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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-1-2023-l-inserimento-lavorativo-in-una-prospettiva-europea

Numero 1 / 2023

Saggi

L’inserimento lavorativo in una prospettiva europea

Giulia Galera, Giulia Tallarini

Il presente articolo è frutto dell’attività di ricerca svolta dalle autrici per Euricse nell’ambito del progetto Europeo B-WISE.

Introduzione

Questo saggio prende le mosse dal progetto B-WISE co-finanziato dal programma Erasmus+, che coinvolge 30 partner provenienti da 13 Paesi europei e mira a sviluppare una strategia europea per rispondere ai bisogni di competenze, in particolare digitali, nel settore delle imprese sociali di inserimento lavorativo (Work Integration Social Enterprises, WISEs)[1].

Le autrici presentano, in maniera sintetica ma allo stesso tempo per quanto possibile esaustiva, i principali risultati emersi dalla ricerca realizzata che, oltre a focalizzarsi sulle competenze delle WISE, ha permesso di individuare anche le determinanti, le caratteristiche e le tendenze di sviluppo delle imprese sociali di inserimento lavorativo nei 27 Paesi membri dell’Unione europea.

La ricerca si basa su due fonti principali: (i) l’analisi della letteratura sul tema delle imprese sociali di inserimento lavorativo, sia a livello internazionale che negli specifici contesti nazionali e (ii) 27 Country Fiche, ossia approfondimenti nazionali realizzati da esperti nazionali che hanno permesso di mappare, per ciascun Paese, le tipologie di imprese sociali impegnate nell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, le politiche volte ad aumentarne le opportunità occupazionali e le politiche di supporto per le imprese sociali di inserimento lavorativo. Per la realizzazione delle Country Fiche, gli esperti nazionali hanno analizzato i dati statistici nazionali esistenti, i rapporti ufficiali e la letteratura grigia sulle politiche del mercato del lavoro e, più in generale, sui percorsi di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, con l'obiettivo di comprendere il contesto in cui le diverse iniziative di inclusione lavorativa si sono sviluppate e consolidate in ciascun Paese.

Dopo una breve disamina dei limiti del mercato del lavoro e dell’impatto delle politiche del lavoro, l’articolo fotografa l’arcipelago delle imprese sociali di inserimento lavorativo in 27 Paesi, soffermandosi in particolare sui seguenti aspetti: la genesi delle WISE, le principali forme giuridiche adottate, i settori di attività, le risorse, i modelli di integrazione e, infine, la diffusione delle diverse tipologie di WISE in 6 Paesi europei, selezionati in virtù dei dati disponibili sul numero di imprese sociali di inserimento lavorativo e occupati.

Persone svantaggiate e inclusione nel mercato del lavoro

A differenza di quanto sostenuto dalle teorie economiche classiche, il mercato del lavoro è lontano dall'essere perfetto. La conseguenza più evidente dello squilibrio tra domanda e offerta di lavoro è l’esclusione di persone che, pur essendo disposte e in grado di lavorare, non trovano occupazione.

Tale difficoltà, non solo a trovare, ma anche a mantenere un posto di lavoro, non colpisce tutte le persone allo stesso modo. Accanto a lavoratori altamente qualificati e formati che normalmente hanno buone prospettive di carriera, vi sono infatti lavoratori e lavoratrici che, presentando caratteristiche che lasciano presupporre una più bassa produttività, sono maggiormente a rischio di esclusione dal mercato del lavoro e sono per questo considerati “svantaggiati” (Borzaga, 2012).

La disabilità – sia essa fisica, sensoriale, intellettiva, di apprendimento o legata a problemi psicosociali e a malattie mentali – è senza dubbio la forma di svantaggio maggiormente riconosciuta. Vi sono però anche altre caratteristiche, come la mancanza di competenze e i bassi livelli d’istruzione, che condizionano e in alcuni casi compromettono la capacità di trovare un’occupazione. E oltre alle caratteristiche personali – fisiche, sociali, anagrafiche o etniche – vanno considerati anche alcuni aspetti di contesto, come la globalizzazione e la trasformazione del lavoro, che incidono in modo significativo sull'occupabilità dei lavoratori, contribuendo ad ampliare il novero delle persone che si trova in una condizione di svantaggio (Spear, Bidet, 2005). Ebbene, invece di essere considerate in termini assoluti, queste caratteristiche andrebbero calate nei diversi contesti organizzativi. Infatti, esse non riducono necessariamente la produttività dei lavoratori in maniera permanente: talvolta sono temporanee e altre volte, pur essendo permanenti, sono superabili grazie a percorsi individualizzati, a una formazione specifica o all'adattamento del luogo e/o delle condizioni di lavoro in base alle esigenze del lavoratore o della lavoratrice (Galera, 2010; Borzaga, 2012).

Negli ultimi decenni, la diversificazione e l’aumento dei bisogni nella società hanno portato ad un progressivo ampliamento delle categorie di persone che faticano ad entrare nel mondo del lavoro, tra cui – tra le tante categorie vulnerabili – i NEET e le persone migranti. Allo stesso tempo, complice l’affermarsi di una concezione del lavoro come diritto inalienabile, si è giustamente assistito a una evoluzione del concetto stesso di persona svantaggiata anche a livello comunitario. Da una prima definizione – più restrittiva – di lavoratore svantaggiato, introdotta nel 2002 con il Regolamento n. 2204, si è ora giunti, con il Regolamento n. 651 del 2014, a una definizione tripartita di lavoratore con disabilità, lavoratore svantaggiato e lavoratore gravemente svantaggiato (Box 1). Tale definizione si riferisce non soltanto a quelle persone che, per via di una riduzione della propria capacità lavorativa, non trovano occupazione ma, più in generale, a tutti coloro i quali hanno, da un punto di vista statistico, maggiori difficoltà nel mondo del lavoro, come i giovani tra i 15 e i 24 anni e gli over 50 o chi appartiene a minoranze etniche.

Si intende per lavoratore con disabilità:

  1. chiunque sia riconosciuto come lavoratore con disabilità a norma dell'ordinamento nazionale; o
  2. chiunque presenti durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in combinazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione all'ambiente di lavoro su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.

Si intende per lavoratore svantaggiato chiunque soddisfi una delle seguenti condizioni:

  1. non avere un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  2. avere un'età compresa tra i 15 e i 24 anni;
  3. non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3) o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non avere ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;
  4. aver superato i 50 anni di età;
  5. essere un adulto che vive solo con una o più persone a carico;
  6. essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;
  7. appartenere a una minoranza etnica di uno Stato membro e avere la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.

Infine, si intende per lavoratore molto svantaggiato chiunque rientri in una delle seguenti categorie:

  1. lavoratore privo da almeno 24 mesi di impiego regolarmente retribuito; o
  2. lavoratore privo da almeno 12 mesi di impiego regolarmente retribuito che appartiene a una delle categorie di cui alle lettere da b) a g) della definizione di “lavoratore svantaggiato”.

Box 1. Definizione europea di lavoratore con disabilità, lavoratore svantaggiato e molto svantaggiato.

Nonostante l’ampliamento delle persone formalmente certificate come svantaggiate, continuano ad esistere alcune categorie la cui condizione di vulnerabilità stenta ad essere riconosciuta. Tra queste, in alcuni Paesi, vi è ad esempio chi è senza fissa dimora o chi ha un vissuto migratorio alle spalle.

L’impatto delle politiche del lavoro

Considerate le difficoltà che ostacolano la piena integrazione delle persone svantaggiate nel mercato del lavoro, i moderni sistemi di welfare hanno sviluppato specifiche politiche del lavoro volte a contenere i problemi occupazionali. Sebbene strutturate in maniera diversa da Paese a Paese, esse sono accomunate da un obiettivo di fondo: favorire una più efficace allocazione della forza lavoro che consenta a tutti i lavoratori e alle lavoratrici di trovare un posto di lavoro coerente con le rispettive capacità e, allo stesso tempo, favorisca l’acquisizione delle competenze necessarie a incrementarne la competitività (Galera, 2010).

Storicamente, le politiche del lavoro delineate nell’immediato secondo dopoguerra hanno visto come principali destinatari i lavoratori con disabilità, il cui numero era fortemente aumentato a causa del conflitto bellico (O’Reilly, 2003; Galera, 2010). Tuttavia, con il passare del tempo le politiche del lavoro hanno progressivamente coinvolto anche altre categorie di persone vulnerabili e hanno man mano acquisito rilevanza nella programmazione pubblica.

Si possono individuare quattro tipologie di politiche:

  1. le politiche regolamentative, volte ad aumentare le possibilità di occupazione dei lavoratori svantaggiati per mezzo di obblighi d’assunzione imposti ai datori di lavoro di imprese convenzionali e, talvolta, alle stesse pubbliche amministrazioni;
  2. le politiche compensative, così chiamate perché si pongono come obiettivo quello di “compensare” il datore di lavoro della minore produttività dei lavoratori svantaggiati, ad esempio riducendo i costi della loro formazione o dell’adeguamento delle postazioni di lavoro ad essi destinati o introducendo incentivi economici per la loro assunzione;
  3. le politiche sostitutive, attraverso le quali lo Stato promuove l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate direttamente nel mercato del lavoro pubblico, creando opportunità lavorative in istituzioni pubbliche, come i laboratori protetti, o in imprese create ad hoc;
  4. le politiche di inserimento assistito (supported employment), volte a garantire ai lavoratori svantaggiati un supporto costante da parte di personale formato prima e durante il loro inserimento al lavoro, con l’obiettivo di individuare le attività che più si adattano alle loro capacità e di sostenere lo sviluppo di nuove competenze.

