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ISSN 2282-1694
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Editoriale

La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione

Luca Gori, Gianfranco Marocchi

Lavoro

Impresa sociale e lavoro

Redazione

Tirocinio e tutoraggio

Piera Lepore

Gestione delle risorse umane in agricoltura sociale

Francesca Vaccari, Silvia Sacchetti, Andrea Signoretti

Coprogrammazione

Coprogrammazione, banco di prova per l’amministrazione condivisa

Redazione

La co-programmazione ex articolo 55

Andrea Bongini, Pina Immacolata Di Rago, Salvatore Semeraro, Umberto Zandrini

La coprogrammazione a Caluso

Gianfranco Marocchi

Recensioni

Cooperative da riscoprire. Recensione

Simone Poledrini

Numero 2 / 2021

Coprogrammazione

La co-programmazione ex art. 55. Connessione e coordinamento con gli istituti programmatori delle autonomie locali

Andrea Bongini, Pina Immacolata Di Rago, Salvatore Semeraro, Umberto Zandrini

Abstract

Il presente lavoro ha la finalità di indagare la relazione tra l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e la normativa specifica degli Enti locali; in particolare verrà approfondito il tema di quali forme di coordinamento operativo possano attivarsi tra l’istituto della co-programmazione e le normative, anche ordinamentali, degli Enti locali territoriali.

Il lavoro di riordino legislativo della disciplina del Terzo settore, sfociato nell’approvazione del Decreto Legislativo 117/2017 (Codice del Terzo Settore), se da una parte ha portato ad avere a disposizione un “testo di sistema” (Clarich, Boschetti, 2018), dall’altra parte ha evidenziato l’importanza, per dare compiutezza all’applicazione di tutti gli istituti in esso previsti, di forme di coordinamento[1] con altre disposizioni normative del nostro ordinamento.

In particolare, l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice, evidenzia la necessità di tale coordinamento in relazione al sistema ordinamentale degli Enti locali territoriali, laddove gli stessi sono chiamati ad attivare processi di amministrazione “coprogrammatoria” con gli enti del Terzo settore.

Il sistema della co-programmazione introdotto dal Codice del Terzo Settore in questa visione, può infatti impattare sull’impianto complessivo e complesso della programmazione (d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” - artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170, nonché d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”) delle autonomie locali, sia nella fase di costruzione delle politiche territoriali che nella fase di implementazione delle stesse attraverso i piani esecutivi di gestione.

Keywords: codice del terzo settore, articolo 55, co-programmazione, enti di terzo settore, enti pubblici

DOI: 10.7425/IS.2021.02.06

Premessa

La riforma del Terzo settore, già a partire dalla Legge Delega 106/2016 e, successivamente, con l’approvazione del d.lgs. 117/2017, ha avuto un percorso controverso, non tanto per la sua applicazione, ma a seguito di alcune interpretazioni da parte della giustizia amministrativa, seppur in sede referente, nell’ambito del più ampio aspetto del suo rapporto con il Codice dei Contratti Pubblici.

Il Parere del Consiglio di Stato n. 2052 del 20 agosto 2018, emanato a seguito della richiesta formulata dall’Anac in merito al rapporto, nell’ambito dei servizi sociali, tra gli istituti del titolo VII del d.lgs. 117/2017 (artt. 55, 56 e 57) e il Codice dei Contratti Pubblici, aveva provvisoriamente affievolito l’afflato entusiasta dei protagonisti direttamente interessati dall’applicazione della riforma del Terzo settore. Nonostante questo, vi è comunque da evidenziare come le esperienze di co-progettazione non si siano comunque interrotte, seppure molte di esse si rivelino assai titubanti nell’abbandonare gli schemi tipici delle relazioni sinallagmatiche; così come si registrano, anche dopo il citato Parere, tentativi di tentativi locali di costruzione di regolamenti quadro[2] per disciplinare gli istituti collaborativi a livello comunale.

