Il patrimonio culturale, in ragione della maturata consapevolezza circa il suo ruolo ai fini dello sviluppo della società, costituisce un traino di crescita sociale ed economica, oltre che un attivatore di meccanismi partecipativi orientati alla costruzione di benessere comunitario. Affidare alla cultura un ruolo da protagonista nello sviluppo locale, nazionale ed internazionale, significa promuovere un benessere individuale e collettivo coinvolgendo le comunità, tutte, in un processo di democrazia partecipativa i cui riflessi trovano concreta espressione sul piano dell’azione nel supporto e nell’implementazione di policy correlate. I presupposti delineati costituiscono la cornice entro la quale negli ultimi decenni si stanno delineando, in Italia e all’estero, radicali cambi di paradigma nei tradizionali modelli economico-gestionali del settore culturale e creativo. All’interno di questo contesto, le imprese sociali, che si distinguono per la capacità di creare esternalità positive nella comunità di riferimento attraverso il soddisfacimento di bisogni irrisolti, occupano un ruolo decisivo nel cambiamento sistemico in atto. Obiettivo del presente studio è esplorarne i principali drivers nell’ambito del settore culturale e creativo, con particolare enfasi sull’intrinseco potere trasformativo che le imprese sociali operanti nel campo delle arti e dello spettacolo esercitano in territori marginali e periferici. La riqualificazione e rigenerazione territoriale attraverso interventi a base culturale alimenta, di fatti, fenomeni di inclusione sociale e sviluppo diffuso in grado di orientare lo sviluppo sociale ed economico delle comunità. Le evidenze emerse dalla disamina della letteratura denotano un ecosistema imprenditoriale dalle notevoli potenzialità nella produzione e creazione di reddito e occupazione, il cui asset valoriale, enucleato sulla centralità delle relazioni sociali, risulta essere foriero di innovazione ed inclusione sociale, a base culturale.
Negli ultimi decenni, in coerenza con l’emergere di modelli manageriali in cui Pubblica Amministrazione, imprenditorialità ed associazionismo cittadino dialogano tra loro in un clima di responsabilità condivisa, si stanno delineando, in Italia e in Europa, soluzioni innovative finalizzate ad una efficace ed efficiente programmazione e pianificazione dei processi di gestione e di valorizzazione del patrimonio culturale. È all’interno di questo disegno che si inseriscono le imprese sociali, motori di cambiamento sistemico all’interno della comunità di riferimento (Fici, 2018) grazie alla capacità di creare valore insieme sociale, ambientale ed economico. Si tratta infatti di attori sociali in grado di generare risultati di lungo termine in termini di benessere della comunità locale, intervenendo nel soddisfacimento di una pluralità di bisogni collettivi – nel campo del welfare in senso stretto, ma anche in ambito culturale e in molti altri settori di interesse generale - spesso privi di attenzione da parte delle istituzioni.
Guardando alla cura e allo sviluppo delle comunità locali, è importante riconoscere il ruolo decisivo della tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e coglierne il potenziale ruolo trasformativo. La cultura, infatti, può veicolare messaggi di interculturalità, accoglienza e cittadinanza, la cultura costituisce un pilastro significativo di crescita sociale ed economica, oltre che un attivatore di meccanismi orientati alla costruzione di un welfare (in un’accezione più ampia rispetto al perimetro del welfare sociale in senso stretto) a carattere comunitario. Non è un caso che le istituzioni culturali si distinguano per le dinamiche relazionali attivate nei territori che abitano con e per la comunità di riferimento (Bifulco & Iodice, 2023).
In questo contributo vengono analizzate le caratteristiche delle imprese sociali che operano in ambito culturale, collocandole poi nell’ambito di un ecosistema culturale e creativo. Ci si interroga quindi sui modelli manageriali che le sostengono e sul rapporto con le politiche. Infine, si propone un esempio in cui i contenuti qui proposti trovano applicazione.
