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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-6-2015-economia-collaborativa-e-innovazione-nelle-imprese-cooperative-opportunita-emergenti-e-sfide-per-il-futuro

Editoriale

La sfida dell’innovazione sociale

Andrea Bassi, Giulio Ecchia

Saggi

Il crowdfunding delle imprese sociali italiane

Bernardo Balboni, Ulpiana Kocollari, Ivana Pais

Valutare l'impatto sociale

Stefano Zamagni, Paolo Venturi, Sara Rago

Policy

Benefit corporation e impresa sociale

Paolo Venturi, Sara Rago

Echi

I beni confiscati al bivio

Mauro Baldascino, Michele Mosca

Numero 6 / 2015

Saggi brevi

Economia collaborativa e innovazione nelle imprese cooperative: opportunità emergenti e sfide per il futuro

Elena Como, Francesca Battistoni

Abstract

L’economia collaborativa definisce un nuovo modello organizzativo e di business basato sull’uso di piattaforme digitali per connettere tra loro persone che vogliono scambiarsi beni o servizi in modo diretto, semplice, e con la minima intermediazione. Tale modello ha visto un boom negli ultimi anni, soprattutto grazie alla rapida crescita di alcune piattaforme che ne hanno mostrato l’enorme potenziale in termini di mercato e di valore commerciale. Sono tuttavia rimaste nell’ombra le esperienze che hanno cercato di usare il modello piattaforma in connessione con finalità di tipo più solidaristico o sociale. Questo contributo vuole mettere in luce le aspirazioni e le potenzialità dell’economia collaborativa per le imprese cooperative, discutendo come queste possono fare uso di tale modello o mutuarne parzialmente alcuni elementi, adattandoli attentamente alle proprie finalità ed identità. Al termine dell’analisi, si proverà inoltre a delineare alcune sfide per il futuro e a richiamare gli aspetti maggiormente critici sui quali sarà necessaria ulteriore ricerca e riflessione, sia dentro che fuori dal mondo cooperativo.


The collaborative economy defines a new organizational and business model that uses digital platforms to connect distributed groups of people and allow them to exchange goods and services in a direct and simple way, with very limited intermediation. Such model has seen a significant boom in the past few years, mainly thanks to the rapid growth of some platforms, which proved the enormous potential of the model in terms of market and commercial value.  However, other experiences that tried to use the platform model for social and solidaristic objectives tended to remain less visibile. This contribution aims to shed light on the aspirations and potential of the collabirative economy for cooperative enterprises, and to discuss how these may make use of such model or adopt some of its elements, carefully adapting them to their own objectives and identity. At the end of the analysis, we also try to discuss some of the future challenges and to highlight the main critical issues that will need to be further investigated and discussed, both inside and outside the cooperative circles.

English Version

Economia collaborativa: definizione di un fenomeno emergente

Quando si parla di economia collaborativa non ci si riferisce a qualcosa di chiaramente delimitato e definito, quanto più ad un insieme ampio e variegato di pratiche, accomunate essenzialmente dall’utilizzo del “modello piattaforma” e delle tecnologie digitali per mettere in contatto le persone ed abilitare scambi e collaborazione tra pari. Generalmente le piattaforme di economia collaborativa facilitano l’incontro tra coloro che sono in possesso di risorse che non usano pienamente (e che quindi desiderano condividere o scambiare) e coloro che hanno necessità di tali risorse (e quindi interesse ad entrare in contatto con chi le possiede). Le risorse scambiate sono di vario tipo: beni, spazi ed altre risorse materiali, ma anche risorse immateriali, come competenze e conoscenze, che vengono messe a disposizione di potenziali interessati per massimizzarne il valore e l’utilità sociale.

L’origine dell’economia collaborativa si può far risalire agli anni ‘90 del secolo scorso[1], ma il suo boom si è avuto solo nella seconda metà degli anni 2000, quando le potenzialità delle nuove tecnologie hanno incontrato una crescente domanda di cambiamento del modello socio-economico globale. In quegli anni, infatti, la crisi economica con il suo carattere sistemico e la messa in discussione dei paradigmi neo-liberisti dominanti hanno favorito l’emergere e la progressiva affermazione di forme “alternative” di economia, più centrate sulla persona, sulla condivisione, sull’utilizzo pieno ed efficiente delle risorse, creando un terreno ideale per il fiorire di prassi collaborative.

Nel vasto universo di pratiche che compongono l’economia collaborativa ricadono attività estremamente diverse tra loro: piattaforme web che facilitano lo scambio peer-to-peer (tra pari) di beni e servizi, movimenti legati allo sviluppo di software open source, banche del tempo, finanza alternativa peer-to-peer, coworking, fab lab e attività dei makers, e molto altro. In questi contesti le modalità di scambio e condivisione variano notevolmente, avvenendo talvolta in forma del tutto volontaria e gratuita, in altri casi attraverso meccanismi di mercato più classici, come l’affitto e la vendita (per cui chi accede alla risorsa desiderata, paga alla controparte una corrispettivo in denaro).

In generale, il tratto più caratteristico delle piattaforme di economia collaborativa risiede nel fatto di essere peer-to-peer, ovvero nate per abilitare una collaborazione tra pari, che aggira gran parte delle strutture che tradizionalmente intermediano gli scambi e le relazioni economiche e sociali.

Un altro aspetto caratteristico delle piattaforme collaborative è l’uso della tecnologia digitale per facilitare gli scambi in modo diretto, creando innanzitutto opportunità di matching tra domanda e offerta più rapide e flessibili di quelle tradizionali e a bassissimi costi di transazione, e permettendo inoltre la connessione anche tra persone distanti e sconosciute, allargando in tal modo la cerchia di interazioni e conoscenze. Quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante, se si pensa che alcune tipologie di scambi tradizionali avvengono solo con persone conosciute e per le quali pre-esistono forti legami fiduciari interpersonali (es. prestare un bene, ospitare una persona in casa, scambiare cibo) (Schor, 2014). Proprio perché creano relazione e scambio tra sconosciuti, le piattaforme di economia collaborativa possono diventare veicolo di nuove relazioni sociali, promuovendo l’incontro e la socializzazione, e talvolta anche la creazione di “comunità” e identità condivise[2]. Non a caso sulle piattaforme gli utenti vengono incoraggiati a condividere informazioni su di sé e sui propri gusti ed interessi, oppure ad accedere al servizio usando direttamente il profilo dei social network.

