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ISSN 2282-1694
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Editoriale

La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione

Luca Gori, Gianfranco Marocchi

Lavoro

Impresa sociale e lavoro

Redazione

Tirocinio e tutoraggio

Piera Lepore

Gestione delle risorse umane in agricoltura sociale

Francesca Vaccari, Silvia Sacchetti, Andrea Signoretti

Coprogrammazione

Coprogrammazione, banco di prova per l’amministrazione condivisa

Redazione

La co-programmazione ex articolo 55

Andrea Bongini, Pina Immacolata Di Rago, Salvatore Semeraro, Umberto Zandrini

La coprogrammazione a Caluso

Gianfranco Marocchi

Recensioni

Cooperative da riscoprire. Recensione

Simone Poledrini

Numero 2 / 2021

Comunità

Le cooperative di comunità come nuovi agenti di aggregazione sociale e sviluppo locale

Michele Bianchi

Abstract

Il fenomeno delle cooperative di comunità è recentemente emerso nel panorama nazionale e, con il tempo, si sta ritagliando un ruolo sempre più di rilievo all’interno dei processi di sviluppo locale. Sebbene il dibattito scientifico abbia già affrontato lo studio di questa nuova forma cooperativa, definendone il modello e la funzionalità, risulta comunque interessante interrogarsi su quale ruolo rivestano queste forme di cooperazione per le proprie comunità di riferimento.
L’obiettivo di questo saggio è proporre una riflessione teorica sul ruolo sociale che le cooperative di comunità stanno conquistando nei territori. Sulla base di un’analisi di dati secondo il metodo della grounded theory si espone la tesi di come le cooperative di comunità stiano colmando dei vuoti d’azione lasciati da altre istituzioni. In questo lavoro si propongono tre chiavi interpretative: 1) le cooperative di comunità come nuove strumenti di partecipazione politica (i cittadini dibattono sul destino delle proprie comunità); 2) le cooperative di comunità come partner strategici degli enti locali in quanto facilitatori della partecipazione dei cittadini; 3) le cooperative di comunità come risposta al bisogno psico-sociale di un maggior “senso di comunità”. In generale, questo articolo vuole mettere in evidenza l’innovazione che queste esperienze stanno portando nel dibattito sullo sviluppo locale attraverso l’ibridazione di un modello d’impresa con le dinamiche di partecipazione politica e sociale dal basso. 

Keywords: cooperative di comunità, sviluppo locale, sviluppo di comunità, community development, welfare, agenzie di sviluppo

DOI: 10.7425/IS.2021.02.08

Introduzione

Con il termine cooperativa di comunità s’intende una recente evoluzione della forma cooperativa nel contesto italiano volta alla definizione di un nuovo approccio allo sviluppo locale teso a favorire i processi di partecipazione della popolazione al fine di rivitalizzare risorse, economie e culture locali (Bandini et al., 2015; Mori, Sforzi, 2018). Seppur privi di una definizione univoca ed un inquadramento giuridico, queste cooperative stanno trovando una loro collocazione nel panorama dello sviluppo locale, inserendosi in un paradigma più ampio che vede la partecipazione diretta dei cittadini e delle organizzazioni nel pensare e definire le nuove traiettorie dello sviluppo locale (Provasi, 2004; Tortia, 2009; Battistoni, Zandonai, 2017; Bernardoni, Picciotti, 2017). Questi processi sono sicuramente favoriti da un’evoluzione del sistema di governo delle istituzioni locali (Bombardelli, 2011) ed anche da un nuovo protagonismo civico volto ad una maggior attenzione ai temi inerenti la tutela dei beni comuni (Arena, Iaione, 2015; Borzaga, Zandonai, 2015).

Questo saggio propone una lettura delle motivazioni sociali e politiche che, oggi, spingono gruppi di cittadini ad organizzarsi in cooperative, autodefinite “di comunità”, per lo sviluppo locale. La tesi proposta è che queste esperienze dal basso cerchino non solo di colmare i vuoti lasciati dalle amministrazioni locali (alle prese con evidenti difficoltà di spesa) e dai fallimenti del mercato (Mori, Sforzi, 2018; Pezzi, Urso, 2018), ma anche al venir meno di alcune istituzioni fondamentali nella società del secolo scorso, come le organizzazioni di massa, per far posto ad una società liquida, dove si ricerca un nuovo senso di comunità (Bauman, 2001). Se in passato le organizzazioni politiche, sindacali e sociali avevano la capacità di aggregare le forze dal basso, all’interno di strutture locali e nazionali, e di sviluppare un dibattito pubblico che intermediasse le istanze dei cittadini con le istituzione locali (Della Porta, 2004), come magistralmente descritto da Putnam et al., (1993), oggi questo ruolo rimane vacante e le cooperative di comunità, insieme ad altre forme auto organizzate, sopperiscono in parte anche a questo. Nel dare risposta ai vuoti, le forze civiche stanno creando nuovi modelli di aggregazione, tra cui le cooperative di comunità, che risultano tra le proposte più interessanti in quanto forme ibride di imprese e processi di partecipazione sociale.

L’articolo prende le mosse da una ricerca che ha coinvolto cinque casi studio. L’approccio metodologico si basa sulla formulazione di una teoria interpretativa della realtà partendo dai dati raccolti sul campo, senza una pregressa strutturazione teorica o ipotesi da verificare. Il contributo s’inserisce quindi nell’ambito della Grounded Theory (Glaser e Strauss, 2009) e muove dalle considerazioni interpretative sul fenomeno delle cooperative di comunità in relazione al loro rapportarsi con i contesti socio-culturali-economici in cui sono inserite.

Lo studio delle cinque cooperative è avvenuto nel corso di sei mesi con un lavoro di ricerca sul campo che ha previsto l’osservazione dei cooperatori ma, soprattutto, una serie di interviste semi-strutturate (84) con questi, parte dei loro sostenitori e/o utenti, di partner locali e di cittadini delle comunità interessate. In un’analisi successiva dei dati è emerso come nei diversi territori si presentino delle comunanze in termini di come alcuni cittadini, che hanno una memoria storica delle organizzazioni di massa del secolo scorso, vedano queste cooperative come un tentativo di compensare questo vuoto. Similmente, è interessante osservare come le generazioni più giovani, non avendo esperienza diretta di questi fenomeni di aggregazione di massa, rispondano ai bisogni con soluzioni autonome, indipendenti e depoliticizzate. In ultimo, è peculiare vedere come gli amministratori locali, in alcuni casi, accolgano con entusiasmo ed incentivino la nascita e sviluppo delle cooperative di comunità come una nuova forma di connessione alla popolazione locale ed un modo per meglio comprendere i bisogni locali a cui dare risposta. La proposta teorica di questo articolo consiste nell’interpretare le cooperative di comunità come una delle risposte che cercano di colmare l’assenza delle liquefatte istituzioni del passato; queste organizzazioni, nel novero delle iniziative di cittadinanza attiva, portano innovazioni significative in quanto tengono insieme la creazione d’impresa (radicata sul territorio) con nuovi obiettivi sociali, quali l’aprire spazi sociali di aggregazione e discussione sullo sviluppo locale ed il rispondere a necessità psico-sociali di un nuovo “senso di comunità” .