Nello specifico, le politiche regolamentative sono in vigore in quasi tutti i Paesi europei[2] e hanno come principali beneficiari le persone con disabilità, eccezion fatta per Grecia, Lussemburgo e Paesi Bassi, in cui il sistema delle quote si rivolge ad un più ampio spettro di persone svantaggiate. Come mostra la Tabella 1, nella maggior parte dei Paesi i datori di lavoro interessati sono enti pubblici e privati che superano una determinata soglia di occupati (da 15 in Italia fino a 75 dipendenti in Portogallo e 50 in Bulgaria, Grecia, Romania e Spagna), oltre la quale sono soggetti agli obblighi d’assunzione di persone svantaggiate.

Sebbene per molti Paesi non si disponga di dati, il tasso di evasione degli obblighi sembra essere piuttosto alto (Fuchs, 2014; ILO, 2019). In caso di mancato rispetto degli obblighi di assunzione stabiliti per legge, quasi tutti i sistemi esistenti prevedono sanzioni per i datori di lavoro inadempienti i cui importi – pur variando da Paese a Paese – sono spesso legati al salario minimo legale. Solitamente, le sanzioni a cui sono soggetti i datori di lavoro inadempienti vanno ad alimentare fondi speciali, volti a finanziare specifiche misure per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, come il Fondo per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità in Italia, il Fondo statale per la riabilitazione delle persone con disabilità (Państwowy Fundusz Rehabilitacji Osób Niepełnosprawnych) in Polonia e il Fondo d’imposta compensativo (Ausgleichstaxfond) in Austria.

Inoltre, alcuni sistemi di quote – come quelli di Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Italia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna – prevedono la possibilità di soddisfare, anche se spesso solo parzialmente, i requisiti delle quote attraverso misure alternative, consistenti principalmente nell'acquisto di beni e/o servizi prodotti da laboratori protetti, imprese sociali di inserimento lavorativo o lavoratori autonomi con disabilità.

Sebbene la scarsità di studi empirici sull’impatto del sistema delle quote sui livelli di occupazione dei lavoratori svantaggiati impedisca di valutarne l’efficacia in maniera sistematica, le analisi condotte dal Centro europeo per la Politica di Previdenza Sociale e la Ricerca sottolineano i bassi incrementi occupazionali generati (Fuchs, 2014). Ciò sembra essere dovuto alla logica sottesa a questo sistema, la quale presuppone che i lavoratori svantaggiati non siano competitivi. Va poi considerato che, nell’ottica della promozione della persona e delle sue potenzialità, i dati di esperienza evidenzino come non sia infrequente che il lavoratore svantaggiato assunto in forza ad un obbligo sia considerato – al pari di una tassa – alla stregua di un mero costo cui l’impresa deve sottoporsi e sia destinato a mansioni improduttive e di fatto estraniate dal contesto organizzativo: l’impresa considera un suo inserimento attivo nel ciclo produttivo come un ulteriore onere cui sceglie di non sottoporsi.

Paese

Datori di lavoro soggetti all’obbligo

Quota

Austria

Pubblici e privati con più di 25 dipendenti

1 ogni 25 dipendenti

Belgio

Pubblici federali

3% dello staff (1)

Vallonia

Pubblici

2,5% dello staff(2)

Fiandre

-

-

Bulgaria

Privati con più di 50 dipendenti

1 per gli enti tra i 50 e i 99 dipendenti;

2% dello staff se più di 100 dipendenti

Pubblici con più di 26 dipendenti

1 per gli enti tra i 26 e i 50 dipendenti;

2% dello staff se più di 50 dipendenti

Croazia

Privati con più di 20 dipendenti

2-6% dello staff(3)

Cipro

Pubblici e istituti di istruzione secondaria

10% dello staff

Francia

Privati con più di 20 dipendenti

6% dello staff

Germania

Pubblici e privati con più di 20 dipendenti

5% dello staff

Grecia

Pubblici e privati con più di 50 dipendenti

8% dello staff

Irlanda

Pubblici

3% dello staff

Italia

Pubblici e privati con più di 15 dipendenti

1 per gli enti tra i 15 e i 35 dipendenti; 2 se tra i 26 e i 50 dipendenti; 7% dello staff se più di 50 dipendenti

Lussemburgo

Pubblici

5% dello staff

Privati con più di 25 dipendenti

1 per gli enti tra i 25 e i 49 dipendenti; 2% dello staff se tra i 50 e i 299 dipendenti; 4% dello staff se più di 300 dipendenti

Malta

Pubblici e privati con più di 20 dipendenti

2% dello staff

Paesi Bassi

Pubblici e privati con più di 25 dipendenti

2.35% dello staff

Polonia

Pubblici e privati con più di 25 dipendenti

6% dello staff(4)

Portogallo

Privati con più di 75 dipendenti

1% dello staff per gli enti tra i 75 e i 250 dipendenti; 2% dello staff se più di 250 dipendenti

Pubblici

5% dello staff

Rep. Ceca

Pubblici e privati con più di 25 dipendenti

4% dello staff

Romania

Pubblici e privati con più di 50 dipendenti

4% dello staff

Slovacchia

Privati con più di 20 dipendenti

3,2% dello staff

Slovenia

Pubblici e privati con più di 20 dipendenti

2-6% dello staff(5)

Spagna

Pubblici con più di 50 dipendenti

5% dello staff

Privati con più di 50 dipendenti

2% dello staff

Ungheria

Pubblici e privati con più di 25 dipendenti

5% dello staff

Tabella 1. Sistema di quote nei Paesi europei. (1) Della Capacità Lavorativa Equivalente a tempo pieno (anche detta Unità di Lavoro, ULA); (2) Della Capacità Lavorativa Equivalente a tempo pieno; (3) In base al settore d’attività dell’ente e al numero di dipendenti; (4) La quota può essere ridotta in caso di grave disabilità; (5) In base al settore d’attività dell’ente e al numero di dipendenti.

Le politiche compensative sono disciplinate da leggi specifiche e da regolamenti a livello nazionale. Le forme più comuni sono:

  1. gli incentivi per l'assunzione, come, ad esempio, i sussidi salariali e le esenzioni dal pagamento dei contributi previdenziali;
  2. i finanziamenti per la formazione e l'orientamento professionale prima dell'assunzione;
  3. i finanziamenti per l'adeguamento delle postazioni di lavoro;
  4. i finanziamenti per tirocini e altre esperienze formative retribuite;
  5. altre misure, come gli incentivi a supporto del lavoro autonomo.

Rispetto alle politiche regolamentative, le politiche compensative si rivolgono a un più ampio spettro di lavoratori svantaggiati. A seconda del Paese, i beneficiari possono includere – oltre ai lavoratori con disabilità – altre categorie di persone svantaggiate, come donne disoccupate, ex detenuti e disoccupati di lunga durata.

Il principale limite di queste misure risiede nella difficoltà di calcolo del compenso destinato al datore di lavoro. Inoltre, sono stati osservati due effetti collaterali: l’esclusione delle persone svantaggiate più gravi e l’effetto stigmatizzazione che impedisce il pieno empowerment dei beneficiari (Galera, 2010).

Anche l’efficacia delle politiche sostitutive è stata fortemente criticata da studiosi e operatori del settore. Nella maggior parte dei Paesi, la creazione di un “mercato del lavoro sostitutivo” (Schimd, Semlinger, 1984; Seyfried, Lambert, 1989; Borzaga, 2012) si sostanzia nei cosiddetti “laboratori protetti”, ossia – come definiti dall’articolo 2 del Regolamento europeo 651/2014 – organizzazioni in cui almeno il 30% dei lavoratori è rappresentato da lavoratori con disabilità. L’obiettivo dei laboratori protetti è quello di adattare l'ambiente di lavoro alle capacità fisiche, mentali o alle disabilità sensoriali dei lavoratori svantaggiati, prevalentemente con disabilità (Defourny et al., 2004). La loro diffusione nei Paesi europei è molto diversificata: accanto a Paesi europei come il Belgio, la Germania e i Paesi Bassi in cui i laboratori protetti hanno una lunga tradizione, vi sono Paesi in cui il loro ruolo è marginale, come l’Italia, la Bulgaria, la Grecia.

Va comunque riconosciuto che, escludendo alcuni Paesi dove i laboratori protetti si sono sviluppati in senso imprenditoriale (Belgio, Croazia, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna), nella maggior parte dei casi essi non sono in grado di garantire la piena integrazione lavorativa, dal momento che non riconoscono una regolare remunerazione alle persone svantaggiate inserite. Un ulteriore limite, come dimostrato da diversi studi, è la scarsa sostenibilità dei laboratori protetti da un punto di vista economico e la forte dipendenza dall’ente pubblico (Policy Impact Lab, 2019). Inoltre, l'elevata percentuale di persone con disabilità occupate sul totale della forza lavoro può portare alla segregazione anche di quei lavoratori che sarebbero potenzialmente in grado di lavorare nel mercato del lavoro tradizionale (May-Simera, 2018). Non a caso, i laboratori protetti sono stati recentemente criticati anche dalla Commissione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite che ha sottolineato la necessità di promuovere opportunità occupazionali in un mercato del lavoro aperto e inclusivo (Nazioni Unite, 2022).