In questo percorso ad ostacoli[3], si sono inserite in primo luogo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 26 giugno 2020 e quindi la modifica del Codice dei contratti (Legge n. 120 del 11 settembre 2020) che ha riconosciuto il ruolo del Codice del Terzo settore e infine, recentemente, l’approvazione con D.M. n. 72 del 31 marzo 2021 delle Linee Guida che affrontano compiutamente gli aspetti applicativi relativi agli artt. 55, 56 e 57 della riforma.

In tale solco, la sentenza n. 131 assume una grande importanza sia per l’annotazione riportata dalla Suprema Corte sul ruolo del Terzo settore nell’ambito della c.d. società del bisogno, sia per i principi sanciti in tema di rapporto tra il Codice dei Contratti Pubblici ed il Codice del Terzo Settore; a tale ultimo proposito nella sentenza la Suprema Corte afferma opportunamente che “(…) lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE (…), sugli appalti pubblici e 2014/23/UE (…), sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (…) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”. Il complesso di tali provvedimenti ha rassicurato gli amministratori pubblici sulla legittimità dell’art. 55 e sulla pari dignità – nell’ambito di un utilizzo appropriato – di questo strumento con quelli del Codice dei contratti; inoltre, grazie alle linee guida, il quadro, anche da un punto di vista amministrativo, risulta ora più chiaro e quindi più fruibile anche da parte di amministrazioni meno strutturate. Questo può senz’altro accelerare ulteriormente la diffusione delle esperienze di amministrazione condivisa; e può consentire, come si prova a fare in questo contributo, di interrogarsi su ulteriori sviluppi dei principi introdotti dall’art. 55 e segnatamente del modo in cui la co-programmazione può interessare il complesso degli atti programmatori delle amministrazioni locali.

L’art. 55 del Codice del Terzo Settore e le attività di interesse generale

Il Codice del Terzo Settore dedica un intero Titolo (specificatamente il Titolo VII, art.55-58) ai rapporti tra enti del Terzo settore e Pubblica Amministrazione; tale disciplina, peraltro, appare particolarmente innovativa, rispetto all’evoluzione già consolidata in applicazione della Legge 328/2000 e del D.P.C.M. 30 marzo 2001, poiché amplia l’orizzonte delle interrelazioni collaborative tra le PP.AA. e gli enti del Terzo settore dal solo ambito del welfare a tutte le attività di interesse generale indicate dal Codice e, per quanto riguarda la co-progettazione, dagli interventi sperimentali e innovativi a tutti gli interventi realizzabili con logica diversa da quella prestazionale (Gallo, 2020; Gori, 2020; Lombardi, 2020). Le indicazioni dell’art. 55, commi 1 e 2, del d.lgs. 117/2017 ben rappresentano i principi fondamentali che devono disciplinare i rapporti tra gli attori coinvolti dentro il quadro delineato dall’art. 5 del CTS relativo alle 27 attività di interesse generale (Gallo, 2020; Lombardi, 2020).

Nella sentenza sopra richiamata, la Corte Costituzionale chiaramente si esprime in merito affermando che “È in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della Legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (…). L’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS”.

I principi richiamati dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e la platea degli Enti Pubblici coinvolti

L’art. 55, comma 1, del Codice del Terzo Settore stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento (…)”.

Tale previsione è di estremo interesse poiché pone l’accento a principi già sanciti e consolidati nel nostro ordinamento giuridico:[4]