Negli ultimi decenni, come evidenzia Bollo (2014), si è assistito ad una “maggiore attenzione all’analisi della società e dei mercati culturali, alla qualità della comunicazione e del marketing, alla mediazione dei contenuti, alle opportunità che derivano dall’innovazione tecnologica, al potenziale educativo e trasformativo che deriva da logiche di progettazione aperte e inclusive” (Bollo, 2014). A partire da questo quadro, si sceglie di approfondire (a) la dimensione di senso e significato legata all’innovazione sociale; e (b) il processo di audience development, cioè un processo volto all’allargamento dei pubblici nella fruizione culturale (Bollo, 2014).
Con la formula (a) “Innovazione sociale”, la letteratura fa riferimento ad “un processo creativo, in gran parte di tipo collettivo, finalizzato alla realizzazione di beni e servizi che migliorano il livello di benessere di una comunità in termini, ad esempio, di educazione, welfare e inclusione sociale” (Sgaragli, 2014). Tale meccanismo in ambito culturale generalmente richiede (Iodice et al., 2025) un contesto ambientale stimolante, caratterizzato da processi di scambio in grado di favorire lo sviluppo delle interazioni sociali e di conseguenza anche di processi di condivisione della conoscenza e di contaminazione reciproca; spesso i processi di innovazione sociale in ambito culturale si osservano nell’ambito di interventi di rigenerazione e riqualificazione urbana. In riferimento all’ultimo aspetto menzionato, occorre sottolineare che la rigenerazione e riqualificazione di aree dismesse o bisognose di interventi si traduce in una rivitalizzazione dell’immagine e della percezione, nell’immaginario collettivo, di quartieri ed intere città e nell’attivazione di meccanismi di riappropriazione e conseguente sviluppo della qualità della vita. Queste pratiche di innovazione sociale spesso coinvolgono soggetti non-profit, istituzioni pubbliche, imprese private, società civile (volontariato, movimenti, azione collettiva, etc..). Le imprese protagoniste di processi di innovazione sociale in ambito culturale sono connotate da una forte dimensione collettiva, data dalla capacità collaborativa di ogni soggetto coinvolto (impresa, ente, istituzione, comunità) di partire da un’intuizione e di svilupparla sino a trasformarla in pratica diffusa.
Rispetto ai modelli gestionali e di governance delle imprese culturali, si ritrovano formule diverse. Vi sono casi di successo che adottano modelli manageriali ibridi in cui logiche for profit e no profit dialogano tra loro; ne costituiscono un esempio le società benefit, alla pari delle B-Corps, nate da forme innovative di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura, i quali, al fine del raggiungimento di un obiettivo comune, individuano soluzioni in grado di apportare benefici ai diversi attori coinvolti. In altri casi le imprese culturali sono costituite in forma di impresa sociale – spesso come occasione di convergenza e collaborazione tra gli interessi pubblici, privati e del terzo settore (Borzaga e Fazzi 2011) – nella comunità di riferimento, e che si prefiggono la riconversione di beni e proprietà immobiliari a nuove forme d’uso comunitario (Cottino e Zandonai, 2012). Sul territorio italiano vi è, in proposito, un’ampia disponibilità di beni e strutture dismesse da destinare a nuovi servizi e obiettivi, il che si presta alla lettura di occasione più che favorevole per concretizzare gli obiettivi dell’industria culturale con strategie di rigenerazione urbana.
La seconda traiettoria che delinea la rilevanza sociale delle imprese culturali che si intende approfondire riguarda il processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione, l’Audience Development, che implica, oltre ad un maggiore coinvolgimento di un pubblico già “fidelizzato”, la tendenza ad ampliare il raggio d’azione raggiungendo un pubblico nuovo, diverso, anche superando barriere economiche, sociali, psicologiche e fisiche che potrebbero limitare la fruizione culturale. Secondo la definizione proposta dall’Arts Council of Northern Ireland, l’Audience Development è il processo finalizzato a “rimuovere le barriere, a rafforzare le relazioni con i pubblici e creare maggiore inclusione nell’arte e nella cultura” (2012). Bollo (2014) fornisce una lettura singolare della condizione riportata, rifacendosi ad un’interpretazione dell’Unione Europea di Audience Development secondo la quale essa rappresenta un “obiettivo da perseguire per contrastare limiti e fragilità dei settori culturali e per cogliere le opportunità derivanti dalla nuova cultura digitale. Nello specifico, si fa riferimento alla frammentarietà dei mercati culturali europei e alla necessità di ampliare i pubblici di tali prodotti (superando possibilmente le barriere linguistiche nazionali), alla possibilità di sperimentare nuove forme di coinvolgimento attraverso i media digitali e di rafforzare le competenze degli operatori” (Bollo, 2014).