L’inefficacia delle politiche tradizionali del lavoro nel contrastare la disoccupazione ha portato, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, allo sviluppo di politiche attive volte ad incidere direttamente sulla struttura complessiva del mercato del lavoro, intervenendo altresì sulle possibili cause della disoccupazione (Borzaga, Loss, 2006). In alcuni Paesi il passaggio dalle politiche passive del lavoro a quelle attive è stato facilitato da cambiamenti culturali, come la deistituzionalizzazione dell'assistenza delle persone affette da disturbi psichiatrici (Spear, Bidet, 2005). Si sono, di fatto, fatte strada nuove misure, pensate per scoraggiare la dipendenza dal sistema di welfare di cui l’inserimento assistito, che guarda ai beneficiari come "lavoratori" e non come "pazienti", è un esempio. In sintesi, l’inserimento assistito si traduce in un mix di misure, finalizzate ad inserire le persone svantaggiate tempestivamente nel mercato competitivo grazie alla copertura dei costi di selezione e formazione sostenuti dalle imprese. Tra quelle più comuni vi sono i tirocini individuali, gli accompagnamenti attraverso job coaches e le formazioni sul luogo di lavoro.

Le misure di inserimento assistito sono regolamentate ed applicate in maniera diversa nei vari contesti nazionali. Va sottolineato che la sua applicazione tende ad essere piuttosto costosa e complessa. Di conseguenza è utilizzato principalmente dai servizi pubblici per l'impiego, come ad esempio il servizio pubblico per l'impiego austriaco (Arbeitmarktservice) o da enti di terzo settore, come l’associazione per l’inserimento assistito SUEM in Belgio. In altri Paesi, come l’Italia e la Spagna, queste misure non sono particolarmente sviluppate e sono di competenza delle singole regioni. Al contrario, in Croazia, Grecia e Romania non esistono leggi che regolamentino l’inserimento assistito.

La mappatura delle WISE in Europa

La nascita delle imprese sociali di inserimento lavorativo

Come sottolineato, agli evidenti fallimenti del mercato del lavoro si sono susseguite numerose carenze delle politiche pubbliche, tra cui in primis la difficoltà della maggior parte dei programmi pubblici di mettere in connessione i percorsi formativi a favore delle categorie di lavoratori vulnerabili con il mercato del lavoro (Spear, Bidet, 2005). Accanto alle politiche sopra elencate, si sono progressivamente diffuse iniziative alternative (Aiken, 2007; Borzaga, 2012; Petrella, Richez-Battesti, 2016), talvolta dal basso e in altri casi attraverso un processo evolutivo che ha interessato organizzazioni esistenti. Tra le esperienze di maggior successo vi sono le imprese sociali di inserimento lavorativo: le Work Integration Social Enterprises (WISEs), che sono emerse in Europa a partire dalla fine degli anni ‘70. Esse hanno preso forma in presenza di alcune condizioni di contesto favorevoli, tra cui l’esistenza di una massa critica di persone e una spiccata capacità organizzativa di lavorare in rete e fare lobby (Marwell, Oliver, 1993; Oliver, Marwell, 1988; Grillo, 2015) e si sono consolidate laddove sono state propriamente riconosciute dalle politiche pubbliche attraverso idonee misure di supporto (Commissione europea, 2020a). Da fenomeno di nicchia, le WISE sono progressivamente diventate una efficace strategia di sostegno all’occupazione, riconosciuta anche a livello europeo (Commissione europea, 2022a).

Tecnicamente, una impresa sociale di inserimento lavorativo può essere descritta come un meccanismo istituzionalizzato di lavoro assistito volto a sostenere – attraverso percorsi formativi on-the-job – le persone che sono maggiormente discriminate dalle imprese tradizionali (Borzaga, Loss, 2006). La peculiarità delle WISE è la loro essenza di imprese a doppio output. Oltre ad essere – come qualsiasi altra impresa – impegnate nella vendita di beni e servizi sul mercato, esse si sono specializzate nella produzione di servizi di integrazione lavorativa e sociale per persone altrimenti escluse o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Questo secondo output contribuisce a generare un impatto positivo non solo a livello individuale – che si sostanzia in un miglioramento significativo dell’inclusione lavorativa, delle competenze e delle reti di sostegno della persona integrata – ma anche a livello comunitario, grazie al rafforzamento della coesione sociale e a un apporto allo sviluppo locale sempre più attento alla sostenibilità ambientale (UNDP - EMES, 2008; Hiu-Kwan Chui et al., 2018). Le analisi condotte nei diversi Paesi evidenziano come l’impatto generato sia tanto più forte e sistematico quanto più i costi sostenuti dalle WISE per inserire al lavoro persone vulnerabili sono coperti da politiche adeguate che riconoscono il costo dell’integrazione lavorativa. Condizione, come si vedrà, purtroppo assente nella maggior parte dei Paesi mappati.

La ricerca mette inoltre in luce come alcune WISE abbiano saputo sperimentare un approccio olistico attento non solo alla dimensione lavorativa, ma anche all’integrazione delle persone inserite nel tessuto sociale grazie ad un ampio raggio di servizi di supporto che aiutano i beneficiari ad affrancarsi da una situazione di marginalità ed esclusione dalla vita pubblica.

Le finalità e le caratteristiche precipue delle WISE hanno contribuito a forgiare una cultura organizzativa che si discosta profondamente da quella delle imprese tradizionali. Nelle WISE il criterio utilizzato per scegliere i settori economici di attività non è la capacità di generare utili, ma la funzionalità rispetto alle competenze, capacità e talenti dei beneficiari che si intendono inserire. E anche i processi lavorativi sono organizzati in funzione delle competenze delle persone svantaggiate che, grazie al bagaglio di conoscenze e know-how accumulati dalle WISE, consentono di assegnare ai lavoratori svantaggiati le mansioni lavorative maggiormente in linea con le proprie capacità, esperienze lavorative pregresse, aspettative e bisogni. Il vantaggio competitivo delle WISE si sostanzia inoltre nella capacità di combinare elementi lavorativi ed elementi formativi all’interno di un contesto produttivo, che è strutturato per migliorare il benessere dei lavoratori, aumentare le possibilità di trovare una occupazione stabile e sufficientemente redditizia e acquisire (o riacquisire) il più elevato livello di autonomia possibile (Spear, Bidet, 2005; Galera, 2010; Hiu-Kwan Chui et al-, 2018). Come ben sottolineato dalla ricerca realizzata, le WISE sviluppano percorsi di inclusione individualizzati grazie al coinvolgimento di personale specializzato, che è attrezzato per seguire i beneficiari, formarli, valorizzarne le competenze inespresse e rafforzarne l’autonomia. A seconda dei Paesi, il personale impiegato nel monitoraggio dei percorsi di inclusione lavorativa delle persone fragili coinvolge figure professionali con profili lievemente diversi, tra cui job coaches, mentori, tutor, psicologi, ergoterapisti e formatori.

I diversi percorsi evolutivi

Diversamente dall’Italia, negli altri Paesi europei le WISE sono tra le molteplici tipologie di imprese sociali che hanno preso forma negli ultimi 30 anni, in risposta ad un sempre più ampio spettro di bisogni scoperti, senza ombra di dubbio quelle più diffuse e riconosciute da un punto di vista normativo (Commissione europea, 2020a). Sotto il profilo empirico, quello delle WISE è un fenomeno strutturale, diffuso in tutti i Paesi membri, indipendentemente dalla tipologia del sistema di welfare, dalla presenza o meno di un Terzo settore strutturato, di una tradizione di tipo cooperativo e dall’esistenza di una normativa ad hoc.

Due sono le principali linee evolutive che l’analisi realizzata in seno al progetto B-WISE ha messo in luce. Da un lato, la genesi “dal basso” che vede protagonista in primis il nostro Paese, dove le imprese sociali di inserimento lavorativo (nella grandissima maggioranza dei casi, cooperative sociali di tipo B) sono nate per lo più grazie all’iniziativa di volontari, lavoratori e familiari di persone svantaggiate, che hanno sperimentato nuovi percorsi di inclusione innovativi, basati sull’ascolto individuale, la responsabilità e la condivisione comunitaria; dall’altro la trasformazione dei laboratori protetti – tradizionalmente sviluppatisi alla stregua di mercati del lavoro sostitutivi per lo più in Austria, Estonia, Germania, Ungheria e Svezia – in imprese a pieno titolo. In entrambi i casi, le nuove iniziative hanno permesso di colmare il vuoto lasciato da politiche pubbliche carenti, inefficaci o inesistenti.

A prescindere dalle profonde differenze esistenti tra Paesi, un elemento che accomuna le iniziative di impresa sociale di inserimento lavorativo emerse dal basso negli ultimi 30 anni in Europa è la presa in carico da parte dei promotori di responsabilità che fino a quel momento erano state ignorate o ritenute una prerogativa delle politiche pubbliche. La nascita dal basso delle WISE è il percorso evolutivo che ha contraddistinto tipicamente l’Italia, la Grecia, la Spagna e la Francia, sebbene con alcune differenze. Mentre in Italia tra i promotori delle nuove iniziative, sfociate in interventi sperimentali innovativi, vi furono molti protagonisti di lotte studentesche e operaie, obiettori civili, gruppi di volontari, familiari di persone disabili e tossicodipendenti, in Spagna promotori delle WISE sono stati sovente le stesse persone svantaggiate, auto-organizzatesi in collaborazione con le proprie organizzazioni di rappresentanza, come ad esempio la fondazione ONCE. In Francia hanno svolto invece un ruolo importante gli operatori sociali, impegnati nell’accompagnare alcune categorie vulnerabili, come i giovani dei quartieri maggiormente degradati, in un inedito percorso di sviluppo imprenditoriale collettivo (Petrella, Battesti, 2016).