  • Il principio di sussidiarietà orizzontale,[5] introdotto in maniera esplicita nella Costituzione con la riforma dell’art. 118, il cui comma 4 stabilisce che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà" è presente anche in altre norme dell’ordinamento italiano, quali, significativamente, l’art. 4, comma 3, lett. a) della Legge 59/1997, in base al quale le funzioni vengono conferite agli Enti locali nell’osservanza del “principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati” e l’art. 3, comma 5, del d.lgs. 267/2000 il quale prevede che "I Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali"; principio ribadito nella sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale, dove si afferma che “Il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, rappresenta dunque una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. Da qui il Terzo settore esprimendo “capacità auto-organizzative della società civile svolge un ruolo fondamentale non solo nell’attività di erogazione dei servizi ma altresì nella fase di programmazione e determinazione delle politiche pubbliche locali”. Dunque, si tratta di un principio costituzionale che, oltre che nel Codice, è stato introdotto in modo significativo nella disciplina relativa agli Enti locali.
  • I principi di cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, corollario del più generale canone di buon andamento dell'azione amministrativa (consacrato dall'art. 97 Cost.), che impone alle PP.AA. l’obbligo di conseguire gli obiettivi legislativamente prefissati con il minor dispendio di mezzi; tali principi sono, inoltre, richiamati dall’art. 1 della Legge 241/1990, in base al quale “L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla Legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (…), nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”. Tali principi si pongono esattamente nella direzione ribadita anche dalla Corte Costituzione, con la sentenza n.131, laddove evidenzia che “gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”. I temi della cooperazione (la cd. rete capillare ed organizzativa), dell’efficacia degli interventi (dati informativi e gli effetti positivi dei sostegni posti in essere dagli ETS in collaborazione con la P.A.) e quello dell’economicità degli stessi (risparmio di risorse ed aumento della qualità dei servizi) sono gli stessi principi richiamati dall’art. 55 e conseguentemente trovano sostanza all’interno del rapporto collaborativo per il perseguimento degli interessi generali previsti dall’art. 5 del CTS.
  • Il principio di copertura finanziaria e patrimoniale, previsto all'art. 81 della Costituzione, in base al quale sussiste l'obbligo per lo Stato di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. La norma costituzionale trae origine dal “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria” (cd. Fiscal Compact), per tale principio vale quanto detto sopra rispetto alla questione delle risorse aggiuntive a quelle pubbliche, portate da quel welfare filantropico degli attori privati che, attraverso la costruzione di partenariati territoriali e reti formali e informali, sussidiano l’intervento pubblico in aree lasciate parzialmente lasciate scoperte dallo stesso (Maino, Ferrera, 2019).
  • I principi di unicità e di responsabilità amministrativa, attraverso i quali si attua una chiara attribuzione ad un singolo soggetto della P.A. delle funzioni e dei compiti ad esse connessi, nonché delle conseguenti responsabilità dell’attività amministrativa; tale principio si esplica nella proceduralizzazione dello stesso procedimento amministrativo, la cui iniziativa e responsabilità ultima rimane in capo all’Amministrazione locale, anche se non è escluso che la stessa iniziativa possa essere assunta da un ETS singolo o associato;[6]
  • I principi della potestà regolamentare ed organizzativa richiamati l’ 117, comma 6, della Costituzione, secondo il quale “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alla Regione in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Tale principio costituisce lo snodo della costruzione del procedimento di co-programmazione perché attribuisce all’Ente Locale la potestà di intervenire a regolamentare la disciplina della co-programmazione territoriale, negli ambiti previsti dall’articolo 5 e per le loro competenze amministrative”.[7]

Per inciso, e sebbene questo contributo sviluppi principalmente il tema delle interazioni tra Codice del Terzo settore e disciplina degli Enti locali, va notato che le previsioni dell’art. 55 si estendano ad un numero molto ampio di PP.AA. destinatarie. Il riferimento contenuto in tale norma all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 determina, di fatto, l’ampliamento della platea delle Amministrazioni pubbliche interessate dalla riforma del Terzo settore. Il tema della programmazione non viene confinato ai soli Enti locali territoriali, ma coinvolge pressoché l’intero apparato amministrativo del nostro ordinamento giuridico e a questo la Corte Costituzionale fa esplicitamente riferimento nella sentenza n. 131/2020 quando pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nella programmazione e nell’organizzazione degli interventi.[8] La nuova platea dei soggetti pubblici è chiaramente individuata dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, in base al quale: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”. L’art. 55 del Codice del Terzo Settore rivela anche da questo punto di vista una portata innovativa e rivoluzionaria:[9] l’ampiezza dell’articolazione dell’Amministrazione condivisa, sia per i riferimenti soggettivi (chi sono i soggetti pubblici coinvolti) che per i riferimenti oggettivi (quali sono le attività di interesse generale), determina chiare e grandi opportunità per tutti gli Enti interessati (PP.AA. ed enti del Terzo settore) di intraprendere, con gli strumenti della programmazione prima e della co-progettazione e accreditamento poi, azioni capaci di poter incidere sulle politiche di sviluppo delle comunità territoriali.