L’articolo si sviluppa come segue: una prima parte è dedicata al fenomeno delle cooperative di comunità per come ha avuto origine e si è sviluppato nel contesto italiano. A seguire è presentata la metodologia, con una descrizione dei dati raccolti ed il processo di analisi. La discussione analizza i dati emersi rispetto alla letteratura esistente ponendo in evidenza le relazioni tra fenomeni empirici e dibattito scientifico. Infine, le conclusioni presentano una triplice proposta di inquadramento teorico del ruolo delle cooperative di comunità rispetto ai territori di riferimento, discutendo anche i limiti della ricerca e le prospettive future di sviluppo. Alle cooperative di comunità va riconosciuto, oltre al valore nel proporre un nuovo modello per lo sviluppo locale, anche un significativo ruolo sociale che abbraccia diversi aspetti, come il generare nuove dinamiche di aggregazione sociale per un maggior senso di comunità e il proporre spazi di dibattito pubblico sui modelli di sviluppo supplendo a limiti e mancanze di altre istituzioni sociali.

Le cooperative di comunità nel contesto italiano

Sebbene ad oggi non esista una legge nazionale che definisca univocamente cos’è una cooperativa di comunità, è comunque possibile attingere dalla letteratura scientifica per inquadrare il fenomeno in un modo preciso. Si definisce cooperativa di comunità un’impresa cooperativa che si distingue per identificare in maniera esplicita la propria comunità come primo beneficiario della propria azione (Bartocci, Picciaia, 2013; Teneggi, Zandonai, 2017; Mori, Sforzi, 2018; Dumont, 2019). Queste cooperative sono una delle più recenti evoluzioni del movimento italiano; se da una lato riprendono elementi fondativi della tradizione cooperativa (Mori, 2017), dall’altro apportano un’innovazione nel concetto di “mutualismo” estendendo i benefici, in maniera diretta ed indiretta, a tutti i membri della comunità (Bianchi, 2019). In un certo senso, queste cooperative proseguono il lavoro di sviluppo locale a forte valenza sociale iniziato già sul finire degli anni ‘80 dalle prime cooperative sociali (Provasi, 2004). Questa nuova forma propone però una visione più olistica dello sviluppo locale intrecciando aspetti dell’ambito sociale – intesi nel senso di aggregazione sociale più che della produzione di servizi (Bandini et al., 2015), con altre azioni volte direttamente allo sviluppo economico come la rigenerazione di asset locali (Bianchi, Vieta, 2019), la produzione di energia sostenibile (Bartocci, Picciaia, 2013), lo sviluppo culturale (Tricarico, Zandonai, 2018) o la cura e preservazione dei beni comuni (Burini, Sforzi, 2020).

L’idea è quindi quella di strutturare una forma d’impresa che parta dall’analisi dei bisogni locali non limitandosi solo a quelli che i soci aggregati portano all’attenzione della cooperativa. Queste organizzazioni rappresentano un’evoluzione del ruolo sociale della cooperazione perché non solo si propongono sul mercato come forze collettive per soddisfare i bisogni dei soci invece di massimizzare i profitti (Bagnoli, 2011), ma anche perché s’interessano in maniera più generale al bisogno dei concittadini che vivono nei medesimi territori pur non essendo questi formalmente membri (Mori, Sforzi, 2018). Se il dibattito scientifico italiano ha avuto il merito d’identificare il ruolo che queste cooperative stanno assumendo, quest’analisi intende fare un passo successivo proponendo un’interpretazione del perché solo in questi ultimi dieci anni si sia iniziato a parlare di “cooperative di comunità”. A ciò si aggiunge una riflessione sul ruolo sociale che le cooperative stanno assumendo nel creare dinamiche di aggregazione e azione collettiva della cittadinanza attiva; se un tempo questa si esprimeva in forme più politicizzate, come i partiti, i sindacati e le altre organizzazioni a loro connesse, il punto è quindi capire se oggi queste organizzazioni stiano assumendo un ruolo simile a quello che caratterizzava quelle forme, ancora esistenti, ma meno permeanti nelle vite dei cittadini.

Alla base di questa evoluzione della forma cooperativa si può trovare una riscoperta del valore dell’attivismo civico per il bene comune (Borzaga, Zandonai, 2015). Quindi, queste iniziative potrebbero vedersi come esempio locale di community development (Henderson, Vercseg, 2010; Craig et al., 2011). Come sarà poi spiegato nell’analisi dei risultati, queste forme di cittadinanza attiva che si concretizzano in vari modelli, tra cui anche le cooperative, possono essere interpretate come una risposta alla mancanza di altre forme di aggregazione e dialogo tra cittadini ed istituzioni, ruolo un tempo svolto da altre forme di organizzazione (Putnam et al., 1993; Ruzzeddu, 2013; Biorcio, Vitale, 2016). Il community development è principalmente un processo di coinvolgimento di cittadini, organizzazioni e istituzioni locali per lo sviluppo di capacità volte a risolvere problemi socio-economici in maniera autonoma (Craig et al., 2008). Per far questo, le comunità possono far affidamento alle risorse locali presenti nei loro territori favorendo così un maggior senso di responsabilità e autonomia (Kretzmann, McKnight, 1993). Alcuni dei risultati inducono però a pensare che queste forme di organizzazione dal basso siano delle innovazioni rispetto a come prima si regolavano i rapporti tra cittadini ed istituzioni, con un nuovo ruolo della cittadinanza attiva che maggiormente struttura il suo apporto in forme non più oppositive al pubblico ma di partnership e collaborazione. A ciò si aggiunge che in altri contesti internazionali, il community development è stato implementato per favorire dei processi di crescita dal basso della cittadinanza attiva, di accrescimento del “senso di comunità”, di aggregazione di forze civiche per perorare le proprie cause, e di uso di questo processo da parte di enti locali per creare un rapporto diretto con i cittadini (Jones, Evans, 2008; Craig et al., 2011; Emejulu, 2016).

Le considerazioni presentate in questo lavoro emergono dai dati di una precedente ricerca sulle cooperative di comunità italiane. Questi indicano come le cooperative analizzate siano nate anche al fine di sopperire a delle mancanze sociali, non solo economiche, nei propri territori. Da qui lo spunto per avviare la ricerca che si è strutturata metodologicamente come descritto nel prossimo paragrafo.

Metodologia

Come anticipato, questo contributo si colloca nel novero della Grounded Theory (Glaser, Strauss, 2009); l’obiettivo è quello di avanzare una proposta teorica sul ruolo che le cooperative di comunità oggi ricoprono nei loro territori partendo da dati raccolti e reinterpretati in un momento successivo alla fase di ricerca sul campo. Questa riflessione, infatti, non si basa sulla comprovazione empirica di tesi dedotte dall’analisi della letteratura ma, al contrario, propone per induzione una spiegazione teorica sulla base dell’analisi di dati emersi dal lavoro sul campo. In altre parole, non vi era l’intenzione di sviluppare una teoria antecedente alla raccolta dei dati, ma questa è formulata successivamente, guardando alle informazioni emerse dalle interviste e correlandole alla letteratura scientifica sullo sviluppo locale.