La trasformazione dei laboratori protetti è un fenomeno più recente che ha comportato un cambiamento sostanziale in termini di obiettivi, struttura organizzativa, processi operativi e anche tipologia dei beni e servizi offerti. In pratica, dall’essere prevalentemente spazi di socializzazione, pensati per assistere le persone con disabilità, i laboratori che hanno intrapreso questo percorso evolutivo si sono progressivamente trasformati in vere e proprie imprese, che garantiscono una regolare occupazione principalmente alle persone con disabilità e in alcuni casi anche ad altre categorie di persone svantaggiate. Per poter raggiungere la necessaria sostenibilità economica, le organizzazioni interessate hanno progressivamente sostituito la produzione di articoli da regalo e oggetti a basso valore aggiunto con prodotti e servizi di elevata qualità e hanno migliorato in maniera significativa il funzionamento dei propri processi organizzativi. Tra i Paesi interessati vi sono i Paesi Bassi, la Germania – dove i laboratori protetti sono comunemente denominati imprese inclusive – la Spagna con i così detti Centri speciali per l’impiego, la Croazia con i laboratori integrativi e la Slovacchia con i laboratori protetti e i posti di lavoro protetti. In tutti questi casi si è assistito a un processo trasformativo in cui organizzazioni tradizionalmente sostenute esclusivamente da politiche pubbliche attraverso sussidi e contributi, hanno iniziato ad operare sul mercato, cambiando radicalmente le proprie fonti di finanziamento.

La tabella seguente classifica i Paesi analizzati in tre categorie: i Paesi che sono contraddistinti da una lunga tradizione dei laboratori protetti; i Paesi con una debole tradizione di laboratori protetti e i Paesi in cui i laboratori protetti si sono trasformati in imprese sociali a pieno titolo. 

 

Paesi

Lunga tradizione

Austria, Estonia, Germania, Svezia, Ungheria

Debole tradizione

Bulgaria, Cipro, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Portogallo, Rep. Ceca

Trasformati in WISE

Belgio, Croazia, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna

Tabella 2. I laboratori protetti.

Le forme giuridiche

Con riferimento alle forme giuridiche mappate nel corso della ricerca B-WISE emerge un’estrema varietà tra Paesi, che va dall’utilizzo di organizzazioni non-profit tradizionali, come le associazioni e le fondazioni, nate per perseguire fini di natura ideale diversi dall’inserimento lavorativo, fino al ricorso a forme giuridiche e statuti introdotti precipuamente per favorire lo sviluppo delle WISE (Spear, Bidet, 2005). A partire dagli anni ’90 del secolo scorso la diffusione dell’impresa sociale di inserimento lavorativo è stata infatti accompagnata dall’approvazione di una serie crescente di provvedimenti normativi che ne hanno favorito l’istituzionalizzazione, sebbene con esiti – come si vedrà – alquanto diversi. La necessità di introdurre una normativa ad hoc varia notevolmente da Paese a Paese, in quanto dipende da alcune caratteristiche distintive del sistema normativo, in primis se e in che misura le forme giuridiche esistenti, come le associazioni, le cooperative e le fondazioni, sono titolate a svolgere attività produttive per integrare al lavoro persone svantaggiate.

Ancora oggi, in numerosi Paesi europei le WISE utilizzano forme giuridiche tradizionali, che non sono state disegnate per regolamentare né le WISE, né le imprese sociali. In questo gruppo rientrano ad esempio l’Austria, l’Estonia, l’Irlanda, i Paesi Bassi e la Svezia, ma con delle differenze. Se le società di capitali sono tipicamente utilizzate dalle imprese sociali di inserimento lavorativo in Irlanda e in Svezia, in Austria e in Estonia sono le associazioni a fare la parte del leone. A rafforzare l’identità delle WISE in questi Paesi contribuiscono sovente altre strategie di riconoscimento identitario. In Svezia gioca un ruolo importante il registro per le WISE adottato dall’Agenzia Svedese dello Sviluppo Economico e la Crescita (Commissione europea, 2019a), mentre in Austria la riconoscibilità delle WISE è garantita da alcune misure pubbliche di sostegno: le così dette “imprese socio-economiche” (SÖB). Un’altra prassi che contribuisce a rafforzare la visibilità delle WISE è l’adozione di marchi privati, diffusi sia in Austria (Guetesiegel fuer Soziale Unternehmen), sia nei Paesi Bassi (Social Enterprise Mark) (Commissione europea, 2018; 2019b).

Vi sono poi Paesi come la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Lettonia dove, a dispetto dell’introduzione di forme giuridiche ad hoc per le WISE, le nuove imprese di inserimento lavorativo persistono nell’utilizzare forme giuridiche tradizionali preesistenti. Questo accade in particolar modo laddove le nuove forme giuridiche o gli statuti introdotti per le WISE presentano alcuni limiti; tra questi, l’esistenza di rigidi vincoli normativi, la mancanza di incentivi oppure la prevalenza di pregiudizi di natura culturale. È questo il caso della Lettonia dove il debole impatto della Legge sulle imprese sociali del 2018 – ad oggi vi sono solo 33 WISE ex lege che integrano al lavoro 89 persone svantaggiate – è riconducibile al fatto che la qualifica giuridica di impresa sociale è acquisibile solo dalle imprese a responsabilità limitata e non dalle associazioni e fondazioni che a tutt’oggi rappresentano una componente importante delle WISE de facto (Zeiļa, Švarce, 2021).

In Repubblica Ceca, in base all’Atto 90/2012 sulle Imprese Commerciali, la cooperativa sociale è una “cooperativa che persegue attività benefiche precipuamente finalizzate a promuovere la coesione sociale attraverso il lavoro e l’integrazione sociale di persone svantaggiate nella società, dando priorità alla soddisfazione di bisogni locali e all’utilizzo di risorse locali”. Nonostante la sua ampia portata, la legge ceca è sottoutilizzata. In base ai dati disponibili, nel 2021 vi erano solo 40 cooperative sociali (Kročil et al., 2021). Tra le ragioni che spiegano il debole sviluppo delle cooperative sociali in questo paese vi sono alcuni pregiudizi di natura culturale che portano a considerare le cooperative alla stregua di relitti del regime comunista, lo scarso sostegno fornito dal movimento cooperativo e la mancanza di benefici fiscali (OECD, 2016). Anche nei Paesi in cui i nuovi istituti giuridici hanno avuto un debole impatto si registra il ricorso crescente ai marchi privati, utilizzati per lo più per fini identitari (ad esempio, in Finlandia).

Vi è inoltre un terzo gruppo di Paesi dove l’evoluzione normativa è stata determinante o ha in parte contribuito a sostenere lo sviluppo delle imprese sociali di inserimento lavorativo su più ampia scala. Se nel caso dell’Italia l’introduzione della Legge 381/1991 è stata la conditio sine qua non che ha permesso alle imprese sociali di svilupparsi, in Francia l’introduzione di una varietà di statuti e forme giuridiche volte a riconoscere specificamente le WISE e le imprese sociali è stata importante ma non essenziale. Di fatto, in Francia molte WISE operano ancora oggi come imprese di prossimità o associazioni (Ausort, 2021), nonostante l’esistenza di un ampio spettro di statuti e nuove forme cooperative[3].

Come la Francia, anche il Belgio presenta un quadro estremamente vario: accanto ad una varietà di statuti disciplinati a livello regionale che riconoscono la specificità delle WISE (nelle Fiandre, in Vallonia e nella Regione di Brussels), fino a poco tempo fa esse potevano anche qualificarsi come imprese a finalità sociale, così come previsto dall’Atto sulle imprese a finalità sociale del 1995. Quest’atto è stato tuttavia abrogato nel 2019, quando è stato contestualmente introdotto un nuovo schema di accreditamento per le cooperative che può essere applicato anche alle WISE (Commissione europea, 2020b).

Vi è infine un ultimo gruppo di Paesi dove le WISE utilizzano forme giuridiche o statuti introdotti prima degli anni ‘90 per qualificare i laboratori protetti. È questo il caso di alcuni Paesi dell’Europa Centrale, dove i laboratori protetti furono introdotti per sostenere specificamente l’inclusione di persone con disabilità fisiche, tra cui in particolare le persone non vedenti o con disabilità uditive. Negli anni, l’ambito di azione di queste iniziative si è ampliato così da ricomprendere anche altre forme di disabilità e in alcuni casi anche altre tipologie di svantaggi. Come già precisato, alcuni laboratori protetti hanno intrapreso un radicale percorso trasformativo che li ha portati a strutturarsi in senso imprenditoriale induce, quindi, a considerarli alla stregua di imprese sociali a tutti gli effetti. Rientrano in questa categoria le imprese per le persone con disabilità in Slovenia, le imprese speciali in Bulgaria, così come le cooperative per gli invalidi e i non vedenti in Polonia e anche i centri speciali per il lavoro in Spagna, costituiti formalmente dalla Legge sull’integrazione delle persone con disabilità (LISMI) del 1982.

Principale dinamica

Paesi

Mancanza di forme giuridiche ad hoc per le WISE

Austria, Estonia, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia

Esistenza di forme giuridiche ad hoc per WISE, ma prevalenza di forme giuridiche tradizionali

Danimarca, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria,

Ruolo determinante degli statuti per le WISE/imprese sociali e/o forme giuridiche ad hoc

Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia, Spagna

Utilizzo di statuti e/o forme giuridiche per qualificare i laboratori protetti

Bulgaria, Croazia, Lituania, Slovenia, Spagna

Tabella 3. Principali dinamiche di riconoscimento giuridico delle imprese sociali di inserimento lavorativo.

