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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-3-2025-le-cooperative-di-comunita-siciliane-come-soggetti-del-terzo-settore-e-laboratorio-di-sviluppo-territoriale

Numero 3 / 2025

Saggi

Le cooperative di comunità siciliane come soggetti del Terzo settore e laboratorio di sviluppo territoriale

Desiree Saladino

Abstract

Lo studio esplora le cooperative di comunità (CdC) siciliane, presentandole come possibili modelli imprenditoriali innovativi che uniscono la partecipazione civica e il radicamento territoriale per rispondere ai bisogni collettivi e contrastare il degrado. Vengono analizzate le loro origini, spesso legate a contesti di crisi e al declino del welfare, e si evidenzia come possano fungere da sostituto – provvisorio - ai servizi mancanti o da catalizzatore per la rigenerazione sociale e territoriale. Il ruolo delle CdC viene contestualizzato all'interno del Terzo Settore, sottolineando la loro capacità di agire come attori-ponte tra pubblico, privato e società civile, promuovendo lo sviluppo locale e l'innovazione sociale. L’indagine si basa su un approccio qualitativo integrato che combina questionari strutturati, interviste semi-strutturate, analisi documentale, al fine di esplorare il radicamento territoriale e le modalità di azione di nove cooperative attive in Sicilia. L’obiettivo è indagare come queste realtà contribuiscano alla rigenerazione socioeconomica dei territori, evidenziando differenze e convergenze, nonché criticità, potenzialità e forme di innovazione emergenti. Ci si interroga sulla necessità di politiche di sostegno e di strategie collaborative per consolidare e ampliare l’impatto di queste esperienze, posizionandole come laboratori di innovazione sociale capaci di trasformare la marginalità in opportunità di sviluppo territoriale.

Keywords: Cooperative di comunità, sviluppo locale, approccio place-based, innovazione sociale, Terzo Settore, bottom-up, rigenerazione urbana e sociale, welfare

Introduzione

Negli ultimi anni, le cooperative di comunità stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante all’interno dei processi di sviluppo locale in Italia, configurandosi come forme di auto-organizzazione capaci di attivare risorse endogene e rispondere ai bisogni delle collettività territoriali. Nate dall’iniziativa di cittadini, associazioni e amministrazioni locali, esse sono imprese collettive fondate sull’auto-organizzazione degli individui, capaci di rispondere a bisogni comuni attraverso strumenti mutualistici, contrastando al contempo il degrado e favorendo la valorizzazione delle comunità locali (LegaCoop, 2011). Si presentano, quindi, come dispositivi ibridi in cui si intrecciano obiettivi economici, sociali e culturali, attraverso un’azione condivisa orientata alla cura, alla valorizzazione e alla rigenerazione dei territori.

La loro diffusione, particolarmente rilevante nelle aree interne e marginali, risponde a sfide strutturali di lungo periodo come lo spopolamento, il declino dei servizi pubblici e le crescenti disuguaglianze sociali (Dumont, 2016; Balante, Giagnacovo e Pazzagli, 2020). Il presente studio si inserisce in questo quadro, approfondendo il ruolo delle CdC come strumenti place-based capaci di attivare dinamiche di innovazione sociale e governance partecipativa, integrando dimensioni economiche, sociali e culturali. In assenza di una normativa nazionale unitaria, si evidenzia come le differenze regionali producano un mosaico complesso che influisce sulle traiettorie di sviluppo e sulle potenzialità trasformative di queste realtà (Saladino, 2024). La ricerca intende quindi contribuire al dibattito scientifico e politico sul potenziale delle cooperative di comunità nel promuovere uno sviluppo territoriale sostenibile e inclusivo, ponendo particolare attenzione ai contesti fragili del Sud Italia.

Nel contesto siciliano, caratterizzato da marcate disuguaglianze territoriali, da fenomeni persistenti di spopolamento e da condizioni strutturali di svantaggio legate all’insularità, le cooperative di comunità assumono una valenza particolare. In questi territori, spesso definiti marginali, ma ricchi di risorse latenti, esse rappresentano laboratori di sperimentazione sociale e istituzionale, capaci di generare nuove forme di governance locale e innovazione sociale.

L’articolo si propone di analizzare il ruolo delle cooperative di comunità siciliane nei processi di sviluppo locale, approfondendo le specificità organizzative, strutturali e territoriali che le caratterizzano. In particolare, si intende:

  • indagare le modalità attraverso cui queste esperienze contribuiscono alla rigenerazione socioeconomica dei contesti in cui operano, sia rurali che urbani;
  • esaminare le differenze e le convergenze tra cooperative attive in territori periferici e quelle situate in contesti urbani o semi-urbani;
  • evidenziare criticità, potenzialità e forme di innovazione che emergono da tali pratiche;
  • esplorare il rapporto tra le cooperative di comunità e le politiche pubbliche a livello locale e regionale.

A partire da questi obiettivi, l’articolo si interroga su come le cooperative di comunità siciliane contribuiscano alla costruzione di percorsi di sviluppo locale e di rigenerazione socioeconomica, in che misura tali esperienze si radichino nei territori e quali forme di innovazione istituzionale e sociale siano in grado di attivare.

La riflessione si basa sull’analisi di nove casi studio di cooperative di comunità operanti in Sicilia, selezionate sulla base della loro varietà territoriale e del grado di consolidamento. La metodologia adottata combina strumenti quantitativi e qualitativi, attraverso la somministrazione di questionari strutturati e la realizzazione di interviste semistrutturate con referenti delle cooperative e stakeholder territoriali.

Il contributo si articola in sette sezioni. Dopo questo paragrafo introduttivo, viene delineato il quadro teorico di riferimento; si specifica il contesto normativo. Segue una sezione metodologica in cui si esplicitano approccio, strumenti e criteri di selezione dei casi studio. Nella parte centrale, sono illustrati i risultati emersi dall’indagine empirica, che vengono poi discussi criticamente nella sezione successiva. L’articolo si chiude con alcune riflessioni conclusive e indicazioni per ulteriori approfondimenti, nel quadro di una ricerca dottorale ancora in corso.

Le cooperative di comunità

Negli ultimi anni, il fenomeno delle cooperative di comunità ha attirato crescente attenzione anche in termini di mappatura e quantificazione. Diverse indagini e iniziative di ricerca hanno tentato di restituire una stima aggiornata e strutturata della loro diffusione a livello nazionale.

Una delle ricostruzioni più rilevanti è quella proposta da AICCON attraverso il progetto "Economie di luogo. Mappatura delle cooperative di comunità", promosso nell’ambito della Scuola delle Cooperative di Comunità e sostenuto da Legacoop Nazionale e Legacoop Emilia-Romagna. Tale progetto ha permesso di sistematizzare per la prima volta, in un quadro unitario, le esperienze esistenti, evidenziandone caratteristiche organizzative e specificità territoriali. La mappa interattiva risultante dal lavoro censisce attualmente circa 220 cooperative attive (dato aggiornato al 2025).

Anche Euricse (2024) ha fornito un’analisi evolutiva del fenomeno, evidenziando una crescita significativa nel tempo: da circa 50 cooperative nel 2004 si è passati a quasi 300 unità tra il 2022 e il 2024. La distribuzione geografica conferma una presenza diffusa in tutte le macro-aree del Paese, con una maggiore concentrazione nel Nord-est, seguito dal Nord-ovest, dal Centro e dal Sud, mentre le Isole risultano l’area meno rappresentata.

Ulteriori elementi quantitativi emergono dall’ultima mappatura condotta da Legacoop, come riportato da Paolo Scaramuccia, responsabile nazionale per lo sviluppo locale, le cooperative di comunità e i servizi associativi. Secondo questa rilevazione, le cooperative di comunità attive sarebbero oltre 300, di cui 110 aderenti a Legacoop. Di queste, oltre il 90% opera in contesti fragili, piccoli comuni a rischio spopolamento e aree interne. Tuttavia, il modello risulta in espansione anche in contesti urbani, confermando la versatilità dello strumento in relazione ai diversi bisogni locali.

Accanto alla dimensione quantitativa del fenomeno, è emersa una ricca riflessione teorica che consente di approfondire la natura e il ruolo delle cooperative di comunità.

