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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2021

Documenti

Alle sorgenti dell'impresa sociale

Gianfranco Marocchi

Come celebrare, da parte di una rivista scientifica come Impresa Sociale, il trentennale della legge 381/1991, la legge che riconobbe e disciplinò la prima e più fortunata forma di imprenditorialità sociale italiana, la cooperativa sociale, e che offrì così un decisivo sostegno alla sua affermazione e al suo sviluppo?

Ci è sembrato che il modo migliore fosse mettere a disposizione dei lettori una parte significativa dei documenti di quegli anni, oggi difficilmente reperibili a chi non abbia conservato per decenni copie cartacee di tali materiali, talvolta pubblicati, talvolta rimasti letteratura grigia.

Abbiamo selezionato oltre 50 documenti, quasi tutti databili tra l’inizio degli anni Ottanta e i mesi immediatamente successivi all’approvazione della 381/1991, che possono costituire un punto di partenza per lavori di ricostruzione storica di tesisti e ricercatori, ma anche per sollecitare l’interesse di imprenditori sociali che vogliano meglio comprendere le origini del fenomeno di cui oggi sono protagonisti.

E subito ci siamo resi conto, però, di come una così ampia mole di documenti rischi paradossalmente, proprio per la sua estensione, di disorientare anziché di informare il lettore, che – ci auguriamo di avere molti lettori in questa condizione – quando tali scritti venivano redatti forse non era ancora nato.

Diventa allora necessario inquadrare i documenti selezionati in un percorso di lettura che ci aiuti a collocarli ed a coglierne il senso più profondo, anche se in parte a ciò già contribuiscono l’editoriale di Carlo Borzaga e il lavoro di ricostruzione storica pubblicato su questo numero a firma dello stesso Borzaga e di Alberto Ianes.

La prima operazione è stata quindi quella di riorganizzare questi materiali secondo diversi percorsi di lettura, tra loro intrecciati. E proprio gli intrecci sono il primo elemento che merita di essere evidenziato: i documenti di movimento che creano la consapevolezza della peculiarità della nascente impresa sociale, le ricerche degli studiosi, le discussioni parlamentari, i percorsi che portano all’aggregazione delle prime imprese sociali in organismi di rappresentanza, tutti sono caratterizzati da una coerenza di temi e di linguaggi che è di per sé elemento di interesse per chi studia o comunque vuole comprendere l’affermazione dell’impresa sociale nel nostro Paese.

Non necessariamente manifestano identità di vedute su tutte le questioni trattate: ad esempio, nelle discussioni parlamentari della X Legislatura, nei mesi precedenti all’approvazione della legge, emergono le differenti impostazioni sviluppatesi entro la cultura cattolica e quella social-comunista ben rappresentate in questo numero di Impresa Sociale nella parte iniziale del contributo di Ianes e Borzaga. E, anche nell’ambito di una stessa matrice culturale cattolica di provenienza, si avverte nelle parole di Felice Scalvini – in occasione della prima Assemblea delle cooperative di solidarietà sociale (Assisi, 1985) – l’eco di visioni differenti sul ruolo rispettivamente di volontari e lavoratori nelle nascenti imprese sociali; e non mancava chi, in quella fase, guardava con sospetto alla nascente impresa sociale cui si rimproverava di reintrodurre “la distinzione tra pubblico e privato, quasi che solo il privato efficiente, anche se non speculativo, sia in grado di essere all’altezza della situazione”.

Ma – e questo è il punto fondamentale – anche laddove erano presenti distanze, vi era consenso sul fatto che fosse di quei temi che si doveva discutere, equilibrando una ostinata passione nell’argomentare le proprie ragioni con la capacità di trovare sintesi – cui non furono estranee anche le sollecitazioni a trovare una mediazione dei ministri Donat Cattin e Russo Jervolino, di cui sono raccolti due interventi. Questo portò, non senza fatiche e qualche scontento (si vedano tra i materiali presenti in questo archivio, i commenti di Filippini e Preite) all’approvazione della 381/1991.