Gli aspetti che concorrono a definire la rilevanza sociale di un’innovazione culturale appaiono, dunque, inscindibili dalla qualità sociale dei territori. La misura in cui le persone partecipano alla vita sociale, economica, culturale della comunità di cui fanno parte e concorrono, in base alle proprie possibilità, a migliorare il benessere individuale e collettivo, emerge come un binomio inscindibile. In ciò si combinano aspetti elementari, in termini di accesso alla cultura nelle sue diverse manifestazioni, e aspetti complessi, mediante la partecipazione alla vita della comunità. Appare evidente, in sintesi, che le diverse componenti attivate dal processo produttivo del patrimonio culturale presentino un solido legame con i contesti territoriali in cui si esprimono. La motivazione alla base dell’evidenza riportata è da rintracciare nella valorizzazione, guidata dalla cultura, del tessuto sociale in termini di coesione della comunità, qualità delle relazioni umane, disponibilità alla cooperazione, senso di identità. Senza sottovalutare, inoltre, lo sviluppo che ne deriva per il sistema della sicurezza (territoriale, ambientale, individuale), e per l’ecosistema imprenditoriale nel quale imprese sociali, imprese for profit e pubbliche amministrazioni rispondono con efficacia ed efficienza all’esigenza di coniugare domanda culturale e benessere comunitario, perché la produzione e il consumo culturale apportano una rivitalizzazione del tessuto sociale in termini di coesione della comunità, qualità delle relazioni umane, e senso di cittadinanza.
La riflessione sulle esternalità legate alla presenza delle imprese sociali nelle realtà marginali, presuppone un distinguo tra realtà periferiche, reali e simboliche. Il termine periferie reali e simboliche si riferisce ad ubicazioni spaziali esterne alla città, situate al di fuori del raggio d’azione del centro città (periferie reali), alla pari di parentesi di agglomerati urbani situati nel centro della città dalla quale, tuttavia, si differenziano per un tessuto socioeconomico meno progredito, costituendosi, di conseguenza, nell’immaginario collettivo come realtà marginali, nonostante si trovino all’interno del perimetro cittadino (periferie simboliche). Il termine periferia, etimologicamente dato dall’unione del prefisso greco perí “intorno” con un derivato di phérein “portare”, significa letteralmente portare attorno, circondare, originariamente riferito alla linea curva che richiudendosi su sé stessa conferisce forma alla circonferenza. La definizione porta ad associare la periferia a caratteristiche di marginalità, che spesso implicano la presenza di forme di emarginazione connesse a particolari condizioni socioeconomiche, quali, ad esempio, fasce di popolazione a basso reddito concentrate in zone nelle quali il costo degli immobili è ridotto; oppure, al contrario, sono caratterizzate da una volontaria esclusione dalla città che riguarda fasce della popolazione ad elevato reddito motivata dalla volontà di stabilirsi in “quartieri roccaforte”, sulla scia delle periferie simboliche. Nel disegno delle periferie, penetrate nell’immaginario collettivo come realtà marginali spesso bisognose di interventi riqualificatori, la presenza di soggetti di diversa natura operanti nel settore culturale e creativo – con attività nell’ambito dell’educazione, della formazione, della tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, ecc. -, risulta particolarmente rilevante in termini di rigenerazione urbana, poiché in grado di influenzare le modalità di produzione e di consumo degli individui di tali territori e di modificare le forme e l’uso degli spazi ivi presenti.