Le cooperative di comunità (CdC) si configurano come forme imprenditoriali emergenti che combinano la partecipazione attiva dei cittadini, un forte radicamento territoriale e finalità di mutualità allargata, agendo in favore non solo dei soci ma dell’intera comunità locale. Esse sono imprese collettive fondate sull’auto-organizzazione degli individui, capaci di rispondere a bisogni comuni attraverso strumenti mutualistici, contrastando al contempo il degrado e favorendo la valorizzazione delle comunità locali (LegaCoop, 2011).

Il contesto in cui si sviluppano è spesso segnato da condizioni di crisi strutturale (Dumont, 2016): esse emergono in scenari segnati dall’affaticamento del welfare, dall’invecchiamento demografico, dal mutamento delle strutture familiari e dalle difficoltà occupazionali, soprattutto tra i giovani. In questa prospettiva, la cooperativa di comunità può assumere sia un ruolo di supplenza rispetto ai vuoti lasciati dalle istituzioni, sia una funzione di rigenerazione sociale e territoriale. Alcune letture più critiche ne sottolineano la natura contingente e talvolta fragile, definendo la CdC come una “pillola palliativa momentanea”. Secondo tali interpretazioni, solo se inserita in processi multiscalari e multi-attore, essa può contrastare il declino funzionale dei territori riconoscendone il potenziale trasformativo capace non solo di generare beni e servizi, ma anche nuove identità e reti sociali e attivando percorsi di territorializzazione auto-sostenibili (Pezzi, Urso, 2018).

In una lettura più radicale, le cooperative di comunità sono assimilabili ad una «reazione sovversiva e consapevole», capace di attivare nuove traiettorie di cittadinanza economica, fuori dai circuiti canonici del mercato e della pubblica amministrazione (Teneggi, 2018). In modo complementare, sono considerate come attori centrali di sviluppo cooperativo e inclusivo, orientate alla generazione di reddito e lavoro attraverso la valorizzazione delle risorse locali e il protagonismo civico (Alfonsi, 2020); risposta concreta allo spopolamento delle aree interne e al degrado urbano, fondata sulla partecipazione dei cittadini e sull’interesse collettivo (Balante, Giagnacovo e Pazzagli, 2020).

Sul piano giuridico e costituzionale, le CdC sono piena espressione dei principi cooperativi, capaci di promuovere l’azione solidale dei cittadini e lo sviluppo locale (Iacobelli, Scaramuccia, 2024). Il legame tra impresa e territorio è imprescindibile: esse sono “organizzazioni economiche radicate ai luoghi”, sottolineando il loro modello di governance inclusivo, orientato al benessere collettivo e alla mobilitazione delle risorse dormienti (Euricse, 2024). In una precedente analisi, Euricse (2016) già evidenziava il carattere distintivo di queste imprese, capaci di servire l’interesse generale attraverso forme di gestione democratica e pratiche redistributive.

La dimensione trasformativa delle cooperative di comunità, descritte come esperienze nate “dai cittadini per i cittadini”, avvia processi di forniture di servizi multifunzionali, rivitalizzazione dei i territori marginalizzati, e reinvestimenti degli utili per il bene comune e generare impatti positivi sia sul piano economico che ambientale e culturale (LegaCoop, 2024). L’evoluzione delle CdC si colloca quindi in un’area di confine sempre più sfumata rispetto alle cooperative tradizionali distinguendosi per l’ampiezza e la trasversalità dei bisogni a cui queste ultime rispondono, rivolgendosi all’intera comunità e contribuendo attivamente allo sviluppo territoriale attraverso la valorizzazione delle risorse locali (Depedri, Turri, 2015). Solo di recente, questo modello è stato esplicitamente riconosciuto all’interno del paradigma dello sviluppo locale evidenziandone la capacità di integrare dimensioni economiche e sociali in una prospettiva territoriale (Mori, Sforzi, 2018) come potenziale strumento ibrido tra economia civile e rigenerazione territoriale (Bianchi, 2021). Le motivazioni alla base della nascita delle cooperative di comunità (CdC) differiscono significativamente tra le aree interne e i centri urbani. Nelle aree interne, queste realtà emergono prevalentemente con l’obiettivo di riattivare servizi essenziali e valorizzare il patrimonio locale, rispondendo a forme di marginalità e spopolamento; nei contesti urbani, fenomeno più recente, le cooperative di comunità si costituiscono soprattutto per promuovere nuove forme di aggregazione sociale, finalizzate a incentivare il coinvolgimento collettivo in progetti condivisi (Iacobelli, Scaramuccia, 2024).

Le posizioni teoriche sulle cooperative di comunità (CdC) emerse nel dibattito scientifico italiano offrono letture molteplici e talvolta complementari. In primo luogo, è stata sottolineata la natura relazionale e territoriale delle CdC, evidenziandone la capacità di valorizzare le risorse latenti di contesti periferici attraverso processi di auto-organizzazione collettiva (Bandini, Medei, Travaglini, 2015). In questa prospettiva, la CdC non è semplicemente un soggetto economico, ma si configura come un dispositivo di attivazione civica e di coesione sociale, fondato sull’interdipendenza tra comunità locale e impresa.

Esse sono espressione di innovazione dal basso, capaci di generare nuove economie territoriali mediante processi ibridi che integrano pratiche sociali, culturali e produttive (Calvaresi, Pacchi, Zanoni, 2015). Queste esperienze sono state lette come risposte concrete all’erosione delle reti tradizionali di welfare e come forme di cittadinanza attiva che ridefiniscono il rapporto tra abitanti e spazio vissuto.

Una prospettiva orientata al concetto di resilienza descrive le CdC come reazioni emergenti a shock economici, sociali e ambientali (Colucci, Cottino, 2015). Tali imprese, lungi dall’essere soluzioni tecniche o meri strumenti di sostituzione pubblica, attivano risorse simboliche e materiali attraverso un processo di ri-significazione collettiva dello spazio locale. Il riferimento alla resilienza, in questa chiave, non è inteso come adattamento passivo, ma come possibilità di trasformazione attiva delle condizioni di marginalità.

Partendo da un’analisi di caso, è stata posta l’attenzione sulla natura ambivalente delle cooperative di comunità, collocandole in un’area di confine tra finalità mutualistiche e interesse generale (Depedri e Turri, 2015). Tali forme organizzative si distaccano dal modello cooperativo classico, configurandosi come soggetti plurali in grado di combinare in modo flessibile esigenze economiche, sociali e culturali.

Sul piano dell’analisi dei processi generativi, alcune letture superano la retorica della “buona pratica” per concentrarsi sulle condizioni strutturali che favoriscono l’emergere delle CdC (Borzaga, Zandonai, 2015). Le cooperative di comunità non sono entità isolate, bensì esiti di dinamiche complesse che coinvolgono reti locali, soggetti intermedi e istituzioni. Il loro potenziale generativo risiede nella capacità di articolare bisogni collettivi, risorse endogene e pratiche di innovazione sociale.

Dal punto di vista giuridico, le CdC sono state inquadrate all’interno del più ampio processo di riforma del Terzo Settore italiano, come una possibile declinazione dell’impresa sociale (Fici, 2015). In tal senso, è stata sottolineata la necessità di una cornice legislativa adeguata che riconosca e valorizzi la specificità di queste esperienze.

Infine, è stato approfondito il rapporto tra cooperazione di comunità e gestione partecipata dei servizi pubblici, mettendo in luce come le CdC possano rappresentare uno strumento efficace per promuovere modelli di amministrazione condivisa (Mori, 2015). La partecipazione dei cittadini, in questo quadro, non si limita alla fase di erogazione del servizio, ma si estende alla sua progettazione e valutazione, rafforzando così la dimensione democratica dell’azione collettiva.