Ma, al di là dei punti oggetto di controversie, il dato principale che emerge è quello di una costruzione da zero, avvenuta nell’arco di una decina d’anni, di un oggetto prima inesistente, l’impresa sociale appunto, di cui è chiara fin dall’inizio e perseguita con determinazione la necessità di mettere a punto, un pezzo dopo l’altro, i caratteri principali, i fondamenti etici, la teoria economica di riferimento, i pilastri organizzativi; e, altro dato non scontato, si creano i presupposti affinché le tante esperienze che, in diverse parti del Paese stavano sorgendo, condividessero tali elementi, si collegassero tra loro, acquisissero coscienza di essere “movimento”, della necessità di trovare interazioni tanto su un piano politico che su quello imprenditoriale.

Coscienza (e orgoglio) di essere un soggetto nuovo e per molti versi dirompente; capacità di collegarsi e agire in sinergia; riconoscimento normativo; solidità di riferimenti e investimento nell’area della ricerca e della conoscenza: questi sono gli elementi che – ovviamente, si intende, insieme alla concretezza dei risultati operativi raggiunti – imprimono all’impresa sociale un destino di sviluppo non scontato. Senza tutto ciò l’eccellenza di tante pratiche sociali sarebbe rimasta una ammirevole testimonianza di specifiche azioni benemerite, non un soggetto che oggi aggrega, secondo le stime più recenti, oltre 20 mila imprese e oltre 400 mila lavoratori, accompagnando questo Paese – è proprio il caso di dirlo – dalla culla alla tomba, rispondendo di volta in volta ai tanti bisogni che i cittadini e le comunità esprimono.

Ecco, dunque, la struttura dei tanti materiali che si trovano qui raccolti.

Una prima sezione è costituita dai “Materiali di movimento”, intendendo scritti e discorsi in cui i protagonisti dell’epoca hanno delineato i caratteri fondamentali del nascente fenomeno. L’intento che li accomuna è quello di far comprendere, in un ambiente culturale polarizzato su Stato e mercato, non solo la comparsa di soggetti di nuova generazione frutto dell’aggregazione della società civile, ma anche il fatto che alcuni di essi evolvessero in senso imprenditoriale. Il concetto di “impresa sociale” è in questi scritti un ossimoro da spiegare, difficilmente comprensibile all’epoca non solo per chi rimaneva legato al dualismo tra Stato e mercato, ma anche a chi, sul fronte della società civile impegnata nel cambiamento sociale, poteva cogliere a fatica una dimensione di azione diversa da quella volontaria. Un ossimoro spiegato con il capovolgimento – si veda il contributo di Felice Scalvini nel 1987 – dei mezzi e dei fini attraverso cui si descrive ordinariamente l’impresa for profit, che persegue fini economici dovendo tener conto dei vincoli sociali: mentre l’impresa sociale persegue fini sociali nel rispetto della sostenibilità economica. I contributi di questa sezione vanno – talvolta, si potrebbe dire, quasi con un ritmo da Symbolum Niceanum, come quando ancora Scalvini scriveva “La cooperazione, quella in cui crediamo... è imprenditoria sociale” – a costruire la cultura comune e condivisa in cui i primi imprenditori sociali – con un misto di determinazione e talvolta un po’ di sfrontatezza – si sono riconosciuti, acquisendo consapevolezza di rappresentare un soggetto nuovo e decisivo per il Paese. E, nell’affermare tali contenuti, diventa necessario – sin dal primo articolo proposto, Nodi giuridici da sciogliere di Giuseppe Filippini – confrontarsi con un ambiente normativo che mal concepiva un soggetto di impresa votato ad una finalità di interesse generale; di qui l’elaborazione di concetti nuovi – si veda l’articolo di Verrucoli che inaugura il tema della “mutualità allargata” – che aprissero la strada alla legittimazione giuridica di una forma di impresa che agiva “per l’interesse generale della comunità”, come affermerà poi l’art. 1 della 381/1991. Non è un caso – ecco il primo degli intrecci di cui si parlava – la coincidenza di date tra il primo momento di rilievo di riflessione pubblica – il seminario organizzato dalla Fondazione Zancan a Malosco nel 1981 – e l’anno di presentazione del primo disegno di legge teso a disciplinare la “cooperazione di solidarietà sociale” presentato appunto sempre nel 1981 dall’on. Salvi.

