinisce l’architettura complessiva del sistema di welfare territoriale, abbandonando la logica dei servizi standardizzati per costruire un ecosistema flessibile e adattivo. Questa co-progettazione è, di per sé, collettiva, perché riguarda principalmente il lavoro di rete tra i diversi soggetti del territorio (enti pubblici, terzo settore, imprese sociali e cittadini) per definire e realizzare progetti che possano avere un impatto ampio sulla comunità. Gli enti del terzo settore possono giocare un ruolo fondamentale in questo processo, sia come progettisti diretti, sia come facilitatori delle relazioni tra i vari attori. Un esempio potrebbe essere la creazione di progetti di inclusione sociale che coinvolgano gruppi vulnerabili, come persone con disabilità, immigrati o anziani, rispondendo a bisogni sociali collettivi attraverso azioni integrate che prendano in considerazione sia l’aspetto educativo, sia quello lavorativo, sanitario e relazionale.
Tuttavia, la co-progettazione collettiva/meta servizio non si limita alla semplice progettazione di servizi o azioni. Deve anche tenere conto della capacità del progetto di adattarsi alle evoluzioni del contesto e dei bisogni della comunità (in una logica ecologica). Un approccio che permetta un continuo monitoraggio e revisione delle azioni, in modo che il progetto possa rimanere efficace e rispondente ai cambiamenti del territorio, è un elemento fondamentale. Le imprese sociali, per esempio, possono attivare percorsi di monitoraggio partecipativo in cui la comunità stessa, attraverso feedback e analisi, può contribuire alla definizione continua del progetto. Questa co-progettazione “meta-servizio” non riguarda la definizione del singolo progetto di vita di Mario o di Giulia, bensì la progettazione congiunta del sistema di opportunità (c.d. sostegni) che il territorio deve mettere a disposizione per rispondere alla varietà infinita dei progetti di vita possibili. È il momento in cui ente locale, enti gestori, famiglie e persone con disabilità definiscono insieme “come vogliamo che sia organizzato il welfare della disabilità nel nostro territorio e quali sostegni si mettono a disposizione per la persona, considerando i diversi e differenziati contesti territoriali”.
Il cuore della co-progettazione collettiva /meta-servizio è la definizione di sostegni intrinsecamente flessibili che superino le categorie tradizionali, ridefinendo “il sistema di opportunità”, i cosiddetti sostegni, che può configurarsi diversamente per tipologia di bisogni: alcune ore di attività di gruppo, alcune ore di accompagnamento individuale, alcune ore di tirocinio lavorativo, alcune ore di attività culturali nel territorio ovvero opportunità residenziali specifiche e personalizzate. Questo approccio richiede una revisione radicale della nozione di servizio: non più un contenitore fisico e organizzativo standardizzato, bensì un insieme di funzioni e competenze che possono essere aggregate in modo diverso per ogni progetto di vita. Questa co-progettazione definisce quindi:
Lo strumento della co-progettazione collettiva/meta-servizio dovrà, per forza di cose, ridefinire criteri di accreditamento completamente nuovi, che non abbandonano, necessariamente, i parametri strutturali tradizionali (metri quadri, rapporti numerici operatore/utente) bensì costruiscono, insieme al sistema degli standard, meccanismi adattivi dei servizi alla personalizzazione dei sostegni all’interno di un quadro regolatorio specifico.
I criteri strutturali devono essere ripensati in termini di potenzialità adattiva: non “20 metri quadri per utente”, quanto “spazi configurabili per attività diverse”, “accessibilità universale”, “possibilità di utilizzo flessibile, ma regolata, degli ambienti”. Non “1 operatore ogni 5 utenti”, quanto “équipe multiprofessionale con competenze specialistiche differenziate”, “capacità di lavoro in rete”, “flessibilità oraria e organizzativa”. Da qui, i criteri di processo diventano centrali: capacità di co-progettazione partecipata, competenze nella valutazione multidimensionale, esperienza nel lavoro di rete, capacità di documentazione e monitoraggio personalizzato. Gli enti accreditati non sono più quelli che gestiscono bene un servizio standardizzato, ma quelli che, dentro un sistema ed un quadro regolatorio determinato con la coprogrammazione, dimostrano di saper costruire risposte personalizzate attraverso processi partecipativi.
I criteri di outcome si spostano, perciò, dall’efficienza nella gestione del servizio all’efficacia nel supportare i progetti di vita: non “tasso di presenza al centro diurno”, bensì “grado di soddisfazione della persona rispetto ai propri obiettivi di vita”, “livello di inclusione sociale raggiunto”, “qualità delle relazioni sviluppate”.