In tale contesto, è opportuno interrogarsi sul ruolo delle cooperative di comunità (CdC) entro l’ecosistema del Terzo Settore, cui potenzialmente possono appartenere, rappresentandone una forma innovativa e potenzialmente strategica. Ai sensi del Codice del Terzo Settore (art. 4, d.lgs. 117/2017), rientrano infatti tra gli Enti del Terzo Settore (ETS) − se iscritti al RUNTS − diversi soggetti quali ODV, APS, enti filantropici, imprese sociali (incluse le cooperative sociali), reti associative, SOMS e altri enti privati senza scopo di lucro impegnati in attività di interesse generale (art. 5). In questo quadro, la sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale ha evidenziato che le CdC, laddove siano riconosciute come imprese sociali, possono conseguentemente essere parte del Terzo Settore, e pertanto relazionarsi in modo collaborativo ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 con la pubblica amministrazione nella gestione condivisa di servizi di interesse generale e nello sviluppo locale. Ciò alimenta un dibattito aperto sulla varietà dei modelli giuridici regionali e sulla prospettiva di inquadrarle come imprese sociali, riconoscendone le finalità di interesse generale al pari di quanto avviene per le cooperative sociali e ponendo al centro la necessità di un sistema di valutazione delle loro performance e del loro ciclo di vita. Questa posizione pone a sua volta la questione dei termini in cui le CdC – che attualmente non dispongono di un inquadramento normativo univoco a livello nazionale - possono essere riconosciute come imprese sociali e pertanto come ETS (su questo, si veda ad esempio Borzaga e Sforzi 2019).

All’interno di tale cornice interpretativa, le cooperative di comunità (CdC) possono essere lette come autentiche espressioni di innovazione sociale, in quanto capaci di attivarsi nei territori più fragili per affrontare diseguaglianze e ingiustizie spaziali (Dumont, 2014). La loro azione non si limita all’erogazione di nuovi servizi e opportunità, ma mira anche alla costruzione di forme di cittadinanza attiva e alla promozione della gestione collettiva delle risorse territoriali (Pezzi, Urso, 2018).

In questa prospettiva, le cooperative di comunità si distinguono non solo per la loro capacità operativa, ma anche per la loro carica trasformativa. Esse attivano nuove forme di governance dal basso, promuovono inclusione sociale, stimolano la cooperazione tra attori eterogenei e contribuiscono alla costruzione di nuovi significati, pratiche e relazioni spaziali. Tale azione rispecchia la definizione di innovazione sociale come un processo che genera risposte nuove ed efficaci a bisogni collettivi, attivando risorse latenti e costruendo relazioni di fiducia in contesti spesso marginali (Moulaert et al., 2013). Le CdC sfruttano il “potere della marginalità” come leva trasformativa, convertendo le condizioni di esclusione sociale in occasioni per sviluppare nuove reti relazionali e forme di governance collaborativa (Moulaert et al., 2013). La dimensione territoriale, intesa come un rapporto biunivoco tra spazio, luogo e ricadute territoriali (Carta, Lino e Macaluso, 2018), rende il fenomeno delle CdC intrinsecamente radicato nei contesti locali e trasformativo proprio in tali ambiti (Moulaert et al., 2013; Dax et al., 2016; Carta, Lino, Orlando, 2018). In tal modo, le CdC si configurano come veri e propri laboratori di innovazione sociale su scala locale. L’approccio teorico più recente interpreta l'innovazione sociale come un concetto multidimensionale: essa è al tempo stesso oggetto di ricerca, riferimento normativo e categoria operativa (Marques et al., 2018). In questo panorama, le imprese sociali, come le CdC, assumono un ruolo particolarmente rilevante, essendo identificate come attori chiave nei processi innovativi (Zivojinovic et al., 2019; Best, Myers, 2021; Slee et al., 2022; Vercher, 2022).

In sintesi, le CdC rappresentano un fenomeno ibrido e in continua evoluzione, situato all’intersezione tra economia sociale, politiche di rigenerazione territoriale e innovazione sociale. Nonostante la frammentazione normativa e le criticità emerse, esse si delineano come strumenti potenzialmente trasformativi, capaci di ridefinire le logiche del welfare locale. Il presente contributo intende inserirsi in questo dibattito, approfondendo il ruolo di tali realtà nei processi di rigenerazione urbana.

Il quadro normativo

In Italia, l’assenza di una normativa nazionale unitaria in materia di cooperazione comunitaria ha lasciato ampio spazio all’iniziativa delle singole Regioni, le quali, esercitando la propria autonomia legislativa, hanno adottato provvedimenti differenti per disciplinare il fenomeno. Questa situazione ha portato alla nascita di un mosaico normativo eterogeneo, in cui ogni Regione definisce in modo autonomo i criteri di costituzione, funzionamento e regolamentazione di tali realtà. Ne deriva un contesto disomogeneo che può influenzare l’efficacia e l’uniformità delle pratiche cooperative a livello nazionale (Saladino, 2024). Inoltre, non tutte le Regioni hanno ancora legiferato in materia, rendendo il quadro complessivo ancora incompleto.

Inoltre, le imprese di comunità sembrerebbero compatibili con la disciplina dell’impresa sociale (d.lgs. 112/2017), motivo per cui secondo alcuni autori (Sforzi, Borzaga, 2019) potrebbe essere ragionevole intervenire modificando e ampliando la disciplina sull’impresa sociale piuttosto che istituendo una nuova qualifica ad hoc. Secondo questa posizione, sarebbe sufficiente intervenire con taluni aggiustamenti normativi – come una governance più inclusiva, la valorizzazione del lavoro volontario e un legame territoriale esplicito – per garantire il riconoscimento di queste realtà senza aumentare la complessità legislativa e mantenendo il focus sul benessere delle comunità.

In questo quadro normativo frammentato, l’esperienza della Regione Siciliana rappresenta un esempio significativo di regolamentazione specifica, che consente di osservare come le singole legislazioni regionali declinino in modo autonomo finalità, strumenti e ambiti di applicazione del modello cooperativo di comunità. Le cooperative di comunità, secondo quanto stabilito dalla Legge regionale della Sicilia n. 25 del 27 dicembre 2018, costituiscono un soggetto pensato per favorire lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale in territori soggetti a rischio di spopolamento o in situazioni di disagio sociale, incluse le aree urbane. Tale legge ne definisce l’inquadramento giuridico, specificando che devono essere costituite ai sensi degli articoli 2511 e seguenti del Codice civile e iscritte all'albo delle cooperative. Le finalità attribuite dalla normativa regionale comprendono il soddisfacimento dei bisogni collettivi delle comunità locali, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita in termini sia sociali sia economici. In coerenza con quanto previsto dalla Legge, le CdC operano attraverso la valorizzazione delle competenze della popolazione residente, delle tradizioni culturali e delle risorse territoriali. Le attività previste dalla norma si basano su criteri di sostenibilità e includono la produzione di beni e servizi, il recupero e la gestione di beni ambientali e culturali, nonché la promozione di opportunità occupazionali rivolte agli abitanti del territorio.

Una normativa nazionale unitaria in materia di cooperative di comunità permetterebbe di superare l’attuale frammentazione normativa regionale, garantendo un quadro giuridico omogeneo e un riconoscimento certo su tutto il territorio nazionale. Ciò renderebbe più semplice la costituzione e la gestione delle cooperative di comunità, rafforzandone il ruolo, la legittimazione istituzionale e l’accesso ai finanziamenti pubblici e privati. Infatti, la proliferazione di leggi eterogenee rende sempre più necessaria una disciplina nazionale unitaria (Della Croce, 2021). La crescita quantitativa delle imprese di comunità suggerisce indirettamente che, data la loro espansione e diffusione quasi omogenea tra regioni, una disciplina nazionale aiuterebbe a tutelarne e promuoverne meglio il ruolo (Sforzi, 2022). Dal punto di vista territoriale, una legge quadro nazionale assicurerebbe pari opportunità a tutte le comunità, comprese quelle dei contesti più marginali e rurali, evitando disuguaglianze legate alla presenza o assenza di una legge regionale e supportando un più equo sviluppo locale. Un impianto normativo nazionale, però, rischierebbe di risultare troppo rigido e generico, poco aderente alle diversità sociali ed economiche dei territori. Potrebbe inoltre rallentare i processi di innovazione locale e bloccare sperimentazioni virtuose già avviate in alcune Regioni, riducendo la capacità delle cooperative di adattarsi ai bisogni specifici delle comunità.