Il riconoscimento normativo delle WISE

Le WISE sono state riconosciute attraverso tre strategie distinte: i) l’introduzione di statuti giuridici ad hoc destinati esclusivamente al riconoscimento delle WISE, ii) l’introduzione di statuti giuridici volti più in generale a qualificare le imprese sociali e iii) l’adattamento della normativa sulle cooperative al fine di consentire l’integrazione di persone svantaggiate. A seconda dei Paesi sono state quindi riconosciute le cooperative sociali in Italia e, nel solco dell’esperienza italiana, le cooperative di solidarietà sociale in Portogallo, le cooperative di interesse collettivo in Francia, le cooperative di iniziativa sociale in Spagna ed altre forme cooperative finalizzate a perseguire finalità sociali, inclusa - in maniera più o meno esplicita - l’integrazione di persone svantaggiate.  

Nel complesso, l’introduzione di leggi specifiche ha contribuito a chiarire gli obiettivi, le caratteristiche e in alcuni casi anche gli ambiti di attività delle WISE e ha permesso di definirne le regole di funzionamento, tra cui le modalità e il grado di coinvolgimento dei soci, così come le norme sulla distribuzione degli utili e del patrimonio in caso di scioglimento dell’impresa. I modelli di governance variano ovviamente in maniera significativa a seconda della forma giuridica adottata dalle WISE e presuppongono un diverso grado di partecipazione dei diversi portatori di interesse, tra cui gli stessi lavoratori svantaggiati, negli organi di governo. Si passa quindi dalle organizzazioni multi-stakeholder che presuppongono – talvolta per legge, come nel caso francese delle società cooperative di interesse collettivo – il coinvolgimento di diversi portatori di interesse, a imprese che non prevedono alcuna partecipazione attiva dei beneficiari principali, come è il caso delle imprese di inserimento in Portogallo e delle imprese sociali in Finlandia.

I settori di attività delle WISE

L’analisi realizzata evidenzia una marcata varietà dei settori di attività e delle tipologie di servizi e prodotti realizzati dalle WISE. Tradizionalmente, i settori di attività più consolidati sono quello manifatturiero, delle costruzioni, delle pulizie e della cura del verde, ovvero settori industriali ad alta intensità di lavoro e con posti di lavoro a scarso valore aggiunto, che richiedono un basso livello di specializzazione dei lavoratori e si basano principalmente su compiti di routine manuali piuttosto che su mansioni cognitive.

Le WISE di grandi dimensioni operano principalmente nei settori manifatturiero, dell'assemblaggio, delle pulizie, dei trasporti e dell’edilizia, a cui si aggiunge la gestione dei rifiuti, settore emergente soprattutto in Austria, Belgio e nei Paesi Bassi. In alcuni casi, si sono consolidate e sviluppate fino a diventare stabili fornitori di imprese tradizionali. Le WISE di più piccole dimensioni tendono invece ad operare in settori come l’accoglienza turistica, la ristorazione e l’agricoltura sociale, più adatti a stimolare l’interazione delle persone svantaggiate con i propri clienti, grazie alla loro più rilevante dimensione relazionale. È questo il caso della Bulgaria, della Danimarca, della Lituania, Romania e Slovenia.

Negli anni più recenti, si è tuttavia assistito ad un progressivo ampliamento dei settori di attività delle WISE: molte hanno iniziato ad operare in ambiti a più elevato valore aggiunto, come la cultura e la gestione del patrimonio culturale e storico, il turismo o in attività che presuppongono un utilizzo crescente di nuove tecnologie. Tra i nuovi mercati vi è anche quello dell’industria alimentare. Si tratta – in tutti questi casi – di settori alquanto competitivi, nei quali le WISE contribuiscono sovente a disegnare nuovi servizi e prodotti innovativi, contraddistinti da un elevato valore sociale aggiunto (come i servizi turistici), ma si trovano spesso a competere con imprese tradizionali e con gruppi cooperativi ben consolidati “ad armi impari”, non dovendo questi ultimi fare i conti con i costi connessi all’inclusione lavorativa di persone svantaggiate.

La ricerca mette in luce il ruolo crescente delle WISE nella riconversione ecologica, nella tutela della biodiversità e del paesaggio e nella promozione di attività con una funzione educativa volte a sollecitare un cambiamento degli stili di vita e dei modelli di consumo dominanti, tra cui il riciclaggio, il riuso e l’up-cycling. Se comparate alle imprese tradizionali, le WISE sono in generale meglio attrezzate per innescare i processi trasformativi richiesti dalla conversione ecologica, perché intrinsecamente orientate a prendersi cura del territorio che le ospita, spesso radicate nella comunità e inclini a lavorare in rete con altri attori (Commissione europea, 2022b). Un altro ambito che vede le WISE sempre più coinvolte specialmente in Austria, in Belgio e nei Paesi Bassi è quello della economia digitale, e in particolare la programmazione informatica, l'inserimento e l'elaborazione dati, la creazione di siti web, programmi video e televisivi e altre attività di gestione informatica, dove si stanno configurando nuovi profili professionali.

In alcuni Paesi – specie in Italia e Spagna – emerge invece il ruolo delle WISE nelle aree interne e spopolate dove, oltre a contribuire ad offrire servizi e beni oggi carenti tra cui beni di consumo e servizi di cura del territorio, si sottolinea lo sviluppo di nuove attività economiche e servizi per i quali vi è una domanda inevasa crescente, come è il caso dei servizi turistici culturali.

I modelli di integrazione delle WISE

Sebbene il fine ultimo delle WISE sia quello di offrire concrete opportunità occupazionali alle persone svantaggiate, esse non sono concepite tutte allo stesso modo: alcune sono strutturate per creare posti di lavoro permanenti all’interno della WISE stessa, altre per favorire la transizione del lavoratore svantaggiato in contesti lavorativi tradizionali. A questi due obiettivi specifici corrispondono, come mostra la Tabella 4, due distinti modelli di integrazione: quello permanente e quello transitorio (Defourny et al., 2004). In alcuni Paesi coesistono entrambi i modelli, fungendo da “trampolino di lancio” verso il mercato del lavoro per alcuni lavoratori e offrendo invece un’occupazione a tempo indeterminato ad altri. È questo il caso, ad esempio, dell’Italia, dove però un numero esiguo di cooperative sociali di tipo B – quelle con le spalle più forti – sembra essere riuscito a strutturarsi per permettere ai lavoratori svantaggiati di acquisire le competenze necessarie per integrarsi nel mercato del lavoro tradizionale, mentre la maggioranza tende a propendere per un modello di integrazione permanente.

 

Paesi

Permanente

Belgio, Bulgaria, Croazia, Rep. Ceca, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia

Transitorio

Austria, Francia, Spagna

Misto

Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Svezia

Tabella 4. Modelli di integrazione.

La prevalenza di uno specifico modello dipende da diversi fattori, tra cui la presenza di vincoli normativi e incentivi pubblici, le connessioni con le politiche del lavoro e il grado di interazione delle WISE con altri potenziali datori di lavoro. Spesso la scelta è fortemente influenzata dalla tipologia e dalla gravità degli svantaggi di cui i lavoratori inseriti sono portatori. Infatti, come evidenziato dalla ricerca, le WISE che adottano un modello di integrazione di tipo transitorio o misto tendono ad integrare una più ampia gamma di tipologie di lavoratori svantaggiati rispetto alle WISE permanenti, che si si rivolgono invece a categorie maggiormente ristrette di lavoratori svantaggiati, talvolta con vulnerabilità più severe. Le WISE che adottano modelli transitori integrano in molti casi categorie di lavoratori svantaggiati che, data la natura meno grave e talvolta “temporanea” dei loro svantaggi, possono (o dovrebbero) essere più facilmente integrati nel mercato del lavoro tradizionale, se adeguatamente formati e/o grazie ad un adattamento dei luoghi di lavoro. Ne sono un esempio i giovani disoccupati e le persone con un vissuto migratorio, nonché i lavoratori con disabilità meno severe. Le imprese di inserimento lavorativo in Spagna, ad esempio, offrono opportunità lavorative temporanee a persone con svantaggi molto diversi, tra cui disoccupati di lunga durata, appartenenti a minoranze etniche e giovani che hanno abbandonato la scuola dell'obbligo. Lo stesso accade in Austria, dove quasi tutte le WISE aderiscono al modello transitorio. Una caratteristica delle WISE che aderiscono a questo modello è la combinazione di elementi formativi ed esperienza lavorativa diretta, che dovrebbero congiuntamente fornire gli strumenti e le competenze di base per aumentare la produttività dei lavoratori vulnerabili inseriti ed aumentare così le chance di rientrare (o entrare per la prima volta) nel mercato del lavoro tradizionale.

Occorre tuttavia sottolineare che in assenza di politiche idonee di supporto, la scelta del modello di integrazione permanente è talvolta obbligata. È questo il caso non solo dell’Italia, dove il modello di integrazione transitorio stenta a decollare a causa del debole supporto fornito dalle politiche pubbliche, che induce le imprese a trattenere i propri lavoratori una volta formati all’interno dell’impresa per non compromettere i livelli di competitività raggiunti, ma anche di molte WISE belghe e slovene che raramente raggiungono il l’obiettivo di facilitare la transizione nel mercato tradizionale (Dipartimento del lavoro e dell’economia sociale delle Fiandre, 2020; Cotič, 2021).

