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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-2-2021-ridisegnare-i-sistemi-di-gestione-delle-risorse-umane-per-l-agricoltura-sociale

Editoriale

La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione

Luca Gori, Gianfranco Marocchi

Lavoro

Impresa sociale e lavoro

Redazione

Tirocinio e tutoraggio

Piera Lepore

Gestione delle risorse umane in agricoltura sociale

Francesca Vaccari, Silvia Sacchetti, Andrea Signoretti

Coprogrammazione

Coprogrammazione, banco di prova per l’amministrazione condivisa

Redazione

La co-programmazione ex articolo 55

Andrea Bongini, Pina Immacolata Di Rago, Salvatore Semeraro, Umberto Zandrini

La coprogrammazione a Caluso

Gianfranco Marocchi

Recensioni

Cooperative da riscoprire. Recensione

Simone Poledrini

Numero 2 / 2021

Lavoro

Ridisegnare i sistemi di gestione delle risorse umane per l’agricoltura sociale

Francesca Vaccari, Silvia Sacchetti, Andrea Signoretti

Abstract

Le persone in condizione di svantaggio psichico faticano ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro in quanto possono avere maggiori difficoltà nel soddisfare le aspettative lavorative delle imprese. Le organizzazioni che si occupano di inserimento lavorativo rappresentano uno strumento importante per supportarne l’inclusione professionale attraverso appropriate pratiche di gestione delle potenzialità e vulnerabilità. Tuttavia, poche ricerche hanno analizzato la dimensione della gestione e della promozione lavorativa di questi lavoratori e i pochi studi esistenti si sono concentrati sull’osservazione di singole pratiche. Questo articolo mira pertanto ad arricchire la letteratura sulle pratiche di gestione delle risorse umane che possono favorire l’inserimento lavorativo e la produttività delle persone con problemi psichici.  

Nella ricerca sono state coinvolte alcune imprese di piccole dimensioni che operano nel settore dell’agricoltura sociale in Trentino Alto-Adige. Sul piano teorico, si è inteso capire se, ed eventualmente in base a quali modalità, un approccio sistemico alla gestione delle persone con difficoltà psichica è in grado di favorirne l’inserimento lavorativo e di conseguire nello stesso tempo obiettivi di sostenibilità economica. Da un punto di vista pratico, il contenuto delle pratiche di gestione del personale svantaggiato può essere utilizzato per definire specifiche linee guida per il management e per i professionisti delle imprese di agricoltura sociale.

Keywords: agricoltura sociale, inserimento lavorativo, gestione delle risorse umane

DOI: 10.7425/IS.2021.02.05

Difficoltà occupazionali dei soggetti svantaggiati

Questo lavoro prende le mosse da una sfida sociale specifica: le persone in condizione di svantaggio faticano ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro in quanto possono avere maggiori difficoltà nel soddisfare le aspettative lavorative delle imprese, la cui organizzazione del lavoro è strutturata sul personale ordinario (Villotti et al. 2017; Sacchetti, 2019). I livelli di disoccupazione sono di solito elevati. Nel rapporto Mental Health and Development: Targeting People with Mental Health Conditions as a Vulnerable Group, realizzato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (2010), si evidenzia come le persone affette da disturbi psichici soffrano dei più alti tassi di disoccupazione tra tutte le forme di disabilità: normalmente tra il 70% e il 90% (Mueser, McGurk, 2014). Ciò, con riferimento al contesto italiano, anche a causa del fatto che esse spesso non rientrano nelle categorie che possono usufruire del sistema di collocamento mirato istituito con la legge del 12 marzo 1999. Pertanto, le persone con disabilità psichica possono essere escluse da tale sistema di inserimento, e per esse le imprese di inserimento lavorativo rappresentano una delle poche possibilità di accesso al mercato del lavoro (Fazzi, 2009; Borzaga, 2012; Borzaga, Sforzi, 2019). Questo nonostante nell’ambito d’analisi della nostra ricerca – rappresentato dall’agricoltura sociale[1] – la normativa di riferimento allarghi il paniere di soggetti definibili svantaggiati. La Legge n. 114/2015 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, all’articolo 2, comma 2, individua come lavoratori svantaggiati, ai quali rivolgere l’attività di inserimento lavorativo, sia quelli definiti ai sensi dell’articolo 2, numeri 3) e 4), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014,[2] che le persone svantaggiate di cui all’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381.[3]

Le organizzazioni impegnate nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, come le cooperative di tipo B, o le realtà che praticano agricoltura sociale, si pongono un obiettivo di mission valoriale, ossia l’inserimento lavorativo stesso, ma devono allo stesso tempo cercare di conseguire una sostenibilità economica duratura proprio per garantirne il raggiungimento (Ridder, McCandless, 2010; Sacchetti, Marchesin, 2020). Essendo accomunate da tali caratteristiche, cooperative di tipo B e imprese attive nell’agricoltura sociale sono in questo articolo trattate congiuntamente; infatti, le imprese sociali sono per lo più organizzazioni con natura imprenditoriale che devono produrre beni o servizi competitivi sul mercato non tanto al fine di massimizzare il profitto ma le possibilità occupazionali in particolare delle persone con specifiche problematiche (Sacchetti, 2019). L’agricoltura sociale costituisce un ambito privilegiato per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati in virtù delle sue caratteristiche di contatto con la natura e di rispetto dei suoi ritmi (Giaré, 2017).

La complessità, insita nel duplice obiettivo socioeconomico dell’impresa di inserimento lavorativo, apre una prospettiva di studio sul ruolo dell’azione manageriale finalizzata alla gestione delle risorse umane con difficoltà psichiche (Kellner et al., 2017). L’esigenza primaria di soddisfare entrambi gli obiettivi rende necessaria un’organizzazione del lavoro in cui l’efficienza economica è necessaria, ma strumentale al primo obiettivo. Sinora gli studi sulle imprese di inserimento lavorativo, in generale, hanno dedicato un’attenzione parziale alle pratiche di gestione delle risorse umane (GRU d’ora in poi) che possono facilitare l’integrazione lavorativa delle persone con problemi psichici (Battilana et al. 2015; Signoretti, Sacchetti, 2020). Infatti, le poche ricerche svolte in quest’ambito (Villotti et al., 2017; Villotti et al., 2018, Corbière et al., 2019) si sono preoccupate di analizzare singole pratiche di gestione delle risorse umane non prendendo in esame le interconnessioni tra loro e con la strategia aziendale (Payne, 2005). Dall’altro lato, gli studi sui sistemi di GRU nelle imprese sociali hanno raramente considerato il personale svantaggiato, che rappresenta una parte importante delle persone occupate nelle organizzazioni che si occupano di inserimento lavorativo (Signoretti, Sacchetti, 2020). A fronte delle specificità delle imprese sociali che si occupano di inserimento lavorativo, pertanto, non esiste una riflessione altrettanto mirata (MacDonald-Wilson et al., 2002, 2003).