Rigenerare luoghi - e in particolar modo le periferie - tramite la cultura implica, per i decisori politici, l’incentivazione di fenomeni di inclusione sociale e creazione di uno sviluppo diffuso centrato sul dialogo tra capitale umano e sociale dei territori. Non va sottovalutato, infatti, che l’erogazione di servizi culturali porti all’incremento, nella comunità di riferimento, di turismo, occupazione, e sviluppo economico attraverso l’attrazione di flussi nazionali e internazionali e all’attivazione di processi di coopetition in cui le imprese sono chiamate a collaborare tra loro per il raggiungimento di obiettivi comuni. Una attenzione più viva e generalizzata a questa tematica è riscontrabile al livello delle regioni e degli enti locali, più prossimi e più sensibili, per loro natura, ai bisogni della comunità. Riflessione ampliata nel prossimo paragrafo, in cui saranno presentate, tra le altre, le modalità attraverso cui lo Stato interviene in via legislativa alla concretizzazione della dicotomia cultura-periferie nell’ecosistema dell’imprenditorialità sociale.
Le traiettorie evolutive delle imprese culturali e creative che hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica appaiono intrinsecamente legate al ruolo della cultura nel tessuto socioeconomico, inteso quale pilastro di inclusione sociale e benessere comunitario (Taçon & Baker, 2019). In una logica ecosistemica, i cambiamenti di ordine sociale e organizzativo che hanno interessato, mutandola, l’economia culturale e creativa degli ultimi decenni, hanno implicato la creazione di forme e modalità innovative di creazione di valore, e spesso di co-creazione, centrate su asset specifici quali senso di comunità, cittadinanza, identità, e solidarietà. Centri di aggregazione per le comunità, biblioteche che scoprono (o riscoprono) la vocazione a diffondere cultura aggregando i cittadini, spazi multifunzionali in cui diversi attori del tessuto sociale locale propongono momenti di incontro, corsi formativi, presentazione di libri, pieces teatrali, concerti, esperimenti multiculturali, spazi in cui leggere, apprendere, sperimentare forme e modelli didattici innovativi coniugano le molteplici declinazioni del patrimonio culturale con la tutela del benessere della persona permettendone un empowerment. Lo scenario culturale e creativo rappresenta, dunque, una leva significativa sulla quale i processi sociali si esprimono, generando, potenzialmente, cambiamento sociale. Ne consegue una prospettiva singolare dell’imprenditoria sociale, capace di generare risultati significativi nelle comunità di riferimento, tra cui, non da ultimo, la promozione di un welfare – nel senso ampio di benessere individuale e collettivo (Iodice & Bifulco, 2024) - per gli individui e le comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale” (Cicerchia et al., 2020).
Come affermato da Nogales Muriel (2024), le imprese sociali operanti nel perimetro culturale e creativo si connotano per una co-dipendenza di tre obiettivi, spesso in tensione e competizione tra loro, tra cui (i) pratica artistica, (ii) scopo sociale ed (iii) attività economica e, sempre più, ecologica (Nogales Muriel, 2024), contribuendo tra le altre cose al rafforzamento civile e democratico della comunità (Andersen e Green, 2024): attraverso l’azione culturale, infatti, le imprese sociali agiscono per ampliare e consolidare i legami tra individui e tra gruppi di individui, incentivando così il senso di cittadinanza e il dialogo e la conoscenza tra culture diverse.
Oggi si trovano in letteratura pochi studi che analizzino gli aspetti manageriali delle imprese sociali che operano all’interno del settore culturale e creativo (Woronkowicz et al., 2020; Montalto et al., 2019); ancor mano se ci si concentra sui casi in cui emerge il potere trasformativo delle imprese sociali operanti nel settore culturale e creativo nella cornice semantica delineata dal Welfare Culturale, quindi dell’azione culturale che agisce come motore di inclusione rispetto alle periferie reali e simboliche.
