Dopo vent’anni di attività Iris Network, la rete di ricercatori sul tema dell’impresa sociale e che è stata editore di questa rivista, cessa la sua attività, lasciando ad Euricse il compito di assicurare la continuità di Impresa Sociale, garantendone lo spirito pluralistico e di luogo dove convivono e si confrontano opinioni, scuole e discipline diverse.
In questo numero si raccolgono due voci autorevoli che provano, ciascuna dal proprio punto di vista, a fare una sintesi del percorso di IRIS Network e di cosa esso lascia all'impresa sociale del nostro paese: Felice Scalvini, che accanto a Carlo Borzaga ne promosse la costituzione e Marco Musella, che ne raccolse l’eredità, presiedendo IRIS Network per il successivo decennio.
Correva l’anno 2005. Nel mese di giugno era stata approvata la legge 118, recante “Delega al Governo concernente la disciplina dell’impresa sociale”. Si dovevano quindi avviare i lavori per la redazione del Decreto legislativo.
Con Carlo Borzaga analizzammo la situazione. Eravamo ad un tempo soddisfatti e preoccupati. Soddisfatti, perché il lavoro di quindici anni, in Italia e in Europa, per allargare i confini dell’impresa sociale al di là delle cooperative sociali stava per produrre risultati. Preoccupati perché l’iniziativa legislativa, frutto della spinta di Giorgio Vittadini e della Fondazione per la sussidiarietà, rischiava di svilupparsi senza una interlocuzione adeguata con le realtà che potenzialmente erano più interessate a questa partita. Infatti, le rappresentanze associative della cooperazione sociale tendevano a rallentare, anziché a promuovere la nuova forma giuridica, convinte che l’esclusività della legge 381 si traducesse – e così effettivamente era – in una comodissima rendita di posizione. Da non pregiudicare.
Questa visione opportunistica le rendeva indifferenti a qualsiasi riflessione circa il fatto che soltanto una pluralità di forme giuridiche avrebbe potuto permettere il pieno dispiegarsi nel nostro paese dell’azione economica con finalità sociali. E che un disegno ampio e generoso avrebbe nel lungo periodo giovato anche alla cooperazione sociale, che, in presenza di alternative, avrebbe potuto essere scelta per ragioni di valore anziché per opportunismo. E così evitare l’imbastardimento e la perdita del riferimento ai principi fondativi, che già si iniziavano e vedere e che purtroppo hanno finito per caratterizzare aree sempre di più ampie della cooperazione sociale.
Però non esisteva un primo portafoglio di esperienze pioniere da iniziare a coagulare come appunto vent’anni prima avevamo fatto con la cooperazione sociale, riuscendo in questo modo a costruire un nucleo capace di costruzione di identità collettiva e di azione di rappresentanza. Elementi a nostro parere indispensabili - insieme al riconoscimento giuridico - per l’affermarsi compiuto di una nuova istituzione sociale. Bisognava cercare di fare di necessità virtù e provare a battere un’altra strada.
Quella che avevamo seguito dieci anni prima a livello europeo con la creazione della rete EMES ci parve il modello da riprodurre. Infatti, una organizzazione di ricercatori, istituti universitari e centri di ricerca, integrata dalla partecipazione di CECOP, associazione europea della cooperazione di lavoro e sociale, aveva permesso di avviare un intenso lavoro di studi e promozione, arrivando a dare autorevolezza all’esperienza e all’idea della Impresa sociale presso le istituzioni europee. Sino all’accoglimento, nei documenti della Commissione, del Parlamento e del Comitato Economico e Sociale europei, della definizione e degli standard relativi all’Impresa Sociale proposti proprio da EMES. Standard che ritenevamo andassero adesso ripresi e formalizzati nel nostro paese, a completamento del processo legislativo in corso.