L’obiettivo di questo articolo consiste nel combinare gli studi sull’inserimento lavorativo dei soggetti con uno svantaggio psichico nelle imprese sociali con la letteratura inerente alle caratteristiche dei sistemi di Gestione delle Risorse Umane (GRU) nelle imprese non profit. Tale combinazione ha il fine di arricchire la conoscenza teorica e pratica sull’importanza di analizzare gli specifici contenuti delle pratiche di GRU adottando una visione sistemica rispetto all’organizzazione e gestione del personale con disabilità psichica nelle realtà di inserimento lavorativo nell’ambito dell’agricoltura sociale. Una visione specifica al mondo non profit e sistemica in grado di contribuire all’innovazione sociale che richiede specifiche caratteristiche e condizioni organizzative per affermarsi (Fazzi, 2019). Nel perseguire quest’obiettivo, la ricerca indaga le eventuali caratteristiche peculiari delle pratiche e dei sistemi di GRU nell’agricoltura sociale e il possibile contributo dei professionisti interni ed esterni alla determinazione del loro contenuto. Il tema viene approfondito nel contesto di alcune piccole imprese che operano nel settore dell’agricoltura sociale in Trentino-Alto Adige. Naturalmente, l’occupazione dei soggetti svantaggiati è parte di un progetto più ampio sulle persone inserite, che riguarda un insieme di aspetti tra loro integrati: attraverso il lavoro, le persone con problemi psichici possono acquisire competenze tecniche e sociali (Cobigo et al., 2012) in grado di garantire autonomia economica e relazionale, nonché aumentare il proprio senso di auto-efficacia e autostima. In questo modo, i soggetti svantaggiati diventano consapevoli del proprio ruolo attivo nella società favorendone il più ampio processo di inclusione sociale (Buzzelli et al., 2009).

L’articolo procede nelle seguenti sezioni discutendo gli studi relativi all’inserimento del personale svantaggiato e ai modelli di gestione delle risorse umane. Seguono l’illustrazione del disegno della ricerca e il metodo utilizzati, i dati empirici raccolti e la loro discussione nel paragrafo conclusivo.

L’inserimento lavorativo di persone con disabilità mentale

Il management delle risorse umane è stato riconosciuto come fondamentale per una gestione più efficace delle organizzazioni, anche nel settore non profit (Ridder, McCandless, 2010). Specifiche pratiche di GRU per le persone svantaggiate possono contribuire al perseguimento dell’obiettivo di inserimento e di autorealizzazione personale nonché a raggiungere un livello di produttività compatibile con la sostenibilità finanziaria delle realtà di inserimento lavorativo (Battilana, Dorado, 2010; Fraccaroli, Sarchielli, 2017).

Gli studi utili ad approfondire il tema di un impiego socialmente ed economicamente efficace delle persone con problemi psichici appartengono a due filoni. In psicologia organizzativa, diversi studi di taglio quantitativo hanno trattato direttamente il tema dell’inserimento lavorativo delle persone con problemi psichici nelle imprese sociali evidenziando l’importanza di alcune pratiche di GRU per favorirne l’occupazione (Villotti et al., 2017; Villotti et al., 2018; Corbiere et al. 2019; Migliore et al., 2019). Tra queste sono state messe in evidenza:

  • Il supporto della figura “responsabile dell’inserimento lavorativo” spesso denominato “Responsabile Sociale”. Sono molte le realtà che, all’interno del proprio organico, dispongono di una figura utile nel percorso di accompagnamento all’inserimento socio-lavorativo dei soggetti svantaggiati, con il compito di individuare, insieme al soggetto e agli eventuali servizi che lo hanno in carico, il percorso di inserimento migliore, in relazione alla difficoltà e alle risorse del soggetto stesso. Questa figura professionale si occupa direttamente del monitoraggio e della valutazione complessiva del percorso e della risoluzione di eventuali criticità. Si confronta periodicamente con la persona stessa, con l’operatore dei servizi territoriali e con il tutor (Depedri, 2012).
  • L’aiuto dei colleghi dai quali si possono apprendere nuove competenze. L’esperienza cooperativa italiana ha sviluppato un sistema di inserimento lavorativo che prevede anche l’individuazione di tutor, o “operatori dell’inserimento lavorativo”, che hanno il compito di accompagnare operativamente le persone svantaggiate nel loro percorso di inserimento lavorativo (Corbiére, Lecomte, 2009). Il termine stesso suggerisce che questa figura ha una funzione di tutela e di facilitazione nel percorso di inserimento lavorativo e sociale della persona svantaggiata, e per questo sono richieste competenze specifiche (Dellavalle, 2013). Tali figure favoriscono l’apprendimento di nuove conoscenze, aspetto che aumenta il senso di appartenenza del personale all’organizzazione (Fraccaroli, Sarchielli, 2017).
  • L’apprendimento è favorito soprattutto se il lavoro viene svolto in gruppo: in questo modo i soggetti svantaggiati stessi possono essere una risorsa reciproca nella formazione (Giarè, 2017).
  • L’adeguamento del lavoro alle richieste e alle capacità delle persone svantaggiate.

Queste sono pratiche che le imprese sociali di inserimento lavorativo implementano in forza della loro specificità, risultando così più efficaci rispetto alle imprese for-profit per le quali l’inserimento di persone svantaggiate rappresenta un obiettivo marginale rispetto agli scopi dell’impresa (Lanctôt et al., 2012). Gli studi presi in esame, tuttavia, non trattano l’argomento in maniera sistemica. Risulta pertanto opportuno integrarli con le ricerche che hanno mostrato l’importanza teorica ed empirica di considerare sia la complementarità fra diverse pratiche nonché la specificità che le pratiche di GRU tipiche del settore for-profit possono assumere nel non profit. Questo al fine di realizzare la mission sociale dell’organizzazione assicurandone la sostenibilità economica (Ridder et al., 2012).

Sistemi di gestione delle risorse umane e organizzazioni non profit

I principi di integrazione orizzontale e verticale sono alla base della visione sistemica di GRU che si è sviluppata nell’analisi delle imprese for-profit, ma possono essere utilmente ripresi, seppur in nuove forme, nello studio del mondo non profit (Ridder, McCandless, 2010). Il principio di integrazione orizzontale, su cui si concentra l’articolo in quanto strettamente legato alle modalità di utilizzo del personale, suggerisce che le diverse pratiche di GRU debbano sostenersi e/o compensarsi a vicenda in una prospettiva sistemica al fine di favorire miglioramenti sul piano della qualità del lavoro. Per esempio, consideriamo le pratiche di GRU tipiche di un management volto a migliorare l’efficienza produttiva attraverso la soddisfazione del personale. La letteratura identifica tra queste la formazione, il coinvolgimento, il lavoro in team, la job rotation, l’utilizzo di orari di lavoro flessibili e la fairness retributiva (Signoretti, 2018). La formazione è utilizzata per assicurare produzioni di qualità e nel contempo permette lo sviluppo della job rotation che consente al personale di acquisire una visione ampia dei processi produttivi e di assicurare flessibilità (MacDuffie, 2003). A loro volta, queste pratiche migliorano la qualità del coinvolgimento del personale (Signoretti, 2017). Il lavoro in team risponde agli obiettivi di facilitare l’apprendimento reciproco, la cooperazione e un impegno legato anche al controllo dei pari (Cattero, 2016; Fraccaroli, Sarchielli, 2017). La partecipazione del personale ha l’obiettivo di migliorare i processi produttivi valorizzandone i contributi (Vidal, 2007), mentre la flessibilità d’orario dovrebbe soddisfare sia bisogni di flessibilità aziendale che di conciliazione vita-lavoro del personale (Galea et al., 2014). Infine, ma non meno importante, le pratiche retributive in termini di variabilità rispetto ai risultati delle prestazioni lavorative sostengono ulteriormente l’impegno del/della lavoratore/lavoratrice (Guest, 1997).