Ciò detto, quello che qui preme sottolineare è che le previsioni dell’art. 55 appaiono profondamente connesse e intrecciate al complesso di disposizioni che disciplina l’azione amministrativa, in particolare degli Enti locali; e ci invita quindi ad approfondire come le disposizioni del d.lgs. 117/2017 – ancor più nel caso dell’art. 55, di cui la Sentenza 131/2020 ha così fortemente sottolineato il diretto collegamento a principi costituzionali - impattino su un ambito caratterizzato da una notevole densità normativa; in altre parole si tratta di comprendere se e in che modo le previsioni dell’art. 55 inducano a rileggere e a far evolvere taluni aspetti della disciplina sugli Enti locali, segnatamente, per quanto riguarda questo contributo, relativamente agli aspetti di programmazione.

La co-programmazione dell’art. 55 e le Linee Guida sul rapporto tra P.A. ed Enti del Terzo settore nell’alveo dei principi programmatori della PP.AA.

I soggetti pubblici sopra richiamati (art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001), nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale e nel rispetto dei principi della Legge 241/1990 e delle altre norme procedimentali,[10] assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento.

In questo passaggio dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 è fondamentale il richiamo alle funzioni di programmazione ed organizzazione degli Enti pubblici e, in particolare, dei Comuni. Di ciò vi è traccia anche nelle Linee Guida sul Rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del terzo settore laddove si fa esplicito riferimento alle “altre disposizioni statali e regionali, che disciplinano l’approvazione degli strumenti di programmazione da parte degli enti territoriali”.

Ma quali sono le funzioni di programmazione a livello territoriale a cui fa riferimento implicito la norma codicistica e il D.M. 72/2021?

Per inquadrare il tema della programmazione degli Enti locali bisogna far riferimento al d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” (artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170), nonché al d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (art. 10).

Il ciclo di programmazione degli Enti locali si articola, in estrema sintesi, nei seguenti istituti:

Pianificazione strategica

Linee programmatiche di mandato (art. 46, comma 3, d.lgs. 267/2000): documento presentato dal Sindaco[11] ed approvato dal Consiglio comunale ad avvio del mandato, nel quale sono individuati le azioni e i progetti da realizzare nel corso del mandato stesso.

Programmazione strategica ed operativa

Documento Unico di Programmazione - D.U.P. (art. 170 d.lgs. 267/2000): documento presentato dalla Giunta comunale ed approvato dal Consiglio comunale relativo all’attività di guida strategica e operativa degli Enti territoriali; il D.U.P. rappresenta l’atto amministrativo presupposto ed indispensabile per l'approvazione del bilancio di previsione e si compone di due sezioni:

  • la Sezione Strategica (Se.S.), che ha un orizzonte temporale di riferimento pari a quello del mandato amministrativo, contenente gli indirizzi e gli obiettivi strategici del mandato, l’analisi di contesto e i fattori di analisi generali;
  • la Sezione Operativa (Se.O.), che ha un orizzonte temporale coincidente con il bilancio di previsione (triennale); tale sezione è suddivisa in sottosezioni: una prima sottosezione relativa ai programmi operativi dell’Ente e alle relative previsioni finanziarie, che costituiscono gli obiettivi operativi, ed una seconda sottosezione in cui sono presenti altri documenti di programmazione dell’Ente (patrimonio, investimenti, dotazione organica).

Programmazione esecutiva

  • Piano Esecutivo di Gestione – P.E.G. (art. 169 d.lgs. 267/2000): documento frutto di una concertazione condivisa tra i diversi attori dell'Ente: Organo esecutivo, Segretario comunale e Dirigenti/Responsabili dei servizi ed approvato dalla Giunta comunale; per mezzo del P.E.G. vengono affidati gli obiettivi e le attività di gestione ai Dirigenti/Responsabili dei servizi, unitamente alle risorse finanziarie, umane e patrimoniali necessarie.
  • Piano delle Performance dell'Ente (art. 10 d.lgs. 150/2009): documento programmatico triennale, definito dall'organo di indirizzo politico-amministrativo in collaborazione con i vertici dell'Amministrazione e secondo gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della Funzione Pubblica, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'Amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori.