Al contrario, alcuni autori ritengono che la frammentazione legislativa regionale rappresenti una forma di adattabilità positiva, in quanto consente alle Regioni di interpretare il modello della cooperativa di comunità in relazione alle specificità sociali, culturali ed economiche dei propri territori (Medei, Travaglini, 2015). Un approccio differenziato favorisce sperimentazioni normative e istituzionali che possono rispondere meglio alle esigenze locali e generare modelli innovativi di cooperazione (Bianchi, 2021). Le regolamentazioni regionali rappresentino laboratori normativi, utili per sperimentare forme innovative di cooperazione (Della Croce, 2021). In termini territoriali, ciò permette di valorizzare le peculiarità dei contesti interni o periferici, elaborando strumenti normativi più vicini ai bisogni reali delle comunità. Ne consegue che l’eccessiva differenziazione normativa potrebbe generare disuguaglianze territoriali significative, con Regioni più avanzate e altre completamente sprovviste di una disciplina di riferimento. Ciò creerebbe incertezza giuridica, disparità nell’accesso ai finanziamenti e ostacolerebbe la comparabilità dei modelli, rendendo più difficile definire indicatori comuni di impatto o costruire politiche pubbliche coordinate a livello nazionale.

In un’ottica di sviluppo multilivello, si potrebbe auspicare in una soluzione intermedia che preveda una legge quadro nazionale di inquadramento generale delle cooperative di comunità, accompagnata dalla possibilità per le Regioni di declinare la normativa secondo le caratteristiche dei propri territori. Questo approccio permetterebbe di garantire una base giuridica uniforme – utile per l’accesso ai finanziamenti e per la misurazione degli impatti – senza rinunciare alla flessibilità e alla capacità di adattamento territoriale già sperimentate a livello regionale. Tale modello integrato potrebbe favorire sia l’equità tra territori sia l’innovazione locale, rafforzando il ruolo delle cooperative di comunità nelle politiche di coesione territoriale.

Metodologia

L’indagine si fonda su un approccio qualitativo integrato, finalizzato ad analizzare le caratteristiche strutturali, organizzative e territoriali delle cooperative di comunità siciliane, nonché il ruolo che esse svolgono nei processi di sviluppo locale. La raccolta dei dati è avvenuta attraverso una combinazione di strumenti e tecniche: la somministrazione di questionari strutturati, realizzati tramite la piattaforma Google Forms, ha permesso di acquisire informazioni sistematiche relative all’organizzazione interna, agli ambiti di intervento, alle modalità di coinvolgimento comunitario e ai rapporti con gli enti pubblici. A tale rilevazione si è affiancata la conduzione di interviste semi-strutturate rivolte ai referenti delle cooperative, volte ad approfondire gli aspetti più qualitativi e contestuali dell’azione territoriale, i processi decisionali, le pratiche partecipative e le forme di innovazione attivate.

Il percorso di ricerca è stato inoltre supportato da un’attività di analisi documentale, basata sull’esame di materiali istituzionali, statuti, regolamenti interni, contenuti digitali e fonti giornalistiche. A questa si è aggiunta una restituzione cartografica delle informazioni raccolte, effettuata attraverso l’uso del software QGIS, che ha consentito di spazializzare i dati e di indagare il radicamento territoriale delle cooperative. L’organizzazione e la sistematizzazione dei dati sono state facilitate dall’impiego di tabelle comparative in formato Excel, utili alla costruzione di una lettura trasversale dei casi studio.

La selezione dei nove casi analizzati è avvenuta sulla base di un criterio di esaustività territoriale e di attendibilità delle fonti. Le cooperative considerate rappresentano, infatti, l’insieme delle esperienze attive in Sicilia al momento della rilevazione, identificate attraverso il registro regionale delle cooperative sociali, il database nazionale AICCON e un’attività di ricognizione on-desk condotta tra il 2023 e il 2024. Sebbene eterogenee per forma giuridica, ambito di intervento e livello di maturità, tutte le realtà selezionate si configurano come cooperative di comunità riconosciute o autodefinite, con un’esplicita vocazione alla valorizzazione del territorio e al coinvolgimento della comunità locale.

L’analisi è stata guidata da una griglia interpretativa costruita ad hoc, che ha consentito di comparare in maniera sistematica gli elementi salienti delle esperienze osservate. Tra gli assi principali della griglia vi sono la tipologia giuridica, lo stadio di sviluppo, la missione dichiarata, gli impatti generati — sia materiali che immateriali — e le relazioni attivate con soggetti istituzionali. Tale impostazione ha permesso di mettere in luce convergenze e differenze tra le cooperative analizzate, nonché di evidenziare le potenzialità e i limiti dei modelli adottati nei diversi contesti territoriali.

I casi studio

Le nove cooperative di comunità attive in Sicilia sono distribuite in una pluralità di contesti territoriali: aree interne e marginali, territori urbani e realtà insulari. Pur differenziandosi per forme giuridiche, funzioni esercitate e modalità di relazione con gli attori locali, i casi selezionati condividono una comune tensione verso la produzione di impatti spaziali e territoriali in risposta a bisogni collettivi. Le cooperative analizzate sono: Terra delle Balestrate (Balestrate), Trame di Quartiere (Catania), Agricola Mpidusa (Lampedusa e Linosa), Prospettiva 180 (Mazzarrone), Parco Laudato Sì (tra Piazza Armerina e Gela), Leontinoi e Badia Lost & Found (Lentini), Valli Basiliane (Messina) e Identità e Bellezza (Sciacca).

Tabella 1. Cooperative di Comunità in Sicilia.

Aspetti / Cooperative

Terra delle Balestrate

Trame Quartiere

Agricola Mpidusa

Prospettiva 180

Parco Laudato Sì

Leontinoi

Badia Lost & Found

Valli Basiliane

Identità e Bellezza

1 Panoramica sintetica

Nome

Terra delle Balestrate

Trame Quartiere

Agricola Mpidusa

Prospettiva 180

Parco Laudato Sì

Leontinoi

Badia Lost & Found

Valli Basiliane

Identità e Bellezza

Anno istituzione

2023

2020

2020

2023

2020

2019

2020

2019

2023

Comune

Balestrate

Catania

Lampedusa Linosa

Mazzarrone

Piazza Armerina / Gela

Lentini

Lentini

Messina

Sciacca

Aree di intervento

Interna – comune costiero

Urbano

Isola

Interna

Interna

Interna

Interna

Urbana – comune costiero

Interna – comune costiero

Popolazione (circa | ab. | 2023)

~6.000

>280.000

~6.500

~3.900

~70.000

~21.000

~21.000

>200.000

~40.000

Area interna (sì/no)

Si

No

No

2 Tipologie giuridiche e classificazione

Prima forma giuridica

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa sociale agricola di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Produzione e Lavoro

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Attuale forma giuridica

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa sociale agricola di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Cambiata a Cooperativa Sociale (2023)

Cooperativa di Produzione e Lavoro

Cooperativa di Comunità

Cooperativa di Comunità

Reputazione percepita

Positiva, dinamica

Positiva, radicata

Positiva, attiva

Limitata

Media

Limitata

Positiva, radicata

Limitata

Positiva, ben inserita

3 Fasi di sviluppo

Stato fase

In sviluppo

Matura

In sviluppo

Embrionale

Matura

Rallentata e trasformata

Matura

In sviluppo

Matura

Fattori acceleranti

Bandi città metropolitana di Palermo, partecipazione comunitaria

Progetti culturali e sociali, partecipazione

Progetti PNRR, agricoltura sociale

--

Coinvolgimento scuole, educazione

Iniziative sociali, inserimento ex detenuti

Progetti culturali, murales, teatro

Ripristino sentieri, turismo lento

Museo diffuso, rete associazioni

Fattori rallentanti

Risorse finanziarie limitate

Difficoltà con amministrazione

Difficoltà infrastrutturali

Limitata sostenibilità finanziaria

Problematiche infrastrutturali

Limite ancoraggio territoriale, mancanza finanziamenti

Rapporti altalenanti con Comune, ambiguità giuridica

Problemi burocratici, infrastrutturali

-

4 Innovazione sociale

Cosa innovano?