Allo stesso tempo, l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati deve essere declinato in base alle capacità e ai bisogni delle persone in quanto il primo obiettivo che queste organizzazioni perseguono è quello di un inserimento lavorativo armonico. Di conseguenza, non è pensabile che le persone arrivino ad una condizione di stress, rischio che una produzione basata sulla continua ricerca di miglioramento e di efficienza attraverso l’attuazione di pratiche di GRU può comportare (Sacchetti, Signoretti, 2020). Queste pratiche devono tenere conto e soddisfare le caratteristiche del personale. Nel settore del privato sociale, queste caratteristiche sono costituite soprattutto da bisogni e aspirazioni di tipo ideale nel caso dei lavoratori ordinari (Borzaga, Tortia, 2006). Nel caso della forza lavoro svantaggiata, occorre tenere in considerazione anche le peculiari capacità e fragilità di questi/e lavoratori/lavoratrici sul piano tecnico, sociale e psicologico (Fraccaroli, Sarchielli, 2017). Gli studi sistemici sulla GRU non hanno solitamente preso in considerazione il personale svantaggiato limitandosi ad analizzare il contesto generale del non profit (Ridder, McCandless, 2010). Questo costituisce un limite rilevante poiché le persone svantaggiate rappresentano una porzione rilevante del personale nelle imprese di inserimento lavorativo. Risulta pertanto importante analizzare in tali organizzazioni sia l’eventuale presenza di pratiche specifiche di GRU per il personale svantaggiato, quali la presenza di un tutor, sia la possibile trasformazione di altre pratiche tipiche delle imprese for-profit.

L’integrazione verticale si basa, invece, sull’idea che la valorizzazione delle competenze del personale debba essere in grado di sostenere la competitività dell’organizzazione e la sua strategia. Le pratiche di GRU, quindi, si concentrano e si modellano sugli obiettivi strategici. Ne consegue che l’efficacia di queste pratiche viene valutata in base alla capacità di supportare gli obiettivi dell’organizzazione (Kellner et al., 2017). Le organizzazioni in grado di realizzare questi principi di integrazione orizzontale e verticale adottano un modello di GRU che è stato definito come orientato ai valori (Ridder, McCandless, 2010). Un modello che nel caso delle imprese di integrazione lavorativa risulta di particolare interesse proprio in virtù della sua capacità di conseguire contemporaneamente obiettivi di ordine sociale ed economico. Le organizzazioni che implementano questo modello di GRU ambiscono a tenere in considerazione sia i bisogni che la produttività delle proprie risorse umane attraverso un’integrazione orizzontale delle diverse pratiche, nonché di rendere quest’ultime coerenti e di supporto agli obiettivi strategici dell’organizzazione (Ridder, McCandless, 2010; Kellner et al., 2017).

Gli studi sui sistemi di GRU nelle organizzazioni non profit hanno anche elaborato l’idea che la capacità delle organizzazioni del privato sociale di essere capaci di raggiungere una sostenibilità economica e un efficace intervento di inserimento lavorativo dipenda dalla preparazione e dalla competenza professionale del management e dei professionisti interni, quali tutor e responsabili sociali, ed esterni, come gli assistenti sociali che operano nei servizi sociali del territorio (Handy et al., 2014). Il livello di conoscenza maturato attraverso la formazione e l’esperienza professionale del personale diventa dunque uno dei fattori dai quali dipende la possibilità di realizzare obiettivi specifici di inserimento lavorativo. Una maggiore preparazione dei professionisti implica che esso sia maggiormente specializzato e qualificato, e in grado di gestire nuove forme di disagio emergente (Depedri, 2012).

Le competenze a disposizione di un’organizzazione possono superare i confini delle singole imprese sociali. Pertanto, il management può intervenire nel funzionamento e nella gestione delle organizzazioni in interazione con i servizi sociali (Fraccaroli, 2011). Nell’ambito dell’inserimento lavorativo in agricoltura sociale sono possibili ulteriori connessioni, come quelle con i servizi pubblici che sono spesso cruciali nell’inserimento socio-lavorativo delle persone (e non solo) (Giarè, 2017). Queste collaborazioni si sviluppano soprattutto quando le organizzazioni non sono dotate di personale con una formazione psico-sociale, e potrebbero pertanto avere difficoltà nell’approcciarsi a determinate situazioni di disagio. Tale collaborazione è incentivata anche a livello normativo con la Legge 141/2015, che promuove la realizzazione di “politiche integrate tra imprese, produttori agricoli e istituzioni locali al fine di sviluppare l’agricoltura sociale”. Strumenti quali il Progetto Individualizzato[4] possono essere utilizzati per sostenere questa collaborazione (Fargion, 2012).

Il nostro studio mira, pertanto, ad arricchire la letteratura sulle pratiche di GRU che possono favorire l’inserimento lavorativo e la produttività delle persone con problemi psichici combinando i due filoni della letteratura illustrati: quello relativo alla gestione di questa categoria di persone nelle imprese sociali da un lato, e la visione sistemica di queste pratiche dall’altro. Sul piano teorico, il contributo che il saggio intende apportare consiste nel capire, nell’ambito dell’agricoltura sociale, se, ed eventualmente in base a quali modalità, un approccio sistemico alla gestione delle persone con difficoltà psichica è in grado di favorirne l’inserimento lavorativo e di conseguire nello stesso tempo obiettivi di sostenibilità economica. L’obiettivo consiste nel comprendere quali contenuti assumono le pratiche e i sistemi di GRU nell’inserimento di soggetti svantaggiati rispetto al settore for-profit, e il ruolo dei professionisti nel determinarle.

Dal punto di vista tangibile, il contenuto delle pratiche di gestione del personale svantaggiato può essere utilizzato per definire specifiche linee guida per il management e per i professionisti delle imprese di agricoltura sociale. Tale elaborazione può inoltre essere utile per i dirigenti dei servizi sociali che aspirano a migliorare i processi di inserimento lavorativo delle persone con problemi psichici, nell’ambito dell’agricoltura sociale, in un’ottica di efficacia e di sostenibilità economica.

Disegno e metodo della ricerca

Il settore scelto per condurre la ricerca è rappresentato dall’agricoltura sociale. Molte sono le evidenze empiriche che dimostrano l’efficacia di quest’ambito per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e in particolare per quelli portatori di disabilità psichica (Dell’Olio et al., 2017; Giarè, 2017). Da una ricerca sulla valutazione delle azioni innovative di agricoltura sociale, promossa dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA),[5] emerge come l’agricoltura rappresenti un contesto particolarmente adeguato a supportare le persone in percorsi terapeutici e riabilitativi. Il rapporto individua una serie di benefici fondamentali prodotti dall’agricoltura sociale. Un esempio è rappresentato dal “fattore natura”, ossia dall’idea che l’esposizione e la vita all’aperto producano benessere e miglioramento dello stato psicofisico (Sempik et al., 2006). Diverse ricerche hanno mostrato la relazione positiva tra attività a contatto con la natura e benessere mentale (Cirulli et al., 2011).

Le attività agricole permettono alle persone di poter lavorare secondo i ritmi biologici della natura, evitando l’affanno e le condizioni lavorative stressanti dei contesti industriali. Vi è una riduzione degli stati di ansia e dell’affaticamento mentale (Pedersen et al., 2011). La gamma di attività offerte è talmente ampia che ognuno può trovare il proprio spazio a seconda delle proprie esigenze (Di Iacovo, 2010). Inoltre, l’attività agricola è capace di sviluppare il senso di autoefficacia e di responsabilità degli individui (Lenzi et al., 2008): sapere che qualcosa dipende da te, in questo caso le piante o gli animali, stimola le persone e il loro senso di realizzazione (Senni, 2005). Infine, bisogna citare i benefici che l’attività di agricoltura sociale porta nelle aree rurali: essa permette di creare una rete di servizi adeguata in contesti che, solitamente, si trovano ai margini e per i quali l’investimento pubblico è limitato (Di Iacovo, 2008).

