Il presente lavoro ha la finalità di indagare la relazione tra l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e la normativa specifica degli Enti locali; in particolare verrà approfondito il tema di quali forme di coordinamento operativo possano attivarsi tra l’istituto della co-programmazione e le normative, anche ordinamentali, degli Enti locali territoriali.
Il lavoro di riordino legislativo della disciplina del Terzo settore, sfociato nell’approvazione del Decreto Legislativo 117/2017 (Codice del Terzo Settore), se da una parte ha portato ad avere a disposizione un “testo di sistema” (Clarich, Boschetti, 2018), dall’altra parte ha evidenziato l’importanza, per dare compiutezza all’applicazione di tutti gli istituti in esso previsti, di forme di coordinamento[1] con altre disposizioni normative del nostro ordinamento.
In particolare, l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice, evidenzia la necessità di tale coordinamento in relazione al sistema ordinamentale degli Enti locali territoriali, laddove gli stessi sono chiamati ad attivare processi di amministrazione “coprogrammatoria” con gli enti del Terzo settore.
Il sistema della co-programmazione introdotto dal Codice del Terzo Settore in questa visione, può infatti impattare sull’impianto complessivo e complesso della programmazione (d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” - artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170, nonché d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”) delle autonomie locali, sia nella fase di costruzione delle politiche territoriali che nella fase di implementazione delle stesse attraverso i piani esecutivi di gestione.
Keywords: codice del terzo settore, articolo 55, co-programmazione, enti di terzo settore, enti pubblici
DOI: 10.7425/IS.2021.02.06
La riforma del Terzo settore, già a partire dalla Legge Delega 106/2016 e, successivamente, con l’approvazione del d.lgs. 117/2017, ha avuto un percorso controverso, non tanto per la sua applicazione, ma a seguito di alcune interpretazioni da parte della giustizia amministrativa, seppur in sede referente, nell’ambito del più ampio aspetto del suo rapporto con il Codice dei Contratti Pubblici.
Il Parere del Consiglio di Stato n. 2052 del 20 agosto 2018, emanato a seguito della richiesta formulata dall’Anac in merito al rapporto, nell’ambito dei servizi sociali, tra gli istituti del titolo VII del d.lgs. 117/2017 (artt. 55, 56 e 57) e il Codice dei Contratti Pubblici, aveva provvisoriamente affievolito l’afflato entusiasta dei protagonisti direttamente interessati dall’applicazione della riforma del Terzo settore. Nonostante questo, vi è comunque da evidenziare come le esperienze di co-progettazione non si siano comunque interrotte, seppure molte di esse si rivelino assai titubanti nell’abbandonare gli schemi tipici delle relazioni sinallagmatiche; così come si registrano, anche dopo il citato Parere, tentativi di tentativi locali di costruzione di regolamenti quadro[2] per disciplinare gli istituti collaborativi a livello comunale.
In questo percorso ad ostacoli[3], si sono inserite in primo luogo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 26 giugno 2020 e quindi la modifica del Codice dei contratti (Legge n. 120 del 11 settembre 2020) che ha riconosciuto il ruolo del Codice del Terzo settore e infine, recentemente, l’approvazione con D.M. n. 72 del 31 marzo 2021 delle Linee Guida che affrontano compiutamente gli aspetti applicativi relativi agli artt. 55, 56 e 57 della riforma.
In tale solco, la sentenza n. 131 assume una grande importanza sia per l’annotazione riportata dalla Suprema Corte sul ruolo del Terzo settore nell’ambito della c.d. società del bisogno, sia per i principi sanciti in tema di rapporto tra il Codice dei Contratti Pubblici ed il Codice del Terzo Settore; a tale ultimo proposito nella sentenza la Suprema Corte afferma opportunamente che “(…) lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE (…), sugli appalti pubblici e 2014/23/UE (…), sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (…) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”. Il complesso di tali provvedimenti ha rassicurato gli amministratori pubblici sulla legittimità dell’art. 55 e sulla pari dignità – nell’ambito di un utilizzo appropriato – di questo strumento con quelli del Codice dei contratti; inoltre, grazie alle linee guida, il quadro, anche da un punto di vista amministrativo, risulta ora più chiaro e quindi più fruibile anche da parte di amministrazioni meno strutturate. Questo può senz’altro accelerare ulteriormente la diffusione delle esperienze di amministrazione condivisa; e può consentire, come si prova a fare in questo contributo, di interrogarsi su ulteriori sviluppi dei principi introdotti dall’art. 55 e segnatamente del modo in cui la co-programmazione può interessare il complesso degli atti programmatori delle amministrazioni locali.