Vista la natura complessa e la multidimensionalità degli svantaggi di cui i lavoratori sono portatori, spesso le WISE che adottano un modello permanente dedicano particolare attenzione anche a sfere di vita diverse da quella prettamente lavorativa, creando attorno ai lavoratori un microsistema protetto e fornendo loro servizi di supporto ad ampio spettro, come un aiuto concreto nella ricerca di soluzioni abitative e nell’acquisire indipendenza finanziaria, affinché possano raggiungere quanta più autonomia possibile. Non a caso, questo è il modus operandi adottato da molte WISE nate nel campo della salute mentale, come le cooperative sociali a responsabilità limitata greche, alcune cooperative sociali di tipo B in Italia, le cooperative di persone con disabilità in Bulgaria, i laboratori protetti e integrativi in Croazia, le imprese per le persone con disabilità e i centri per l’impiego in Slovenia e i laboratori protetti in Romania. In questi casi, la natura a lungo termine dei percorsi di integrazione consente alle WISE di strutturare progetti di inserimento lavorativo e formazione personalizzati che consentono di stabilire relazioni sociali significative con altre persone sia all'interno che all'esterno dell'organizzazione. L’essere integrati permanentemente all’interno della WISE facilita inoltre - laddove possibile- la partecipazione dei lavoratori svantaggiati agli organi di governo dell’organizzazione, contribuendo ulteriormente al loro empowerment.

Come dimostrato da alcune ricerche (UNDP – EMES, 2008), il modello transitorio si è talvolta sviluppato come evoluzione del tradizionale modello (permanente) di integrazione. L’obiettivo delle prime iniziative di WISE emerse in Spagna negli anni '80 era ad esempio quello di offrire ai lavoratori svantaggiati (principalmente persone con disabilità) un lavoro stabile per consentire loro di prendere il controllo sulle proprie vite. Tuttavia, nel corso degli anni, la forte interazione con le politiche attive del mercato del lavoro ha spinto le WISE di questo Paese ad integrare il maggior numero di lavoratori svantaggiati possibile nel mercato del lavoro tradizionale (UNDP – EMES, 2008). In Spagna come anche in altri Paesi sono proprio le leggi a prescrivere una durata massima dei percorsi di integrazione lavorativa all'interno delle WISE. In Spagna la normativa vigente prevede un massimo di tre anni di occupazione prima del passaggio al mercato del lavoro tradizionale. Il tempo massimo di occupazione è ancora più breve nelle WISE austriache e in particolare delle “Imprese socioeconomiche”, le quali offrono contratti di lavoro della durata minima di sei mesi e massima di un anno principalmente disoccupati di lunga durata, anziani e persone con disabilità.

Il modello transitorio ha una forte tradizione in Francia dove – in controtendenza con la maggioranza dei Paesi europei – già le primissime iniziative di inserimento lavorativo emerse negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso nacquero con l’intento di offrire ai lavoratori svantaggiati gli strumenti necessari per essere inseriti dalle imprese tradizionali. Nella maggior parte delle WISE francesi il tempo massimo di assunzione all’interno dell’organizzazione è non a caso fissato per legge a 24 mesi, con possibilità di proroga della durata dei contratti solo in alcuni casi eccezionali. Questa circostanza – non scevra da criticità – ha stimolato la sperimentazione di progettualità alternative che hanno come riferimento un orizzonte temporale più lungo. A questo proposito, i Territoires zéro chômeur de longue durée sono strutturati per offrire opportunità lavorative a persone a grave rischio di esclusione dal lavoro a conclusione del periodo di integrazione nelle WISE[4].

Le risorse

Come già sottolineato, le WISE generano rilevanti esternalità positive a favore della comunità, tra cui va rimarcata in particolar modo la riduzione della domanda di servizi sociali e sanitari richiesti per assistere le persone svantaggiate (Perotìn, 2012). La capacità delle imprese sociali di inserimento lavorativo di migliorare il livello di benessere dei propri beneficiari e della comunità in senso lato è rafforzata da due dinamiche. Da un lato, l’ampliamento degli ambiti di intervento, che ricomprendono in misura crescente settori ad elevato interesse ambientale, tra cui la rigenerazione di terreni abbandonati, il riuso, riciclaggio e l’upcycling che generano un impatto positivo sulla salute pubblica e sull’ambiente; dall’altro, l’inclinazione ad attingere a risorse inutilizzate – tangibili e intangibili – che non sarebbero altrimenti usate per finalità di interesse generale, che le WISE utilizzano invece nell’interesse dei propri beneficiari e della comunità.

Rispetto alle imprese tradizionali che operano nei medesimi settori economici, le imprese sociali di inserimento lavorativo si ritrovano tuttavia a sostenere costi più elevati del lavoro, dovuti all’inserimento, formazione e supervisione dei propri beneficiari. A ciò si aggiunga che, nei Paesi dove sono scarsamente visibili, le WISE faticano ad accedere ai tradizionali canali di finanziamento normalmente disponibili per le imprese tradizionali in virtù del fatto che non sono in grado di garantire rendimenti soddisfacenti sugli investimenti e fanno altresì fatica ad accedere ai prestiti bancari (Commissione europea, 2020). Per contenere costi di produzione decisamente più elevati rispetto a quelli delle altre imprese, le WISE hanno sviluppato modelli alternativi di sostenibilità che fanno affidamento su un mix di risorse (si veda la Tabella 5), che ricomprende risorse non monetarie, normalmente non accessibili alle imprese tradizionali; risorse a fondo perduto; risorse rimborsabili; benefici fiscali e risorse derivanti dalla vendita di beni e servizi, grazie a contratti pubblici e alla vendita di beni e servizi a singoli individui o, sempre più spesso, ad imprese tradizionali.

Tipo di risorsa

Fonti

Pubbliche

Private

Risorse non monetarie

Beni pubblici

Contributi volontari, beni privati

Risorse a fondo perduto

Sovvenzioni pubbliche, sovvenzioni europee

Contributi privati, riserve indivisibili derivanti dal vincolo alla distribuzione degli utili, donazioni (anche tramite crowdfunding)

Risorse rimborsabili

Fondi di garanzia e fondi integrativi a livello nazionale e europeo (ad es. garanzia EaSI)

Prestiti, equity forniti da fondi speciali, banche tradizionali e banche etiche, istituti finanziari, fondi di investimento privati, capitali propri apportati dagli azionisti sottoforma di azioni

Benefici fiscali

Riduzione dell’imposizione fiscale e dei contributi previdenziali per diminuire il costo del lavoro dei lavoratori svantaggiati

-

Risorse derivanti dalle attività economiche di mercato

Proventi della vendita di beni e servizi a enti pubblici

Proventi della vendita di beni e servizi a clienti privati (persone fisiche e imprese convenzionali)

Tabella 5. Il mix di risorse delle WISE.

Risorse non monetarie

Tra le risorse non monetarie spicca, oltre alle donazioni e alla messa a disposizione di beni pubblici come immobili, terreni e spazi inutilizzati, il contributo del volontario. Quest’ultimo può essere apportato sotto forma di lavoro gratuito da parte dei consiglieri direttivi o di amministrazione, consulenze non retribuite dei maestri artigiani coinvolti, ovvero servizi di supporto forniti gratuitamente da volontari specializzati.

Il contributo dei volontari continua ad essere importante in quelle WISE che sono riuscite a salvaguardare le relazioni con il territorio, nonostante la crescita dimensionale e il consolidamento. In generale, la capacità di attrarre risorse non monetarie è maggiore laddove le WISE sono inclusive e coinvolgono diversi portatori di interesse nei propri organi di governo (Borzaga et al., 2016). Diversamente, la percentuale di risorse non monetarie tende a ridursi non appena le WISE perdono i contatti con il territorio. Al tempo stesso, la capacità di mobilizzare risorse comunitarie risulta limitata nei contesti in cui prevalgono atteggiamenti assistenzialisti e in generale una forte dipendenza dalle risorse pubbliche, come è il caso di alcuni Paesi dell’Europa centrale ed orientale (Vidović, 2013; Anđelić et al., 2021).

Ciò detto, vista l’intrinseca instabilità dei contributi volontari e delle liberalità, le WISE devono giocoforza fare affidamento su altre fonti di entrata a copertura per lo meno parziale dei costi sostenuti per inserire al lavoro le persone svantaggiate sia coperta da (Commissione europea, 2020a).

Risorse a fondo perduto

Il supporto pubblico a favore delle WISE è strettamente legato al riconoscimento del loro ruolo da parte delle autorità pubbliche (Defourny, Nyssens, 2008) ed è, a seconda dei casi, destinato alle WISE o alle persone svantaggiate inserite. Da un punto di vista comparato, le forme di supporto pubblico variano in maniera significativa tra Paesi, dal caso dei Paesi Bassi dove non sono previste misure di sostegno specifiche per le WISE, in linea con l’approccio che va per la maggiore di garantire parità di trattamento a tutte le imprese, fino alla disponibilità di una pluralità di forme di supporto in Belgio.