Nella ricerca sono state coinvolte 4 imprese di piccole dimensioni (con meno di 10 persone occupate) attive nell’agricoltura sociale nella regione del Trentino-Alto Adige: due cooperative sociali di tipo B (una in Trentino e l’altra in Alto Adige) e due aziende agricole impegnate nell’agricoltura sociale (anch’esse situate una in Trentino e l’altra in Alto Adige). I casi studiati hanno forme giuridiche diverse, come previsto dalla normativa che disciplina il settore dell’agricoltura sociale. Tuttavia, queste organizzazioni presentano caratteristiche sostanzialmente identiche rispetto al tema oggetto di studio. In particolare, tutte e quattro le organizzazioni impiegano personale svantaggiato per una percentuale maggiore del 30% (aspetto che contraddistingue le cooperative sociali di tipo B). Inoltre, dalla ricerca emerge un funzionamento parimenti volto al perseguimento e all’individuazione di un equilibrio tra il raggiungimento di obiettivi di mission valoriale (ossia l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati) e di obiettivi strategici.

La ricerca ha utilizzato la tecnica di uno studio di caso multiplo al fine di individuare i meccanismi alla base dei sistemi di GRU e di conseguire una maggiore robustezza dei dati raccolti. Infatti, lo studio di caso consente di comprendere il funzionamento e il significato delle diverse pratiche e le loro interconnessioni all’interno di specifiche organizzazioni. L’inclusione di più casi, invece, aumenta la validità esterna delle proposizioni che si ricavano e la loro trasferibilità ad altre organizzazioni oltre a quelle considerate nel momento in cui i meccanismi individuati sono confermati nelle diverse imprese studiate (Stewart, 2011).

In fase di selezione, le organizzazioni selezionate avrebbero dovuto avere una buona reputazione in termini di funzionamento, di gestione del personale con disabilità psichica, di qualità della produzione e di risultati economici. La nostra attenzione si è concentrata su casi di successo, in quanto la domanda di ricerca è volta a comprendere le caratteristiche di validi sistemi organizzativi e gestionali per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, essendo poco sviluppata la letteratura sull’argomento. In altri termini, gli studi esistenti hanno evidenziato maggiormente gli ostacoli e i problemi che si frappongono all’inserimento o reinserimento lavorativo dei disabili psichici, che non le potenziali soluzioni. Inoltre, le organizzazioni selezionate avrebbero dovuto occupare persone con disabilità psichica per un numero significativo di ore (pari a circa 20 ore settimanali e quindi a un contratto part-time standard) al fine di analizzare imprese sociali in cui la gestione del personale svantaggiato risultasse rilevante.

Sono state coinvolte, attraverso interviste semi-strutturate, 20 persone tra proprietari/responsabili, personale ordinario e svantaggiato. Questo approccio ha permesso di superare il limite di avere informazioni da un singolo attore (fosse esso rappresentato da manager, professionisti e personale operativo ordinario o svantaggiato); limite che ha caratterizzato molte delle precedenti ricerche in materia di inserimento lavorativo di soggetti con problemi psichici (Corbiére et al., 2019). Le imprese sono state scelte poi in modo che solo in due organizzazioni fosse presente un responsabile sociale, per valutare il fattore assenta/presenza in termini di pratiche di GRU adottate.

Nella conduzione dell’intervista le domande sono state utilizzate come traccia ed il dialogo è stato impostato a seconda delle esigenze dalle diverse situazioni (Bader et al., 2019). Nella pianificazione della ricerca è stata posta attenzione agli intervistati da includere, alle modalità di coinvolgimento e di conduzione, che sono risultate semplificate per i lavoratori svantaggiati (Caputi et al., 2015). Le pratiche di GRU indagate sono state quelle considerate da molte ricerche fin qui condotte sulla gestione delle risorse umane: supporto del tutor, teamwork, adattamento del lavoro alle capacità dei singoli, formazione, coinvolgimento, flessibilità oraria nella programmazione delle attività lavorative e retribuzione. I casi sono stati analizzati collettivamente per verificarne i collegamenti fra loro e con la strategia aziendale. In aggiunta sono state condotte altre 2 interviste, con un familiare di un ragazzo inserito e con un volontario che spesso affianca il lavoro delle persone portatrici di svantaggio. Ulteriori 2 interviste sono state svolte con funzionari dei servizi sociali territoriali e specialistici. Queste conversazioni hanno avuto l’obiettivo di indagare l’importanza da loro attribuita alle pratiche di GRU per l’inserimento lavorativo di soggetti con problemi psichici, e soprattutto l’eventuale ruolo dei professionisti nella determinazione dei sistemi di GRU adottati. Nel complesso, la ricerca ha coinvolto 24 persone.

Agli intervistati è stato chiesto il consenso di poter registrare quanto detto e il contenuto è stato trascritto. In questo modo la raccolta delle informazioni è risultata più accurata e precisa. Le informazioni ottenute sono state analizzate con la tecnica della triangolazione, che è stata attuata a più livelli contemporaneamente, ovvero sia all’interno di una stessa categoria (sono stati intervistati diversi responsabili, diversi lavoratori/lavoratrici), che all’interno di ogni caso analizzato, intervistando persone appartenenti a diverse categorie. Le informazioni raccolte dalle persone intervistate sono state pertanto confrontate fra loro per verificarne la congruenza e indagare eventuali discordanze (che non si sono registrate in termini significativi). I casi dapprima sono stati analizzati singolarmente, per poi evidenziarne i tratti comuni e quelli contrastanti (Yin, 2018). Il ruolo e le peculiarità in termini di formazione ed esperienza degli intervistati (per il personale non svantaggiato) nelle realtà analizzate (che chiamiamo in modo fittizio A, B, C e D) sono riportate nella Tabella 1. Nella Tabella 2 viene messo in evidenza il numero delle interviste e il ruolo degli intervistati.

Tabella 1. Caratteristiche delle realtà partecipanti alla ricerca.

Impresa

Personale e ruoli

Esperienza pregressa del personale di staff

Azienda agricola A (Alto Adige)

1 responsabile sociale

2 lavoratori di staff

6 lavoratori con svantaggio

Responsabile sociale: assistente sociale ed educatrice professionale con esperienza professionale come assistente sociale e coordinatrice di struttura di accoglienza

 

Lavoratore di staff (tutor): esperienza pluriennale come educatore presso una cooperativa sociale

 

Lavoratore di staff (tutor): formazione ed esperienza lavorativa pluriennale come fiorista e giardiniere

 

Cooperativa sociale B (Alto Adige)

2 lavoratori di staff

3 lavoratori con svantaggio

Lavoratore di staff (tutor): esperienza pluriennale come educatore presso una comunità terapeutica

 

Lavoratore di staff (tutor): formazione ed esperienza lavorativa pluriennale nell’ambito meccanico e agricolo

 

Cooperativa sociale C (Trentino)

1 responsabile sociale

2 lavoratori di staff

1 lavoratore con svantaggio

Responsabile sociale: formazione in scienze naturali ed esperienza pluriennale in cooperative sociale come responsabile sociale

 

Lavoratore di staff (tutor): formazione ed esperienza lavorativa pluriennale nell’ambito agricolo

 

Lavoratore di staff: formazione ed esperienza lavorativa pluriennale nell’ambito amministrativo

 

Azienda Agricola D (Trentino)

2 lavoratori di staff

5 lavoratori con svantaggi

Lavoratore di staff (tutor): formazione ed esperienza lavorativa pluriennale nell’ambito agricolo. Studi specifici nell’ambito dell’agricoltura sociale

 

Lavoratore di staff (tutor): formazione ed esperienza lavorativa pluriennale nell’ambito agricolo

 

 

Tabella 2. Interviste svolte e ruoli ricoperti dagli intervistati.