Controlli interni

Sistema dei controlli interni (art. 147 d.lgs. 267/2000) finalizzato, fra l’altro, a “valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti” e a “garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l'impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell'ente.”;

Controllo strategico

  • Sistema di controllo[12] (art. 147 ter d.lgs. 267/2000) in merito alla verifica dello stato di attuazione dei programmi secondo le Linee approvate dal Consiglio comunale e finalizzato “alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate confrontate con i progetti elaborati, della qualità dei servizi erogati e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici”, con elaborazione di “rapporti periodici, da sottoporre all'Organo esecutivo e al Consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi.”
  • Relazione annuale sulla performance (art. 10 d.lgs. 150/2009), approvata dall'Organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall'Organismo di valutazione, che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti.

La questione qui sollevata può essere quindi così riassunta: stante che tali atti interessano almeno in parte i settori di interesse generale, in che modo le previsioni del Codice circa la co-programmazione possono rendere il Terzo settore partecipe e protagonista anche in questi atti, oltre che nella programmazione su temi specifici? Come un Ente locale può attrezzarsi a tal fine?

Il sistema di connessione fra la co-programmazione di cui al d.lgs. 117/2017 e i principi programmatori della P.A.

Il comma 2 dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 definisce la co-programmazione come un sistema procedimentale, attivato dall’Amministrazione procedente[13], per individuare i bisogni della comunità da soddisfare, gli interventi necessari da intraprendere e le modalità per realizzarli, nonché le risorse a disposizione per dare esecutività alle azioni previste.

Risulta evidente la stretta connessione del sistema programmatorio previsto dal d.lgs. 267/2000 con il sistema di co-programmazione previsto dall’art. 55 del d.lgs. 117/2017, sia in ottica strutturale (coincidente con il Documento di Mandato e il D.U.P.) che in ambito contingente rispetto ai bisogni che potrebbero essere rilevati annualmente.[14] Questo aspetto viene altresì ribadito dalla Linee Guida Ministeriali (D.M. 72/2021) laddove si specifica che per “coinvolgimento attivo” si intende “innanzitutto, sviluppare sul piano giuridico, forme di confronto, di condivisione e co-realizzazione di interventi e servizi in cui tutte due le parti – ETS e PP.AA. – siano messi in grado di collaborare in tutte le attività di interesse generale”.

In un’ottica più strutturale e sistemica, l’opportunità prevista dall’art. 55 si inserisce perfettamente nell’ambito delle Linee programmatiche di mandato, vale a dire nel documento principale e fondamentale contenente gli indirizzi di governo locale quinquennali, presentato dal Sindaco[15] ed approvato dal Consiglio comunale; la previsione della co-programmazione nelle attività di interesse generale, così come individuate dall’art. 5 del d.lgs. 117/2017, può rappresentare un valido modus operandi dell’Organo di indirizzo, divenendo, altresì, fattore sostanziale dell’esecutività dell’azione sussidiaria orizzontale e della partecipazione della comunità alla progettazione degli interventi di prossimità territoriale.

Con riferimento al D.U.P., invece, la co-programmazione delle attività di interesse generale può essere recepita, in termini procedimentali e sostanziali, nell’ambito della Sezione Strategica (Se.S), con successiva definizione e contestualizzazione dell’azione amministrativa nella Sezione Operativa (Se.O.), con i programmi operativi, le relative specificazioni finanziarie e la definizione degli obiettivi dell’Ente.

Come dare operatività a tale connessione tra le norme codicistiche previste dal d.lgs. 117/2017 e quelle ordinamentali del Testo Unico 267/00?