Le definizioni più note ed accreditate di economia collaborativa[3] (European Commission, 2013; NESTA, 2014; Wosskow, 2014) pongono come caratteristiche chiave del fenomeno l’elemento tecnologico e quello peer-to-peer; si è soliti inoltre raggruppare le pratiche empiriche secondo cinque categorie[4]: consumo collaborativo, produzione collaborativa, apprendimento collaborativo, finanza collaborativa, governance collaborativa (Tabella 1).

Tabella 1. Le pratiche empiriche dell'economia collaborativa si possono raggruppare secondo 5 categorie.

Nonostante evidenti affinità, l’economia collaborativa accomuna esperienze e casistiche empiriche molto differenti tra loro, che vengono talvolta definite anche attraverso altre “etichette” – peer economy, crowd economy, access economy, gig economy, on demand economy (NESTA, 2014) – che a loro volta evidenziano aspetti diversi del fenomeno. Questa varietà di terminologie genera non di rado una certa confusione, suscitando sentimenti contrastanti nel pubblico di osservatori e stakeholder, dal momento che ogni definizione porta con sé importanti scostamenti di significato, e non manca il dibattito sugli impatti controversi di alcuni fenomeni (si pensi al tema della on demand economy) (Gray, 2014; Rampell, 2015).

In questo contributo ci si riferirà per chiarezza alla definizione “ampia” di economia collaborativa precedentemente illustrata, operando però una distinzione – che si ritiene significativa – tra:

  • esperienze di economia collaborativa di natura più civica e sociale, che vengono dal basso, rispondono alla crisi con un’economia alternativa, e usano le tecnologie digitali per valorizzare dinamiche collaborative di tipo mutualistico e solidaristico (es. banche del tempo, couchsurfing, social street etc.);
  • modelli di impresa-piattaforma che si collocano più nettamente nella sfera del mercato, usando l’innovazione tecnologica principalmente per estrarre valore economico da risorse diffuse e generare opportunità di consumo low cost (es. le grandi piattaforme come Uber e Airbnb).

Anche questo secondo modello può essere considerato espressione dell’economia collaborativa, nella misura in cui riesce a creare nuove modalità di incontro e coinvolgimento tra pari; la sua portata di innovazione sociale è però spesso minore rispetto al primo caso, dal momento che privilegia logiche di mercato e modelli di impresa più affini a quelli di stampo tradizionale.

Perché mettere in relazione economia collaborativa e imprese cooperative?

L’obiettivo di questo contributo è quello di confrontare e mettere in relazione il fenomeno dell’economia collaborativa e l’universo delle imprese cooperative, per capire se sia possibile immaginarne un’interazione; più nello specifico è interessante comprendere se sia possibile “usare” l’economia collaborativa come modello di innovazione per le cooperative.

Risulta immediatamente evidente che esistono alcuni elementi comuni tra cooperative ed economia collaborativa, sia a livello linguistico che di filosofia di fondo. La stessa terminologia lo evidenzia: economia della “condivisione”[5], economia “collaborativa”, “cooperazione”. Si è senz’altro in un terreno vicino, ovvero il terreno di un’economia che vede nelle “persone” una risorsa fondamentale e nella “collaborazione” o “cooperazione” la forma più efficiente, efficace e sostenibile di “fare economia” e dare risposta ai bisogni[6].

Dall’altra parte, come già evidenziato, i percorsi e i modelli che caratterizzano l’economia collaborativa non sono tutti uguali. Mantenendo la distinzione in precedenza proposta, si può affermare che la cooperazione si sente più affine soprattutto a quelle esperienze di economia collaborativa che vengono dal basso e che vedono i cittadini auto-organizzarsi usando le tecnologie digitali per valorizzare dinamiche di tipo solidaristico, mentre tendenzialmente si distanzia dai modelli di impresa-piattaforma – che pure vengono considerati economia collaborativa – ma che rispetto alle cooperative hanno minore portata collaborativa e maggiori criticità sociali.

Il confronto tra cooperative ed economia collaborativa risulta, nel complesso, non semplice. Questo è dovuto innanzitutto alle differenze tra le caratteristiche storiche e strutturali delle prime (consolidate come forma di impresa ormai da circa un secolo e mezzo) e le caratteristiche più fluide e indefinite (per il momento) della seconda (che si riferisce più a un “modello di servizio” che non ad una forma di impresa specifica)[7]. Per impostare un confronto efficace si cercherà di tenere separati i livelli da comparare, da un lato le tipologie di impresa coinvolte (“cooperativa” vs “piattaforma collaborativa”) e dall’altro i più ampi paradigmi o modelli socio-economici cui questi fanno riferimento (“cooperazione” vs ‘”economia collaborativa”).

Indipendente dal livello del confronto, le domande centrali per alimentare la riflessione possono essere così riassunte:

  1. Rispetto al portato storico, al radicamento sociale ed economico, e alle prospettive di sviluppo future delle cooperative, l’economia collaborativa è da vedersi più come una minaccia o come un’opportunità? Quanto è il rischio che le emergenti piattaforme collaborative spiazzino lo storico modello cooperativo, e quanto è probabile o auspicabile, invece, che si verifichi una qualche forma di sinergia e interazione positiva?
  2. Sotto quali profili possiamo immaginare l’eventuale interazione e contaminazione reciproca, e con quali conseguenze possibili per le cooperative? Quali spunti emergono per l’innovazione nelle cooperative e come si possono convertire le nuove sfide in opportunità? Quale ruolo giocano fattori come, ad esempio, la regolamentazione, la finanza e le dinamiche di cambiamento culturale in atto?

Prima di affrontare queste riflessioni nel contesto italiano e di riportare i risultati di una recente ricerca sul tema, si propone un breve accenno al dibattito internazionale.

Il dibattito a livello internazionale

La riflessione sulle possibili contaminazioni tra cooperazione ed economia collaborativa si ritrova anche a livello internazionale. I filoni di pensiero più noti al riguardo sono quelli che si rifanno ai concetti di open cooperativism (Conaty, 2014; Conaty, Bollier, 2014) e platform cooperativism (Scholz, 2014; Schneider, 2014, 2015). In entrambi i movimenti gli autori guardano alla possibile convergenza e sinergia tra movimento cooperativo ed economia collaborativa, con particolare enfasi sulle forme di peer production come mezzi per ri-orientare l’economia odierna e rinnovare la cooperazione, andando a costruire nuove forme di potere politico ed economico esterne alla logica del duopolio Mercato/Stato.