Impresa

Numero di interviste svolte e ruoli ricoperti tra il personale delle organizzazioni

Numero di interviste svolte e ruoli ricoperti da altri intervistati

 

Azienda agricola A (Alto Adige)

1 responsabile sociale

2 personale di staff

4 personale con svantaggio

1 famigliare lavoratore con svantaggio

2 personale dei servizi sociali territoriali

Cooperativa sociale B (Alto Adige)

2. lavoratori di staff

2 lavoratori con svantaggio

 

Cooperativa sociale C (Trentino)

1 responsabile sociale

2 personale di staff

1 personale con svantaggio

1 volontario

Azienda Agricola D (Trentino)

2 personale di staff

3 personale con svantaggio

 

Risultati

Le evidenze raccolte attestano come il management delle organizzazioni studiate utilizzi pratiche di GRU specifiche e in un’ottica complementare al fine di perseguire con successo gli obiettivi di inserimento lavorativo e produttività del personale svantaggiato. Di seguito si analizzano gli elementi raccolti, esaminando le diverse pratiche rilevate in rapporto con quanto solitamente riscontrato nelle imprese for-profit (il confronto è sintetizzato in Tabella 2).

Il “tutor” come operatore dell’inserimento lavorativo

Tutte le realtà si avvalgono di queste figure, definibili tutor in quanto hanno una funzione di presidio e sostegno del progetto nell’attività quotidiana. Con loro si instaura un rapporto di fiducia in virtù del quale è possibile da subito affrontare difficoltà e soddisfare bisogni che potrebbero emergere nel percorso di inserimento. Dalla ricerca si evince che queste figure hanno sia una formazione (o competenze) in ambito agricolo che socioeducativo, e sono quindi in grado di comprendere e gestire eventuali difficoltà quotidiane date dalla condizione di svantaggio del personale. Il tutor presiede l’attuazione e l’andamento del progetto di inserimento e nelle imprese studiate ha un ruolo formativo. Accompagnando l’individuo in tutte le attività, infatti, svolge formazione on-the-job per la persona svantaggiata: l’assiste e la sostiene nella sua giornata lavorativa trasmettendogli le conoscenze necessarie per compiere il lavoro, aspetto sottolineato anche dagli stessi tutor delle realtà analizzate:

Noi siamo dei punti di riferimento, sia per il sapere tecnico, ma anche per altre situazioni in cui cercano il dialogo per affrontare le loro problematiche (Tutor).

Quest’elemento rappresenta una specificità dell’ambito dell’inserimento lavorativo, che non si ritrova nel settore for-profit, utile a favorire non solo l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati ma anche l’efficacia del lavoro svolto. Il tutor accompagna le persone nelle pratiche lavorative quotidiane che spesso si strutturano in gruppo, aspetto che la ricerca ha fatto emergere come fondamentale per favorire l’inserimento.

Il “lavoro in team” come occasione di apprendimento, personalizzazione del lavoro e sostegno reciproco

Il percorso di inserimento lavorativo di soggettivi svantaggiati nell’ambito dell’agricoltura sociale trova nel team la possibilità di realizzarsi. L’attività lavorativa in tutte le realtà viene infatti strutturata tramite il lavoro in gruppo, formando delle squadre. All’interno del team ciascun soggetto può trovare la mansione più confacente alle proprie capacità, che gli può essere assegnata poiché altre persone svolgeranno altri compiti a loro più congeniali. In questo modo ognuno può apportare il proprio contributo ricoprendo ruoli e svolgendo compiti che maggiormente si adattano alle proprie caratteristiche, evitando così situazioni di stress. La squadra nel suo complesso favorisce l’inserimento della singola persona e risulta produttiva. Tali aspetti vengono sottolineati in particolare dei responsabili delle diverse organizzazioni:

Quando organizzo il lavoro settimanale o giornaliero, cerco sempre di equilibrare le squadre sia dal punto di vista delle capacità e aspirazioni personali che delle esperienze. Si cerca di definire la composizione delle squadre sulla base delle esigenze specifiche e, soprattutto, cercando di assicurare sempre la presenza di un tutor che quindi abbia una sensibilità nei confronti delle necessità più personali, fisiche o psicologiche delle persone (Responsabile azienda agricola).

I gruppi di lavoro sono formati da poche persone essendo peraltro le stesse organizzazioni di piccole dimensioni, e questo avvantaggia ulteriormente lo sviluppo di relazioni di supporto reciproco, di apprendimento e l’acquisizione di competenze relazionali. Inoltre, il team nelle attività agricole serve per sostenersi reciprocamente anche rispetto ai tempi di esecuzione delle attività lavorative che risultano essere lunghi e lenti e pertanto potenzialmente demotivanti:

Quando si lavora in gruppo viene a crearsi anche un clima di condivisione, più leggero e anche la fatica è molto diversa se si lavora insieme. L’attività agricola, se fatta da sola, sembra spesso che non prosegua… è molto demotivante. Se si lavora insieme è molto meglio, anche l’energia è diversa (Responsabile azienda agricola).

Il lavoro in team si rivela di conseguenza utile non solo per gli scopi pensati dall’utilizzo di questa modalità di lavoro nel profit (facilitare l’apprendimento, una maggiore flessibilità produttiva), ma anche per sostenere le capacità individuali nonché per favorire un supporto alla motivazione e sviluppare relazioni interpersonali. Tutti elementi che portano a un maggiore coinvolgimento del personale. Strutturare l’attività in gruppo favorisce anche un altro fattore fondamentale per la GRU: la rotazione. Si è detto che all’interno del gruppo ognuno trova spazio eseguendo l’attività più confacente alle proprie capacità, ma lavorare con altre persone favorisce anche l’apprendimento e quindi la rotazione delle mansioni svolte.

La rotazione delle attività

Nelle realtà analizzate la rotazione delle attività assume caratteristiche e finalità peculiari all’ambito dell’agricoltura sociale. La rotazione è, infatti, non solo favorita da altri fattori come il lavoro in gruppo, ma obbligata dal settore stesso. L’attività agricola è legata alla stagionalità e pertanto i compiti che le persone inserite svolgono sono molto differenziati, soprattutto nell’arco del tempo. La rotazione delle attività è graduale e segue i ritmi della natura. Ciò permette un apprendimento di diverse competenze e conoscenze. Le persone inserite imparano di volta in volta nuove mansioni e il funzionamento di nuovi strumenti diventando via via maggiormente competenti e autonome:

Le attività di giorno in giorno cambiano perché di solito dipende da come va avanti la situazione… faccio pratica di quello che mi dicono di fare e poi una volta imparato a usare uno strumento o a fare una certa attività io vado avanti in automatico (Lavoratore svantaggiato).

Allo stesso tempo, la rotazione su più attività è in grado di far acquisire maggiori competenze al personale, e di fornirgli la possibilità di dare un senso all’intero processo di lavoro e non solo a una singola attività, in questo senso mostrando lo stesso significato che la pratica assume nei contesti economici convenzionali. Strutturare l’attività in modo da favorire l’apprendimento e la crescita personale e professionale tramite tecniche come quelle fino ad ora esaminare risulta essere strategico per la GRU svantaggiate. Ciò, però, deve essere accompagnato dal coinvolgimento delle persone all’interno dei propri percorsi di inserimento, sia per favorirne un miglioramento sia per promuovere l’autorealizzazione delle persone.