Spazi sociali di aggregazione

Rigenerazione spazi urbani, partecipazione

Agricoltura sociale e inclusione

--

Educazione ambientale, comunità educante

Inclusione ex detenuti, eventi

Rigenerazione urbana e culturale

Turismo lento integrato

Museo diffuso, narrazione digitale, sostenibilità

Valore generato

Inclusione sociale e culturale

Partecipazione attiva, rigenerazione

Occupazione, sviluppo rurale

--

Educazione, benessere comunità

Inclusione sociale, servizi sociali

Valorizzazione culturale, coesione

Turismo sostenibile, comunità attiva

Sviluppo locale, occupazione, coesione sociale

Coinvolgimento cittadini e istituzioni

Alto, con scuole e associazioni

Alto, con artisti, cittadini

Medio, con enti locali e scuole

Medio, con tribunale e scuole

Alto, con scuole e istituzioni

Limitato, comunicazione debole

Medio, con Comune e istituzioni

Limitato, difficoltà rapporti

Alto, rete ampia di associazioni e enti

5 Relazione con territorio e politiche

Rapporti con enti locali

Collaborativi ma con risorse limitate

Variabili, rapporti altalenanti

Collaborazione con enti locali

Protocollo con Tribunale, relazioni limitate

Collaborazione con scuole e istituzioni

Scarsa collaborazione, protocolli sociali

Altalenanti con Comune, collaborazioni esterne

Difficili con amministrazione

Collaborazione stabile con Comune e Fondazioni

Finanziamenti ricevuti

Bandi regionali, autofinanziamento

Bandi culturali, autofinanziamento

PNRR, bandi regionali, autofinanziamento

Autofinanziamento, pochi bandi

Fondi regionali, progetti educativi, autofinanziamento

Autofinanziamento, assenza fondi specifici

Bandi pubblici, autofinanziamento

Finanziamenti regionali, autofinanziamento

Finanziamenti pubblici, Invitalia, Resto al Sud

 

Nelle cooperative di comunità siciliane analizzate, l’aspetto della valorizzazione territoriale e del coinvolgimento diretto della popolazione locale costituisce un tratto distintivo che ne definisce la natura “di comunità” ben oltre la dimensione giuridica. La loro azione, infatti, nasce dall’intreccio tra bisogni locali e risorse specifiche dei luoghi: a Balestrate la cooperativa Terra delle Balestrate ha ricostruito legami comunitari attraverso il recupero di spazi urbani abbandonati; Trame di Quartiere a Catania ha avviato processi di rigenerazione urbana nel quartiere di San Berillo con un forte coinvolgimento degli abitanti; l’Agricola Mpidusa opera a Lampedusa e Linosa promuovendo modelli produttivi legati all’agricoltura e al turismo sostenibile per contrastare fenomeni di marginalità; Prospettiva 180 a Mazzarrone e il Parco Laudato Sì tra Piazza Armerina e Gela hanno posto al centro la cura dei beni comuni; mentre Leontinoi e Badia Lost & Found a Lentini hanno attivato processi di riappropriazione culturale e identitaria. A Messina, la cooperativa Valli Basiliane valorizza antiche pratiche agricole e saperi tradizionali, e a Sciacca Identità e Bellezza incentiva percorsi di memoria e di narrazione collettiva.

In tutti questi casi, il coinvolgimento della comunità non si esaurisce nella partecipazione formale dei soci, ma si traduce in pratiche concrete di co-produzione, recupero di patrimoni materiali e immateriali, rigenerazione di spazi e rafforzamento di legami sociali. È in questa dimensione sostanziale, radicata nei luoghi e nelle relazioni, che tali esperienze assumono a pieno titolo la connotazione di “cooperative di comunità”.

Dal punto di vista temporale, tutte le cooperative sono state istituite nell’ultimo quinquennio, segno di un fermento recente che testimonia l’affermazione del modello place-based anche nei contesti meridionali. La maggior parte delle iniziative è stata avviata tra il 2019 e il 2023. Un caso peculiare è rappresentato da Leontinoi, che ha modificato la propria forma giuridica in cooperativa sociale per affrontare alcune difficoltà di natura organizzativa ed economica. Dall’intervista alla presidente è infatti emerso che la delimitazione territoriale prevista dalla legge siciliana per individuare il bacino di riferimento della cooperativa di comunità si è rivelata un vincolo operativo significativo: le attività non erano circoscritte al solo territorio di Lentini, ma includevano collaborazioni e progettualità anche al di fuori del confine comunale. La trasformazione in cooperativa sociale ha quindi permesso di superare questi limiti, ampliando il raggio d’azione e garantendo maggiore flessibilità nell’accesso a reti e opportunità di finanziamento.

Sotto il profilo giuridico, alcune realtà operano formalmente come cooperative di comunità, mentre altre, pur adottando forme istituzionali differenti, si riconoscono nella definizione e nei principi di tale modello. Il numero dei soci, laddove noto (come nel caso di Badia Lost & Found, Valli Basiliane, Leontinoi e Prospettiva 180), varia da un minimo di 10 a un massimo di circa 25 unità.

In termini di composizione della base sociale, si tratta per lo più di cittadini attivi con precedenti esperienze nel mondo associativo: diverse cooperative, infatti, rappresentano l’evoluzione di gruppi già organizzati nel terzo settore (come nel caso di Balestrate, Catania e Lampedusa, nate rispettivamente da esperienze associative e/o da un’APS), mentre altre hanno origine da iniziative di giovani attivisti (Badia Lost & Found) o da progetti promossi da istituzioni ecclesiali e/o locali (ad esempio il progetto Policoro a Messina o l’iniziativa comunale a Mazzarrone). Pur trattandosi in prevalenza di soci che operano professionalmente in altri settori, alcune cooperative hanno saputo attivare opportunità occupazionali dirette: quattro realtà hanno generato tra due e cinque posti di lavoro stabili o a termine, una ha superato tale soglia, mentre tre non sono ancora riuscite a creare occupazione. Ne deriva quindi una base sociale relativamente ristretta, ma con caratteri multi-stakeholder, in quanto capace di includere cittadini, attivisti, istituzioni e talvolta soggetti religiosi. Quanto al coinvolgimento della comunità più ampia, i dati del questionario restituiscono una notevole varietà di pratiche. Alcune cooperative hanno sviluppato percorsi con le scuole (come a Balestrate, con attività di narrazione territoriale legate all’iniziativa “Borghi dei Tesori”), altre puntano su canali informali come il passaparola e i social network, strumenti particolarmente efficaci nei piccoli centri dove le relazioni si fondano su prossimità e fiducia reciproca. Dal punto di vista organizzativo, sei cooperative su otto promuovono assemblee periodiche di ascolto rivolte alla comunità, cinque attivano gruppi di lavoro tematici e quattro organizzano consultazioni periodiche o eventi pubblici. Tuttavia, solo due cooperative dichiarano di avvalersi anche di consultazioni occasionali, a conferma di una tendenza generale verso forme di coinvolgimento più strutturate e continuative.

Le fonti di finanziamento evidenziano una significativa eterogeneità: alcune cooperative si sostengono principalmente attraverso attività autofinanziate, ovvero attraverso la vendita di servizi sul mercato privato e mediante quote di autofinanziamento, altre attingono a risorse pubbliche – come i fondi di Invitalia, PNRR, bandi regionali o contributi della Fondazione con il Sud – mentre in diversi casi si registra una forte dipendenza da progetti a termine o sponsorizzazioni. L’assenza di un sostegno finanziario continuativo rappresenta una criticità trasversale, con ricadute negative sulla possibilità di pianificazione a lungo termine, soprattutto per le realtà più piccole e radicate in territori fragili.

Dal punto di vista funzionale, le cooperative assumono ruoli molteplici operando quindi in diversi settori di attività. Si distinguono progetti focalizzati sulla rigenerazione urbana e culturale (Badia Lost & Found, Identità e Bellezza), sulla produzione agricola sostenibile e l’inclusione lavorativa (Agricola Mpidusa, Prospettiva 180), sull’erogazione di servizi educativi e sulla promozione di comunità educanti (Parco Laudato Sì), sulla valorizzazione del patrimonio naturale e turistico (Valli Basiliane), e sulla cura dello spazio pubblico e il contrasto alla marginalità urbana (Trame di Quartiere). Particolarmente articolata è l’esperienza della cooperativa Identità e Bellezza di Sciacca, che con il progetto del “Museo Diffuso dei 5 Sensi” integra narrazione territoriale, turismo esperienziale e inclusione socioeconomica.

Le relazioni con gli enti locali risultano ambivalenti: se in alcuni contesti (Balestrate, Gela, Messina) la cooperazione appare fragile o marginale, in altri casi (Sciacca, Catania, Lampedusa) le cooperative svolgono un ruolo attivo nella co-progettazione di interventi, seppur con limiti legati a carenze strutturali. In generale, la capacità di costruire reti multi-attore a livello locale e sovralocale emerge come elemento cruciale per la resilienza delle iniziative. In tal senso, la cooperativa di Sciacca rappresenta un caso emblematico, collaborando stabilmente con oltre 45 tra associazioni e soggetti istituzionali, e configurandosi come un laboratorio di governance territoriale.