L’open cooperativism si concentra sulle potenzialità della peer production e del movimento dei commons per innovare la cooperazione e dare vita a forme economiche e sociali alternative e sostenibili[8]. Conaty e Bollier partono dal presupposto che il movimento cooperativo abbia un profondo bisogno di capire e sfruttare le nuove forme di organizzazione a base digitale, mentre i cittadini hanno bisogno di sviluppare nuove istituzioni e strutture giuridiche in grado di proteggere le loro risorse e comunità dalla logica del capitale (Conaty, Bollier, 2014).

L’open cooperativism suggerisce che una convergenza tra cooperazione e commons servirebbe ad affrontare due questioni irrisolte: il problema dei mezzi di sussistenza e del lavoro nell’economia basata sui commons (storicamente fragile da questi punti di vista) e il bisogno delle cooperative di sviluppare nuove forme organizzative che valorizzino le potenzialità offerte dal digitale. E la risposta a questo duplice bisogno potrebbe arrivare, almeno a livello transitorio, da una nuova ondata di cooperativismo “open”, che gli autori definiscono come un nuovo settore in grado di coniugare la capacità di fare pooling e redistribution delle risorse del movimento dei commons, con la capacità di generare economia sostenibile e mezzi di sussistenza delle cooperative.

Tra i possibili strumenti e percorsi per realizzare questa trasformazione, gli autori identificano: la costruzione di nuove forme di cooperative multistakeholder, lo sviluppo di strategie per implementare i sistemi di monete complementari, lo sviluppo di nuovi modelli di gestione delle risorse comuni (come l’housing a base cooperativa e i nuovi usi del territorio), la creazione di sinergie tra open network platforms (come il crowdfunding e crowdsourcing) e le strutture cooperative a base sociale, o ancora lo sviluppo di partnership innovative tra cittadini e amministrazioni per il governo dei beni comuni. Nella fase di transizione in cui si trova il movimento cooperativo europeo, gli autori pongono quindi le basi per ricercare nuove forme di legame e relazione che si ispirano alla peer production e che innovano la produzione e gestione dei beni comuni, forme che possano contaminare il mondo cooperativo e rigenerarlo grazie all’utilizzo di nuovi strumenti anche tecnologici.

Il platform cooperativism, invece, nasce per denunciare e offrire un’alternativa (cooperativa) al fenomeno del cosiddetto platform capitalism che si insinua all’interno dell’economia collaborativa. Il termine “platform cooperativism” è stato coniato da Sasha Lobo per definire la diffusione delle grande piattaforme capitalistiche che si definiscono – o vengono definite – di economia collaborativa, ma che poco hanno a che vedere con la collaborazione e creazione di valore condiviso, poiché sfruttano le potenzialità delle tecnologie e dei mercati peer-to-peer per estrarre valore da risorse diffuse dei cittadini e realizzare profitto da accumulare nelle mani di pochi (i proprietari della piattaforma) (Lobo, 2014). Si tratta quindi di una riflessione sui limiti del modello americano di sharing economy (in particolare delle piattaforme di lavoro on-demand) che ha grande sviluppo nella Silicon Valley.

Secondo il movimento del platform cooperativism, le nascenti piattaforme di economia collaborativa dovrebbero prendere le distanze dal platform capitalism ed apprendere dal modello cooperativo per affermarsi come portatori di reale valore sociale. Questo significa, innanzitutto, promuovere la proprietà condivisa della piattaforma in forma cooperativa, e poi dotarsi di una chiara regolamentazione delle forme di lavoro. Inoltre, un aspetto cruciale del platform cooperativism riguarda la generazione di relazioni sociali più significative, la cura del rapporto con il territorio e l’attenzione all’impatto sociale.

In generale il platform cooperativism vuole mantenere la tecnologia come cuore pulsante del modello piattaforma, ma trasforma la governance dandola in mano ad un’organizzazione di tipo cooperativo. Esistono casi di cooperative di lavoratori che condividono la proprietà delle piattaforme su cui vendono i propri lavori (es. Stocksy) o casi in cui i prosumer sono proprietari della piattaforma (es. Fairmondo, il supermercato online di cui consumatori e produttori sono proprietari).

Mettendo al centro del dibattito il tema della governance e le problematiche che derivano dalla scarsa regolamentazione a cui le piattaforme sono sottoposte, il platform cooperativism propone alcuni principi di autoregolamentazione: le piattaforma cooperative devono essere open source, la governance deve essere democratica e la piattaforma deve usare la tecnologia blockchain come modalità di controllo condiviso.

A nostro avviso, il tema posto è assai rilevante soprattutto nel contesto americano dove sono nate le principali piattaforme che riproducono il modello capitalistico, ma nel futuro diventerà senz’altro sempre più pressante anche in Europa, dove però grazie alla tradizione cooperativa e solidaristica (soprattutto di alcuni paesi, come l’Italia) sembra possibile – e auspicabile – un percorso diverso e di maggiore attenzione sociale.

Economia collaborativa e cooperative in Italia

Per riportare al contesto italiano la riflessione su economia collaborativa e cooperative, è necessario innanzitutto stimare le dimensioni dei fenomeni e le loro caratteristiche generali.

Nel 2015 in Italia si contano circa 80mila imprese cooperative, attive in diversi settori tra cui i servizi, agricoltura, commercio, edilizia, produzione industriale, credito etc. Di queste, le circa 43mila aderenti all’ACI – Alleanza delle Cooperative Italiane – contano da sole oltre 12 milioni di soci, un fatturato aggregato di 140 miliardi di euro e oltre 1 milione e 300 mila occupati (ACI, 2015a). Il fenomeno cooperativo in Italia assume dunque dimensioni molto significative e mostra un radicamento sul territorio importante, come dimostrato dalla lunga storia e dalla resilienza dimostrata durante gli anni della crisi economica[9].

L’economia collaborativa, dall’altro lato, è un fenomeno molto recente e ancora difficilmente quantificabile. La mappatura realizzata da Collaboriamo.org nel 2015, con il supporto di PhD Italia, ha rilevato 118 piattaforme collaborative[10] (tra italiane e straniere con almeno un ufficio in Italia) (Collaboriamo.org, 2015). Le piattaforme mappate operano in diversi settori tra cui i trasporti, il turismo, lo scambio di beni di consumo, i servizi alla persona, ma anche alcuni settori più emergenti, come la cultura[11]. La rilevazione mostra una distribuzione geografica disomogenea delle piattaforme sul territorio italiano e suggerisce che sia principalmente il Nord a dare origine a pratiche di economia collaborativa. Tuttavia, questo dato potrebbe essere falsato dal metodo di mappatura, che si basa principalmente su segnalazioni dirette e passaparola, e potrebbe quindi riflettere reti specifiche che non raggiungono efficacemente il Sud. Allo stesso tempo, non si può escludere che l’economia collaborativa così come definita nella mappatura (piattaforma digitale) sia più debole al Sud, dove possono prevalere altre forme di solidarietà e di rete economiche e sociali.