Il richiamo dell’art. 55 del CTS al tema della potestà regolamentare dei Comuni può rappresentare la via per dare un corpus normativo e amministrativo alla disciplina della partecipazione degli enti del Terzo settore sia in chiave di “sussidiarietà decisionale” che di “sussidiarietà azionale”, determinando, nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e buon andamento richiamati dal Codice e dal D.M. 72/2021,[16] le modalità di coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle scelte strategiche dell’ente locale territoriale ed i loro coinvolgimento nelle fasi di programmazione previste dal “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali”.

Le Linee guida sul rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del Terzo settore già in parte indicano alcuni indirizzi generali rispetto ai quali un Regolamento Comunale stesso può determinare i contenuti delle diverse fasi di coinvolgimento attivo degli enti nonché dei requisiti di partecipazione: tale fase secondo quanto previsto dalle stesse linee guida può concludersi con un documento istruttorio di sintesi che richiami i contenuti della norma (bisogni, interventi e risorse), determinando così anche solo parzialmente i contenuti degli obiettivi fissati nel Documento Unico di Programmazione (D.U.P.) ovvero nel Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.).

Difatti una chiara previsione a livello locale/istituzionale, nei documenti di mandato (Linee programmatiche) e di programmazione (D.U.P.), della co-programmazione degli interventi nell’ambito delle attività di interesse generale crea le condizioni di poter agire sul Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) che affida gli obiettivi operativi e gestionali ai Dirigenti/Responsabili dei servizi, determinando risorse necessarie per dare esecutività all’azione amministrativa.

Con riferimento alle sole politiche sociali ed assistenziali, non va dimenticato che molti degli aspetti della co-programmazione di cui all’art. 55 del d.lgs. 117/2017 si integrano con la co-programmazione triennale prevista nei Piani di Zona ovvero della Pianificazione sociale zonale attivata negli ambiti locali.

Conclusioni

Le connessioni tra la programmazione strategica locale/istituzionale, in particolare quella dei Comuni, e la co-programmazione prevista dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore, costituiscono, oggi, un banco di prova perfetto sia per dare attuazione al principio della sussidiarietà orizzontale, riconosciuto fondamentale dall’ordinamento costituzionale vigente, sia, soprattutto, per dare valore e sostanza al ruolo proattivo riconosciuto agli enti del Terzo settore nella gestione delle politiche territoriali nell’ambito delle attività di interesse generale previste dall’art. 5 del Codice stesso.

Ciò che emerge dalla disamina qui proposta è, in altre parole, la necessità di riflettere su come la co-programmazione, oltre a impegnare EEPP e ETS a co-modellare le politiche pubbliche[17] relative a specifici ambiti di intervento (ad esempio gli interventi relativi alle persone con disabilità o ai giovani o gli interventi per la riqualificazione delle periferie), oltre a poter interessare ambiti settoriali complessi (si pensi alla traduzione, in termini coerenti al Codice del Terzo settore, dell’esperienza dei Piani di Zona nell’ambito del welfare), possa aprire al Terzo settore la possibilità di essere protagonista, con riferimento ai settori di interesse generale, degli atti generali di programmazione che riguardano gli Enti locali. Si tratta di uno sviluppo in un territorio in parte inesplorato, e che richiederà un progressivo affinamento dei metodi e dei procedimenti, ma che rappresenta un modo autentico per valorizzare il ruolo del Terzo settore come emerge dal Codice e dalle autorevoli indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 131/2020.

In tale pronuncia, la Suprema Corte è chiarissima nell’identificare gli enti del Terzo settore come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici, rivolti a “perseguire il bene comune”, a svolgere “attività di interesse generale”, senza perseguire finalità lucrative soggettive, sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione e a rigorosi controlli.

Sempre secondo la Suprema Corte “Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici: secondo le disposizioni specifiche delle Leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal Codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale. Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della «società del bisogno». Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico. Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.”.

I ruoli e gli strumenti a disposizione sono chiarissimi; le potenzialità di azione, in particolare in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica, enormi.