I risultati generati da queste esperienze si declinano sia sul piano materiale che immateriale. Si riscontrano interventi di riqualificazione urbana (come il Parco Urbano d’Arte a Lentini o il recupero delle Grotte del Monte Kronio a Sciacca), la creazione di servizi di prossimità (infopoint, mense scolastiche, orti didattici), e la promozione di pratiche di turismo lento e sostenibile. In molte iniziative emerge inoltre una dimensione pedagogica e culturale, legata alla narrazione dei luoghi e alla partecipazione comunitaria, che contribuisce a rafforzare il senso di appartenenza e l’identità collettiva. In alcuni casi, tali azioni si traducono in veri e propri impatti, come la riattivazione di spazi urbani dismessi, il miglioramento dell’accessibilità ai servizi e la creazione di nuove opportunità di socialità e di economia locale.

Le principali criticità individuate riguardano la fragilità giuridico-finanziaria, la difficoltà di riconoscimento istituzionale e la resistenza al cambiamento da parte delle comunità locali. A queste si aggiunge una percezione spesso ambivalente del ruolo delle cooperative di comunità, sia da parte degli enti pubblici sia della cittadinanza. Da un lato, esse vengono considerate strumenti innovativi di sviluppo locale, capaci di attivare risorse e competenze latenti; dall’altro, possono essere viste con diffidenza, talvolta percepite come iniziative temporanee, legate a specifici bandi o alla volontà di pochi promotori, piuttosto che come soggetti economici stabili e duraturi.

Questa ambivalenza si traduce in conseguenze pratiche: gli enti pubblici non sempre riconoscono pienamente le cooperative come interlocutori affidabili nei processi di programmazione territoriale, mentre all’interno delle comunità locali possono emergere resistenze dovute al timore di delegare a un soggetto collettivo la gestione di beni e servizi condivisi. Tali elementi incidono sulla capacità di radicamento delle cooperative e sulla sostenibilità a lungo termine delle progettualità, rendendo necessario un continuo lavoro di costruzione di fiducia e di legittimazione, sia sul piano istituzionale sia su quello sociale.

L’elaborazione dei dati raccolti attraverso il questionario restituisce un quadro complesso e articolato, nel quale le cooperative operano in contesti caratterizzati da diversi livelli di marginalità territoriale e fragilità sociale. Le nove realtà indagate non si collocano tutte nello stesso tipo di contesto: alcune hanno sede in grandi centri urbani, come Catania e Messina, dove la sfida principale è l’intervento su quartieri marginalizzati o in processi di degrado urbano; altre operano in piccoli comuni e in territori delle aree interne, come Lentini, Sciacca, Mazzarrone, Piazza Armerina, Lampedusa e Linosa, dove la questione centrale riguarda lo spopolamento, la carenza di servizi e la valorizzazione delle risorse locali.

Pur nella loro eterogeneità, tutte le esperienze mostrano una forte attenzione al radicamento territoriale e una capacità variabile di attivare reti di collaborazione con istituzioni, associazioni e cittadini. Questo conferma come la dimensione comunitaria assuma declinazioni differenti a seconda del contesto — urbano, rurale o insulare — ma resti l’elemento chiave che consente alle cooperative di affrontare condizioni di marginalità e promuovere forme di sviluppo locale partecipato. Circa la metà delle cooperative mantiene collaborazioni stabili con attori locali e sovralocali, contribuendo alla costruzione di reti che favoriscono l’innovazione sociale e la sostenibilità delle iniziative.

La percezione dell’influenza della condizione di area interna è variegata: il 62,5% delle cooperative riconosce un ruolo generativo a tale condizione, in particolare per l’accesso ai finanziamenti pubblici e la creazione di servizi essenziali; il restante 37,5% ne evidenzia invece i limiti, legati a difficoltà logistiche, spopolamento e scarsa partecipazione comunitaria. L’autovalutazione del proprio impatto sulla marginalità territoriale è tendenzialmente prudente: il 75% delle realtà riconosce un’influenza positiva, ma con effetti ancora limitati, a causa della giovane età delle esperienze e delle persistenti criticità strutturali.

Dal punto di vista strategico, si registra una maggiore attenzione verso la collaborazione istituzionale e l’attrazione di nuovi residenti, mentre risultano meno diffuse azioni orientate al potenziamento dei servizi essenziali o all’impiego di tecnologie per superare l’isolamento geografico. Solo il 12,5% delle cooperative considera la marginalità territoriale un fattore determinante nell’adozione di soluzioni innovative, a conferma del fatto che l’innovazione deriva da una pluralità di fattori, non esclusivamente dalla condizione di marginalità.

Le sfide operative maggiormente condivise riguardano la creazione di posti di lavoro e la promozione del turismo locale (75% del campione), seguite dalla valorizzazione del patrimonio culturale e dal supporto all’educazione. Interventi legati al miglioramento infrastrutturale e all’accessibilità risultano invece meno prioritari. Sotto il profilo finanziario, le cooperative si sostengono principalmente attraverso la partecipazione a bandi pubblici e il ricorso a contributi privati, due fonti che interessano circa il 62,5% dei casi analizzati. Questo dato va inteso non in termini di incidenza economica sul bilancio complessivo, ma come frequenza con cui tali canali di finanziamento vengono attivati dalle cooperative. A queste risorse si affiancano, in misura variabile, entrate derivanti dalla vendita di servizi a privati (ad esempio attività turistiche, servizi educativi o culturali) e donazioni da parte di cittadini e associazioni locali. Un ulteriore elemento di sostegno è rappresentato dalla partecipazione attiva dei soci, che in diversi casi contribuiscono non solo con il conferimento di capitale, ma anche attraverso attività volontarie di gestione e organizzazione. Alcune cooperative hanno inoltre avviato iniziative autonome di autofinanziamento, come la promozione di eventi culturali, mercatini o la gestione di spazi comunitari.

Tuttavia, questa forte dipendenza da risorse esterne e discontinue solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine delle esperienze, soprattutto alla luce della percezione diffusa dell’insufficienza delle politiche regionali e locali di supporto, che raramente si configurano come strumenti strutturali di accompagnamento alla crescita e al consolidamento delle cooperative.

Il rapporto con la normativa regionale presenta aspetti critici: sebbene la maggioranza delle cooperative rispetti formalmente i criteri previsti, il 25% non si sente tutelato dalla normativa vigente. Questo dato riflette la percezione che la legge, pur riconoscendo la figura della cooperativa di comunità, non offra strumenti concreti di sostegno economico e gestionale, lasciando le realtà più fragili esposte a rischi di discontinuità. Parallelamente, il 62,5% segnala difficoltà applicative legate alla complessità delle procedure burocratiche, all’incertezza nell’interpretazione di alcuni requisiti (ad esempio la delimitazione territoriale di riferimento), e alla mancanza di linee guida operative che traducano i principi normativi in strumenti pratici.

Queste difficoltà richiederebbero un maggior supporto istituzionale, da intendersi non solo come semplificazione amministrativa, ma anche come accompagnamento tecnico, formazione mirata e possibilità di accesso a finanziamenti stabili. Le cooperative evidenziano inoltre la necessità di una normativa nazionale unificata, che possa garantire omogeneità di trattamento e ridurre le disparità attualmente determinate dai diversi approcci legislativi regionali.

Tra i principali ostacoli, oltre alla complessità burocratica, si segnalano la scarsità di risorse economiche, la carenza di competenze specifiche in ambito gestionale e amministrativo, e le difficoltà di instaurare relazioni efficaci con le istituzioni locali, spesso caratterizzate da diffidenza o da un riconoscimento limitato del ruolo delle cooperative. Solo una minoranza delle realtà indagate considera la partecipazione comunitaria una sfida critica, pur sottolineando la necessità di strategie più strutturate per promuovere un coinvolgimento ampio, stabile e intergenerazionale.