Da un’analisi campionaria realizzata su 55 delle 118 piattaforme mappate (quelle che hanno risposto al questionario), è risultato che oltre metà (56%) assume la forma di società a responsabilità limitata, a cui si aggiunge un 26% di start up innovative iscritte all’apposito registro. La percentuale di imprese individuali è bassa (5%), così come la presenza di cooperative (3%). L’indagine non ha messo in luce piattaforme costituite come associazioni o altri enti nonprofit (Collaboriamo.org, 2015).

Attenendosi ai risultati dell’indagine, l’economia collaborativa italiana sembra essere trainata soprattutto da imprese di capitali, e meno dalle forme in precedenza definite “civiche” o dal basso. Le piattaforme sono promosse e gestite generalmente da gruppi di 2-3 persone (il numero medio dei “founders” secondo l’analisi), imprenditori innovativi solitamente con livelli di formazione elevati (spesso, ma non necessariamente, laureati in ingegneria ed economia), che vedono un’opportunità di business – e contemporaneamente di impatto sociale – nella creazione di uno strumento da mettere a disposizione del pubblico affinché questo lo usi per realizzare scambi. Non sembra invece che siano le masse ad auto-organizzarsi e dare vita a una piattaforma per coordinarsi e collaborare tramite un’azione collettiva dal basso. Maggiore ricerca sulla genesi delle piattaforme e sui driver che spingono fondatori e utenti sarebbe estremamente auspicabile e interessante per comprendere quali fattori frenano la nascita anche di piattaforme dal basso (o la loro traduzione in realtà formalizzate che possano essere catturate da una mappatura di questo tipo).

La prevalenza di imprese di capitali tra le piattaforme collaborative rende particolarmente importante e stimolante una riflessione sul posizionamento delle cooperative rispetto al tema. Le cooperative infatti sono imprese, ma sono imprese collettive: in un panorama capitalistico dominato da piattaforme con una governance ristretta, le cooperative possono trovare uno spazio per farsi promotrici di modelli alternativi, a proprietà più ampia e condivisa? Cosa potrebbe apportare la loro esperienza di aggregazione di bisogni e competenze nella comunità? Come potrebbero valorizzare il proprio radicamento sul territorio? Cosa sarebbero costrette ad imparare e come dovrebbero cambiare per farsi strada e sperimentare nuovi percorsi?

Percorsi di innovazione reciproca

Il movimento cooperativo italiano ha iniziato ad interessarsi da poco all’economia collaborativa. Il tema ha attirato l’attenzione delle organizzazioni associative (Legacoop, Confcooperative, ACI) e di alcune singole imprese cooperative che si sono mostrate particolarmente attente all’innovazione e ai trend di trasformazione in atto. Solo ora il dibattito sta diventando mainstream.

Partendo da questo bisogno di confronto e riflessione, nel 2015 Fondazione Unipolis[12] e Generazioni-Legacoop[13] hanno promosso una ricerca finalizzata ad inquadrare il fenomeno dell’economia collaborativa ed analizzare le sue possibili implicazioni per le cooperative italiane. Fornendo dati, definizioni ed un quadro concettuale comune, la ricerca “Dalla sharing economy all’economia collaborativa: l’impatto e le opportunità per il mondo cooperativo” ha voluto stimolare un dibattito allargato sull’economia collaborativa e incoraggiare le cooperative a porsi domande su come questa possa essere di stimolo per sviluppare innovazione al proprio interno (Fondazione Unipolis, 2015).

La ricerca ha identificato diversi elementi – propri dell’economia collaborativa – che possono essere di interesse per le cooperative e fungere da stimolo per percorsi di innovazione:

  • L’uso delle tecnologie digitali e dei social network. Sono gli strumenti chiave usati dall’economia collaborativa per mobilitare e valorizzare le risorse dormienti, per coinvolgere le comunità in nuove forme di relazione, per aumentare la flessibilità, velocità ed innovatività dei servizi e dei modelli organizzativi, e dare quindi risposte sempre più efficaci ai bisogni. L’uso della tecnologia è un ambito nel quale le imprese cooperative possono imparare dalle piattaforme collaborative con grandi vantaggi anche in termini di efficienza e attrattività verso i giovani.
  • Il modello peer-to-peer ovvero le pratiche di collaborazione tra pari. Il modello di interazione peer-to-peer promosso dall’economia collaborativa può suggerire stimoli per un rinnovamento della mutualità cooperativa, soprattutto laddove la comunità esprime naturalmente un forte potenziale di mutuo aiuto dal basso e dove vi è una domanda di disintermediazione e relazione diretta che non può essere soddisfatta dai servizi tradizionali. Naturalmente il modello tra pari non può sostituire in toto le forme di mutualità cooperativa attuali (basate sulla condivisione di un progetto imprenditoriale stabile tra membri, che formano insieme una cooperativa per produrre beni, servizi, e – aspetto centrale – posti di lavoro), ma può favorire forme complementari di reciprocità nelle quali la cooperativa assume un nuovo ruolo anche come “piattaforma abilitante” della relazione tra pari.
  • Il rafforzamento dei modelli di governance. Le piattaforme di economia collaborativa si interrogano su questo tema, un ambito nel quale la cooperazione ha invece molto da offrire, grazie alla propria storia e alle proprie peculiarità di impresa collettiva. La lezione della cooperazione all’economia collaborativa può essere fondamentale anche nell’ottica del platform cooperativism, ma richiede che le stesse cooperative sappiano affrontare alcune sfide. Tra queste, la partecipazione digitale ed il coinvolgimento di gruppi su ampia scala (sulle piattaforme collaborano infatti migliaia di persone, con una crescita rapidissima e una quasi totale assenza di barriere fisiche e geografiche). Le cooperative che vogliano sfruttare il modello delle piattaforme collaborative dovrebbero saper gestire forme di partecipazione più fluide e flessibili, rivolte anche a soggetti che partecipano multiple piattaforme e che cercano quindi relazioni liquide nelle quali riversare i propri bisogni, interessi ed identità.