Fu così che nacque la rete italiana sul modello europeo. In prima battuta vi fu l’idea di chiamarla EMES-Italia, ipotesi che però non incontrò il favore di Jaques Defourny, al tempo presidente della rete europea. Il nome scelto dunque fu Iris-Network, con IRIS acronimo di Istituti di Ricerca sull’Impresa Sociale.
Nel 2006 si iniziò a lavorare. Carlo Borzaga assunse la presidenza dell’associazione costituita da diversi istituti universitari e centri di ricerca e da un certo numero cooperative e consorzi. Il supporto operativo fu da subito fornito da ISSAN, centro studi cooperativi di Trento a cui sarebbe poi subentrato EURICSE nel 2008.
L’idea di fondo era quella di lavorare per rappresentare le (buone) ragioni dell’impresa sociale. Della sua complessità e delle sue ancora inesplorate potenzialità. Non un’organizzazione politica, ma una realtà capace di proporre e innescare una politica: quella del riconoscimento e della promozione della imprenditoria sociale, collegata all’auspicabile maturazione di una identità collettiva, capace di determinare paralleli processi di sviluppo endogeno.
Come noto, il processo legislativo, conclusosi col decreto legislativo 155 del 2006, rappresentò un’incompiuta, sulla quale si avviò da subito una discussione che vide confrontarsi due posizioni. Da un lato, chi sosteneva che l’assenza della previsione di una qualche forma di distribuzione degli utili rappresentava il limite decisivo all’affermarsi dell’impresa sociale, perché limitava la possibilità di intervento del capitale di investimento, considerato il motore fondamentale dello sviluppo di qualsiasi attività di impresa, anche di impresa sociale. Diversa la visione che da subito si elaborò nell’ambito di Iris Network. La convinzione era che il vero limite non fosse tanto legato alla impossibilità di remunerare almeno in una certa misura il capitale – ipotesi per la quale peraltro io stesso mi ero speso come rappresentante del Forum del Terzo Settore al tavolo col Governo, trovando una chiusura invalicabile – bensì l’assenza di un adeguato regime fiscale, soprattutto relativo alla non tassazione degli utili di esercizio destinati a riserva indivisibile. Quindi il tema non era tanto dare una risposta alle ragioni del capitale, ansioso di trovare spazi di investimento entro l’universo dell’imprenditoria sociale, quanto ottenere il riconoscimento da parte dello Stato del fatto che il surplus prodotto dalle imprese sociali contribuisce a creare patrimoni intergenerazionali a vantaggio della collettività. Quindi, come tale, va tutelato, come già avviene per le cooperative, e non depauperato col prelievo fiscale.
In questo contesto si iniziò a sviluppare un progetto che, con un orizzonte di lungo periodo, ha sempre puntato innanzitutto a promuovere una visione unitaria del fenomeno dell’imprenditoria sociale. Partendo dallo straordinario successo della cooperazione sociale, riconosciuta anche a livello internazionale come “la via italiana all’impresa sociale”, ci si è impegnati ad allargare lo sguardo a nuove forme emergenti in vari contesti, ma si è cercato anche di dedicare molta attenzione all’evoluzione di storiche attività sociali in via di trasformazione per l’irrompere, anche nei loro ambiti di attività, della dimensione degli scambi economici. L’idea guida è sempre stata quella di lavorare sugli elementi unificanti e irrinunciabili e al contempo sulla articolazione e varietà delle esperienze dell’imprenditoria sociale, in relazione ai diversi contesti e settori di attività, progressivamente sempre più ampi e diversificati. A ciò collegando la consapevolezza della necessità – in un quadro di civil law come il nostro - di disporre di una adeguata articolazione e diversificazione delle forme giuridiche, quale condizione indispensabile per permettere al fenomeno della imprenditoria sociale di dispiegare appieno la propria potenzialità.
Quattro sono state le linee operative permanenti di Iris Network: il workshop annuale, il colloquio scientifico annuale, i rapporti sull’impresa sociale, la rivista Impresa Sociale. Ripercorrendo l’archivio di questi anni di attività emerge un panorama unico per ricchezza e articolazione di nomi, argomenti, testimonianze, analisi, confronti. Un bagaglio di saperi a disposizione di chi vorrà meglio comprendere quale sia stato nei due decenni trascorsi il complesso, faticoso, ma sempre espansivo percorso dell’imprenditoria sociale.