In conclusione, l’analisi evidenzia come le cooperative di comunità siciliane rappresentino attori emergenti nel contrasto alla marginalità territoriale e nella rigenerazione socioeconomica dei contesti interni, pur operando all’interno di un quadro istituzionale frammentato e caratterizzato da persistenti criticità strutturali. La loro capacità generativa – espressa attraverso la creazione di valore sociale, la valorizzazione territoriale e l’attivazione di capitale sociale – risulta fortemente condizionata non solo dalle condizioni locali, ma anche dall’efficacia delle politiche di sostegno, dalla semplificazione normativa e dal rafforzamento delle competenze e delle reti collaborative. In questo senso, tali esperienze restituiscono un quadro articolato di sperimentazioni place-based che, pur tra contraddizioni e fragilità, si configurano come laboratori di innovazione sociale e territoriale.

Discussione: interpretazioni e traiettorie emergenti

L’analisi delle nove cooperative di comunità attive in Sicilia conferma e arricchisce le riflessioni emerse precedentemente, evidenziando come tali realtà rappresentino modelli imprenditoriali innovativi capaci di coniugare partecipazione civica, radicamento territoriale e risposta a bisogni collettivi, in contesti segnati da marginalità e crisi del welfare.

In linea con quanto riportato in letteratura, le cooperative siciliane dimostrano di agire come attori-ponte fra società civile, enti pubblici e privati, generando innovazione sociale e promuovendo lo sviluppo locale in modo place-based, cioè fortemente ancorato alle specificità territoriali.

Dal punto di vista territoriale, la pluralità di contesti in cui operano — aree interne, urbane, insulari — conferma la flessibilità dello strumento cooperativo. Le cooperative attive in zone interne e marginali (ad esempio Terra delle Balestrate, Prospettiva 180, Parco Laudato Sì) si concentrano spesso sulla riattivazione di servizi essenziali e sulla rigenerazione sociale e culturale, in risposta a fenomeni di spopolamento e degrado, ribadendo il ruolo di presidio locale previsto dallo stato dell’arte. Al contrario, esperienze come Trame di Quartiere (Catania) e Identità e Bellezza (Sciacca) testimoniano un orientamento più spiccato verso la rigenerazione urbana e la costruzione di reti sociali, declinando la partecipazione e l’aggregazione in modo coerente con le esigenze dei contesti più densamente popolati.

La recente nascita della maggior parte di queste cooperative — tutte attivate nell’ultimo quinquennio — sottolinea un fermento innovativo crescente nel Sud Italia, in particolare in Sicilia, dove il modello place-based delle CdC si afferma come una risposta adattabile alle criticità locali, ma anche come laboratorio di sperimentazione sociale.

Dal punto di vista funzionale, la varietà delle attività (rigenerazione urbana, agricoltura sociale, educazione ambientale, turismo lento, inclusione sociale) evidenzia come le cooperative di comunità non solo rispondano a bisogni materiali, ma attivino anche processi immateriali di coesione, narrazione territoriale e costruzione identitaria. Questo duplice impatto, materiale e immateriale, conferma l’interpretazione dello stato dell’arte sulla capacità delle CdC di produrre valore sociale complesso e stratificato.

Le relazioni con le istituzioni locali risultano tuttavia spesso fragili o altalenanti, come emerge da più casi, ad esempio Leontinoi e Valli Basiliane. Nel primo caso, la cooperativa ha incontrato difficoltà a instaurare un dialogo stabile con l’amministrazione comunale, che ha riconosciuto solo parzialmente il ruolo della cooperativa come soggetto di interesse pubblico, limitandone così l’accesso a collaborazioni e opportunità di co-progettazione. Nel caso di Valli Basiliane, invece, le relazioni con gli enti locali si sono sviluppate in maniera intermittente: a momenti di apertura e sostegno, legati a specifiche progettualità, hanno fatto seguito fasi di scarsa interlocuzione e di difficoltà nel consolidare partenariati di lungo periodo. Questi andamenti evidenziano come il rapporto tra cooperative di comunità e istituzioni locali sia fortemente condizionato da variabili politiche e contingenti, e come la mancanza di un riconoscimento strutturato rischi di compromettere la continuità delle iniziative limitando la capacità di pianificazione a lungo termine e la continuità dei progetti. Le eccezioni virtuose, come Identità e Bellezza a Sciacca, che collabora stabilmente con una rete ampia di enti e associazioni, rappresentano esempi di governance territoriale partecipata e multilivello, in grado di rafforzare la resilienza e l’efficacia delle iniziative.

Le criticità giuridico-finanziarie sono un nodo centrale: la forte dipendenza da risorse pubbliche a termine e autofinanziamenti precari mette a rischio la sostenibilità delle cooperative, soprattutto in contesti interni e marginali dove l’accesso ai finanziamenti è più complesso. La giovane età delle esperienze e la carenza di un quadro normativo regionale coerente e di un supporto istituzionale adeguato limitano ulteriormente la piena realizzazione del potenziale innovativo delle CdC. In particolare, la percezione diffusa di difficoltà applicative e la richiesta di una normativa nazionale unificata evidenziano il gap tra le esigenze concrete degli attori locali e le risposte istituzionali attuali.

Interessante risulta anche la variegata percezione del ruolo della marginalità territoriale: mentre la maggioranza delle cooperative riconosce la marginalità come un fattore generativo di opportunità (ad esempio per l’accesso a fondi e per l’attivazione di servizi essenziali), una parte significativa ne sottolinea i limiti in termini di isolamento, scarsa partecipazione e difficoltà logistiche. Ciò conferma che l’innovazione nelle CdC non è esclusivamente indotta dalla marginalità, ma da un complesso intreccio di fattori locali, sociali e istituzionali.

Infine, la capacità di generare impatti positivi, seppur ancora in fase embrionale per molte cooperative, testimonia la concretezza del modello place-based delle CdC come leva di sviluppo territoriale. La dimensione partecipativa e inclusiva, l’attivazione di capitale sociale e la valorizzazione delle risorse locali emergono come elementi chiave per la rigenerazione socioeconomica, confermando la centralità della cooperazione e della governance multilivello.

In conclusione, i casi studio siciliani sembrerebbero confermare che le cooperative di comunità sono laboratori di innovazione sociale che, pur dovendo confrontarsi con limiti strutturali e istituzionali, rappresentano un modello promettente per contrastare la marginalità e favorire uno sviluppo locale sostenibile e inclusivo. È auspicabile che future politiche di sostegno, semplificazioni normative e investimenti in competenze e reti collaborative possano consolidare e ampliare l’impatto di queste esperienze.

Accanto agli aspetti generali già discussi, risulta opportuno approfondire alcune dimensioni specifiche delle traiettorie di sviluppo delle cooperative di comunità siciliane. L’analisi si concentra sul ruolo delle cooperative come attori di strategie adattive, sulla loro maturità organizzativa e sulle diverse traiettorie di sviluppo, nonché sulla reputazione, sul riconoscimento e sulle pratiche di accountability. Particolare attenzione viene inoltre dedicata al radicamento territoriale e alle relazioni di prossimità, con l’obiettivo di proporre una sintesi interpretativa dei modelli emergenti di sviluppo locale.

Le cooperative di comunità siciliane come attori di strategie adattive

Sebbene le cooperative di comunità analizzate si collochino formalmente nell’ambito dell’innovazione sociale, l’evidenza empirica indica che le loro azioni si configurano più spesso come strategie adattive che come progettualità trasformative. In molti casi, le cooperative intervengono per colmare vuoti funzionali legati alla scarsità di servizi e alla debole presenza istituzionale, sviluppando soluzioni pragmatiche e contestualizzate ai bisogni locali.

Le traiettorie operative differiscono nettamente a seconda del contesto: nelle città, le iniziative privilegiano progettualità culturali o creative, spesso sostenute da bandi e reti istituzionali; nei territori rurali e insulari, invece, prevalgono pratiche informali basate sulla mutualità e sulla ricostruzione di legami di prossimità. Queste differenze sottolineano il ruolo della cooperativa come attore che adatta le proprie strategie alle condizioni locali, ma evidenziano anche i limiti di autonomia decisionale e finanziaria: senza un adeguato sostegno istituzionale, le pratiche sviluppate rischiano di riflettere più soluzioni contingenti a vincoli territoriali e istituzionali che scelte progettuali intenzionali volte a innovare sistematicamente il territorio.