La caratteristica distintiva della co-progettazione collettiva meta-servizio è la definizione di meccanismi sistematici di adattamento che permettono al sistema di modificarsi continuamente in base all’evoluzione dei bisogni e dei desideri delle persone con disabilità, pur dentro un sistema regolatorio di accreditamento dei servizi. Questi meccanismi includono:
Solo a valle di questo processo di co-progettazione meta-servizio può svilupparsi efficacemente la co-progettazione del singolo progetto di vita. Quando il territorio ha definito un sistema flessibile di opportunità, quando ha chiarito i criteri di accesso e di adattamento, quando ha formato gli operatori alle competenze necessarie, allora la co-progettazione individuale, personalizzata e partecipata può attingere a questo ecosistema per costruire risposte veramente personalizzate. La co-progettazione individuale, personalizzata e partecipata non parte quindi dal vuoto o dalla semplice disponibilità di servizi esistenti, bensì da un sistema progettato per essere personalizzabile. Questo ribalta completamente l’approccio tradizionale: non è più la persona che deve adattarsi ai servizi disponibili, ma è il sistema che si configura intorno ai desideri e ai bisogni della persona. In questa prospettiva, la co-progettazione individuale, personalizzata e partecipata diventa un processo più agile ed efficace, perché può concentrarsi sulla personalizzazione di un sistema già pensato per essere flessibile, piuttosto che dover forzare servizi rigidi a adattarsi a esigenze individuali.
Tabella 5.B - Confronto tra approcci di co-progettazione
Dimensione |
Approccio tradizionale |
Co-progettazione meta servizio |
Impatto sulla co-progettazione individuale |
Punto di partenza |
Servizi esistenti standardizzati |
Sistema flessibili progettato ex novo in un quadro regolatorio definito con la coprogrammazione |
Maggiori opzioni di personalizzazione |
Criteri di accesso |
Categorie diagnostiche |
Progetti di vita, desideri individuali e preferenze |
Accesso basato su obiettivi esistenziali |
Modalità organizzative |
Strutture fisse |
Configurazioni adattive, dentro quadro regolatorio |
Servizi e sostegni che si modellano sulla persona |
Competenze professionali |
Specializzazione per servizio |
Competenze trasversali e collaborative |
Equipe multidisciplinari flessibili |
Meccanismi di controllo |
Verifiche di conformità |
Monitoraggio dell’adattamento |
Focus su outcome personalizzati |
Capacità di evoluzione |
Cambiamenti lenti e burocratici |
Adattamento continuo e partecipato |
Progetti di vita dinamici |
Questo nuovo approccio alla co-progettazione personalizzata richiede un investimento iniziale significativo in termini di tempo, risorse e competenze, permettendo di costruire un sistema di welfare territoriale veramente centrato sulla persona, capace di adattarsi continuamente ai bisogni emergenti e di valorizzare appieno le potenzialità degli strumenti dell’amministrazione condivisa previsti dal Codice del Terzo Settore.
La co-progettazione rappresenta lo strumento principe per l’implementazione del nuovo paradigma (De Ambrogio e Marocchi, 2023), così come confermato dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato[3], in quanto supera definitivamente la logica concorrenziale, garantisce continuità progettuale, valorizza l’apporto del Terzo Settore e facilita l’integrazione delle risorse.
Il superamento della logica concorrenziale non è solo una questione procedurale bensì rappresenta un cambio di paradigma culturale. Non più gare o procedure selettive, come prevede la Legge 188/2022 (Semeraro e altri, 2024) e successive modificazioni, ma accreditamento di partners qualificati per competenze specifiche e radicamento territoriale. Questo permette di valorizzare quegli elementi qualitativi - esperienza, innovazione, capacità relazionale - che sono essenziali per la realizzazione di progetti di vita personalizzati seppur difficilmente quantificabili in un capitolato d’appalto o in procedure selettive che fanno della” spersonalizzazione” il tratto distintivo prestazionale.
La garanzia di continuità progettuale attraverso accordi contrattuali pluriennali, all’interno di quadro regolatorio accreditante, assicura quella stabilità necessaria per accompagnare percorsi di vita che richiedono tempo per svilupparsi. I progetti di vita non possono essere interrotti ogni anno per rinnovare appalti o avviare nuove procedure selettive: richiedono relazioni stabili, conoscenza approfondita della persona, investimenti a lungo termine che solo la co-progettazione può garantire.