La ricerca è quindi di tipo qualitativo e si basa sul presupposto teorico che i soggetti siano costruttori delle realtà organizzative di cui fanno parte al fine di rispondere sia ai loro bisogni sia anche agli stimoli esterni; per questo, essi diventano “soggetti informati” (Gioia et al., 2012). Le informazioni derivano da una comparazione di cinque casi studio; questa metodologia è stata usata per analizzare come i soggetti selezionati si siano sviluppati ed abbiano agito in relazione ai loro contesti (Yin, 2009). Il lavoro sul capo si è avvalso di due tecniche: lo strumento principale sono state delle interviste semi-strutturate ai fondatori delle cooperative, ai lavoratori, ai partner e ai cittadini appartenenti alla comunità per un totale di 84 interviste. Successivamente, queste sono state trascritte e codificate con Nvivo. In parallelo, sono state raccolte note di campo inerenti varie conversazioni tenute con altri soggetti e considerazioni dirette del ricercatore.

A seguito della prima fase di analisi, è emerso come in diversi contesti vari soggetti abbiamo portato all’attenzione del ricercatore i medesimi temi. Per questo motivo, si è condotta una seconda analisi sui dati codificando gli elementi nelle interviste che riportano informazioni su come i cooperatori percepiscono il loro ruolo nello sviluppo locale, come invece in passato questo stesso ruolo fosse ricoperto da altre istituzioni e come le cooperative supportino lo sviluppo di nuovi canali di aggregazione delle spinte dei cittadini dal basso favorendo un dialogo con gli enti pubblici. Questo iter è avvenuto secondo un processo di focused coding (Charmaz, 2014) partendo dalle parti d’interviste ritenute rilevanti in termini di (a) ruolo aggregativo delle cooperative intorno al concetto di comunità, (b) come queste comprendano le istanze locali e le portino all’attenzione dell’attore pubblico, (c) come in passato questo processo fosse attuato da altri attori. Successivamente, si è provveduto ad una rilettura delle parti evidenziate con questi codici e ad un raffronto con gli altri elementi emersi durante il lavoro sul campo, ovvero, il ruolo sociale e il retroterra culturale dei soggetti che hanno espresso le opinioni evidenziate. Infine, si è passati ad un’analisi dei dati selezionati in raffronto alla letteratura sul ruolo della cittadinanza attiva a cavallo tra fine ‘900 e secolo attuale e del valore politico che questa ha assunto con la crisi dei partiti e delle istituzioni della società di massa; sebbene la trattazione di questa letteratura non sia esaustiva, emergono comunque spunti interessanti per una proposta teorica del ruolo sociale delle cooperative di comunità. I dati emersi sono riportati nei successivi paragrafi, dopo una breve panoramica sui cinque casi, le informazioni sono presentate in tre sottocategorie: nuove generazioni, generazioni passate, amministratori locali.

I casi studio

AnversiAmo

Nel paesino di Anversa degli Abruzzi (AQ), la collaborazione tra due cooperative storiche del territorio ha portato alla creazione, nel 2018, di un terzo soggetto. Questo che si prefigge l’obiettivo di salvare il paesino dallo spopolamento con nuove forme di turismo e riattivazione di terreni abbandonati per la cultura degli ulivi. La missione è quella d’intrecciare la già consolidata nomea di Anversa come meta turistica con un nuovo approccio che possa riutilizzare le case sfitte per i turisti e i terreni abbandonati per una nuova agricoltura, il tutto per portare beneficio alla popolazione che con un progressivo invecchiamento e la mancanza di un mini-market necessita sempre più di assistenza.

Brigì

Situata nel Comune di Mendatica (IM), sulle Alpi liguri, la cooperativa Brigì si occupa di turismo slow totalmente incentrato sulle ricchezze del proprio territorio: le bellezze naturali, la vicinanza al mare e i prodotti tipici. Questa impresa inizia nel 2015 da un gruppo di giovani residenti, uniti dalla comune esperienza di volontariato nella Pro Loco del paese e l’idea di costituire una cooperativa nasce proprio dalla constatazione dei limiti di azione dell’associazione. Prima del 2016 infatti, la Pro Loco gestiva un B&B e un parco avventura di proprietà del Comune, non riuscendo però a sfruttare a pieno il potenziale di queste strutture con la rotazione dei volontari; è in quel momento che alcuni giovani decidono di avviare una cooperativa su ispirazione di altri esempi dell’Appennino. Partendo dal rilancio di queste due strutture, Brigì si propone come promotore turistico per attirare nuove risorse, ma anche come animatore sociale del territorio per non far morire il piccolo paesino.

La Paranza

Il Rione Sanità è da sempre considerato una via di mezzo tra il centro e la periferia di Napoli; un tempo residenza di parte della nobiltà partenopea, è poi degradato nel corso degli ultimi due secoli ad area con un’altissima densità urbana e condizioni socioeconomiche fragili. Tra le testimonianze più antiche della presenza umana in questa zona del Comune di Napoli vi sono le Catacombe di San Gennaro, dove furono conservati per diversi secoli i resti del santo protettore della città. Dal 2006, un gruppo di giovani cresciuti insieme nella parrocchia locale ha deciso di far evolvere la propria esperienza di valorizzazione culturale del rione prima realizzata in forma associativa in una cooperativa che ha preso in gestione le catacombe. Sin dall’inizio, l’idea è stata di porre al centro del progetto il fortissimo valore culturale di questo sito archeologico fino ad allora in stato di semi abbandono e di reinvestire le risorse ed energie aggregate intorno alla rinascita del sito per sostenere progetti sociali, educativi e di rigenerazione urbana nel quartiere. Ad oggi, la cooperativa collabora sistematicamente con altri enti del terzo settore, privati e autorità locali nella forma di una fondazione di comunità, la Fondazione San Gennaro.

Post-modernissimo

Il centro storico di Perugia sovrasta tutta la città dall’alto del colle, un luogo ricco di storia e patrimonio artistico che si divide nettamente rispetto al resto del suo sistema urbano, sviluppatosi invece dal dopo guerra in poi nella parte più pianeggiante. Questa divisione ha significato una dinamica di sviluppo urbano che ha portato molta della popolazione e delle attività ad abbandonare il centro preferendo la periferia. I cinema sono tra le tante attività venute meno tra la fine del secolo scorso e i primi anni di quello attuale, in cui i multisala di nuova generazione hanno compromesso l’esistenza dei classici mono sala dei centri storici. La società cooperativa è l’esperimento ben riuscito di quattro amici che hanno deciso nel 2014 di riaprire una di queste sala storiche fondata agli inizi del ‘900 e sperimentare l’idea di un cinema di comunità costruendo la propria offerta culturale con un’ampia rete di soggetti del territorio e con una stretta collaborazione con l’associazione dei residenti impegnata in un’opera di rinascita del proprio quartiere con animazione sociale e culturale per contrastare il degrado derivante dall’abbandono del centro storico.