La seconda parte presenta materiali per molti versi sovrapponibili alla prima – ecco un secondo intreccio – ma si è scelto di raccoglierli in un’apposita sezione “Dall’identità alla rappresentanza comune” che descrive il cammino che ha portato alla costituzione della prima organizzazione di rappresentanza delle imprese sociali, Federsolidarietà nata nell’ambito di Confcooperative. Come ben rilevato in questo numero da Ianes e Borzaga, ciò non significa che rilevanti esperienze di imprenditorialità sociale non fossero negli stessi anni nate anche nell’ambito della tradizione culturale social-comunista; ma in quella fase essa preferì inquadrare la cooperazione sociale come parte – inizialmente poco distinguibile – della cooperazione di lavoro, tanto è vero che Legacoop sociali venne poi costituita nel 2005, 17 anni dopo Federsolidarietà. Il percorso che portò alla costituzione di Federsolidarietà nel 1988 (e del primo consorzio nazionale nato in quell’ambito, CGM fondato nel 1987) è insieme una storia di identità e di organizzazione. Di identità, se si considera che fu proprio in quel percorso – la costituzione formale di Federsolidarietà fu preceduta da due assemblee tenutesi rispettivamente ad Assisi nel 1985 e a Castrocaro Terme nel 1987 – che venne per la prima volta utilizzato il termine “impresa sociale” (ancora Felice Scalvini: “non ‘più mercato’ e nemmeno ‘più privato’ nei servizi sociali, bensì ‘più impresa sociale’, vale a dire più imprese con finalità solidaristiche e organizzate democraticamente”). Di organizzazione, perché se ha senso raccogliere in una sezione specifica questi materiali è perché danno conto di un fatto non scontato, della scelta cioè dei proto-imprenditori sociali dell’epoca di ritrovarsi, confrontarsi, darsi strutture organizzate, approdando quindi – guardati ora con ammirazione, ora con sospetto dalla precedente generazione di cooperatori – alla costituzione di una rappresentanza specifica entro Confcooperative.

La terza sezione “Analisi e ricerche” descrive un altro carattere per nulla scontato di quegli anni: l’impegno nella raccolta di dati e nell’elaborazione teorica che accompagnasse lo sviluppo del fenomeno nella sua fase nascente: ben prima della 381/1991, già negli anni Ottanta, Carlo Borzaga aveva realizzato le prime ricerche sulle “cooperative di solidarietà sociale” e sugli altri soggetti, le “cooperative integrate” e le “cooperative di servizi sociali” che sarebbero poi in gran parte confluite nelle “cooperative sociali” disciplinate dalla 381/1991. Si acquisisce la consapevolezza, sulla base di dati solidi, che il fenomeno è già negli anni Ottanta capillarmente diffuso almeno nelle regioni del Centro-Nord, se ne descrivono le caratteristiche principali, si segue sin dalle sue origini la mutazione genetica di talune esperienze di impegno sociale a carattere prevalentemente volontario (nelle ricerche di metà anni Ottanta i lavoratori rappresentavano il 37% delle persone attive nelle cooperative di solidarietà sociale; nel decennio successivo e ancor oggi sono circa il 90%) in imprese sociali. Negli anni immediatamente successivi alla legge sarebbe poi iniziata la pubblicazione dei “Rapporti sulla cooperazione sociale” editi da CGM (il primo è del 1994, il secondo del 1997), di cui si dà conto nella successiva sezione “Percorsi di lettura”. Ma, accanto ai numeri, le attività di studio e ricerca delineano la nascente impresa sociale anche da un punto di vista teorico, almeno in due direzioni: da una parte – si legga in proposito il lavoro di Carlo Borzaga e Stefano Lepri – individuando analiticamente lo spazio esistente tra Stato e Mercato – di qui i vari “terzi” dell’epoca, il “terzo sistema”, il “terzo settore” – e argomentando l’auspicabilità, per le nostre società, che tale spazio fosse valorizzato e sostenuto; dall’altra ritagliando per l’impresa sociale uno spazio specifico all’interno delle teorie sulle “organizzazioni non profit” che si stavano sviluppando principalmente nel mondo anglosassone. A questo proposito va segnalata la concezione – coerente con le peculiari caratteristiche dell’impresa sociale italiana che si sono sino a qui richiamate – dell’impresa multistakeholder, dove quindi componenti diverse della base sociale cooperano, pur con punti di vista diversi, allo scopo comune. E tali elaborazioni, negli anni immediatamente successivi, sono proposte su riviste scientifiche internazionali (è del 1991 la prima pubblicazione di Borzaga sui numeri dell’impresa sociale italiana su una rivista internazionale, di qualche anno più tardi, insieme a Mittone, la formalizzazione della teoria multistakeholder). Questi filoni di approfondimento non esauriscono certo la varietà delle elaborazioni che, soprattutto nel corso degli anni Novanta, si sono poi sviluppati; si pensi ad esempio ai lavori sul bilancio sociale o sull’analisi costi/benefici dell’inserimento lavorativo, che hanno anticipato di oltre un quarto di secolo – e spesso con un livello di approfondimento maggiore – le attuali elaborazioni in sul tema dell’impatto sociale.