Percorso che s’è intrecciato con quello delle altre organizzazioni di Terzo settore nell’ambito della riforma complessiva del 2017. Riforma che, per quanto concerne l’impresa sociale ha portato a due rilevanti novità contenute nel d.lgs. 112/2017. Novità che il lavoro di lunga lena di Iris Network ha contribuito a legittimare e che cambiano in modo significativo lo scenario.
La prima – civilistica - riguarda l’estensione delle attività riconosciute di interesse generale alle quali l’impresa sociale può dedicarsi. L’art. 2 del d.lgs. 112 apre spazi di straordinario interesse entro i quali le potenzialità dell’imprenditoria sociale potranno trovare occasioni pressoché illimitate di sperimentazione e sviluppo. La seconda – fiscale - è, finalmente, la previsione della non tassabilità degli utili destinati a riserva indivisibile. In realtà in questo caso non è stata sufficiente la previsione del decreto legislativo e si sono dovuti attendere altri otto lunghi anni di trattativa a livello europeo e di affinamento legislativo. Ma l’esercizio fiscale 2026 vedrà conclusa positivamente questa annosa e decisiva vicenda, che sempre è risuonata negli incontri, nei lavori e nelle pubblicazioni organizzati da Iris Network in tutti questi anni. Si apre dunque un nuovo scenario nel quale le scelte dei potenziali imprenditori sociali non saranno più mortificate da arbitraggi fiscali penalizzanti.
Amplissimi spazi di operatività; possibilità di innestare la forma giuridica impresa sociale sulla pluralità di ceppi istituzionali previsti tanto al libro 1° che al libro 5° del codice civile; un regime fiscale finalmente adeguato: per Iris Network questo è il compimento di una missione e della lunga marcia che l’ha caratterizzata.
Non che il lavoro sia concluso, anche perché lo scenario nel frattempo si è evoluto.
Compiutosi il quadro giuridico-fiscale, si tratta ora di lavorare per uno sviluppo dell’imprenditoria sociale nel più ampio campo del Terzo settore e dell’Economia sociale che si presenta in profonda trasformazione e sviluppo e, soprattutto, popolato da soggetti di rappresentanza sempre più consapevoli e agguerriti. Dunque, trascorsi i prossimi anni di assestamento e, questa è una mia convinzione, di rilevante sviluppo, si riproporrà il tema della rappresentanza politica che dovrà essere affrontato, almeno spero, con adeguate consapevolezze e visioni.
Ma questa è una prospettiva molto ampia e impegnativa e per Iris Network è arrivato il momento di passare la mano.
Il testimone e quanto ad esso collegato riguardo ad attività scientifica e di confronto e animazione culturale – la rivista Impresa Sociale, il Colloquio scientifico annuale, il Workshop annuale e i Rapporti sull’impresa sociale -, tutto questo passa a EURICSE. L’istituzione che più di qualsiasi altra ci è stata vicina e ci ha sostenuto in questi anni e che sicuramente saprà proseguire il lavoro, garantendo uno spazio di dialogo e ricerca reale.
La prospettiva politica sarà tutta da costruire.
A EURICSE, ma anche, mi sia concesso, al vasto e variegato mondo dell’imprenditoria sociale un caloroso in bocca al lupo per questa nuova stagione.
A quanti hanno partecipato a Iris Network restano la consapevolezza del buon lavoro compiuto, il ricordo di Carlo Borzaga, che della stagione passata è stato il nocchiero e continuerà, coi suoi scritti, a segnare quella futura ed un sincero ringraziamento a Silvia Rensi, Flaviano Zandonai e Gianfranco Marocchi che con la loro dedizione operativa spesso hanno saputo fare veri miracoli, garantendo, con poche risorse, la straordinaria sequenza di due decenni di iniziative.