In Austria, Croazia, Francia, Lettonia, Polonia, Spagna e Slovenia le WISE hanno accesso a sussidi mirati per l’assunzione di persone svantaggiate, mentre contributi pubblici volti a ridurre il costo del lavoro anche dei lavoratori non svantaggiati sono riconosciuti alle WISE in Austria, Polonia, Spagna e Slovenia. Ciò detto, nella gran parte dei Paesi, il sistema di supporto pubblico è alquanto incoerente e frammentato ed è nel complesso inidoneo a riconoscere la responsabilità sociale che le WISE si assumono. Questo è il caso in particolar modo dell’Austria, Bulgaria, Francia, Grecia, Italia e Romania. Viceversa, in Slovenia, Croazia e Spagna le WISE che inseriscono specificamente persone con disabilità beneficiano di un trattamento di favore se paragonato a quello accessibile alle imprese che inseriscono persone con altri svantaggi.

Un ruolo importante nel sostenere lo sviluppo delle WISE è svolto dai fondi europei, specie nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, dove i fondi disponibili sono tuttavia sovente sottoutilizzati a causa delle scarse competenze delle WISE, per lo più di piccole dimensioni e incapaci di gestire le complesse procedure amministrative richieste per poter accedere ai fondi (Commissione europea, 2019c; 2020a; Cotič, 2021).

Risorse rimborsabili

L’accesso alle cosiddette risorse rimborsabili tende ad essere a macchia di leopardo ed è strettamente legato alla scarsa conoscenza delle opportunità di finanziamento; in Lettonia, Slovenia e Romania emerge in generale una carenza di competenze e bassa capacità delle WISE di confezionare proposte progettuali di qualità. Ad eccezione di alcune WISE che hanno intrapreso importanti investimenti in settori ad alta intensità di capitali (come la gestione dei rifiuti, l’urban renewal e la gestione del patrimonio culturale), la domanda di finanza rimborsabile è in generale bassa nella maggior parte dei Paesi (Commissione europea, 2020a). Questo anche perché si registra una crescente disponibilità sia di finanziamenti bancari, soprattutto nei Paesi dove le WISE sono state riconosciute da un punto di vista normativo, sia di programmi specifici e fondi di garanzia a livello nazionale e comunitario che, oltre all’assistenza tecnica, offrono strumenti finanziari rimborsabili (prestiti e equity) (Commissione europea, 2020a).

Benefici fiscali

Per ciò che concerne gli aspetti fiscali, tutti i Paesi analizzati riconosco benefici fiscali a favore delle WISE, ad eccezioni dei Paesi Bassi e della Bulgaria (Kemkes et al., 2021; Hristova et al., 2021). I benefici fiscali sono accordati a seconda dei Paesi in virtù della forma giuridica ricoperta (ad esempio, la natura nonprofit in Romania o la qualifica di organizzazione di interesse pubblico in Austria), oppure dell’attività svolta (in questo caso, l’occupazione di persone svantaggiate indipendentemente dalla forma giuridica), ritenuta meritevole di un favor legis. La prassi di legare il trattamento fiscale alla forma giuridica ricoperta dalle WISE ha condotto ad un arcipelago estremamente impari, sia tra Paesi che all’interno dello stesso Paese. Ad esempio, non è inusuale che le WISE costituite in forma di società a responsabilità limitata non beneficino dello stesso trattamento fiscale riservato invece a quelle costituite come nonprofit. Lo stesso dicasi per le WISE costituite come nonprofit: in Croazia, ad esempio, se i ricavi generati dallo svolgimento di attività economiche superano la soglia dei 40.000 euro, le WISE non possono beneficare dell’imposta agevolata sul valore aggiunto (Anđelić et al., 2021). Diversamente, rimanendo sempre sul caso croato, le WISE costituite sotto forma di laboratori protetti, cooperative di veterani e imprese di inserimento di persone disabili beneficiano di una serie di incentivi fiscali non accessibili invece alle WISE che ricoprono altre forme giuridico e lo stesso accade in Slovenia con riferimento ad alcune tipologie di WISE: le imprese per le persone con disabilità, i centri per l’impiego e le imprese sociali che integrano lavoratori svantaggiati beneficiano di un trattamento preferenziale. Invece, in Spagna, sebbene non esista una legislazione fiscale specifica per le WISE, la riduzione del carico fiscale è invece assicurata da una serie di esenzioni, detrazioni e premi legati all'assunzione di persone svantaggiate, che risultano tuttavia nettamente più generosi quando le persone inserite sono disabili.

Il beneficio fiscale di gran lungo più diffuso è la riduzione dei costi previdenziali e pensionistici per le persone svantaggiate inserite. Altri – l'esenzione dall'imposta sulle società, l'esenzione IVA o l'aliquota agevolata e gli sgravi fiscali concessi a donatori privati ​​e/o istituzionali – sono meno comuni. Anche le riduzioni fiscali per le donazioni a favore delle WISE sono alquanto rare, sebbene ritenute uno strumento efficace in grado di sostenerne lo sviluppo (Juviño, 2021).

Risorse provenienti dalle attività economiche di mercato

 Nel corso degli ultimi due decenni il rapporto tra WISE e enti pubblici è cambiato sostanzialmente: nella maggior parte dei Paesi europei si è passati dalla concessione di contributi e contratti, stipulati direttamente con le autorità pubbliche, a gare competitive e appalti spesso al massimo ribasso.

Questa evoluzione, sia dell’intensità delle relazioni contrattuali con le pubbliche amministrazioni, sia delle modalità di selezione, ha generato conseguenze diverse. Tra quelle positive va certamente annoverato un più ampio accesso ai mercati pubblici da parte delle WISE. Tra gli aspetti negativi, che si sono tra l’altro accentuati con l’evolversi delle modalità contrattuali, i più importanti sono la progressiva riduzione della sostenibilità di molte WISE, che si trovano spesso a competere con imprese non WISE, dovendo però sostenere gli ingenti costi connessi all’inserimento lavorativo. E questo è avvenuto a dispetto della regolamentazione europea sulla contrattazione pubblica che incoraggia le amministrazioni aggiudicatrici a sostituire l’approccio dominante basato sul prezzo con uno incentrato sulla offerta economicamente più vantaggiosa (Commissione europea – EASME, 2020). Tutti i Paesi europei hanno recepito la direttiva europea sulla contrattazione pubblica che prevede nondimeno la possibilità di indire gare riservate che limitino la partecipazione alle procedure di appalto ai soli laboratori protetti e operatori economici il cui obiettivo principale è l’inclusione sociale e professionale di persone con disabilità e persone svantaggiate (art. 20) e includere aspetti sociali nei criteri di aggiudicazione (art. 67). Tuttavia, questa opportunità non è sfruttata in maniera uniforme nei Paesi studiati.

Mentre in Belgio le opportunità introdotte dalla normativa comunitaria sono state valorizzate appieno (Commissione europea, 2020b), in Francia sono state introdotte la figura del facilitatore delle clausole sociali e numerose disposizioni finalizzate a favorire la partecipazione delle WISE alle gare d’appalto e nei Paesi Bassi è in crescita il ricorso alle gare riservate, nella maggior parte dei Paesi la situazione è decisamente meno favorevole. In Spagna, Slovenia e in Italia l’applicazione della normativa comunitaria è a macchia di leopardo, mentre in Bulgaria, Croazia, Grecia, Lettonia, Polonia e Romania – ad eccezione di alcuni rari casi – le opportunità offerte dalla Direttiva 2014/24/UE non sono in generale valorizzate.

Prescindendo dalle differenze nazionali, in tutti i Paesi analizzati i funzionari pubblici tendono ad aggiudicare i contratti in base al criterio del prezzo più basso. È questo il caso anche dei Paesi maggiormente virtuosi come la Francia, dove il massimo ribasso continua ad essere il criterio maggiormente utilizzato dalle autorità contrattuali che percepiscono, invece, le gare riservate e le clausole sociali alla stregua di opzioni da evitare, in quanto costose e complicate.

Le WISE attingono altresì a risorse generate da appalti privati, ovverosia scambi di natura commerciale con le imprese tradizionali con cui un numero crescente di WISE interagisce in maniera stabile. Tra le relazioni più innovative, oltre a quelle sviluppatesi nell’ambito del sistema delle quote, vale la pena segnalare forme di cooperazione che prendono forma indipendentemente da qualsiasi politica pubblica. Le ragioni alla base delle inedite collaborazioni tra WISE e imprese tradizionali meriterebbero senza dubbio un’analisi più approfondita, ma allo stato attuale sembrano riconducibili sia a motivi di natura reputazionale, nel caso delle imprese tradizionali, sia al desiderio di entrare in nuovi mercati, spesso a più alto valore aggiunto, nel caso delle WISE (Euricse, 2022).

Tuttavia, i dati sul volume di affari delle transazioni commerciali con privati e sui partenariati tra WISE e imprese tradizionali sono nel complesso carenti ad eccezione di alcuni Paesi (ad esempio, Italia e Paesi Bassi) in cui si rileva un aumento dei ricavi generati da appalti privati e dalla vendita di beni e servizi a clienti privati. Alcune iniziative interessanti sono infine segnalate in Belgio, come ad esempio la campagna promossa dalla federazione fiamminga Groep Maatwerk in collaborazione con più di 100 imprese tradizionali, e nei Paesi bassi con la campagna “Buy social” lanciata dalla Rete Social Enterprise Netherlands.