E quindi la quarta sezione, dedicata ai “Lavori parlamentari” che hanno portato, nel corso di tre legislature – dall’VIII alla X – all’approvazione della legge 381/1991. Come anticipato, si tratta di un lavoro strettamente connesso alle elaborazioni culturali che nel decennio 1981-91 hanno accompagnato la nascita dell’impresa sociale. Per molti degli aspetti di contenuto si rimanda ancora all’articolo di Ianes e Borzaga pubblicato su questo numero di Impresa Sociale, con l’aggiunta di un consiglio per i lettori più giovani: accanto alla lettura dei diversi testi di legge – nella sezione si trova una sintetica presentazione dei contenuti che caratterizzavano ciascuno di essi – è particolarmente stimolante la lettura delle discussioni parlamentari che nella X legislatura, tra il 1989 e il 1991, portarono all’approvazione della legge e che ben danno conto dello sviluppo del dibattito in quella fase storica. Su questo aspetto manca, nella ricostruzione proposta, una ulteriore sottosezione, che meriterebbe un approfondimento specifico: quella delle normative regionali che nel corso degli anni Ottanta hanno recepito il fenomeno nel suo sviluppo. In alcuni casi, come quelli del Trentino-Alto Adige, della Lombardia e del Piemonte, con normative organiche che per certi versi anticipano la 381/1991, in altri con disposizioni che, normando aspetti diversi, danno comunque conto della nascita delle imprese sociali (come una legge ligure del 1980 in cui si faceva riferimento ai “soci dipendenti portatori di una menomazione fisica, psichica o sensoriale o con difficoltà di inserimento sociale” delle cooperative).

Ancora, si propongono al lettore due contributi (settore “Rievocazioni”), uno di Felice Scalvini e uno di Franco Marzocchi, rispettivamente primo e secondo presidente di Federsolidarietà, scritti dieci anni fa in occasione del ventennale della 381/1991: ogni momento storico ha il suo modo di rileggere il passato, a seconda delle urgenze del (proprio) presente. Chi volesse esercitarsi a confrontare l’editoriale di questo numero a firma di Carlo Borzaga con le rievocazioni della 381/1991 fatte dieci anni fa potrà ragionare su come allora ed oggi questa svolta decisiva per l’impresa sociale è riletta alla luce del dibattito in corso.

Infine, dopo questa ampia mole di materiali sono proposti alcuni “Percorsi di lettura” sotto forma di schede tematiche; non sfugge il rischio di una certa ridondanza nei materiali proposti, ma le schede costituiscono un punto di accesso ulteriore alla ricchezza del dibattito che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo dell’impresa sociale.

La nostra raccolta di documenti

Percorsi di lettura

 

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