Questi spunti possono essere di rilievo per le cooperative e possono portare a cambiamenti dirompenti. Tuttavia – come emerso dalla ricerca – il cambiamento non può essere perseguito senza una profonda riflessione sui significati e la natura del fare cooperativa, e senza una forte attenzione a mantenere il carattere distintivo che questa forma di impresa ha costruito negli anni e che l’ha portata ad essere una delle forme più longeve e resilienti, anche di fronte alla recente crisi economico-finanziaria.

Non si tratta quindi di sostituire la cooperazione con un modello completamente nuovo, quanto piuttosto di cogliere da nuovi strumenti ciò che è utile per rafforzare il modello cooperativo; tra i cardini del modello cooperativo che non devono essere abbandonati vi sono anche la responsabilità sociale e l’attenzione all’impatto sulle persone, sui territori e sulle comunità, oltre che, come già osservato, la governance democratica ed aperta.

Alla ricerca di esperienze concrete

La ricerca (Fondazione Unipolis, 2015) ha voluto indagare se esistono cooperative italiane che abbiano già mutuato e ibridato elementi presi dall’economia collaborativa. Non ci si è concentrati su casi di piattaforme digitali costituite come imprese cooperative (molto rare anche a livello internazionale), quanto piuttosto su cooperative – anche pre-esistenti – che abbiano cercato (o quantomeno pensato) di integrare almeno uno dei tre elementi sopra citati (innovazione tecnologica, modelli peer-to-peer, nuove forme di governance e partecipazione).

Nonostante i casi concreti siano molto scarsi e ancora embrionali, vi è un reale interesse per questo tema e stanno lentamente emergendo le prime iniziative e progetti di cooperative che, ispirate più o meno consapevolmente dall’economia collaborativa, con questo mondo condividono diversi aspetti e ne hanno fatto proprie alcune caratteristiche.

L’interesse per l’economia collaborativa sembrerebbe riguardare soprattutto alcune nicchie di cooperative più “giovani” e “dinamiche”, e meno frequentemente imprese con business molto consolidati in settori fortemente normati o con mercati storicamente definiti. Va anche osservato che l’economia collaborativa è per il momento principalmente un’economia di consumatori, quindi, anche se tutte le cooperative potrebbero esserne in qualche modo toccate, è chiaro che alcune lo saranno in maggior misura. In particolare possono trovare stimoli concreti le cooperative di consumatori/utenti, le cooperative di servizi, le cooperative sociali, ed alcuni settori specifici come le cooperative che operano nei settori dei trasporti, dell’abitare, della cultura[14].

Tra le pratiche emergenti identificate dalla ricerca si discutono in questa sede solo alcuni casi, rimandando alla ricerca per ulteriori approfondimenti (Fondazione Unipolis, 2015).

Cooperative di consumo

Nel 2015, per la prima volta, l’economia collaborativa entra in modo evidente nei trend analizzati da Coop Italia all’interno del suo rapporto annuale (COOP Italia, 2015). Il rapporto[15] definisce le pratiche di economia collaborativa come “modalità di relazione sociale precapitalistiche che grazie alle possibilità abilitanti delle nuove tecnologie stanno diventando un nuovo modo di produrre e distribuire” (ibidem - p. 68) ed evidenzia la loro rapida espansione sia all’estero che in Italia. In particolare il rapporto mette in risalto l’aspetto di intercambiabilità tra ruolo di produzione e consumo promosso dalla sharing economy (il tema del “prosumer”) e le potenzialità che questo fenomeno apre in termini di micro-imprenditorialità diffusa. Inoltre, cita anche alcune pratiche emergenti nel settore alimentare.

A livello di esempi concreti, le cooperative di consumatori hanno iniziato a sperimentare direttamente l’economia collaborativa solo in un particolare ambito, quello della lotta allo spreco alimentare. Forse complice l’attualità tema (Expo 2015), alcune cooperative di consumatori hanno iniziato a guardare alle piattaforme come possibili strumenti per coordinare un’azione dei cittadini per ridurre lo spreco. Nel 2014 la Fondazione Il Cuore Si Scioglie Onlus[16] di Unicoop Firenze lancia la prima fellowship sullo spreco alimentare in collaborazione con Impact Hub Firenze[17], e sostiene la fase di pre-accelerazione di tre progetti selezionati di startup che propongono piattaforme digitali per lo scambio, la vendita, la donazione di prodotti alimentari invenduti. Non è cooperativa solo l’iniziativa, ma anche il prodotto: due di questi progetti vengono sviluppati da cooperative[18].

L’interesse delle cooperative di consumatori per il modello collaborativo non si ferma al tema dello spreco, e guarda in prospettiva anche all’evoluzione dei punti vendita fisici come piattaforme di scambio diretto di beni e servizi tra soci, valorizzando anche in questo caso la dinamica peer-to-peer ma entrando direttamente nel cuore dell’attività caratteristica e quindi nel modello di funzionamento dei negozi. Le sfide non sono poche, si pensi ad esempio al problema della certificazione dei cibi che vengono scambiati direttamente tra individui, ma le prospettive e l’interesse di certo non mancano.

Cooperative di abitanti

La cooperazione di abitanti ha mostrato un forte interesse verso il modello dell’economia collaborativa. Questa infatti offre importanti opportunità per creare nuove forme di condivisione tra abitanti e per sviluppare nuovi servizi collaborativi che permettano di condividere e scambiare risorse, di risparmiare sulle utenze, organizzare insieme servizi di prossimità, mobilità sostenibile, e molto altro. Questi nuovi servizi possono essere sviluppati anche in sinergia con altre cooperative, ad esempio cooperative di utenza, sociali, culturali, o di trasporto, traendo vantaggio dalle opportunità che il sistema cooperativo nel suo complesso offre.