Il coinvolgimento come elemento di riconoscimento

Il coinvolgimento è un tema cui le realtà intervistate pongono attenzione in quanto strumento utile migliorare l’attività lavorativa e per rafforzare ulteriormente il senso di auto-efficacia delle persone svantaggiate attraverso il riconoscimento delle loro capacità e idee in una logica di empowerment.

Si, mi coinvolgono, così ho una visione di insieme e so cosa si dovrà fare in futuro, così mi sento coinvolto e soddisfatto… È importante che le persone vengano sempre coinvolte e considerate, fa anche bene all’empowerment, perché si possono dire le proprie idee (Lavoratore svantaggiato).

Si, il confronto è costante, siamo una cooperativa circolare in cui la sostanza viene sempre condivisa e discussa, sia con gli utenti che con i volontari, dà anche un senso di riconoscimento, tutto viene improntato sul dialogo (Responsabile sociale).

Generalmente il coinvolgimento avviene in maniera informale. I responsabili delle strutture hanno segnalato come l’impegno organizzativo su questo tema sia migliorabile soprattutto attraverso una maggiore continuità e quindi riservandogli maggiore attenzione anche se, come si intuisce dal parere dei soggetti svantaggiati, la percezione del personale è positiva. Pertanto, si può affermare che il coinvolgimento serve a migliorare i processi operativi come nel for-profit ma, a differenza di questo, supporta un bisogno peculiare per l’inserimento di questi soggetti ovvero il senso di auto efficacia e di empowerment. Gli elementi di integrazione orizzontale finora analizzati tengono in considerazione capacità e difficoltà di ogni soggetto e in base a questi aspetti si strutturano in maniera differente, e lo stesso vale per l’orario di lavoro e la remunerazione.

Orari e retribuzione personalizzati grazie anche a forme di assunzione agevolanti

Tre delle quattro organizzazioni intervistate puntano al raggiungimento di un orario part time, ossia di 4 ore al giorno per 5 giorni lavorativi a settimana, mentre nel quarto caso, D, l’obiettivo è il raggiungimento di un orario pieno (40 ore settimanali). In quest’ultima organizzazione e in una con orario part-time, le persone iniziano fin da subito con l’orario standard, mentre nelle altre organizzazioni A e C il percorso di inserimento risulta personalizzato anche dal punto di vista dell’orario definendo nel progetto iniziale sia i tempi lavorativi che la loro possibile evoluzione. In ogni caso, soprattutto in A e C, l’orario di lavoro si configura come flessibile e personalizzabile in base alle capacità e ai bisogni del personale.

Gli orari sono più o meno fissi, lavorano tutti la mattina. Quasi tutti fanno le 4 ore, 8-12, nel periodo caldo 7-11. Però è adeguato alle esigenze personali: delle persone, per esempio, fanno meno ore, ma queste nel tempo stanno gradualmente aumentando… fare da subito 4 ore con gli altri lavoratori avrebbe creato molta ansia (Responsabile azienda agricola).

La retribuzione è diversa a seconda delle modalità con cui le persone vengono inserite e ciò varia in base alla loro produttività. Qualora queste presentino un disturbo grave, che ne compromette le capacità produttive in maniera consistente, soprattutto nei primi periodi si utilizzano forme di assunzione come il tirocinio remunerato tramite borse lavoro. La retribuzione varia, anche nel tempo, a seconda delle capacità dimostrate (1-4 euro all’ora). Pur trattandosi di importi non elevati, la variabilità retributiva mira a ricompensare in via simbolica le persone svantaggiate per il lavoro svolto tenendo conto dei risultati raggiunti.

L’anno scorso ho lavorato qui, ho imparato tanto, adesso guadagnerò di più, dà soddisfazione! (Lavoratore svantaggiato).

Nei casi in cui il disagio psichico non invalidi in maniera consistente le capacità lavorative dei soggetti, questi vengono assunti con i contratti agricoli di lavoro subordinato. Il contratto di assunzione e lo stipendio percepito sono gli stessi di un lavoratore agricolo, fattori questi che contribuiscono ad alimentare e accrescere l’autostima e l’autoefficacia dei lavoratori, che vedono riconosciuto il loro operato al pari di quello dei lavoratori standard, come specificato in questo stralcio di intervista:

Con il mio stipendio riesco a vivere bene, sono contento di quello che guadagno anche perché è come quello dei miei colleghi (Lavoratore svantaggiato).

Questa modalità di strutturazione delle assunzioni porta vantaggi sia in ottica di perseguimento della mission sociale, ossia l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, sia in un’ottica strategica. I diversi tipi di contratto utilizzabili permettono alle persone di individualizzare il loro percorso in base alle capacità e alle difficoltà, assicurando comunque una retribuzione, elemento importante per l’autostima e l’autorealizzazione. Nei casi in cui vengano accolte persone che presentano delle condizioni molto compromesse e poco produttive, le forme di contratto di tirocinio risultano essere uno strumento idoneo e sostenibile per l’organizzazione, che altrimenti dovrebbe sostenere un costo eccessivo per assumerle con un contratto diverso. Dall’altro lato, le persone svantaggiate possono in tal modo mantenere l’occupazione nel tempo. Nel complesso, a differenza del settore for-profit in cui l’orario di lavoro viene principalmente utilizzato come strumento per favorire la flessibilità e la conciliazione vita-lavoro, nei casi analizzati risulta essere elemento fondamentale per l’inserimento lavorativo. Le persone possono contare su orari “personalizzati” che facilitano il loro percorso di inserimento. Per quanto concerne la retribuzione variabile, invece, tale strumento ha l’obiettivo di motivare e ricompensare in modo differenziato le persone come avviene nel settore for-profit, in questo caso attraverso importi che possono essere simbolici e anche attraverso la stipula di contratti di impiego diversi.

Le pratiche di GRU fino ad ora analizzate si inseriscono, come si è detto, in un contesto particolare, quello dell’agricoltura sociale. Tale ambito risulta essere funzionale all’inserimento lavorativo anche grazie ai benefici che si traggono dall’ambiente stesso.

Il “fattore natura” come elemento di promozione dell’inserimento lavorativo

In accordo con quanto evidenziano gli studi nell’ambito dell’agricoltura sociale, dalla ricerca emerge come il contesto agricolo sia particolarmente indicato per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, in particolare quelli con un disagio psichico, per i quali questo tipo di lavoro risulta terapeutico e stabilizzante. L’immagine positiva di questi percorsi, data in particolare dal fatto che il lavoro è a contatto con la natura facilitando così l’espressione della persona, è stata confermata da tutti i soggetti intervistati:

Anni fa ho fatto lavori in ufficio e venditore di aspirapolveri e mi stressava molto e mi dava fastidio. Da quando ho cominciato a lavorare nella natura e con la terra sto meglio. Lavorare nella natura per me è terapeutico (Lavoratore svantaggiato).

Il lavoro all’aria aperta fa bene, stare a contatto con la natura è molto meglio che stare in una camera o in un luogo chiuso, lavorare con il corpo perché libera lo spirito (Lavoratore svantaggiato).

Tale aspetto è una caratteristica specifica del settore, ed esso sostiene le stesse pratiche di gestione delle risorse umane, le quali trovano applicazione in un contesto agricolo, a contatto appunto con la natura.