Ri-maflow

A Trezzano sul Naviglio, hinterland di Milano, la crisi post 2008 ha lasciato segni profondi accelerando il processo di deindustrializzazione di un territorio da sempre a vocazione produttiva. Tra le tante vicende di chiusure, fallimenti e trasferimenti all’estero vi è quella della Maflow, azienda produttrice di componentistica per auto. Questa ditta viveva un buono stato di salute ma vari passaggi di proprietà l’hanno fatta finire nelle mani di chi era più interessato ai profitti derivanti dalla ricollocazione in Est Europa piuttosto che tener viva la fabbrica in Italia. Con l’annuncio del trasloco nel 2012, si è aperta una nuova fase nella vita di questi operai decisi a non arrendersi a questo destino. Sulla scia delle esperienze argentine delle emprese recuperade por su trabajadores, gli operai sono divenuti militanti ed hanno occupato lo stabile dando avvio alla gestione autonoma di questo. Anni di lotte e di esperimenti di autogestione hanno fatto nasce Ri-maflow, società di mutuo-soccorso operaio e cooperativa di comunità. Col passaggio in un nuovo stabile nel 2019, la cooperativa ha intensificato le proprie attività, sia produttive come gruppo di artigiani ospitati nello stabile e la distillazione dell’amaro partigiano, che di lotta sociale e politica con la rete nazionale Fuori Mercato.

Risultati

In questo paragrafo sono presentati i risultati più rilevanti emersi nel corso del lavoro sul campo e rivisti durante la fase di analisi e qui organizzati al fine di costruire, dalle evidenze empiriche, una proposta d’interpretazione teorica dei fatti. L’obiettivo è quello di mostrare elementi legati al tema dell’aggregazione sociale e del dibattito pubblico ponendo in evidenza diversi aspetti: (a) il fatto che le nuove generazioni preferiscano un approccio diverso rispetto alle generazioni precedenti per affrontare la partecipazione civica allo sviluppo locale, (b) la constatazione che chi ha vissuto le forme di aggregazione tipiche del secolo scorso percepisca a tal proposito una profonda differenza, (c) come gli amministratori ritengano che l’innovazione più importante portata dalle cooperative di comunità sia l’aver costituito un nuovo canale di dialogo con la cittadinanza.

Le nuove generazioni

Tra i soggetti intervistati come “cooperatori”, ovvero, fondatori e lavoratori delle cinque cooperative, molti sono considerabili come una generazione “giovane”, ovvero, nati tra l’inizio degli anni ‘80 e ‘90; individui che non hanno sperimentato direttamente nella loro età adulta le organizzazioni aggregative di massa come erano intese nel secolo scorso. L’approccio che questi cooperatori esprimono sulle loro intenzioni è frutto di una relazione con la realtà che si definisce sulla base di esperienze di vita che si collocano in anni recenti.

Questi nuovi cooperatori sono mossi dalla ricerca di soluzioni pratiche ai loro problemi locali al di fuori dagli schemi di realtà già strutturate.

Parlandone negli anni prima, quando sviluppare delle cose che già facevamo con la pro loco era ancora solo un’idea, si pensava sempre alla coop come forma più adatta. (Intervista 0106 – Socio cooperativa)

Nel 2006 ci costituiamo in coop perché le attività amatoriali che facevamo, come le visite e gli spettacoli, che nascevano come attività e scommesse, stavano cambiando; non sapevamo dove potevano arrivare, sapevamo però che queste cose che facevamo erano sempre più richieste, tant’è vero che la nascita della coop è determinata da un’esigenza di mercato, i gruppi che accompagnavamo iniziavano a chiedere fatture e ricevute. (Intervista 0402 – Socio cooperativa)

Le esperienze di questi nuovi cooperatori arrivano in molti casi da altre forme associative locali e si concretizzano in cooperativa nel momento in cui sentono l’esigenza di tramutarle in realtà imprenditoriali con un proprio autonomo progetto. AnversiaAmo parte dall’esperienze di altre due cooperative, Brigì dal gruppo della Pro Loco, La Paranza da un’associazione di giovani, il Post-modernissimo da un gruppo di amici e Ri-maflow da un gruppo di attivisti già costituiti in associazione.

Il forte commitment dei promotori delle iniziative a migliorare le condizioni del proprio territorio si sviluppa su due traiettorie: come coinvolgere i cittadini e come autonomizzare il loro progetto.

Lavorare per migliorare questo paese e farlo tornare come una volta. (Intervista 0104 – Socio coop)

Nella mia famiglia si parla di gestione del territorio e del doversi impegnare personalmente, per creare determinate cose, per non far morire il paese dove siamo nati. (Intervista 0106 – Socio coop)

La gestione di un bene comune fatta da una realtà del territorio, in rete col territorio, diventa collettore di energie positive che spesso scelgono di donarsi a fondo perduto. (Intervista 0402 – Socio coop)

La programmazione di comunità nasce da un’azione sul locale perché specifica di questa realtà e nasce dal bisogno delle comunità che sono sul territorio locale. (Intervista 0502 – Socio coop)

Per raggiungere questo obiettivo, i cooperatori delineano un processo di coinvolgimento della cittadinanza perché ritengono che il successo di queste cooperative non possa prescindere dall’attivazione del territorio in un’azione collettiva.

Essendo alcuni di noi sia in coop che in pro loco, c’è molta comunicazione. Con gli altri esercenti collaboriamo quando serve, ad esempio quando noi abbiamo un gruppo, oppure quando l’agriturismo ha delle persone che vogliono fare una passeggiata o vogliono venire al parco avventura. (Intervista 0103 – socio coop)

Per me è importante anche il confronto e lo scambio di idee ed opinioni. (Intervista 0105 – Socio coop)

Quello è stato fondamentale, le relazioni con il territorio. Un progetto del genere, portato avanti da tre persone, magari con più capacità imprenditoriale, ma esterne al territorio avrebbe attecchito meno. Noi ci siamo inseriti all’interno delle dinamiche ed equilibri del paese. (Intervista 0106 – Socio coop)

Abbiamo cercato di coinvolgere il paese che è il cuore e quindi devono partecipare tutti […] L’obiettivo è quello lì, coinvolgere la gente nei dibattiti, prendere la gente per strada e chiedere cosa fare per il paese. (Intervista 0303 – Socio coop)

Non è un progetto nato dall’alto ma è conseguenza di ciò che nasce dal basso sia profit che no profit. (Intervista 0402 – Socio coop)

Due volte l’anno invitiamo i soci finanziatori a partecipare a delle assemblee e costruire insieme le esperienze del futuro. Si sono abbattuti tutti i filtri che potevamo immaginare e quindi la gente viene direttamente da noi e ci propone cosa fare. (Intervista 0502 – Socio coop)

Questi promotori arrivino alla conclusione che la cooperativa sia la soluzione migliore per realizzare il progetto di cambiamento del proprio territorio; sono escluse le ipotesi basate sul canalizzare le istanze di cambiamento sulle istituzioni, quale il divenire gruppi di pressione sugli enti competenti o adottare una via di azione politica presso le sedi pubbliche; al tempo stesso l’idea di agire in forma associativa viene superata data la necessità di fare impresa.

La scelta della forma cooperativa certamente è, per un verso, legata alla necessità di creare una soluzione stabile ed autonoma dal punto di vista economico, che permetta a questi soci di dedicarsi a tempo pieno alle loro imprese; ma emergono anche motivazioni legate alla ricerca di una forma organizzativa particolarmente adatta, per la sua struttura partecipativa, a favorire l’attivazione di comunità.