Numerose esperienze innovative sono già state avviate da cooperative di abitanti, come dimostra il progetto Eco Courts[19] che ha mappato le buone pratiche nazionali ed internazionali in termini di risparmio delle risorse e riduzione dei rifiuti nei condomini, individuando numerosi progetti anche tra le cooperative di abitanti italiane. Acqua fredda o frizzante come bene comune, bike sharing, raccolta differenziata collettiva, orti comuni, spazi condivisi per il fai-da-te, sono solo alcune delle pratiche rilevate. La natura cooperativa dei condomini in cui emergono non è casuale: come si legge nel rapporto del progetto “l’attitudine alla collaborazione, almeno a livello di presupposto teorico, sicuramente ha facilitato la creatività dei gruppi di abitanti protagonisti di queste storie [...] Al tempo stesso, le iniziative di condivisione hanno dato una energia tutta nuova a esperienze di vita comune iniziate decenni fa, che avevano in parte perso la loro spinta propulsiva”. Le esperienze collaborative hanno mostrato quindi di portare ampi vantaggi sia per l’ambiente che in termini di risparmio e di qualità della vita nell’abitare “condiviso”. Sul fronte tecnologico possiamo osservare che, anche se molte delle esperienze sono di natura non tecnologica, l’introduzione di strumenti digitali potrebbe offrire importanti opportunità per ampliare l’impatto. Le potenzialità del digitale si vedono non solo a livello di maggior coordinamento ed efficienza dei servizi, ma anche rispetto allo sviluppo e alla valorizzazione della dimensione “sociale” del collaborare: le tecnologie potrebbero infatti abilitare nuove forme di condivisione e socialità tra condomini che affiancano all’impatto economico e ambientale anche un rafforzamento dell’aspetto socio-relazionale, valorizzando così pienamente il concetto di abitare cooperativo.

Cooperative sociali

La cooperazione sociale guarda con grande interesse, ma anche con grande cautela, all’economia collaborativa. I fattori da considerare sono molteplici. Si pensi, ad esempio, alle cooperative sociali di tipo A che erogano servizi alla persona. Le logiche peer-to-peer dell’economia collaborativa potrebbero essere declinate da queste cooperative sviluppando forme complementari di welfare e mutuo-aiuto gestite direttamente dalle persone, con servizi di assistenza tra pari. I cittadini potrebbero fornirsi supporto a vicenda, darsi aiuto reciproco, ad esempio nell’assistenza agli anziani o rispetto alla conciliazione casa-lavoro, e si potrebbero attivare reti di supporto per questioni specifiche come l’accoglienza ed integrazione degli immigrati. Quali sono dunque le innovazioni rispetto ad un tradizionale volontariato di comunità? La differenza principale sembra riguardare l’uso delle tecnologie digitali in rete, che consentono di attivare in maniera diffusa e continua potenzialmente tutti i membri della comunità, per chiedere o prestare aiuto, aumentando così le risorse attivabili e creando maggiore coesione sociale.

Le problematiche che emergono sono però molteplici. Innanzitutto, è fondamentale delimitare un preciso perimetro oltre il quale queste pratiche non possono essere svolte: ad esempio, non si può pensare di sostituire un servizio qualificato di assistenza con un servizio non qualificato (dei cittadini), e non deve essere indebolito il ruolo di tutela del soggetto pubblico verso chi non riesce ad accedere a piattaforme e reti di aiuto. Inoltre, non vanno dimenticate le questioni della sicurezza, della fiducia, etc.. Dall’altra parte, è proprio su temi come la fiducia e la relazione che si scorgono grandi potenzialità, dato che l’attivazione di una comunità di aiuto reciproco, organizzata in forma diffusa attraverso le nuove tecnologie e dotata di adeguati dispositivi relazionali, può rafforzare fiducia e coesione di una comunità.

Nel complesso, le esperienze concrete delle cooperative sociali nel terreno dell’economia collaborativa sono ancora carenti in Italia, e prevale una comprensibile cautela, soprattutto da parte di chi opera in settori e servizi molto delicati. Dall’altra parte, non mancano le startup che in forma di Srl stanno iniziando a proporre servizi in settori tipici delle cooperative sociali (es. servizi alla persona, servizi di conciliazione) tramite lo sviluppo di piattaforme peer-to-peer, a dimostrazione che probabilmente esiste un potenziale (o quantomeno un bisogno) in questo senso[20].

Un caso interessante è rappresentato da quelle cooperative sociali che hanno sviluppato piattaforme per servizi completamente nuovi e diversi dai loro ambiti tradizionali: è il caso di Piacere Milano, progetto promosso da due cooperative sociali (La Cordata e Spazio Aperto Servizi), che hanno lanciato una piattaforma per far incontrare persone residenti a Milano e visitatori di Expo 2015 e realizzare turismo esperienziale. L’esperienza di Piacere Milano dimostra il dinamismo e la creatività delle cooperative sociali che hanno visto nell’economia collaborativa uno spunto per generare nuovi servizi e nuove forme di relazione anche oltre i confini classici della cooperazione sociale.

Un ultimo spunto riguarda l’uso delle tecnologie in rete come strumento per favorire meccanismi di monitoraggio e feedback sui servizi da parte degli utenti, dei soci, delle comunità. Anche in questo caso è necessario riflettere cura su come i feedback sono raccolti, verificati, utilizzati; tuttavia le potenzialità sembrano molto interessanti (fino ad arrivare alla co-produzione e al prosumer nelle cooperative sociali).

Economia collaborativa: un’opzione valida per il movimento cooperativo?

La riflessione su economia collaborativa e cooperazione, nonostante le evidenti diversità dei due mondi (almeno per il momento), porta ad una serie di spunti rispetto alle possibilità di entrambi i modelli. Da un lato è possibile immaginare che la cooperazione possa mutuare alcuni strumenti e punti di forza dall’economia collaborativa, adattandoli ai propri campi d’azione e sviluppando nuovi servizi e modelli organizzativi, nuove forme di mutualità o nuovi approcci di engagement e creazione di comunità, anche basati sul web e sui nuovi strumenti. Allo stesso tempo, l’economia collaborativa può trarre spunti dall’esperienza delle cooperative per riflettere su aspetti fondamentali quali i modelli di governance, il rapporto con le comunità fisiche, l’attenzione all’impatto sociale.

Le riflessioni proposte sono solo l’inizio di un pensiero che, a nostro avviso, si dovrà sviluppare e articolare in futuro, se si vuole che l’economia collaborativa apra strade virtuose di innovazione sistemica e rinnovamento dei modelli socio-economici attuali.