La compresenza di logiche marcatamente imprenditoriali e di obiettivi di trasformazione sociale che caratterizza le imprese sociali che operano nel settore dalle arti e dallo spettacolo (Ferreira et al., 2022) impatta in misura significativa sia – con riferimento alle imprese stesse – sui modelli manageriali, sia sull’ambiente nel quale l’impresa opera, come evidenziato anche in un recente studio condotto da Renza et al. (2024), che evidenzia come l’imprenditoria sociale a base culturale e socialmente impegnata, rafforzi i legami umani e ripari le fratture sociali, promuovendo, di conseguenza, un approccio sostenibile e responsabile nella gestione aziendale (Renza et al., 2024). Diviene dunque evidente la necessità di sviluppare modelli manageriali che portino le imprese sociali ad essere in grado di generare prodotti culturali di qualità e sostenibili economicamente, così da creare opportunità di occupazione con condizioni di lavoro dignitose spesso destinate ad individui esclusi dal mercato del lavoro; e, al tempo stesso, ad incoraggiare i cittadini a partecipare alla produzione e gestione delle risorse culturali e sfidare i modelli dominanti di mercato della produzione e del consumo culturale (McQuilten et al., 2020; Nogales Muriel, 2023; Green, 2022; Andersen & Green, 2024).
Un ulteriore ambito che merita attenzione è costituito dalle politiche che mirano a promuovere l’imprenditorialità sociale in ambito culturale. In un clima politico in cui si ripropongono istanze di ridimensionamento della spesa pubblica che spesso tendono a considerare la cultura come un ambito accessorio e quindi sacrificabile – con conseguenti riduzione dei fondi per la promozione delle arti e dello spettacolo – non vi è un’organizzazione ombrello europea e un'infrastruttura sub-settoriale che rappresenti le imprese dell’ambito culturale e creativo (Zimmer e Pahl 2016). Questo, in molti paesi europei, può determinare, tra le altre cose, l’assenza di un modello di impresa sociale adeguato a operare in ambito culturale.
L’esperienza italiana costituisce, in proposito, un esempio di particolare interesse. Sin dagli anni Ottanta del secolo scorso si sono infatti diffuse iniziative imprenditoriali a valenza sociale – le prime “cooperative di solidarietà sociale” (Borzaga et al., 2020) – riconosciute poi, a livello nazionale, con l’approvazione della legge 381/1991. Questi soggetti inizialmente, coerentemente con quanto disposto dalla legge 381/1991, operano nell’ambito del welfare e dell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, ma, dopo alcuni anni, anche recependo la vocazione ad operare per il miglioramento della qualità della vita delle comunità locali attarverso la combinazione di una pluralità di azioni e di interventi, hanno sperimentato azioni che interessano, direttamente o indirettamente, l’ambito culturale, spesso visto come leva per il cambiamento sociale nell’ambito di processi di valorizzazione di contesti territoriali degradati. Di fatto una parte significativa delle esperienze di impresa che si collocano nell’intersezione tra cultura, welfare, rigenerazione, partecipazione, lavoro di comunità sono realizzate da cooperative sociali che interpretano in modo ampio l’oggetto di lavoro della norma che le disciplina.
Al tempo stesso va segnalato che - per la prima volta nel 2005 / 2006 e poi, più efficacemente, nel 2016 / 2017 con la recente riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale – è stata introdotta la qualifica di impresa sociale (attribuita di diritto alle cooperative sociali, ma che può essere riconosciuta anche a soggetti diversi, indipendentemente dalla forma giuridica), prevedendo che le imprese sociali possano operare in vari ambiti di interesse generale, tra cui quello culturale (“organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale”, afferma l’art. 2, comma 1, lettera i) del d.lgs. 112/2017). Questo permette a soggetti diversi – cooperative non sociali, imprese con varie forme giuridiche, associazioni, fondazioni, ecc. – di agire imprenditorialmente con finalità di interesse generale, rendendo l’Italia uno dei paesi, in Europa, con la maggiore consapevolezza politica, sociale ed economica circa il potenziale trasformativo delle imprese sociali (Musella e Borzaga, 2021). Come evidenziato anche nel numero 4/2024 di Impresa Sociale, le imprese sociali in forma diversa dalla cooperativa sociale registrano un significativo aumento – sia in termini di numero di soggetti attivi, sia in termini occupazionali - nell’ultimo quinquennio ed è ragionevole ritenere che una parte di queste esperienze operino anche in ambito culturale.