[La cooperativa] È una strategia per creare sviluppo ed innestare dei cicli economici ma anche di tipo culturale e di attivazione sociale all’interno di una comunità (Intervista 0106 – Socio coop)

Il tema dell’attivazione della comunità è centrale ma non viene raggiunto attraverso altri canali come l’associazionismo, l’istituzione pubblica o la partecipazione politica; questo è il punto nodale di tutta la questione: il comprendere perché, oltre all’esigenza economica, si senta la necessità di attivare un’impresa cooperativa per fare animazione sociale del proprio territorio e perché questa esigenza sia sentita in questo periodo storico. La percezione degli intervistati – sia della maggioranza che non ha mai fatto politica attiva, sia di chi lo ha fatto in passato – è quella che l’esperienza della cooperativa di comunità sia “politica” nel senso di non rappresentare una mera attività economica, ma un modo per dare vita ad un progetto di cambiamento del proprio territorio.

Cioè si potrebbe costruire una rete con i cittadini, si potrebbe fare, però sai c’è sempre di mezzo il Comune. Penso che se devo parlare di politica, non me ne intendo, però la mia politica è il fare, questa cosa che sto facendo è politica. Però la politica da partiti non è che me ne intendo molto. (Intervista 0214 – Socio coop)

Esperienze in politica no, nel senso, non ho mai avuto una tessera di partito, non credo molto ai partiti. Io sento di far politica stando in questa cooperativa o facendo volontariato in associazioni ma non è politica come stare in un partito. (Intervista 0207 – Socio coop)

Gli altri li ho conosciuti al liceo e università perché frequentavamo un collettivo politico che abbiamo fondato insieme e quell’idea dell’impegno sociale e per la comunità ce la siamo portata in questa esperienza. (Intervista 0502 – Socio coop)

La scelta di creare progetti volti non solo a produrre beni e servizi ma, soprattutto, ad attivare processi di socializzazione al fine di coinvolgere i cittadini nel ripensare lo sviluppo economico, sociale e culturale dei territori sono processi che avvengono all’interno di nuovi spazi pubblici di discussione. Quello che emerge dai dati è un approccio a queste dinamiche che vuole essere libero da strutture predefinite e coniugare la sostenibilità economica con una mission di natura sociale.

Significativo anche interrogarsi sulle esperienze da cui provengono questi fondatori. Come emerge dalle Tabelle 1 e 2 relative a 33 soci intervistati durante il lavoro sul campo nei cinque casi studio, la partecipazione al terzo settore, invece che alla politica, è cosa molto più diffusa nel background di questi cooperatori.

Tabella 1. Tabella 1. Partecipazione politica dei soci delle cooperative di comunità.

Partecipazione

N. soci

Mai

20

Moderatamente

3

Attiva

4

In passato

6

Tot.

33


Nota. Mai = il soggetto non ha mai fatto parte di partiti, gruppi o movimenti politici e si dichiara non interessato alla politica. Moderatamente = il soggetto è interessato alla politica ma non ha mai fatto parte di partiti, gruppi o movimenti politici. Attivo = il soggetto è attualmente membro attivo di un partito, gruppo o movimento politico. In passato = il soggetto faceva parte in passato di un partito, gruppo o movimento politico ma ora non è più attivo.

Tabella 2. Tabella 1. Partecipazione al terzo settore dei soci delle cooperative di comunità.

Partecipazione

N. soci

Mai

5

Moderatamente

3

Attiva

18

In passato

7

Tot.

33


Nota. Mai = il soggetto non ha mai fatto parte di un ente del terzo settore e si dichiara non interessato a questa esperienza. Moderatamente = il soggetto è interessato alle attività di uno o più enti del terzo settore ma non ne è membro attivo. Attivo = il soggetto è attualmente membro attivo di un ente del terzo settore. In passato = il soggetto faceva parte in passato di un ente del terzo settore ma ora non è più attivo.

Generazioni precedenti

In questa sezione sono riportati spunti e testimonianze di persone over 50 intervistate a vario titolo nel corso del lavoro sul campo e che in fase di rianalisi dei dati sono state ritenute rilevanti. Per prima cosa, queste persone evidenziano come un tempo il loro territorio fosse caratterizzato da forme di solidarietà e propensioni all’agire pubblico – che oggi rischierebbero di svanire – seppure in forme diverse da quelle attuali.

Quando c’era da fare il grano ci si metteva insieme, senza macchinari, ci si metteva in sei con i bastoni e gli attrezzi. Le famiglie si aiutavano, non è che ora siamo cattivi ma una volta si era più bravi. Se a uno ci moriva una mucca tutti gli altri si mettevano insieme e gli davano i soldi. Di fatti poi i vecchi del paese fondarono una società di muto soccorso per aiutare chi aveva bisogno. Era un paese unito e si stava tutti insieme […] Eravamo tutti come una famiglia ma ora tutti si fanno i cavoli loro. (Intervista 0111 – Cittadino)

La loro impresa [della cooperativa] è meritoria, intendo il fatto che usino queste risorse per gestire il territorio. Facendo memoria c’erano già queste opportunità di tipo sociale. La società di mutuo soccorso non era paragonabile al discorso di oggi ma c’era già questo discorso d’integrazione e di lavorare insieme. (Intervista 0115 – Cittadino)

Testimonianze come queste descrivono aspetti particolari della vita dei piccoli paesini di un tempo e che ricordano come molte delle società di mutuo soccorso nacquero tra ‘800 e ‘900 (Fornasari, Zamagni, 1997). Quello che inoltre qui emerge è come il senso di comunità un tempo non fosse un aspetto che necessitava di essere costruito e rinforzato attraverso l’azione di una specifica organizzazione, ma un elemento insito nelle relazioni di persone che vivevano a costante contatto (si ricordi in questo senso la celebre teorizzazione di Tönnies, 1887). Questi sono aspetti che vengono ripresi con forza dai giovani cooperatori appunto perché ritengono che tali legami comunitari siano stati smarriti e che si possano ricostruire con azioni specifiche volte rinsaldare i legami sociali parallelamente ad un progetto di sviluppo economico.

Al tempo stesso, la forma che questi legami comunitari assumono ed i conseguenti esiti in termini di partecipazione alla vita pubblica ha caratteristiche diverse rispetto a quella novecentesca. Come emerge da alcune testimonianze, un tempo vi erano forme di partecipazione più radicali ed anche più radicate nel territorio che convogliavano al loro interno le spinte dal basso indirizzandole, spesso a partire da presupposti ideologici molto marcati e con la mediazione di strutture specifiche come il partito e il sindacato (ma anche la centrale cooperativa), ad un’azione di tipo politico. Oggi, in uno scenario diverso, il venir meno di queste strutture e tensioni ideologiche ha prodotto, tra le altre cose, un rischio di vuoto tra cittadini ed istituzioni, e quest’ultime sembrano cercare nuovi mezzi per potersi rimettere in contatto con le persone; e forse le cooperative, insieme ad altre esperienze di partecipazione non ideologicamente connotate, ma centrate su problemi concreti delle comunità, possono agire in questo senso.