Se quelli descritti rappresentano i tratti comuni a tutti i casi analizzati (come sintetizzato nella Tabella 2), vi sono degli aspetti che contraddistinguono e differenziano le realtà esaminate in termini di profilo professionale del personale di staff e che sono utili per comprendere il diverso potenziale che l’attività di inserimento lavorativo può avere. Tali differenze sono date dalla presenza o meno di figure professionali quali i responsabili sociali e dal conseguente utilizzo di una strumentazione specifica, costituita dai Progetti Individualizzati.

Tabella 3. Pratiche di GRU nel settore for-profit e nelle imprese sociali.

Pratiche di GRU

Imprese for-profit

Imprese sociali

Tutor

Assente

Formazione tecnica e sociale e accompagnamento quotidiano della persona vulnerabile

Lavoro in team

Facilitazione dell’apprendimento e flessibilità produttiva

Oltre a quanto riscontrato nel for-profit: valorizzazione delle capacità individuali e compensazione delle debolezze, sviluppo di relazioni

Rotazione mansioni

Maggiore flessibilità e competenze del personale

Maggiore flessibilità e competenze del personale tenendo conto delle caratteristiche individuali

Coinvolgimento

Valorizzazione competenze e miglioramento processi

Logica di empowerment per favorire l’integrazione lavorativa

Orari di lavoro flessibili

Conciliazione vita-lavoro e soddisfacimento richiesta di mercato

Personalizzati in base alle capacità e ai bisogni del personale svantaggiato

Retribuzione variabile

Incremento motivazione e produttività del personale

Incremento motivazione e senso di auto-efficacia (anche con importi simbolici) del personale svantaggiato, compatibilità finanziaria

I responsabili sociali e i Progetti Individualizzati

Nelle realtà A e C dove, oltre a personale con una formazione in agricoltura, è presente anche personale con competenze psico-sociali approfondite, ossia i responsabili sociali, si strutturano percorsi per persone con diverse forme di disagio, anche molto grave.

Questo comporta l’utilizzo di una strumentazione specifica, quali i Progetti Individualizzati, che sono differenti dai progetti relativi all’introduzione nell’organizzazione in quanto molto più specifici e approfonditi rispetto all’inserimento. Tali progetti infatti aiutano a strutturare un percorso personalizzato attraverso l’individuazione di un mansionario, orari e obiettivi specifici. In questo caso, con l’espressione di Progetto Individualizzato si fa riferimento a un processo di progettazione che esita in un documento in cui vengono riportate in modo dettagliato attività e obiettivi per il soggetto svantaggiato all’interno dell’organizzazione rispetto al processo di inserimento lavorativo.

Abbiamo visto che è uno strumento molto utile soprattutto in collaborazione con altri servizi per poter dare dei rimandi molto precisi… inoltre permette di costruire percorsi estremamente personalizzati (Responsabili dell’azienda).

Quando le diverse professioni e competenze si incontrano e si contaminano è possibile strutturare percorsi che valorizzano le capacità delle singole persone, permettendo anche ai soggetti con un disagio profondo di trovare, nel contesto agricolo, la propria espressione e affinare le proprie conoscenze e competenze. Il Progetto Individualizzato è uno strumento attraverso cui è possibile personalizzare i diversi fattori di gestione delle risorse umane analizzate (lavoro in team, mansioni, rotazione, coinvolgimento, remunerazione, orari di lavoro).

I rapporti con i servizi sociosanitari del territorio

Nelle realtà in cui si registra un livello meno alto di competenze sociali nel personale di staff, le imprese hanno deciso di orientarsi verso un’utenza più stabile e si avvalgono della costante collaborazione dei servizi presenti sul territorio.

Ma ognuna di queste persone viene seguita anche dai servizi sociali… L’organizzazione è inserita in un network, sia con i servizi sociali e sanitari che con altri attori, tutti importanti per la nostra attività (Presidente cooperativa sociale).

La collaborazione e il supporto forniti dai servizi sociali non sono comunque in grado di garantire competenze sociali applicabili alle pratiche di GRU che consentano un impiego efficace ed efficiente di soggetti con gravi forme di disabilità psichica. Dalle interviste è emerso chiaramente come i professionisti del servizio sociale valutino positivamente le organizzazioni che adottano pratiche di GRU, decidano l’invio di persone con caratteristiche adeguate all’organizzazione e partecipino all’elaborazione dei progetti di inserimento. Progetti che fanno però riferimento a principi e obiettivi – per esempio in termini di ore di lavoro e competenze da raggiungere – che non sono immediatamente traducibili in pratiche di GRU. La determinazione di quest’ultime è prerogativa del management e dei professionisti delle imprese di agricoltura sociale, in quanto gli assistenti sociali non hanno competenze specifiche in materia.

Mi inserisco nella definizione di come si potrebbe svolgere, però lasciando soprattutto molta autonomia di come organizzarsi e definirsi alla responsabile che gestisce il maso, perché… gli esperti sono loro, sia nella gestione o che nella valutazione su quale lavoro possa fare qualcuno, insomma, sono loro gli esperti; perché io posso dare delle indicazioni, però l’attività e tutto il resto secondo me… deve essere soprattutto decisione dell’organizzazione... (Assistente sociale servizio specialistico).

In altri termini, le organizzazioni del privato sociale devono fare affidamento soprattutto sulle proprie conoscenze nella gestione del personale svantaggiato. Di conseguenza, eventuali limiti interni non possono essere sopperiti dai servizi esterni il cui contributo, per quanto fondamentale, non può essere utilizzato per gestire persone con gravi forme di svantaggio in progetti di inserimento lavorativo che richiedono una costante e approfondita personalizzazione delle diverse pratiche di GRU.

La GRU come strumento per raggiungere una maggiore efficienza organizzativa

Sino a questo punto si è mostrato come le pratiche di GRU siano concatenate l’una con l’altra e vicendevolmente si sostengano. Le pratiche e il sistema di GRU risultano fondamentali anche in termini di integrazione verticale, ovvero per il raggiungimento di quegli obiettivi di qualità ed efficienza che queste organizzazioni devono avere per competere nel mercato di riferimento. La produttività del lavoro e la qualità delle produzioni sono tutti elementi fondamentali per la sostenibilità economica e la competitività delle organizzazioni dell’agricoltura sociale. Infatti, nonostante gli sgravi contributivi per l’assunzione di persone svantaggiate (peraltro solo per le cooperative di tipo B), queste organizzazioni si trovano a concorrere con imprese convenzionali senza avere ulteriori vantaggi, anche nel caso di servizi richiesti dagli enti pubblici. Inoltre, tutte le organizzazioni in esame hanno intrapreso e sviluppato diverse attività economiche che possono andare dall’orticoltura, alla zootecnia, fino all’ospitalità e all’apertura di ristoranti. Questo al fine di avere entrate continuative nel corso dell’intero anno e di garantire la continuità occupazionale delle persone, svantaggiate e non. Infatti, tali elementi sono difficili da conseguire con la sola attività agricola. La diversificazione delle attività si configura pertanto come un ulteriore elemento fondamentale di competitività e, da questo punto di vista, le pratiche personalizzate di GRU in termini di rotazione delle mansioni, formazione e lavoro di gruppo si rivelano particolarmente strategiche.