Tra le città italiane inserite nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO, il bagaglio storico, artistico e culturale della città di Napoli costituisce il punto focale del dibattito politico e culturale degli ultimi anni orientato alla proiezione del territorio quale capitale, tra le capitali, del Mediterraneo. In questo contesto, il recupero e la rivitalizzazione degli spazi urbani figurano nella prospettiva dei decisori politici locali quali asset valoriali di prim’ordine nella valorizzazione della vivibilità, il cui obiettivo risulta intrinsecamente legato alla rifunzionalizzazione delle attività turistiche, culturali, nonché di ricerca applicata. Tra le esperienze più note e di maggior successo vi è quella de La Paranza, Cooperativa sociale che opera entro i confini dello storico quartiere Rione Sanità. Nonostante tale quartiere occupi una posizione centrale nella città di Napoli, l’immaginario collettivo sino a poco tempo fa considerava il Rione Sanità quale territorio degradato, periferico per il suo isolamento dalla città dato dal ponte che lo attraversa, responsabile della sua ghettizzazione e della conseguente compromissione del suo tessuto socioeconomico.
Cenni storici rintracciano nel Rione Sanità, il cui nome si deve alla nota salubrità del luogo, un notevole sviluppo nel corso del XVII secolo, come luogo privilegiato per le dimora di ville borghesi poiché posto a valle della collina di Capodimonte. Il principio del graduale isolamento che ne ha decretato la ghettizzazione risale al 1800, periodo che ha inaugurato la costruzione del ponte che collega il centro storico di Napoli con la collina di Capodimonte per facilitare il percorso della famiglia reale. Come ricorda Porzio (2018): “da allora, il quartiere appare dall’alto come un ammasso disordinato di edifici affossati in un’area limitata, con pochi scambi con il resto della città e relegata ad una marginalizzazione che ne ha favorito il degrado non solo economico, ma soprattutto sociale e culturale con l’abbandono di monumenti ed edifici storici” (Intervista a Vincenzo Porzio, Cooperativa La Paranza di Napoli, un modello di sviluppo del territorio, in Il blog, IT.A.CÁ).
È all’interno del raggio d’azione sopramenzionato che nel 2006 si costituisce la cooperativa sociale La Paranza, affidataria della gestione di un luogo di interesse storico-artistico, la Catacomba di San Gaudioso, e protagonista, a distanza di soli due anni dalla fondazione (2008), del progetto “San Gennaro extra-moenia: una porta dal passato al futuro”, sostenuto dalla Fondazione con il Sud, il cui ambito di intervento principale risiede nell’incentivazione dell’occupazione giovanile e valorizzazione di risorse storico-artistiche ed umane. La Paranza ha in questi anni promosso molteplici attività di valorizzazione del patrimonio artistico e culturale presente nel quartiere del Rione Sanità, contribuendo così in modo decisivo alla riqualificazione del quartiere, che da area degradata è diventato meta ambita dei flussi turistici nazionali ed internazionali; questo ha consentito di creare opportunità di lavoro per i giovani del territorio, offrendo un’alternativa concreta ai richiami della criminalità organizzata. Il portafoglio prodotti della cooperativa affianca l’offerta di visite guidate diurne e notturne all’interno dei siti catacombali (Catacombe di San Gennaro, Catacombe di San Gaudioso), tour guidati nel quartiere Sanità, con lo scopo di rinnovare l’immagine della città; l’organizzazione di meeting, congressi ed eventi culturali, tra cui il ciclo di visite serali accompagnato dall’assaggio delle eccellenze del Rione Sanità; hospitality management presso strutture ricettive ricavate da conventi (Casa del Monacone, Casa Tolentino, nate da progetti di recupero e valorizzazione delle risorse del territorio; è inoltre protagonista di processi di inserimento lavorativo, di scambio e di networking fra persone, enti ed associazioni.