Anche per quel che riguarda le cooperative, intendo come struttura regionale e nazionale, una volta si era molto più legati a Legacoop che organizzava i rapporti tra cooperative e ci si divideva meglio il lavoro. (Intervista 0116 – Cittadino)

Sì, la coscienza dei lavoratori in generale è caduta molto negli ultimi decenni. Il periodo di auge dell’autocoscienze in Italia ed Europa è stato a cavallo tra anni ‘60 e ‘70 con alcune propaggini negli anni ‘80, poi c’è stata una caduta forte di questa coscienza. Anche le strutture politico-sindacali hanno subito un’evoluzione enorme in negativo, al punto che alcune di queste, come il più grande partito comunista fuori dall’est, si è trasformato con progressive evoluzioni in un partito liberista. (Intervista 0215 – Socio coop)

È mancata la partecipazione che io vedevo negli anni ‘80 e ‘90. All’epoca i partiti riuscivano a far partecipare di più la gente, era una palestra dove si discuteva e si dibatteva di molte cose. C’era una vita associativa molto spinta. Questo è venuto meno, oggi si partecipa solo raramente e se l’argomento interessa, anche gli amministratori spesso non partecipano. Se io convoco una riunione la gente collabora ma la partecipazione è diversa. La collaborazione è il prendersi un impegno che hai verso i cittadini, la partecipazione non c’è più. È un problema diverso, più generale in questo paese, ed investe diverse fasi storiche. Un tempo c’era discussione su tutto come diritti civili o urbanistica, il mondo politico, giornalistico, culturale riusciva ad aprire discorsi su cambiamenti climatici, imprenditoria, infrastrutture e via dicendo. (Intervista 0301 – Amministratore locale)

Io ho fatto esperienza di partito ma la presenza delle sezioni, intese come una volta, non c’è più. (Intervista 0403 – Partner coop) 

Amministratori Locali

Quello che emerge dai risultati è un fenomeno che vede l’autonoma iniziativa dei cittadini strutturarsi come impresa collettiva anche per andare a colmare alcuni vuoti lasciati dall’amministrazione pubblica. Alcuni degli amministratori locali intervistati hanno descritto queste dinamiche: enti locali, da anni bloccati e con scarse risorse, che devono rispondere a bisogni e richieste sempre più complesse dei loro territori. Questi vedono nelle cooperative di comunità una possibile soluzione a certi dei loro problemi, come il poter rigenerare alcuni luoghi del proprio territorio (ne sono un esempio i casi di AnversiAmo e Brigì e per certi aspetti anche La Paranza dato che la gestione delle catacombe era in precedenza affidata al Ministro dei Beni e Attività Culturali).

Il Comune è stato quello che un po’ ha spinto questa cooperativa. I ragazzi della coop gestiscono strutture comunali e quindi la parte del Comune penso sia stata importante. (Intervista 0102 – Amministratore locale)

Questi ragazzi, rimanendo sul posto, garantiscono un presidio e poi penso che possano avere possibilità di vivere bene qui, fare attività che piacciono ma che possano anche dare un salario che serva loro. Poi possono offrire agli anziani la possibilità di recarsi in luoghi di cura e far la spesa, servizi importanti. Anche solo la cura della casa, se uno ha bisogno di personale per mantenere la casa o persone di compagnia, penso possano trovare nella coop questo. (Intervista 0107 – Ex amministratore locale)

La cooperativa si è curata di strutturare il progetto di coinvolgimento soprattutto dei giovani residenti (Intervista 0301 – Amministratore locale)

Già si è sostituita [la cooperativa] come istituzione reale del territorio. Le periferie di Napoli sono state abbandonate da anni e grazie ad iniziative così possiamo parlare di rinascita. Se non avessimo questo nucleo di persone che hanno amore per il quartiere, oggi tutto quello fatto non sarebbe stato possibile. C’è chi parla di istituzioni reali dal basso, la cooperativa è questo. (Intervista 0408 – Amministratore locale)

Per una farraginosità amministrativa e burocratica, lo Stato può anche essere presente ma non coglie certe opportunità, quindi le comunità dal basso sono importanti, non per sostituirsi allo stato ma per dare servizi fondamentali. (Intervista 0403 – Partner coop)

Ci sono molte organizzazioni qui che manco dovrebbero esistere, come le organizzazioni educative che nascono da questo vuoto lasciato dalle istituzioni. (Intervista 0402 – Socio coop)

In alcuni casi prevale negli amministratori pubblici una lettura “sostitutiva” (le cooperative di comunità come supplenza al ritiro delle istituzioni), in altri una visione “in positivo” che rimarca l’aspetto il valore intrinseco di queste forme di organizzazione.

Quello che emerge da più parti è comunque la necessità per le istituzioni pubbliche locali di avere nuovi partner che siano attori attivi del territorio e che possano leggerne le dinamiche evolutive delle comunità per poi inserirvisi e determinarne lo sviluppo. 

Proposta interpretativa 1: le cooperative di comunità come risposta alla liquefazione delle organizzazioni politiche novecentesche

Le cooperative di comunità propongono un nuovo modello di partecipazione che da un lato cerca di incidere sulla vita pubblica colmando, tra l’altro, il vuoto lasciato dalle strutture politiche ma, dall’altro, tenta anche di discostarsi dai modelli di partecipazione novecenteschi al fine di non compromettere l’obiettivo di essere al servizio della comunità creando delle pericolose barriere ideologiche e politiche. Queste organizzazioni possono essere viste come delle forme di autodeterminazione dei cittadini che da un lato si allontanano dalle forme tradizionali di partecipazione politica, perché ritenute inefficaci, mentre dall’altro cercano di trovare nuovi canali di costruzione delle proposte di sviluppo locale.

Come esposto dai risultati, le comunità vivono una difficoltà nella strutturazione dei propri spazi pubblici dove poter dibattere e confrontarsi su sé stesse e sul proprio territorio. Considerando il venir meno di strutture organizzate come i partiti di massa, vengono a mancare anche delle strutture solide che connettono i cittadini alle istituzioni oltre che delle forme di aggregazione delle forze civiche che siano fucine di pensiero su quello che dev’essere lo sviluppo locale (Raniolo, 2013). Solo recentemente si sono pensate politiche che cerchino di canalizzare queste forze dal basso verso una partecipazione all’amministrazione dell’interesse comune, come nello spirito del community development di tipo anglosassone. In questo senso, è quindi possibile vedere come le dinamiche di community development, insite nelle cooperative di comunità, rispondano ad un bisogno di maggior dialogo e confronto tra cittadini sullo sviluppo dei loro territori traducibili poi in input da fornire alle amministrazioni locali.