Non è facile dire in poche righe qualcosa sulla mia esperienza di Presidente di Iris Network per i 10 anni (più o meno) successivi alla Presidenza di Carlo Borzaga, fondatore del network con una ben precisa visione di quello che l’impresa sociale avrebbe potuto essere (e in parte è stata) per un Paese come l’Italia. Non è facile perché dovrei dedicare molto più tempo di quanto non sia possibile fare in quest’occasione a ricostruire quanto è accaduto in quegli anni recenti all’impresa sociale e alla ricerca intorno a questa nuova realtà, parte importante del terzo settore, ma anche nuova forma di imprenditoria fino a pochi decenni fa considerata un “non senso economico” (e forse giuridico); ma soprattutto bisognerebbe collegare questa evoluzione a quanto intanto è accaduto nel Paese, in Europa e nel mondo. Naturalmente dovremmo poi considerare anche le trasformazioni che hanno interessato l’Università e la complessa galassia della ricerca: Iris Network, infatti, nacque soprattutto per creare una rete tra studiosi delle Università italiane e tra questi e gli studiosi di impresa sociale ed economia sociale esterni al mondo accademico; una rete aperta allo scambio osmotico con i practitioner del mondo delle imprese sociali, con dirigenti e funzionari di fondazioni di erogazione e di istituzioni pubbliche di vario ordine e grado.
Non è possibile, ripeto, nel poco tempo che ho avuto a disposizione per ragionare dal mio punto di vista della esperienza di Iris, andare al di là di una soggettiva rappresentazione del mio sforzo di contribuire a far crescere una riflessione sul senso e la direzione che la ricerca sull’impresa sociale andava prendendo nel nostro Paese. Rispetto alla Presidenza Borzaga, mi sembra di poter dire che la mia impostazione – sempre condivisa con lui, con Felice Scalvini e con il comitato direttivo – ha cercato sempre di mettere al centro dell’attenzione il significato che l’impresa sociale avrebbe potuto avere (e in parte non marginale ha avuto) per un Paese più orientato a quello sviluppo umano che - se si vanno a rileggere (o a rivedere) le mie introduzioni a Colloqui scientifici, workshop e altre iniziative del network – ho sempre citato e che è da molti anni (ostinatamente) il fuoco della mia ricerca di economista e di studioso di terzo settore e di economia sociale. L’espressione sviluppo umano, come è noto, non è certo una mia invenzione: affonda le sue radici nel pensiero di Amartya Sen e di tanti studiose e studiosi (si pensi a Martha Nussbaum e, per il nostro paese, a Enrica Chiappero Martinetti, nostra keynote speaker in uno degli ultimi incontri di Iris Network) che vedono nel capability approach una chiave di lettura che dovrebbe, assai più di quanto avvenga oggi, guidare l’economia e la politica non verso una logica di aumento indiscriminato del PIL, ma di allargamento dello spazio della libertà di scelta di persone e comunità. Ho sempre considerato (e continuo a pensarlo oggi che Iris non c’è più e il mondo è entrato, cosa impensabile fino a qualche anno fa, in un tunnel di violenza e di guerra che distruggono la libertà) che lo sviluppo umano sia una stella polare che può davvero contribuire a dare forza all’impresa sociale e alimentare direzioni di ricerca che possano contribuire alla salute di una realtà, quella delle imprese sociali, che non deve chiudersi in sé stessa e non deve star lì a preoccuparsi esclusivamente della propria sopravvivenza.
Se Iris ha chiuso la sua esperienza (questione che qui non affronto e non voglio affrontare) non si pensi che questo significhi che sia meno importante, in un mondo e in Paese che sembrano aver perso di vista i valori della convivenza civile e della solidarietà, tenere accesa la fiammella della ricerca su una impresa sociale che promuova pace, sviluppo umano, libertà di essere e di fare, solidarietà.
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