Il Codice del Terzo Settore dedica un intero Titolo (specificatamente il Titolo VII, art.55-58) ai rapporti tra enti del Terzo settore e Pubblica Amministrazione; tale disciplina, peraltro, appare particolarmente innovativa, rispetto all’evoluzione già consolidata in applicazione della Legge 328/2000 e del D.P.C.M. 30 marzo 2001, poiché amplia l’orizzonte delle interrelazioni collaborative tra le PP.AA. e gli enti del Terzo settore dal solo ambito del welfare a tutte le attività di interesse generale indicate dal Codice e, per quanto riguarda la co-progettazione, dagli interventi sperimentali e innovativi a tutti gli interventi realizzabili con logica diversa da quella prestazionale (Gallo, 2020; Gori, 2020; Lombardi, 2020). Le indicazioni dell’art. 55, commi 1 e 2, del d.lgs. 117/2017 ben rappresentano i principi fondamentali che devono disciplinare i rapporti tra gli attori coinvolti dentro il quadro delineato dall’art. 5 del CTS relativo alle 27 attività di interesse generale (Gallo, 2020; Lombardi, 2020).
Nella sentenza sopra richiamata, la Corte Costituzionale chiaramente si esprime in merito affermando che “È in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della Legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (…). L’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS”.
L’art. 55, comma 1, del Codice del Terzo Settore stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento (…)”.
Tale previsione è di estremo interesse poiché pone l’accento a principi già sanciti e consolidati nel nostro ordinamento giuridico:[4]
Per inciso, e sebbene questo contributo sviluppi principalmente il tema delle interazioni tra Codice del Terzo settore e disciplina degli Enti locali, va notato che le previsioni dell’art. 55 si estendano ad un numero molto ampio di PP.AA. destinatarie. Il riferimento contenuto in tale norma all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 determina, di fatto, l’ampliamento della platea delle Amministrazioni pubbliche interessate dalla riforma del Terzo settore. Il tema della programmazione non viene confinato ai soli Enti locali territoriali, ma coinvolge pressoché l’intero apparato amministrativo del nostro ordinamento giuridico e a questo la Corte Costituzionale fa esplicitamente riferimento nella sentenza n. 131/2020 quando pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nella programmazione e nell’organizzazione degli interventi.[8] La nuova platea dei soggetti pubblici è chiaramente individuata dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, in base al quale: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”. L’art. 55 del Codice del Terzo Settore rivela anche da questo punto di vista una portata innovativa e rivoluzionaria:[9] l’ampiezza dell’articolazione dell’Amministrazione condivisa, sia per i riferimenti soggettivi (chi sono i soggetti pubblici coinvolti) che per i riferimenti oggettivi (quali sono le attività di interesse generale), determina chiare e grandi opportunità per tutti gli Enti interessati (PP.AA. ed enti del Terzo settore) di intraprendere, con gli strumenti della programmazione prima e della co-progettazione e accreditamento poi, azioni capaci di poter incidere sulle politiche di sviluppo delle comunità territoriali.
Ciò detto, quello che qui preme sottolineare è che le previsioni dell’art. 55 appaiono profondamente connesse e intrecciate al complesso di disposizioni che disciplina l’azione amministrativa, in particolare degli Enti locali; e ci invita quindi ad approfondire come le disposizioni del d.lgs. 117/2017 – ancor più nel caso dell’art. 55, di cui la Sentenza 131/2020 ha così fortemente sottolineato il diretto collegamento a principi costituzionali - impattino su un ambito caratterizzato da una notevole densità normativa; in altre parole si tratta di comprendere se e in che modo le previsioni dell’art. 55 inducano a rileggere e a far evolvere taluni aspetti della disciplina sugli Enti locali, segnatamente, per quanto riguarda questo contributo, relativamente agli aspetti di programmazione.