Della Porta (2004) spiega che il tema del community development arriva in Italia mutando quello che era in precedenza la partecipazione politica nei partiti di massa. Una volta venuta meno la fondamentale funzione sul territorio di ascolto dei bisogni e di aggregazione sociale delle sezioni di partito, sono emersi i comitati spontanei di cittadini, tra fine anni ‘80 e inizio anni ‘90, che in una prima fase assumevano una connotazione di lotta e protesta. I partiti, che per decenni hanno unito le persone, non solo nel dibattito politico ma anche nell’aggregazione sociale, hanno poi lasciato un vuoto che ha portato al formarsi di modelli alternativi (Brancaccio, 2018; Salvatori, 2020). Secondo l’interpretazione di Revelli (2013), le forme di far politica si adeguano alle variazioni strutturali della società, quindi con la fine del sistema fordista è venuto meno anche il sistema delle organizzazioni sociali di massa. Queste organizzazioni puntavano ad essere guida delle masse e ad aggregarle in varie forme di organizzazioni oltre che essere stimolo di discussione e ragionamento sulle scelte da adottare per il bene dei cittadini, la loro crisi ha portato all’abdicazione di questo intento a favore del solo interesse elettorale per i partiti (Palano, 2018). A ciò si è associato, soprattutto in Italia, una generale sfiducia nei confronti di queste organizzazioni, soprattutto quelle più legate al mondo della politica, un rapporto di fiducia sgretolatosi con i fatti di Tangentopoli (Saccà, 2013) e che non è riuscito a risanarsi negli anni (Bordignon et al., 2018). Bisogna inoltre tenere conto che l’azione cooperativa stessa era un tempo un’azione politica, nel movimento cooperativo delle origini questo tratto identitario era forte e marcato (Ianes, 2013), però è andato diminuendo nel corso della seconda metà del XX secolo virando verso una progressiva commercializzazione, de-mutualizzazione e conseguente depoliticizzazione del movimento cooperativo (Bianchi, 2021).

Si cercano quindi nuove forme di partecipazione che non incanalino le forze dal basso in una partecipazione verticale ed ideologica, ma che amplino in maniera orizzontale lo spazio sociale che sta tra gli interessi privati ed il potere statale (Habermas, 2005). L’intento è di cercare di creare dei luoghi di confronto e discussione simili a ciò che è lo “spazio pubblico”, ovvero, la sfera dove si articolano gli interessi comuni e si amministrano le differenze (Innerarity, 2008). È in questo spazio allargato, in cui si sperimentano maggiormente forme di orizzontalità, trasversalità e sussidiarietà che la cittadinanza trova nuovi modelli di partecipazione depoliticizzata (Mannarini, 2009; Ruzzeddu, 2013). In questo senso, è sicuramente importante vedere come il movimento delle cooperative di comunità trova forti connessioni con quello dei beni comuni (Burini, Sforzi, 2020); successivamente al referendum sull’acqua pubblica del 2011 entrambi i fenomeni hanno avuto una crescita esponenziale che è corrisposta ad un accresciuto interesse nei confronti del bene comune e dei territorio in cui si vive sulla spinta di una nuova onda di partecipazione attiva (Arena, Iaione, 2015; Borzaga, Zandonai, 2015). Più in generale è rilevante osservare come il terzo settore, di cui le cooperative di comunità fanno parte o con cui presentano forti somiglianze (Bianchi, Vieta, 2019), abbia conquistato un ruolo politico nelle governance pubbliche locali ma indipendente dalle forze partitiche, al fine di non compromettere il proprio ruolo e rapporto con le amministrazioni (Tricarico, 2014; Busso, 2018). Questi enti sono divenuti un tentativo di dare risposta all’esigenza di attribuire un maggior ruolo dei cittadini nell’orientare lo sviluppo della società (Salvatori, 2020).

Quindi anche le cooperative di comunità sono parte di queste tendenze allo sviluppo di nuovi “spazi pubblici”, indipendenti dall’apparato delle istituzioni, che però cercano connessione con queste per poter avere riconoscimento. Le cooperative a questo proposito sono state spesso in grado di generare spazi di dibattito autonomi a partire dalla propria natura di organizzazioni collettive con obiettivi economici associati a mission sociali come l’aggregazione dei cittadini intorno ad un rinnovato senso di comunità. Queste forme di organizzazione autonoma hanno rivendicato e conquistato una loro autorevolezza nella gestione delle politiche di sviluppo locale, offrendo negli spazi pubblici da loro gestiti un’opportunità per confrontare e strutturare istanze dei cittadini; ciò avviene al di fuori degli schemi tradizionali delle appartenenze politiche per non compromettere la possibilità di aggregare orientamenti diversi e per la tendenza a concentrarsi su proposte concrete, legate ai problemi del territorio.

Proposta interpretativa 2: le cooperative come nuova istituzione di partecipazione

In questa seconda costruzione teorica si deve considerare il fatto che le cooperative di comunità, nella loro mission sociale, si pongono l’obiettivo di ridare forza e vitalità ad uno degli istituti sociali decostruiti dalla società liquida, le comunità (Bauman, 2001). Nelle descrizioni fatte dai cooperatori di cosa loro intendano per “comunità” si rivedono molti tratti descritti da Tönnies (1887) e ripresi in chiave contemporanea da Blackshaw (2010) su cui le comunità pre-industriali costituivano la loro identità: l’essere individui legati tra loro per sangue o prossimità fisica in uno specifico luogo geografico, la delimitazione identitaria, rafforzata dall’esclusione della diversità esterna. Il problema si pone nel fatto che tra l’idea nella mente degli individui e la realtà dei fatti vi è un considerevole distanza, tema riproposto anche da Bauman (2000) quando afferma che le comunità contemporanee sono costrutti artificiali di chi le concettualizza per esserne parte. Ciononostante, questa tendenza ad un’aggregazione intorno ad un senso comune di appartenenza può essere sfruttata come canale per una nuova connessione con le istituzioni pubbliche al fine di favorire una partecipazione attiva e democratica alla definizione delle politiche ed azioni di sviluppo locale. Come espresso nella prima proposta, le cooperative di comunità, come altre forme di enti del terzo settore, favoriscono la creazione di spazi pubblici di confronto e dibattito, in questa parte si propone l’idea che le cooperative possano essere un nuovo istituto di partecipazione per favorire processi di sviluppo locale.

La comunità in senso tradizionale è inevitabilmente scomparsa nella contemporaneità liquida dove ogni luogo è influenzato e pervaso da elementi esterni e superiori che incidono direttamente sulla vita degli individui. Sebben MacPherson (2013) sottolinei come il servizio alle proprie comunità sia stato un principio che sempre sotteso alle considerazioni sulle cooperative, è indubbio che questo aspetto non sia mai stato affrontato così esplicitamente da queste organizzazioni come nel caso delle cooperative di comunità. Come Mori (2017) ricorda, l’essere cooperativa al servizio della propria comunità era già emerso agli albori del movimento con le iniziative di produzione elettrica nelle valli alpine più remote, ma quel fenomeno non aveva le stesse chiare e precise intenzionalità di costruire un “senso di comunità” come quello attuale. È possibile ipotizzare che il ripiegamento dello Stato e una crescente incapacità di comprendere l’esigenza di un modello di sviluppo locale più sostenibile, abbiamo ridato slancio allo spirito cooperativo e quindi al generarsi di queste imprese di comunità (Sartori, Sforzi, 2019). Non è forse un caso che in molte situazioni sono le amministrazioni pubbliche le prime promotrici delle cooperative di comunità (Mori, Sforzi, 2019).