Maturità organizzativa e traiettorie di sviluppo

L’analisi dei casi suggerisce che la maturità organizzativa non coincide necessariamente con una maggiore capacità di generare impatti trasformativi. Al contrario, alcune realtà più giovani o in fase embrionale mostrano una maggiore flessibilità e tensione sperimentale, nonostante una debolezza strutturale. Le cooperative mature, sebbene più stabili, risultano spesso ingabbiate in logiche di rendicontazione, vincolate alla partecipazione a bandi e all’adempimento burocratico.

Il nesso tra accesso ai finanziamenti e capacità preesistenti solleva questioni metodologiche rilevanti. Il sistema di finanziamento pubblico (PNRR, fondi europei, bandi regionali) tende a premiare chi possiede già risorse tecniche e capitale relazionale, escludendo le realtà emergenti e più fragili. L’assenza di dispositivi di accompagnamento, tutoraggio o incubazione evidenzia un vuoto istituzionale rispetto alla promozione di nuove progettualità comunitarie.

Reputazione, riconoscimento e accountability

La legittimazione delle cooperative di comunità si costruisce prevalentemente su piani informali, come la reputazione locale, la prossimità relazionale e la capacità di attivare fiducia tra cittadini e stakeholder. Tuttavia, questa visibilità a scala locale non si traduce automaticamente in un riconoscimento sistemico all’interno del Terzo Settore, né garantisce un accesso strutturato a strumenti di valutazione e di rendicontazione. La mancanza di pratiche formalizzate di misurazione dell’impatto può limitare la capacità delle cooperative di comunicare i propri risultati e di sviluppare processi di autovalutazione e apprendimento organizzativo; d’altro canto, l’esperienza empirica mostra che il possesso di strumenti di valutazione disponibili sul mercato non assicura automaticamente un riconoscimento stabile da parte delle istituzioni o delle reti territoriali, confermando come il riconoscimento resti fortemente influenzato da relazioni e contesti locali.

Inoltre, il riconoscimento istituzionale è spesso condizionato dalla capacità di relazionarsi con amministrazioni e reti politiche, riproducendo talvolta meccanismi di selezione opaca. Le cooperative che operano in contesti più isolati e meno connessi si trovano così doppiamente penalizzate: sia dalla fragilità territoriale, sia dalla scarsa accessibilità a risorse, reti e opportunità di legittimazione esterna.

Radicamento territoriale e relazioni di prossimità

Il radicamento territoriale, elemento distintivo del modello delle cooperative di comunità, si presenta in forme molto diversificate. In alcuni casi, esso corrisponde a una reale co-produzione dei progetti con la cittadinanza, alla promozione di pratiche inclusive e al rafforzamento del capitale sociale locale. In altri, si riduce a una dimensione simbolica o a relazioni verticali tra promotori e beneficiari.

Nei contesti urbani, la frammentazione sociale e la mobilità riducono le opportunità di costruzione di prossimità relazionale. Nei territori interni, invece, pur in presenza di reti più dense, prevalgono talvolta dinamiche di autoreferenzialità o chiusura comunitaria. L’efficacia del radicamento, dunque, va misurata non solo in termini di presenza locale, ma anche di capacità inclusiva e di generatività relazionale.

Una lettura di sintesi: quali modelli di sviluppo locale?

Il panorama restituito dall’indagine evidenzia una pluralità di modelli in divenire, che si collocano lungo un continuum tra resilienza e innovazione. Le cooperative siciliane oscillano tra funzioni di supplenza istituzionale e sperimentazioni più autonome e visionarie, ma in entrambi i casi risentono dell’assenza di un ecosistema abilitante.

La normativa regionale, pur riconosciuta come riferimento utile, non è percepita come leva di consolidamento o di sviluppo. L’assenza di una cornice nazionale, unita alla disomogeneità delle politiche regionali, contribuisce a rendere il quadro frammentato e incerto. In tale contesto, il potenziale trasformativo delle cooperative rischia di essere limitato dalla precarietà dei dispositivi di supporto, delegando alla sola iniziativa locale la responsabilità di mantenere in vita sperimentazioni che meriterebbero invece un riconoscimento politico e sistemico.

Conclusione

Le cooperative di comunità siciliane analizzate in questo contributo mostrano come, anche in contesti caratterizzati da marginalità strutturali, sia possibile attivare percorsi locali di rigenerazione sociale, economica e culturale. A partire da pratiche fondate su prossimità, mutualismo e auto-organizzazione, queste esperienze si configurano come strumenti place-based capaci di riattivare risorse latenti, ricostruire legami sociali e dare risposte concrete a bisogni collettivi.

Attraverso un’analisi qualitativa integrata – basata su questionari, interviste, materiali documentali e restituzione cartografica – lo studio ha messo in luce una pluralità di traiettorie e modelli organizzativi, distinguendo tra cooperative più consolidate e realtà emergenti. I risultati evidenziano la capacità delle cooperative di generare impatti tanto materiali (servizi, lavoro, riuso di spazi) quanto immateriali (identità, senso di appartenenza, narrazione dei luoghi), pur operando in un contesto segnato da forti criticità: frammentazione normativa, accesso diseguale ai finanziamenti, carenza di strumenti di accompagnamento e riconoscimento istituzionale.

La ricerca ha così permesso di rispondere all’interrogativo di partenza: le cooperative di comunità siciliane non rappresentano un modello uniforme, ma un mosaico di sperimentazioni locali che oscillano tra supplenza istituzionale e innovazione sociale. In particolare, esse contribuiscono alla costruzione di percorsi di sviluppo endogeno soprattutto laddove riescono a intrecciare radicamento territoriale, apertura relazionale e visione progettuale.

I risultati emersi mostrano che la natura trasformativa delle cooperative non risiede unicamente nella loro struttura organizzativa o nella missione dichiarata, ma nella loro capacità situata di rispondere alle criticità locali con soluzioni ancorate al contesto. Questa prospettiva conferma quanto emerso nel dibattito teorico: le cooperative di comunità rappresentano forme di innovazione endogena che mettono in discussione la distinzione rigida tra pubblico, privato e terzo settore.

Inoltre, l’articolazione delle performance cooperative – reputazione territoriale, pluralismo dei servizi, impatti moltiplicatori – suggerisce che sia necessario leggere questi fenomeni secondo logiche multi-scalari e pluridimensionali, in grado di connettere governance, partecipazione e sviluppo locale.

Tuttavia, permangono limiti significativi: la giovane età della maggior parte delle esperienze, la dipendenza da finanziamenti occasionali, la debolezza di alcune reti locali e la mancanza di un’adeguata cultura dell’impatto rappresentano fattori che ne ostacolano la stabilità e la scalabilità. In questo senso, il quadro legislativo regionale – seppur utile per definire un perimetro giuridico – si rivela ancora troppo fragile per sostenere un ecosistema realmente generativo. Le cooperative stesse chiedono maggiore coerenza tra riconoscimento formale e sostegno operativo, auspicando l’adozione di una normativa nazionale in grado di valorizzare le specificità territoriali senza frammentarne il potenziale.

Le prospettive future di approfondimento si muovono in più direzioni. Da un lato, si rende necessario indagare con maggior precisione gli effetti di lungo periodo generati da queste esperienze, anche attraverso strumenti comparativi e metodologie di valutazione d’impatto. Dall’altro, occorre comprendere meglio come le differenze regionali nella regolamentazione incidano sulla vita e sul riconoscimento delle cooperative, esplorando il ruolo delle politiche pubbliche nella costruzione di ambienti abilitanti. Infine, andrebbe approfondito il rapporto tra le cooperative di comunità e altri attori dell’economia sociale e solidale, in un’ottica di integrazione e mutualizzazione delle risorse.

In definitiva, le cooperative di comunità in Sicilia non solo restituiscono un’immagine viva dei territori marginali, ma offrono anche spunti cruciali per ripensare le politiche di sviluppo locale a partire da forme di cittadinanza attiva, protagonismo collettivo e co-produzione del bene comune.

DOI 10.7425/IS.2025.03.05

 

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Materiali multimediali

AICOON: https://coopcomunita.aiccon.it/il-progetto/

Intervista a Paolo Scaramuccia, responsabile sviluppo locale, cooperative di comunità e servizi associativi di Legacoop, intervistato da Francesco Ventimiglia di Radio 1 durante la trasmissione Sportello Italia riproducibile all’indirizzo  https://www.raiplaysound.it/audio/2024/12/Sportello-Italia-del-19122024-ed785f4f-7ee4-47f1-8e9b-0ea7acefcaec.html

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