I soggetti pubblici sopra richiamati (art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001), nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale e nel rispetto dei principi della Legge 241/1990 e delle altre norme procedimentali,[10] assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento.
In questo passaggio dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 è fondamentale il richiamo alle funzioni di programmazione ed organizzazione degli Enti pubblici e, in particolare, dei Comuni. Di ciò vi è traccia anche nelle Linee Guida sul Rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del terzo settore laddove si fa esplicito riferimento alle “altre disposizioni statali e regionali, che disciplinano l’approvazione degli strumenti di programmazione da parte degli enti territoriali”.
Ma quali sono le funzioni di programmazione a livello territoriale a cui fa riferimento implicito la norma codicistica e il D.M. 72/2021?
Per inquadrare il tema della programmazione degli Enti locali bisogna far riferimento al d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” (artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170), nonché al d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (art. 10).
Il ciclo di programmazione degli Enti locali si articola, in estrema sintesi, nei seguenti istituti:
Linee programmatiche di mandato (art. 46, comma 3, d.lgs. 267/2000): documento presentato dal Sindaco[11] ed approvato dal Consiglio comunale ad avvio del mandato, nel quale sono individuati le azioni e i progetti da realizzare nel corso del mandato stesso.
Documento Unico di Programmazione - D.U.P. (art. 170 d.lgs. 267/2000): documento presentato dalla Giunta comunale ed approvato dal Consiglio comunale relativo all’attività di guida strategica e operativa degli Enti territoriali; il D.U.P. rappresenta l’atto amministrativo presupposto ed indispensabile per l'approvazione del bilancio di previsione e si compone di due sezioni:
Sistema dei controlli interni (art. 147 d.lgs. 267/2000) finalizzato, fra l’altro, a “valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti” e a “garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l'impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell'ente.”;
La questione qui sollevata può essere quindi così riassunta: stante che tali atti interessano almeno in parte i settori di interesse generale, in che modo le previsioni del Codice circa la co-programmazione possono rendere il Terzo settore partecipe e protagonista anche in questi atti, oltre che nella programmazione su temi specifici? Come un Ente locale può attrezzarsi a tal fine?
Il comma 2 dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 definisce la co-programmazione come un sistema procedimentale, attivato dall’Amministrazione procedente[13], per individuare i bisogni della comunità da soddisfare, gli interventi necessari da intraprendere e le modalità per realizzarli, nonché le risorse a disposizione per dare esecutività alle azioni previste.
Risulta evidente la stretta connessione del sistema programmatorio previsto dal d.lgs. 267/2000 con il sistema di co-programmazione previsto dall’art. 55 del d.lgs. 117/2017, sia in ottica strutturale (coincidente con il Documento di Mandato e il D.U.P.) che in ambito contingente rispetto ai bisogni che potrebbero essere rilevati annualmente.[14] Questo aspetto viene altresì ribadito dalla Linee Guida Ministeriali (D.M. 72/2021) laddove si specifica che per “coinvolgimento attivo” si intende “innanzitutto, sviluppare sul piano giuridico, forme di confronto, di condivisione e co-realizzazione di interventi e servizi in cui tutte due le parti – ETS e PP.AA. – siano messi in grado di collaborare in tutte le attività di interesse generale”.
In un’ottica più strutturale e sistemica, l’opportunità prevista dall’art. 55 si inserisce perfettamente nell’ambito delle Linee programmatiche di mandato, vale a dire nel documento principale e fondamentale contenente gli indirizzi di governo locale quinquennali, presentato dal Sindaco[15] ed approvato dal Consiglio comunale; la previsione della co-programmazione nelle attività di interesse generale, così come individuate dall’art. 5 del d.lgs. 117/2017, può rappresentare un valido modus operandi dell’Organo di indirizzo, divenendo, altresì, fattore sostanziale dell’esecutività dell’azione sussidiaria orizzontale e della partecipazione della comunità alla progettazione degli interventi di prossimità territoriale.
Con riferimento al D.U.P., invece, la co-programmazione delle attività di interesse generale può essere recepita, in termini procedimentali e sostanziali, nell’ambito della Sezione Strategica (Se.S), con successiva definizione e contestualizzazione dell’azione amministrativa nella Sezione Operativa (Se.O.), con i programmi operativi, le relative specificazioni finanziarie e la definizione degli obiettivi dell’Ente.