Quello che le cooperative di comunità cercano di fare è di guidare lo sviluppo di comunità: un community development, così come è concepito nell’accezione anglosassone, e quindi un processo collettivo che si pone l’obiettivo di creare strumenti e processi che coinvolgano i cittadini nella governance pubblica (Henderson, Vercseg 2010; Craig et al., 2011; Phillips, Pittman, 2015). Non a caso, sia nel Regno Unito che nel nord America il community development è divenuto uno strumento politico volto a connettere i decisori pubblici con i cittadini in processi di decisione collettiva (Emejulu, 2016). In una visione più allargata, in Italia, le istituzioni ricercano queste nuove connessioni con la popolazione locale al fine di ricostruire un senso di fiducia, di poter meglio comprendere i bisogni locali e di favorire forme di co-produzione dei servizi (Parmiggiani, 2013; Millefiorini, Marchetti, 2017; Busso, De Luigi, 2019). Le forme di governo aperto e partecipato mirano appunto a coinvolgere i cittadini attraverso forme di organizzazione autonome della società civile e del terzo settore che strutturano le istanze di cittadinanza attiva, talvolta avendo come esito dei veri e propri processi di coprogrammazione e coprogettazione degli interventi e dei servizi (Bombardelli, 2011; Fazzi, 2013; Pestoff, 2012; Galli et al., 2014; Busso, De Luigi, 2019).

Quello che emerge dai risultati è come i cittadini vedano nel processo di sviluppo di comunità una soluzione a questa crisi della partecipazione e un modo per essere attori diretti del cambiamento e in dialogo con le istituzioni locali. Nel contesto italiano, le dinamiche descritte s’inseriscono in un filone di pensiero che vede la progettazione locale attuata da più attori ed in concerto con le istituzioni pubbliche al fine di meglio delineare le direzioni dello sviluppo locale (De Rita, Bonomi, 1998). La costruzione di questo spazio pubblico avviene in diversi modi e forme: in alcuni casi, le cooperative spronano il proprio territorio ad entrare in questo dialogo collettivo sul proprio sviluppo attraverso momenti di confronto aperto come le assemblee pubbliche (AnversiAmo, Brigì, Post-modernissimo); Rimaflow agisce invece in una maniera più “politica”, portando vari temi di dibattito sullo stato del proprio territorio, come le conseguenze della deindustrializzazione, la presenza di attività di stampo mafioso e la necessità di rafforzare una rete di mutuo-soccorso e solidarietà tra enti del terzo settore e cittadini. Infine, La Paranza agisce all’interno di un più ampio contenitore, la Fondazione San Gennaro, che coinvolge anch’essa enti del terzo settore e attività commerciali, per un’azione volta al ripensamento del proprio spazio urbano ed un’azione di collaborazione con le istituzioni locali per l’implementazione di maggiori servizi ai cittadini.

Proposta interpretativa 3: le cooperative come risposta al bisogno psicologico di aggregazione sociale

I risultati emersi permettono di sviluppare un’ulteriore proposta interpretativa che va ancor più nel profondo dei rapporti tra cittadini coinvolti in questi processi di community development. Si può avanzare l’ipotesi che le cooperative di comunità soddisfino, oltre che un bisogno economico anche il bisogno psico-sociale dei propri dei propri soci e sostenitori di avere un maggior “senso di comunità” (Ferri et al., 2017). Il senso di comunità si lega ad un maggior senso di benessere che si può costruire attraverso azioni collettive volte a rinsaldare i legami sociali in una cornice di maggior senso comunitario (Procentese, Gatti, 2019). La dimensione locale assume un aspetto centrale perché lega il senso di appartenenza dei soggetti ai processi di partecipazione (Mannarini, 2004). La maggior partecipazione e relazione tra individui favorisce il rafforzarsi di cooperazione e coesione nella società e ne aumentano il benessere (Fukuyama, 2000; Putnam, 2000). Questo tema pone in evidenza l’aspetto principale della mission sociale delle cooperative di comunità: l’obiettivo non è quindi solo lo sviluppo economico, che è invece funzionale e conseguente ad uno sviluppo psico-sociale del senso di comunità di cui gli individui avvertono con maggior insistenza il bisogno nella società liquida (Bauman, 2001).

Mostrando tutte queste sfaccettature, le cooperative di comunità si dimostrano come organizzazioni ibride (Battilana et al., 2015; Venturi, Zandonai, 2016) che consolidano due diverse logiche d’azione, la prima inerente la strutturazione di attività di business capaci di generare risorse per il mantenimento autonomo, la seconda rivolta ad un’innovativa mission sociale da intendersi come l’attivazione di soggetti ed il loro coinvolgimento nel costituire ed implementare spazi pubblici di confronto sulla propria comunità, rafforzandone il senso psico-sociale di appartenenza nonché le condizioni materiali attraverso le azioni ed i servizi ritagliati sui bisogni espressi dalla comunità. 

Conclusioni

Alla luce degli elementi emersi dai dati raccolti e della discussione in relazione al dibattito su come strutturare nuovi modelli di sviluppo locale e sul come descrivere il fenomeno delle cooperative di comunità, la proposta d’interpretazione teorica è triplice e mira ad integrare la visione su questo fenomeno. Nella prima parte dell’articolo si è presentato il dibattito scientifico che ha messo in evidenza il ruolo economico di queste cooperative e la definizione del loro modello. Questo articolo mira a porre in evidenza il loro ruolo sociale focalizzandosi su tre aspetti connessi ai fenomeni di attivazione delle comunità locali e di partecipazione.

In Italia, solo in anni recenti sono cominciate ad emergere queste nuove forme di cooperazione, per rispondere a molteplici bisogni; sebbene quelli materiali (ad es. rigenerazione di immobili o produzione di energia) appaiano più evidenti, ve ne sono altri, di pari valore, da non trascurare. Le cooperative di comunità rispondono ad un bisogno di aggregazione in una società dove, a differenza di quella novecentesca, partiti e sindacati non svolgono più in modo efficace questa funzione. Queste organizzazioni assolvono la loro mission sociale, intesa come il perseguimento di obiettivi di community development, creando partecipazione trasversale per discutere il proprio sviluppo locale rispondendo anche alla richiesta di un maggior senso di comunità.

La considerevole portata innovativa di queste organizzazioni è quella di attribuire alla forma d’impresa collettiva nuovi obiettivi di carattere politico e sociale. Politico nel senso di una rivendicazione del ruolo della cittadinanza attiva come attore e portatore d’interesse fondamentale nel processo di definizione dello sviluppo locale. Tanta è la coscienza di questo ruolo, che le cooperative di comunità non si limitano ad essere solo strumento di rappresentatività, ma divengono mezzo di azione diretta dei cittadini che decidono di rigenerare i loro territorio. Quello che accade è che a questo processo si associa la formazione di spazi pubblici dove i cittadini possono rinsaldare il loro senso di comunità – favorendo quindi anche il proprio benessere sociale in quanto membri di un gruppo ed un territorio – attraverso una struttura organizzativa capace di essere sia impresa che promotore delle loro visioni politiche sui temi dello sviluppo.

Quest’analisi presenta alcuni limiti che è necessario sottolineare, per primo il numero ristretto dei casi studio: sebbene si sia cercato di rendere il gruppo il più eterogeno possibile, al fine di poter generalizzare i risultati su scala più ampia, il numero rimane comunque ridotto. Un secondo limite risiede nella costruzione teorica che avviene in un secondo momento rispetto alla raccolta dei dati. Come dichiarato nel paragrafo metodologico, questa è una scelta portata avanti consapevolmente, anche rispetto ai suoi limiti. Sulla base di queste considerazioni, le future prospettive di ricerca possono andare ad indagare questa proposta teorica verificandone o meno la solidità.

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