La diffusione

Misurare la dimensione delle imprese sociali di inserimento lavorativo è un’impresa estremamente ardua, se non impossibile, nella maggior parte dei Paesi europei. Le ragioni sono almeno due. In primo luogo, eccezion fatta per pochissimi Paesi in cui vi sono dati affidabili disponibili, aggiornati con regolarità, non esistono fonti nazionali di dati accessibili sul numero di WISE e di occupati. L'analisi realizzata in seno al progetto B-WISE conferma una maggiore disponibilità di dati nei Paesi in cui sono state realizzate numerose ricerche sul tema dell’impresa sociale e dove almeno alcune tipologie di WISE, se non tutte (ad esempio nel caso del Belgio), sono state riconosciute a livello normativo o politico attraverso leggi ad hoc, politiche, oppure programmi mirati di supporto.

Ma non è questo sempre il caso. In Slovenia, ad esempio, la legge sulle imprese sociali introdotta nel 2011 e revisionata nel 2018, anziché agevolare il processo di raccolta dati, lo ha complicato. Nonostante l’ampia forbice tra WISE titolate a registrarsi ufficialmente e WISE che hanno per vari motivi preferito non farlo, la tendenza di alcuni osservatori (e altresì l’orientamento delle misure di supporto) è stata quella di riconoscere solo le WISE ex lege, ignorando quindi la grande maggioranza di organizzazioni che operano come WISE a tutti gli effetti.

In assenza di statistiche ufficiali sulle WISE de facto, a complicare la comparazione dei dati sono pertanto i diversi approcci seguiti nello stimare la dimensione dell'impresa sociale nei contesti nazionali. Se, in sostanza, alcuni prediligono un approccio piuttosto conservativo, altri tendono ad adottare un approccio più inclusivo che tende ad intercettare anche nuove dinamiche di sviluppo di WISE de facto, non ancora riconosciute talvolta come tali nemmeno dalle stesse organizzazioni interessate. Ne consegue che nel primo caso le reali dimensioni delle imprese sociali tendono ad essere sottovalutate, mentre nel secondo possono essere in alcuni casi sopravvalutate (Commissione europea, 2020).

Fatte queste premesse, ai fini della presente analisi le autrici si sono concentrate solamente su 6 Paesi che dispongono di dati affidabili, per i quali è stato tuttavia possibile stimare solo il numero delle WISE e dei lavoratori inseriti, ma non il valore del fatturato, né tantomeno il numero dei volontari.

Come evidenziato dalla Tabella 6, con riferimento alle persone svantaggiate occupate, si distinguono l’Austria con le agenzie di consulenza e supervisione e la Spagna con i centri speciali per l’impiego, che si rivolgono esclusivamente a persone con disabilità. Se in Austria e Spagna le persone inserite sono oltre 100.000 e in Italia e in Belgio sono quantificabili tra le 25.000 e le 30.000, in Grecia rimangono invece sotto le 3.000 e in Romania non raggiungono le 1.000 persone.

Guardando alle tipologie di WISE operanti nei Paesi, mentre in Italia la cooperativa sociale fa la parte del leone, in Spagna spiccano i centri speciali per l’impiego e in Grecia la cooperativa agricola di donne è l’unica forma di WISE che è di fatto riuscita a consolidarsi, in Belgio e Austria coesistono molteplici tipologie di WISE, che si adoperano per inserire al lavoro un numero significativo di persone svantaggiate.

Posta la necessità di raccogliere dati affidabili con riferimento anche agli altri Paesi e ad una serie di variabili aggiuntive, se analizzati criticamente con riferimento alle misure pubbliche di supporto, i pochi dati disponibili parlano tuttavia chiaro. Laddove esistono sistemi di sostegno adeguati, i numeri delle persone inserite raggiungono livelli ragguardevoli. Viceversa, nei Paesi in cui le politiche di supporto sono deboli, solo un numero esiguo di persone svantaggiate riesce ad essere inserito.

Imprese sociali di inserimento lavorativo per Paese

Numero di imprese sociali di inserimento lavorativo

Numero di persone svantaggiate

% minima di persone svantaggiate

Numero di lavoratori “ordinari”

Austria

Imprese socio-economiche

5.752

19.657 

No 

n/a 

Progetti di occupazione di beneficienza

1.542

4.823 

No 

n/a 

Agenzie di consulenza e supervisione 

58.251 

167.326 

No 

n/a 

Belgio

Lavori collettivi personalizzati: imprese sociali produttive e dipartimenti di inserimento lavorativo

156 

23.447 

65% o 5 ULA

~ 4.800 

Servizi di prossimità

178 

2.635 

5 ULA

~ 540

Imprese di integrazione

98 

~ 6,000 

50% 

~ 500 

Imprese che organizzano lavori personalizzati per persone con disabilità

54 

~ 8.500 

70% 

~ 1.800 

Iniziative di sviluppo occupazionale nel settore dei servizi sociali di prossimità

62 

~ 500 

100% 

~ 150 

Grecia

Cooperative sociali a responsabilità limitata

29 

191 ULA

30%

348 

Imprese cooperative sociali di integrazione di gruppi speciali

10

50% 

Imprese cooperative sociali di integrazione di gruppi vulnerabili

33 

26 ULA

30% 

47

Cooperative sociali di inclusione

35% 

Cooperative agricole di donne 

141 

2.046

100% 

Italia

Cooperative sociali di tipo B 

5.300 

25.000 

30% 

75.000 

Altre imprese con lo status di Impresa Sociale che si occupano di inserimento lavorativo di persone svantaggiate 

n/a(1)

n/a 

30%(2)

 

n/a 

Altre imprese senza lo status di Impresa Sociale che si occupano di inserimento lavorativo di persone svantaggiate 

n/a 

n/a 

n/a 

n/a 

Romania

Imprese di inserimento sociale

19 

86 

30% 

217 

Laboratori protetti

124 

511 

30% 

266 

Spagna

Cooperative di iniziativa sociale

850 

n/a 

No

n/a 

Centri speciali per l’impiego

2.202 

97.653 

70% 

97.653 

Imprese di inserimento lavorativo

185 

4.228 

30% nei primi 3 anni; successivamente: 50%

4.228 

Tabella 6. Le impese sociali di inserimento lavorativo in Austria, Belgio, Grecia, Italia, Romania e Spagna. (1) Ad oggi, le WISE diverse dalle cooperative sociali non godono di alcun beneficio, quindi questa tipologia è residuale. (2) 30% di lavoratori svantaggiati ai sensi della Legge 482/1968 (persone con disabilità) e 381/1991 (lavoratori svantaggiati). I lavoratori molto svantaggiati ai sensi del Regolamento europeo 651/2014 non possono essere più del 30% del totale dei lavoratori svantaggiati.

Conclusioni

La ricerca sulle WISE a livello europeo conferma il loro importante contributo nel contrastare l’esclusione sociale che affligge in maniera crescente tutti i Paesi europei grazie alla sperimentazione di percorsi innovativi di inclusione che fanno spesso assegnamento sulla capacità di ascolto, sul coinvolgimento della comunità e, in alcuni paesi, sulla collaborazione con gli enti pubblici e le imprese tradizionali. E lo fanno producendo spesso beni e servizi innovativi che si adattano ai bisogni, alle risorse e alle esigenze del territorio in cui operano.

Tuttavia, se rapportato alla domanda reale lavoro che coinvolge sempre più persone, escluse per effetto di svantaggi permanenti ma anche – e sempre di più – per problemi legati alle trasformazioni sociali e del lavoro, il numero delle persone integrate grazie alle WISE è a tutt’oggi insoddisfacente. Il caso italiano ne è la riprova a causa di un sistema di supporto molto debole rispetto ad altri Paesi che hanno invece elaborato adeguate misure di sostegno in grado di rafforzare la competitività delle WISE anche in mercati emergenti, come quelli legati all’uso di nuove tecnologie (ad esempio, Belgio, Austria e Paesi Bassi).

A fronte di un riconoscimento pionieristico delle imprese sociali di inserimento lavorativo grazie alla Legge 381/1991, che è stata di ispirazione per molti legislatori in Europa e non solo, la mancanza di misure di sostegno ha generato due conseguenze controverse nel nostro Paese: un effetto scrematura, che ha scoraggiato l’inclusione delle persone con svantaggi più severi e la prevalenza di un modello di integrazione permanente, che riduce il numero di persone che potrebbero essere potenzialmente formate e accompagnate verso l’inserimento nel mercato del lavoro tradizionale.

Vi è, in sintesi, nel nostro Paese e non solo, un urgente bisogno di politiche di supporto che valorizzino il vantaggio competitivo delle WISE quali innovative politiche attive del lavoro in grado di ridurre in maniera significativa i costi dell’esclusione sociale e contribuire a costruire una società più coesa, giusta e impegnata in prima linea in una non più procrastinabile conversione ecologica dei modelli di consumo e produzione dominanti (Commissione europea, 2022b).

DOI: 10.7425/IS.2023.01.01

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Note

  1. ^ Il rapporto, “Report on trends and challenges for work integration social enteprises (WISEs) in Europe. Current situation of skills gaps, especially in the digital area” (Galera et al., 2022), coordinato da Euricse è consultabile sul sito del progetto https://www.bwiseproject.eu/it/home
  2. ^ Fanno eccezione i seguenti Paesi: Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania e Svezia.
  3. ^ Le imprese di inserimento francesi sono state riconosciute nel 1991 (Legge 91/1991, modificata nel 2018), le imprese cooperative di interesse collettivo (SCIC) nel 2001 (Legge 624/2001) e le cooperative di attività e lavoro (CAE) sono state riconosciute dalla Legge quadro sull’economia sociale e solidale del 2014 (Petrella e Richez-Battesti, 2016).
  4. ^ Per maggiori informazioni si veda: https://www.tzcld.fr/
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