Come dare operatività a tale connessione tra le norme codicistiche previste dal d.lgs. 117/2017 e quelle ordinamentali del Testo Unico 267/00?
Il richiamo dell’art. 55 del CTS al tema della potestà regolamentare dei Comuni può rappresentare la via per dare un corpus normativo e amministrativo alla disciplina della partecipazione degli enti del Terzo settore sia in chiave di “sussidiarietà decisionale” che di “sussidiarietà azionale”, determinando, nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e buon andamento richiamati dal Codice e dal D.M. 72/2021,[16] le modalità di coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle scelte strategiche dell’ente locale territoriale ed i loro coinvolgimento nelle fasi di programmazione previste dal “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali”.
Le Linee guida sul rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del Terzo settore già in parte indicano alcuni indirizzi generali rispetto ai quali un Regolamento Comunale stesso può determinare i contenuti delle diverse fasi di coinvolgimento attivo degli enti nonché dei requisiti di partecipazione: tale fase secondo quanto previsto dalle stesse linee guida può concludersi con un documento istruttorio di sintesi che richiami i contenuti della norma (bisogni, interventi e risorse), determinando così anche solo parzialmente i contenuti degli obiettivi fissati nel Documento Unico di Programmazione (D.U.P.) ovvero nel Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.).
Difatti una chiara previsione a livello locale/istituzionale, nei documenti di mandato (Linee programmatiche) e di programmazione (D.U.P.), della co-programmazione degli interventi nell’ambito delle attività di interesse generale crea le condizioni di poter agire sul Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) che affida gli obiettivi operativi e gestionali ai Dirigenti/Responsabili dei servizi, determinando risorse necessarie per dare esecutività all’azione amministrativa.
Con riferimento alle sole politiche sociali ed assistenziali, non va dimenticato che molti degli aspetti della co-programmazione di cui all’art. 55 del d.lgs. 117/2017 si integrano con la co-programmazione triennale prevista nei Piani di Zona ovvero della Pianificazione sociale zonale attivata negli ambiti locali.
Le connessioni tra la programmazione strategica locale/istituzionale, in particolare quella dei Comuni, e la co-programmazione prevista dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore, costituiscono, oggi, un banco di prova perfetto sia per dare attuazione al principio della sussidiarietà orizzontale, riconosciuto fondamentale dall’ordinamento costituzionale vigente, sia, soprattutto, per dare valore e sostanza al ruolo proattivo riconosciuto agli enti del Terzo settore nella gestione delle politiche territoriali nell’ambito delle attività di interesse generale previste dall’art. 5 del Codice stesso.
Ciò che emerge dalla disamina qui proposta è, in altre parole, la necessità di riflettere su come la co-programmazione, oltre a impegnare EEPP e ETS a co-modellare le politiche pubbliche[17] relative a specifici ambiti di intervento (ad esempio gli interventi relativi alle persone con disabilità o ai giovani o gli interventi per la riqualificazione delle periferie), oltre a poter interessare ambiti settoriali complessi (si pensi alla traduzione, in termini coerenti al Codice del Terzo settore, dell’esperienza dei Piani di Zona nell’ambito del welfare), possa aprire al Terzo settore la possibilità di essere protagonista, con riferimento ai settori di interesse generale, degli atti generali di programmazione che riguardano gli Enti locali. Si tratta di uno sviluppo in un territorio in parte inesplorato, e che richiederà un progressivo affinamento dei metodi e dei procedimenti, ma che rappresenta un modo autentico per valorizzare il ruolo del Terzo settore come emerge dal Codice e dalle autorevoli indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 131/2020.
In tale pronuncia, la Suprema Corte è chiarissima nell’identificare gli enti del Terzo settore come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici, rivolti a “perseguire il bene comune”, a svolgere “attività di interesse generale”, senza perseguire finalità lucrative soggettive, sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione e a rigorosi controlli.
Sempre secondo la Suprema Corte “Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici: secondo le disposizioni specifiche delle Leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal Codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale. Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della «società del bisogno». Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico. Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.”.
I ruoli e gli strumenti a disposizione sono chiarissimi; le potenzialità di azione, in particolare in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica, enormi.
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