Bibliografia

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Note

  1. ^ Sul punto Gori e Rossi (2016) manifestano quanto la normativa del Terzo settore possa ed abbia incidenza sulle competenze legislative regionali e su quelle amministrative degli enti locali: in particolare la normativa del Terzo settore “percorre tuttavia trasversalmente le competenze regionali e degli enti locali”.
  2. ^ Luciano Gallo (2020), pag. 124, dove si evidenzia un rallentamento delle procedure disciplinari della co-progettazione laddove non risultano “essere stati approvati regolamenti comunali […] dedicati al rapporto tra PA ed ETS (da segnalare iniziativa del Comune di Brescia sul finire del precedente mandato ed ANCI Emilia Romagna sulla predisposizione di una bozza di Regolamento)”. Al contrario, si nota come sulla spinta del Regolamento del Comune di Ferrara si avvia la stagione dei Regolamenti sulla co-progettazione (Comune di Pescare, di Colorno, di Pagani). Sul tema Valastro (2016), in cui si sottolinea il legame tra modelli di democrazia partecipativa e amministrazione condivisa. Sul tema vedi anche Giglioni (2020).
  3. ^ Vedi l’analisi di Gori (2021) laddove “[…] la pubblicazione delle Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore rappresenta un interessante punto di arrivo ed un altrettanto importante punto di partenza […] L’impressione che si stava diffondendo è che l’attuazione dell’art. 55 del Codice fosse come bloccata in una morsa interpretativa – apparentemente irrisolvibile – concernente il rapporto fra Codice del Terzo Settore e Codice dei contratti pubblici”.
  4. ^ Per un’analisi approfondita sui principi richiamati dall’articolo 55 comma 1 del CTS: Scalvini (2018), Fici (2018), Gori (2020).
  5. ^ Sul tema diversi autori (Rossi et al., 2011) manifestano la necessità di “riconoscere e valorizzare il ruolo del Terzo settore quale soggetto partecipe alla produzione normativa, non solo riguardante le politiche ad essi rivolte bensì più complessivamente il sistema di governance del Paese”. Su questo punto anche Gori (Gori, Rossi, 2016): “la previsione di un necessario coinvolgimento del Terzo settore anche nella fase di verifica dei risultati (in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, quindi non soltanto in termini quantitativi e di efficienza): prospettiva che sembra aprire alla necessità di un coinvolgimento di tali enti in tutte le fasi dell’attività programmatoria, di organizzazione e di verifica dei servizi.”
  6. ^ Sul punto Gallo (2020) a commento dell’articolo 55 (La co-programmazione, p. 252) evidenzia in maniera puntuale il procedimento istruttorio della fase co-programmatoria.
  7. ^ Sul tema Consorti et al. (2018), Frediani (2017), Mattioni et al. (1993) in cui si afferma “dopo la Legge 142/1990 i rapporti tra comuni e libere forme associative e, dunque, anche i rapporti tra comune e organizzazioni di volontariato e cooperative sociali trovano disciplina anzitutto nello statuto e nei regolamenti di ciascun comune”.
  8. ^ Sul tema della partecipazione e coinvolgimento del Terzo settore nelle diverse forme, diversi approfondimenti, in particolare si segnala: Cittadini et al. (2008), Zamagni (2011), Consorti et al. (2018), Vandelli (2018).
  9. ^ Frediani (2017), laddove evidenzia che il coinvolgimento degli ETS ai soli servizi sociali è superato a seguito dell’ampliamento delle attività previste dall’articolo 5 del CTS e ciò determina “un ampliamento della sfera di operatività del modello di programmazione partecipata”. Nella stessa direzione Consorti et al. (2018), L. Gili (2018), ove si sottolinea sia l’ampliamento soggettivo (nel senso dell’apparato delle PPAA) che quello oggettivo (l’ampiezza delle attività di interesse generale previste dall’articolo 5 del D.lgs. 117/2017).