Il modello di servizio proposto dalle piattaforme collaborative oggi vive un momento di profonde contraddizioni. La veloce crescita delle grandi piattaforme internazionali (soprattutto di consumo collaborativo) – e la loro finanziarizzazione – ha alimentato un dibattito che rimprovera ai grandi servizi collaborativi di aver smarrito la loro iniziale carica sociale per replicare, in modo nuovo, i vecchi modelli di accumulo del capitale. D’altro canto, le piattaforme nonprofit e le esperienze che aggregano i cittadini in forme associative fanno fatica a sostenersi e a scalare per la mancanza di risorse e di un ecosistema efficiente e solido, come quello che abilita il modello for profit. In assenza di risorse e frenate da una serie di barriere, le forme del terzo settore classico faticano anche a trarre vantaggio dalle tecnologie e ad adattarsi alle nuove forme sociali ed economiche emergenti.

Anche la cooperazione vive un forte bisogno di riflessione e rinnovamento. Come osservano i promotori dell’open cooperativism, spesso le cooperative di grandi dimensioni assomigliano ormai a grandi corporations, sia nei comportamenti di mercato, che nelle culture organizzative, e negli stili manageriali. Il management e le policies di queste cooperative sono sempre più distanti dalla base sociale, e si indebolisce nel tempo (anche per via delle trasformazioni del contesto esterno) la capacità di stimolare la partecipazione e di creare una cultura cooperativa condivisa. Le cooperative più piccole, dal canto loro, non riescono a competere sui mercati e a stare al passo con l’adozione dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Nel complesso la cooperazione, come evidenziano Conaty e Bollier (Conaty, Bollier, 2014), non ispira più l’immaginario collettivo a cui ha dato vita in passato (negli anni 1890, 1920, o 1970), e pur rimanendo un settore economico di grandissima importanza per i suoi numeri e il suo impatto economico e sociale, necessita di rinnovamento per continuare a coinvolgere e svolgere a pieno la funzione economica, sociale, culturale e politica di cui può essere portatrice.

Per questo la nascita dell’economia collaborativa e la sua rapida evoluzione sono fenomeni da tenere in considerazione in una riflessione generale nel panorama italiano.

La cooperazione è chiamata oggi a provare a intercettare questo modello così idealmente vicino al proprio DNA, interpretandolo e cogliendone le opportunità, senza cercare di copiarlo ma adattando gli strumenti e i concetti che possono servire la sua mission. Il punto di partenza deve essere la comprensione del fenomeno collaborativo, l’origine del suo successo, per capire i bisogni che rappresenta e le potenzialità generative di cui è portatore.

Questa sfida ci ricorda le origini della cooperazione sociale. Nata negli anni ‘70, la cooperazione sociale è stata frutto di una maturazione democratica e di attivazione di cittadinanza che si è generata in risposta ai limiti organizzativi del welfare pubblico e alla razionalizzazione della spesa socio-assistenziale avvenuta in seguito alla crisi petrolifera. Con la generazione di nuove risposte e modelli imprenditoriali, la cooperazione sociale ha dato vita a un nuova tipologia di impresa che ha avuto il merito di dare risposte urgenti ai cittadini, attualizzando al tempo stesso i bisogni e le potenzialità dell’intero modello cooperativo. Il parallelo con i tempi attuali può fornirci alcuni spunti di riflessione. Infatti, così come la cooperazione sociale negli anni ‘70 è stata in grado di leggere nuovi bisogni della società e creare risposte innovative, oggi il movimento dell’economia collaborativa legato alle nuove forme di produzione, consumo e di lavoro sembra nascere per rispondere a un contesto ampio di cambiamento socio-economico, dando vita a nuove realtà sociali ed imprenditoriali prima inesistenti.

Chiudiamo quindi con alcune domande rivolte al futuro, che sollevano anche i rischi e le sfide di un percorso di innovazione cooperativo.

  • Come può la cooperazione farsi interprete delle trasformazioni in atto e adattare il modello “collaborativo” a quello “cooperativo”, attualizzandosi ancora una volta e innovando le proprie risposte ai bisogni?
  • Che ruolo può giocare in questo processo un ripensamento e rinnovamento del concetto storico di “mutualità cooperativa”? In che modo questo concetto può essere oggi condizionato dalle nuove opportunità (sociali e tecnologiche) della “collaborazione peer-to-peer”? E’ possibile (e se sì, a quali condizioni) che la cooperativa si ripensi anche in veste di “piattaforma abilitante” per una collaborazione diretta tra persone? Come farlo senza perdere ma anzi valorizzando le proprie specificità?
  • Come può la cooperazione realizzare questa convergenza e trasformazione facendo attenzione a non assumere anche gli aspetti negativi e i rischi delle nuove forme collaborative (ancora giovani e in via di definizione), assicurandosi in particolare di essere diversa e alternativa rispetto al modello della on demand economy e del platform capitalism?
  • Come può assicurare, anche in questo frangente, il proprio ruolo di inclusione sociale, evitare il rischio di nuove disuguaglianze, dare vita a nuove pratiche che siano efficacemente partecipate, inclusive e democratiche?
  • Come può sviluppare innovazioni ispirate all’economia collaborativa che siano integrative e non sostitutive nella cooperazione, evitando il trasferimento asettico dei modelli piattaforma e assicurando invece il mantenimento di uno sviluppo evolutivo equilibrato del modello cooperativo nel suo complesso?
  • Quale ruolo possono avere le startup nella sperimentazione e dimostrazione di nuovi modelli collaborativi, e quanto è possibile promuovere invece la trasformazione lenta ma “sartoriale” anche delle grandi realtà cooperative consolidate?

Queste sfide chiamano in causa anche il ruolo delle istituzioni cooperative e del movimento nel suo complesso, a livello locale, nazionale ed internazionale. Appare più che mai necessario che la cooperazione organizzata e i suoi dirigenti imparino a leggere i processi in atto e i rapidi mutamenti, per comprenderne le dinamiche, interpretare i bisogni emergenti e proporre risposte innovative, all’altezza delle domande poste dalle persone e dalle comunità. Sarà fondamentale a questo scopo anche l’adozione di nuovi linguaggi, in grado di raggiungere ed ispirare la società mutata e soprattutto le nuove generazioni.

È quindi necessario per il movimento cooperativo lavorare di più e più velocemente su due versanti: quello dell’innovazione tecnologica e dell’innovazione sociale.