Conclusioni e sfide future

La ricerca avanza la letteratura sull’inserimento lavorativo delle persone con problemi psichici nell’ambito dell’agricoltura sociale mostrando come la condizione di svantaggio porti all’attuazione sistemi di destione delle risorse umane (GRU) in un’ottica di integrazione orizzontale e verticale. Sistemi costituiti da pratiche di GRU che si basano sui bisogni e le potenzialità di tali persone. Si evidenzia quindi un sistema specifico di inserimento lavorativo per questa categoria di soggetti svantaggiati in grado di garantire benessere del personale e produttività (Signoretti, Sacchetti, 2020), il che spinge i servizi sociali locali a inviare personale svantaggiato presso queste realtà. I bisogni e le risorse delle persone con uno svantaggio psichico sono al centro del modello di GRU che opera al fine di valorizzarne le capacità sostenendole nel loro percorso di inserimento.

Abbiamo pertanto riscontrato l’esistenza di specificità rilevanti nel contenuto delle pratiche di GRU adottate nelle organizzazioni studiate in confronto con quanto delineato dalla letteratura per le imprese for-profit. Questo riguarda sia la conferma di pratiche specifiche quali la presenza di un tutor, sia la trasformazione di pratiche di GRU tipicamente adottate nelle imprese tradizionali. Per esempio, il team di lavoro nell’agricoltura sociale risponde a esigenze di compensazione di debolezze e valorizzazione delle potenzialità dei soggetti svantaggiati (come evidenziato anche in Signoretti e Sacchetti, 2020) così come al bisogno di fronteggiare attività lente e lunghe piuttosto che a esigenze di cooperazione per la risoluzione di problemi o di controllo fra pari. Un altro esempio è rappresentato dalla retribuzione variabile che pur assumendo spesso un carattere simbolico (visti gli importi non elevati) risulta rilevante nel favorire l’inserimento lavorativo e la sostenibilità economica delle organizzazioni. Naturalmente, è importante specificare come questi risultati siano riferibili a soggetti con uno specifico svantaggio di disabilità psichica. Pertanto, il contenuto di pratiche di GRU di successo può essere differente in riferimento a persone con altri tipi di vulnerabilità e risorse.

Inoltre, si evidenzia come i processi delineati possano coinvolgere soggetti con minori/maggiori svantaggi a seconda della minore/maggiore competenza sociale del management e dei professionisti delle realtà analizzate. I servizi sociali possono svolgere un ruolo importante di supporto ma non forniscono un contributo in merito alle modalità operative di gestione del personale. Per questo, le organizzazioni sono incoraggiate a sviluppare al proprio interno le competenze psico-sociali e di GRU necessarie all’inserimento del personale, soprattutto quando questo è fortemente svantaggiato. La figura del Responsabile Sociale si configura come particolarmente importante.

Dalla ricerca in esame emergono, inoltre, importanti sfide per il futuro. La prima consiste nel diffondere queste pratiche di GRU in altre organizzazioni attive nell’ambito dell’agricoltura sociale adattandola naturalmente ai singoli contesti organizzativi. Per favorire l’innovazione, lo sviluppo di relazioni esterne all’organizzazione genera apprendimento, spinge a pensare nuove soluzioni e ad affrontare vecchie e nuove criticità (Fazzi, 2019). Da questo punto di vista, la costituzione o lo sviluppo di agenzie pubbliche e/o di natura associativa con competenze in ambito di innovazione organizzativa e di gestione delle risorse umane può aiutare le organizzazioni interessate a crescere e migliorarsi in quest’ambiti, come avviene in alcuni casi per le imprese for-profit (Pacetti, 2008). In secondo luogo, l’agricoltura sociale è un settore relativamente nuovo e le stesse realtà analizzate hanno evidenziato diversi elementi che devono essere ancora sviluppati. Tra questi vi è la dimensione del coinvolgimento del personale. La letteratura di riferimento indica che il personale, se coinvolto, può assumere competenze in grado di migliorare il processo produttivo (Fraccaroli, Sarchielli, 2017). Le persone si sentono così parte di una realtà che possono contribuire a far crescere (Giarè, 2017). L’importanza di questa dimensione e della sua capacità di rafforzare il senso di autoefficacia dei soggetti trova riscontro anche nelle realtà prese in esame, le quali, però, perseguono questa dimensione in modo discontinuo.

Un’ulteriore sfida evidenziata dalla ricerca riguarda la capacità di garantire, durante tutto l’arco dell’anno, gli obiettivi di competitività ed efficienza. Uno degli approcci comuni a tutte e quattro le realtà indagate è lo sviluppo di diversi settori lavorativi (ristorazione, lavorazione dei prodotti, ecc.) in conformità con la definizione di agricoltura multifunzionale (Commissione agricoltura dell’OCSE, 2001). Questo al fine di garantire l’attività durante tutto l’arco dell’anno ed essere maggiormente produttivi, sopperendo anche alle eventuali crisi di un determinato settore. Così facendo si riesce a garantire un percorso di inserimento continuativo e non stagionale. Tale approccio si trova ancora a uno stadio embrionale, motivo per il quale risulta essere ancora una sfida. Trovare l’ambito di sviluppo adatto richiede tempo, tentativi ed errori.

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Note

  1. ^ “L’agricoltura sociale è quell’attività che impiega le risorse dell’agricoltura e della zootecnica, la presenza di piccoli gruppi, familiari e non, che operano nelle aziende agricole, per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa di ricreazione, di servizi utili per la vita quotidiana e di educazione” (Pieroni, 2008).
  2. ^ Il regolamento della Commissione Europea, all’articolo 2, paragrafo 1, numero 3) definisce “lavoratore con disabilità”: a) chiunque sia riconosciuto come lavoratore con disabilità a norma dell'ordinamento nazionale; o b) chiunque presenti durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in combinazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione all'ambiente di lavoro su base di uguaglianza con gli altri lavoratori; e al numero 4) definisce “lavoratore svantaggiato”: chiunque soddisfi una delle seguenti condizioni: a) non avere un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) avere un'età compresa tra i 15 e i 24 anni; c) non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3) o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non avere ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; d) aver superato i 50 anni di età; e) essere un adulto che vive solo con una o più persone a carico; f) essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato; g) appartenere a una minoranza etnica di uno Stato membro e avere la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.
  3. ^ “...si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni…”
  4. ^ Per Progetto Individualizzato si intende uno strumento che permette di individuare, sulla base delle difficoltà e delle risorse della persona, il percorso di inserimento lavorativo più adatto. È da considerare come un processo che conduce alla redazione finale di un documento cartaceo nel quale – a seguito di una valutazione iniziale effettuata spesso in maniera multidimensionale (e, quindi, in collaborazione con altri servizi che hanno in carico le situazioni) – vengono individuati gli obiettivi da raggiungere, le attività attraverso le quali raggiungerli, e i tempi entro i quali raggiungerli. Risulta fondamentale che il percorso venga pensato e progettato insieme alla persona stessa, che deve essere considerata come la principale conoscitrice della propria situazione (Fargion, 2012). Il percorso prevede momenti di verifica e di supervisione continua, importanti nel caso in cui risulti necessario riformulare l’intervento a seguito dell’individuazione di nuovi bisogni. Infine, viene data importanza alla valutazione e conclusione finale, momento che apre e dà l’avvio a ulteriori misure (conclusione del percorso, assunzione nella cooperativa, inserimento nel mercato del lavoro tradizionale) (Bartolomei, Passera, 2005).
  5. ^ L’ I.N.E.A svolge attività di ricerca socioeconomico in campo agricolo-industriale, forestale e della pesca, in ambito nazionale, comunitario e internazionale, al fine di concorrere all’elaborazione delle linee di politica agricola, agro-industriale e forestale e nazionale.
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