  10. ^ Sul tema diverse interpretazioni evidenziano come il tema della co-programmazione risulta connesso al tema della partecipazione ai “procedimenti di formazione delle c.d. misure generali” (Gili, 2018). In Frediani (2017) si evidenzia che la coprogrammazione “è uno strumento inteso a valorizzare un percorso partecipativo preordinato alla individuazione del contesto di riferimento entro il quale si inserirà la definizione specifica degli interventi”. Alcuni autori (Gili, 2018; Corsorti et al., 2018) sostengono che l’attuazione della norma (art. 55) per l’aspetto co-programmatorio risulta generica negli aspetti procedimentali e a tal fine non aiuta il generico rinvio al procedimento amministrativo previsto dalla Legge 241/91.
  11. ^ Le “Linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale” pubblicate dall’Agenzia per il Terzo settore nel 2011 affermavano: “L’apporto del Terzo settore deve riguardare la definizione di tutte le politiche pubbliche riguardanti il sistema di welfare, in quanto il bene comune al quale si fa riferimento nell’art. 118, comma 4, Cost. è espressione generale che non può essere limitata soltanto ad alcuni ambiti, come quello sociale o sociosanitario, sebbene le esperienze attualmente in essere dimostrino come questi siano i settori nei quali è attualmente privilegiata la partecipazione del Terzo settore. La potenzialità del Terzo settore ad intervenire negli ambiti di cui si è detto deve trovare riscontro anche sotto il profilo strettamente organizzativo, prevedendo una diversa collocazione per l’ufficio competente circa i rapporti con il Terzo settore. Attualmente tale ufficio è prevalentemente collocato nell’ambito della direzione generale dei servizi sociali, mentre deve trattarsi di una sede centrale di coordinamento a competenza trasversale. In altri termini se il Terzo settore è un soggetto politico di interlocuzione generale, esso deve interfacciarsi con un unico ufficio, che deve far capo a chi ha la funzione di coordinamento dell’amministrazione (es. ufficio del Sindaco o presso la Presidenza della Giunta regionale).”
  12. ^ Sul tema nelle già citate “Le linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale” del 2011: “occorre senz’altro favorire e potenziare la partecipazione del Terzo settore anche alla fase della valutazione degli esiti della partecipazione, in modo da sviluppare una cultura dell’accountability che legittimi realmente non solo l’ente pubblico, ma anche l’organizzazione stessa”.
  13. ^ Sul tema Gallo (2020), Scalvini (2018), “alla P.A. che compete l’attivazione dei procedimenti […] secondo le regole ed i principi del procedimento amministrativo”.
  14. ^ Azzena (2015) mette in evidenzia una “sussidiarietà decisionale” che consiste nella partecipazione della società di intervenire sulle decisioni dei pubblici poteri ed una “sussidiarietà azionale” che vede la società civile coinvolta nell’azione amministrativa.
  15. ^ Cit. Le linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale.
  16. ^ Il Decreto Ministeriale n. 72 del 31/03/2021 fissa le fasi del processo di co-programmazione e rileva che la conclusione di tale procedimento “dovrebbe concludersi con l’elaborazione condivisa di un documento istruttorio di sintesi, mentre le determinazioni conseguenti sono di competenza dell’amministrazione procedente”. Risulta chiaro che tale documento di sintesi debba prevedere il contenuto indicati dal legislatore in tema di co-programmazione e specificatamente: a) bisogni da soddisfare; b) interventi a tal fine necessari; c) modalità di realizzazione degli stessi; d) infine risorse disponibili” (Gallo, 2020).
  17. ^ In tal senso il D.M. 72 del 27.03.2021 laddove indica il senso dell’istituto coprogrammatorio come attività produttiva di integrazione di attività e di risorse e di costruzione di politiche pubbliche condivise: “La co-programmazione dovrebbe generare un arricchimento della lettura dei bisogni, anche in modo integrato, rispetto ai tradizionali ambiti di competenza amministrativa degli enti, agevolando – in fase attuativa – la continuità del rapporto di collaborazione sussidiaria, come tale produttiva di integrazione di attività, risorse, anche immateriali, qualificazione della spesa e, da ultimo, costruzione di politiche pubbliche condivise e potenzialmente effettive, oltre alla produzione di clima di fiducia reciproco”.
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