La valorizzazione dell’apporto del Terzo Settore trova nella co-programmazione e co-progettazione collettiva il suo strumento naturale. Il riconoscimento del valore aggiunto in termini di innovazione, flessibilità e prossimità non rimane solo dichiarato ma diventa praticato attraverso la partnership paritaria con la PA. Gli enti gestori non sono più semplici esecutori quanto co-decisori e co-responsabili del raggiungimento degli obiettivi (Pellegrino e Rodeschini, 2024). La facilitazione dell’integrazione delle risorse rappresenta uno dei vantaggi più concreti della co-progettazione nel contesto del d.lgs. 62/2024. La possibilità di mettere a sistema risorse pubbliche, private e del Terzo Settore permette di costruire budget di progetto più ricchi e diversificati, aumentando le opportunità di personalizzazione e riducendo la dipendenza dai soli finanziamenti pubblici.
La sostenibilità economica degli enti gestori nel nuovo scenario richiede un riaggiornamento del modello di gestione sociale tradizionale. Questo non è solo una necessità contingente legata ai cambiamenti normativi ma rappresenta un’opportunità per rafforzare l’identità e l’autonomia del Terzo Settore. L’economia di scopo vs economia di scala rappresenta un cambio di paradigma economico fondamentale. Mentre il modello tradizionale puntava all’efficienza attraverso la standardizzazione e la massimizzazione dei volumi, il nuovo modello deve valorizzare la personalizzazione come elemento di valore aggiunto. Questo richiede competenze diverse, investimenti diversi, metriche di valutazione diverse, ma può generare valore economico superiore attraverso la differenziazione qualitativa. L’investimento in innovazione sociale diventa un fattore competitivo decisivo: lo sviluppo di nuovi servizi e modalità di intervento non è più solo una possibilità ma una necessità per rimanere rilevanti in un sistema che cambia rapidamente. Gli enti gestori che sapranno innovare costantemente saranno quelli che riusciranno a cogliere le opportunità del nuovo sistema. La valorizzazione degli asset intangibili - competenze, relazioni, reputazione - come elementi di vantaggio competitivo richiede un approccio strategico innovativo (Pisani, 2023) e di “capacità dinamica”.
Lo sviluppo di servizi innovativi (anche in una logica di innovazione adiacente (Venturi e Zandonai, 2022) almeno in una prima fase) rappresenta probabilmente l’opportunità più significativa: il coaching esistenziale per persone con disabilità, l’integrazione di tecnologie assistive avanzate, lo sviluppo di soluzioni domotiche per l’autonomia domestica sono esempi di servizi che nascono direttamente dalla logica del progetto di vita e che possono trovare mercati sia nel settore pubblico che in quello privato.
La formazione e consulenza ad altri enti del Terzo Settore o alle pubbliche amministrazioni permette di capitalizzare il know-how sviluppato nell’implementazione del d.lgs. 62/2024. Gli enti gestori più avanzati nell’innovazione possono diventare consulenti per quelli che sono ancora in fase di transizione, favorendo economie di rete e un neo-mutualismo di comunità.
Il d.lgs. 62/2024 rappresenta per gli enti gestori e le imprese sociali una sfida che richiede coraggio, visione e capacità di innovazione. Le difficoltà sono reali e non devono essere sottovalutate: sostenibilità economica, complessità organizzativa crescente, investimenti non garantiti, relazioni istituzionali da ricostruire. Tuttavia, gli strumenti dell’amministrazione condivisa, in questo contesto normativo, possono offrire una via concreta per trasformare queste criticità in opportunità. La co-programmazione come processo di rilevazione partecipata per il ridisegno politico complessivo del welfare per le persone con disabilità, la co-progettazione collettiva - meta-servizio - come ridefinizione dell’architettura territoriale dei servizi in quadro regolatorio specifico, la co-progettazione individuale, personalizzata e partecipata come personalizzazione reale dei progetti di vita, gli accreditamenti flessibili e le contrattualizzazioni come strumenti di stabilizzazione delle relazioni non sono solo strumenti amministrativi, seppur rappresentano un paradigma rinnovato di relazione tra pubblico e Terzo Settore, perfettamente allineato con la filosofia del Progetto di Vita. Alcuni vantaggi strategici che l’amministrazione condivisa può apportare per l’implementazione del d.lgs. 62/2024, tra loro interconnessi, possono essere:
Il mondo degli enti gestori del Terzo Settore ha dimostrato storicamente una straordinaria capacità di adattamento e innovazione. La transizione al nuovo paradigma del Progetto di Vita, supportata anche dagli strumenti dell’amministrazione condivisa, può diventare l’occasione per riaffermare i valori fondanti del Terzo Settore attraverso modalità operative che li incarnano concretamente, sviluppare nuove competenze in co-progettazione e gestione collaborativa che ne rafforzino il ruolo nel panorama del welfare italiano, costruire alleanze strutturali con la PA basate su fiducia e corresponsabilità che superino definitivamente logiche conflittuali obsolete, e innovare contenuti formativi ed i modelli di intervento in modo partecipato e condiviso con tutti gli stakeholder. Il successo di questa transformation chain dipenderà dalla capacità di promuovere attivamente un cambiamento culturale, non attendendo passivamente l’evoluzione del quadro normativo, ma proponendo e sperimentando concretamente nuove modalità di economie di rete. Sarà fondamentale investire in competenze collaborative, formando il personale non solo sui contenuti tecnici, ma sulle modalità relazionali che rendono efficace la co-progettazione del sistema. Fare rete per il cambiamento sistemico, superando la frammentazione che ha spesso caratterizzato, e che ancora caratterizza, il Terzo settore, sarà indispensabile per influenzare le policy a tutti i livelli. L’amministrazione condivisa, in questa logica, non è solo un istituto giuridico, quanto una filosofia operativa che trasforma gli enti gestori del Terzo settore da fornitori di servizi a costruttori di comunità inclusive (Gotti, 2024), in perfetta sintonia con lo spirito del d.lgs. 62/2024. La strada è complessa, ma ciononostante gli strumenti ci sono. Il Codice del Terzo Settore (d.lgs. 117/2017), la giurisprudenza costituzionale consolidata e le esperienze positive già realizzate sul territorio indicano chiaramente la via da percorrere. Tutto questo ci porta a una conclusione importante: l’attuazione della riforma non è un processo tecnico, bensì un progetto politico. Solo se PA e Terzo settore sapranno allearsi in modo strutturale e generativo, sarà possibile costruire territori intelligenti, capaci di includere, adattarsi, apprendere. Questa alleanza deve fondarsi su quattro pilastri fondamentali:
Se da una parte il Terzo Settore deve raccogliere questa sfida con determinazione, trasformando le difficoltà in occasioni di crescita e affermando definitivamente il proprio ruolo di partner strategico e corresponsabile nella costruzione di una comunità inclusiva, dall’altra la Pubblica Amministrazione deve giocare una leadership istituzionale che, oggi, non si misura più nella capacità di dirigere da soli, quanto in quella di generare alleanze trasformative (Omizzolo, 2013). Chi saprà cogliere le opportunità sarà protagonista della trasformazione. Chi invece rimarrà ancorato alle logiche del passato rischierà di trovarsi progressivamente marginalizzato in un sistema che cambia rapidamente e che premia l’innovazione, la collaborazione e la capacità di mettere veramente al centro la persona con i suoi desideri di vita.
DOI. 10.7425/IS.2025.03.03
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[1] Articolo 28 comma 6 del Dlgs 62/24 “Il riordino e l’unificazione di cui al comma 4 avvengono nel rispetto dei principi di razionalizzazione, efficienza e coprogrammazione con gli enti del terzo settore, nonché nel rispetto dei livelli essenziali richiesti dalle singole discipline e di quanto disposto dall’articolo 1, comma 163, della legge 30 dicembre 2021, n. 234. Le regioni stabiliscono le modalità con le quali le medesime unità garantiscono, con il proprio personale, il supporto di cui all’articolo 22, qualora la persona con disabilità non effettui la nomina di cui al comma 2, lettera c).”
[2] Articolo 30 comma 1 “Le regioni sulla base della rilevazione dei fabbisogni emersi dalle valutazioni multidimensionali e delle verifiche dell’adeguatezza delle prestazioni rese, anche tenendo conto di quanto richiesto come risorse integrative a valere sul Fondo di cui all’articolo 31, co-programmano annualmente, nell’ambito dei loro modelli organizzativi, con gli enti del terzo settore gli strumenti correttivi di integrazione degli interventi sociali e sanitari.”
[3] Sentenza 22 maggio 2024, n. 4540 (Sez. IV) Specifica i confini tra co-progettazione e appalto: evidenziando come la coprogettazione presupponga una vera collaborazione nel ciclo progettuale, non una forma “mascherata” di appalto
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