Bibliografia

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Note

  1. ^ Con alcuni precedenti, come dimostrato dal fatto che già nel 1978 un paper di Felson e Spaeth (Felson, Spaeth, 1978) parlava di “Community structure and collaborative consumption”. Tuttavia, il “consumo collaborativo” a cui si fa riferimento differisce significativamente da quello di cui si discute ai giorni nostri, soprattutto per la mancanza dell’elemento tecnologico che è uno degli aspetti chiave dei modelli collaborativi odierni.
  2. ^ Si pensi ad esempio alla comunità del counchrurfing o al modo in cui Airbnb ha iniziato a promuovere il senso di “community” tra i suoi hosts, attraverso la creazione di gruppi o meetups (“ritrovi”).
  3. ^ Sono molte le definizioni esistenti. Una piuttosto restrittiva è quella del Business Innovation Observatory che, concentrandosi principalmente sul fenomeno del consumo collaborativo, ha definito la sharing economy come un’economia fondata sui “mercati tra pari” e i cosiddetti “modelli di business basati sull’accessibilità” (European Commission, 2013). Diversamente NESTA intende l’economia economia collaborativa nei seguenti più ampi termini: “The Collaborative Economy as we define it involves using internet technologies to connect distributed groups of people to make better use of goods, skills and other useful things. It allows people to communicate in a peer-to-peer way” (NESTA, 2014). E’ più generica e omnicomprensiva anche la definizione data da Debby Wosskow (Wosskow, 2014), che parla di “online platforms that help people share access to assets, resources, time and skills. It encompasses a broad church of businesses and business models: peer-to-peer marketplaces such as Etsy, which allows anyone to sell their craftware; services like City Car Club, where people can share access to a car without having to own one themselves and time banks like the Economy of Hours which allows you to trade your skills, an hour for an hour”.
  4. ^ Tali categorie rispondono alla definizione “ampia” di economia collaborativa. Sono proposte ad esempio da Stokes et al. (NESTA, 2014) e riprendono ed espandono la concettualizzazione di Botsman e Rogers (Botsman, Rogers, 2010).
  5. ^ “Economia della condivisione” è un’altra formula che viene a volte usata per definire l’economia collaborativa, si tratta della traduzione letterale dall’inglese “sharing economy”.
  6. ^ Collaborazione e cooperazione possono essere affiancate ma non coincidono tra loro. Come osserva Venturi (Venturi, 2014) la collaborazione è condivisione di strumenti, la cooperazione è invece condivisione di fini: “la collaborazione non è sufficiente a definire la cooperazione (che prevede anche la condivisione dei fini e non solo degli strumenti), tuttavia è indispensabile per attivarla. La relazione fra sharing economy e cooperazione perciò è fondamentale e necessaria affinché si possa ri-generare sia il ‘valore di legame’ all’origine delle motivazioni dei cooperatori, sia una nuova stagione di promozione cooperativa capace di attrarre una generazione di imprenditori orientati a produrre valore economico e sociale”.
  7. ^ Si vedrà in seguito che le piattaforme di economia collaborativa possono assumere diverse forme giuridiche, anche se solitamente si sviluppano come società di capitali a responsabilità limitata.
  8. ^ La domanda posta da questi due autori è la seguente: “è possibile immaginare una nuova sintesi o sinergia tra il movimento emergente della peer production e dei commons da un lato, e gli elementi più innovativi della cooperazione e dell’economia solidale dall’altro?” (Conaty, Bollier, 2014).
  9. ^ Nel decennio intercensuario 2001-2011, le cooperative si sono dimostrate il settore più dinamico dell’economia italiana, registrando un aumento degli addetti occupati quattro volte maggiore rispetto a quello registrato dal totale del settore privato non cooperativo (ACI, 2013). Tra il 2009 e il 2014, anni della crisi economica, il tasso di crescita delle cooperative è risultato sempre positivo e sempre maggiore rispetto a quello registrato per il totale delle altre imprese in Italia (dati delle Camere di Commercio – Movimprese riportati da ACI (ACI, 2015a); il tasso di crescita è calcolato come rapporto tra il saldo di iscrizioni e cessazioni – al netto delle cessazioni di ufficio – rilevate nel periodo e lo stock delle imprese registrate al termine del periodo precedente).
  10. ^ Nel contesto dell’ampio panorama dell’economia collaborativa, Collaboriamo.org ha mappato le piattaforme che rispondono ai seguenti criteri: mettono in contatto diretto persone con persone (domanda con offerta), si limitano ad abilitare la collaborazione e non erogano direttamente servizi, quindi non stabiliscono il prezzo e non selezionano il personale, funzionano tramite piattaforma tecnologica, e consentono la partecipazione sia a cittadini che professionisti.
  11. ^ L’attribuzione per settori delle piattaforme deriva da una prima (e ancora in evoluzione) catalogazione effettuata dai responsabili della mappatura con l’obiettivo di descriverne, in modo per ora fluido e poco strutturato, l’universo di riferimento.
  12. ^ Unipolis è la fondazione d’impresa del Gruppo Unipol. Persegue finalità di ricerca scientifica e culturale, di promozione della sicurezza e dell’inclusione sociale, sia attraverso progetti diretti e in partnership con altre realtà, sia attraverso l’erogazione di risorse economiche ad azioni di solidarietà.
  13. ^ Generazioni è il coordinamento dei giovani under 40 che operano nelle cooperative e nella struttura associativa e di sistema di Legacoop. Ha l’obiettivo prioritario di proporre politiche e strumenti di sviluppo, innovazione, sostenibilità, con particolare attenzione ai temi del ricambio generazionale, della formazione e della crescita dei cooperatori.
  14. ^ La ricerca di Unipolis e Generazioni (Fondazione Unipolis, 2015) mette in evidenza come anche la finanza collaborativa e la produzione o conoscenza collaborativa possono toccare la cooperazione e interagire con le imprese cooperative. Per coerenza espositiva e per la natura più diretta delle implicazioni in questione in questo articolo ci si riferirà solo su alcuni degli spunti, rimandando alla ricerca completa per la trattazione di ciò che qui non è incluso.
  15. ^ Che per la verità fa riferimento al termine “sharing economy”, anche se riteniamo che in questo posso ben riferirsi all’economia collaborativa.
  16. ^ ilcuoresiscioglie.it
  17. ^ Impact Hub Firenze è uno spazio di promozione ed accelerazione di innovazione sociale aderente alla rete internazionale Impact Hub.
  18. ^ Senza Spreco è un progetto della Cooperativa Le Mele di Newton di Firenze, S-cambia cibo si costituisce in forma cooperativa e lavora sul territorio bolognese in stretta collaborazione e con il supporto di Coop Adriatica.
  19. ^ Si veda il sito del progetto per maggiori dettagli: life-ecocourts.it.
  20. ^ Tra gli esempi possibili: lecicogne.net, ilmiosupereroe.it/benvenuto.
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