Le esternalità positive legate allo sviluppo socioculturale di un territorio, quale il Rione Sanità, ad elevato disagio sociale, derivante dalla presenza dell’impresa sociale La Paranza e dalla capacità attrattiva di flussi turistici, investimenti, e attenzione politica, hanno innescato lo sviluppo di modelli di business aggiuntivi guidati dalle arti e dalla cultura nel raggio d’azione dello stesso quartiere, favorendo, dunque, la tessitura di imprese satelliti. Si menziona, a titolo esemplificativo, l’esperienza di Iron Angels, cooperativa attiva nel campo dell’artigianato la cui proposizione di valore offre percorsi di crescita individuale alternativi alla detenzione; e del modello didattico rappresentato da Sanitansamble nell’educazione musicale per fasce giovanili-adolescenziali. Esternalità che, in un arco cronologico inferiore ad un decennio (2014), hanno catalizzato lo sviluppo e il consolidamento di un ventaglio di enti del Terzo Settore, con diverse vesti giuridiche, nell’organizzazione ombrello Fondazione di Comunità San Gennaro Onlus (In breve, Fondazione San Gennaro). A descrivere il fenomeno di coopetition in atto nel Rione Sanità figura, tra gli altri, Nocchetti (2018) secondo il quale “al rione Sanità oltre trenta enti no profit lavorano per far conoscere al mondo la bellezza del quartiere e per far crescere una generazione che sappia costruire una vita migliore”.
Tra i maggiori casi di successo, in Italia, nell’ambito dell’imprenditorialità sociale a base culturale, La Paranza rappresenta una esperienza di successo del potere trasformativo esercitato dalle imprese sociali in territori in particolar modo bisognosi di interventi riqualificanti, attraverso processi di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, di occupazione giovanile connotato da inserimento lavorativo, e capacità di creare rete con enti, associazioni, persone, in un clima di welfare comunitario trainato da valori sociali e culturali (Consiglio et al., 2021).
Il presente studio ha fornito una disamina della letteratura relativa al ruolo, e al potere trasformativo, delle imprese sociali nel settore culturale e creativo, con particolare riferimento alle azioni che impattano sulle periferie sia reali che simboliche.
Il contesto di riferimento è spesso quello di realtà marginali in cui l’asset culturale, veicolo di educazione alla cittadinanza e all’interculturalità, concorre ad offrire solide e durevoli condizioni di sviluppo; questo si associa alla presenza di modelli manageriali che combinano capacità imprenditoriali e visione di cambiamento sociale grazie ad iniziative all’interno del settore culturale e creativo. Nel dettaglio, i processi di creazione di valore operati dall’imprenditorialità sociale in territori marginali, spesso particolarmente bisognosi di interventi riqualificanti, declinano le imprese sociali quali strumenti in grado di promuovere il benessere individuale e collettivo, e rappresentare una concreta leva di rigenerazione e riqualificazione di aree ad emergenza sociale, poiché allineate, per mission ed obiettivi aziendali, all’esigenza di arginare fenomeni di abbandono e di degrado ostili allo sviluppo del territorio, e fornire strumenti di emancipazione sociale e culturale, capaci di migliorare la qualità sociale dei territori e promuovere i presupposti basilari per la creazione di un welfare comunitario. Sarà inoltre interessante verificare in che misure le imprese sociali operanti nel settore delle arti e dello spettacolo possano maturare nei prossimi anni una apertura alla vocazione internazionale, che, attraverso il dialogo interculturale e le collaborazioni transnazionali, possa favorire lo sviluppo di nuove reti culturali, amplificandone la portata.
DOI 10.7425/IS.2025.01.04
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