Il presente contributo si propone di presentare, in sintesi, i principali risultati della ricerca “Invecchiamento della forza lavoro e pratiche di age-management nella Cooperazione Sociale del territorio di Bergamo”, realizzata nel periodo novembre 2020 – aprile 2021 e promossa da Confcooperative Bergamo e CSA COESI in collaborazione con ADAPT. Lo studio è stato finalizzato a comprendere l’impatto dell’invecchiamento della forza lavoro nei contesti organizzativi delle cooperative sociali del territorio bergamasco, con l’obiettivo di mettere a fuoco possibili strategie di age-management da realizzare in futuro e individuare strumenti utili alla gestione dell’età.
Keywords: age-magagement, invecchiamento, sostenibilità del lavoro
DOI: 10.7425/IS.2021.03.09
L’invecchiamento della popolazione italiana è un fenomeno ormai noto, che si colloca nel solco delle più ampie macro-tendenze rilevabili nel contesto europeo e, più in generale, in tutto il mondo occidentale.
Tuttavia, proprio in Italia tale tendenza risulta ancor più evidente e preoccupante, se si considera la costante riduzione della percentuale di giovani e, per contro, l’aumento degli over 65 sul totale della popolazione. Questa situazione è frutto di indicatori sulle nascite particolarmente critici da oltre 10 anni[1], su cui non sono riusciti a incidere né le (deboli) politiche a sostegno della natalità, né l’attuale offerta di servizi rivolti all’infanzia, né tanto meno le ancora timide iniziative volte ad incentivare la conciliazione tra vita privata e professionale.
Queste dinamiche sono destinate ad accentuarsi anche in futuro: le proiezioni demografiche prevedono che nel 2028 oltre un quarto della popolazione italiana si collocherà nella fascia più anziana[2]. Non è quindi rinviabile la riflessione sugli impatti che questi cambiamenti demografici avranno sul mondo del lavoro, ridefinendo la composizione della stessa forza lavoro.
Si possono prospettare a questo riguardo alcuni profili di criticità, che riguardano in particolar modo il tema della sostenibilità del lavoro (Caruso et al., 2020), rispetto a tre dimensioni:
In Italia, nonostante si sia verificata negli ultimi anni[4] una maggiore tendenza all’invecchiamento della forza lavoro, ancora non si è misurato un livello di partecipazione al mercato del lavoro dei lavoratori over 50 paragonabile a quello del contesto europeo[5]. Questi dati suonano come un campanello d’allarme, considerate le pressioni crescenti che vanno riversandosi sui contesti lavorativi italiani (Iodice, 2020).
Da qui l’attenzione all’ambito dell’age-management, ovvero a quelle misure che combattono le barriere e promuovono le diversità legate all’età all’interno dei contesti di lavoro[6]. Più nello specifico, tra le pratiche di age-management possiamo individuare sia misure prevalentemente riconducibili all’ambito della capacità e dell’abilità al lavoro, sia misure che vanno a incidere sulle condizioni dell’ambiente di lavoro (Walker, 2005).
Nel quadro di trasformazione appena delineato, si è tentato di analizzare il caso studio della cooperazione sociale bergamasca mettendone in luce i punti di forza e le eventuali criticità. A tal proposito, dopo una fase di ricerca desk – tramite l’utilizzo di banche dati, tra cui quella territoriale di CSA Coesi – è stata rilevata la percezione degli operatori e i loro suggerimenti circa gli strumenti da rafforzare in futuro. Questa ricostruzione è stata realizzata attraverso la somministrazione di un questionario rivolto a tutte le cooperative aderenti a Confcooperative Bergamo e servite da CSA Coesi[7].
L’analisi è stata successivamente verificata e rafforzata dalla conduzione di alcune interviste qualitative a responsabili e/o referenti[8] che si occupano nelle cooperative della gestione delle risorse umane. Con loro sono state approfondite più nello specifico le problematiche legate al fattore dell’età, cercando di identificare le iniziative già realizzate, anche grazie all’analisi di diversi contratti aziendali, e le riflessioni già avviate in alcuni contesti.
Si è dunque tentato di ricomporre i diversi frammenti delle numerose esperienze che si stanno spontaneamente diffondendo all’interno delle cooperative per migliorare il benessere dei lavoratori, la sostenibilità del lavoro lungo il corso della vita e i processi di ricambio generazionale.
L’obiettivo ultimo della ricerca è stato quello di provare a offrire ulteriori e giustificati spunti per il rafforzamento delle pratiche di age-management del settore.
Il vento gelido dell’inverno demografico che soffia da tempo sul nostro Paese ha aperto una riflessione anche nel settore della cooperazione sociale (Borzaga, Musella, 2020) di Bergamo circa la sostenibilità di alcuni lavori e mansioni per lavoratori in età avanzata.
La composizione della forza lavoro sul territorio[9] conferma quelle che sono le (note) peculiarità del settore ovvero: una spiccata presenza della componente femminile[10] e un ampio ricorso al lavoro a tempo parziale (80%). I lavoratori si collocano per la maggior parte nella categoria impiegati[11] (65%) e in misura minore in quella degli operai[12] (34%). Guardando alla distribuzione per fasce d’età (Figura 1), soltanto il 16% della forza lavoro è rappresentato da under 30. Per il resto la forza lavoro si distribuisce abbastanza equamente nelle fasce d’età 30-39 anni (26%), 40-49 anni (26%), 50-59 anni (25%) mentre gli over 60 sono il 6%.
Figura 1. Distribuzione della forza lavoro per età. Fonte: nostra elaborazione, Dati CSA-COESI Confcooperative – dicembre 2020.
Complessivamente, dunque, i lavoratori con un’età superiore ai 50 anni rappresentano il 31% della forza lavoro del campione analizzato. Se ragioniamo su questi dati in prospettiva, avendo come riferimento un orizzonte di medio periodo, è possibile osservare come, in meno di dieci anni, almeno la metà degli attuali lavoratori si troverà a transitare nella fascia d’età “over 50 anni”, ed un quarto degli stessi avrà più di 60 anni. La quota di over 50 nelle cooperative sociali di Bergamo appare ancor più rilevante nel confronto con i dati riportati da altre ricerche. Così, Istat (2019) guardando ai lavoratori dipendenti delle cooperative – senza specifico riferimento alle cooperative sociali – evidenziava una percentuale del 28,4 di lavoratori over 50. Tra le altre, ISFOL (2015) rilevava una incidenza degli addetti over 50 pari al 24,3% e INAPP (2017), in riferimento alle PMI, rilevava una quota di lavoratori over 50 ben più contenuta in particolare per il settore dei servizi.
Tuttavia, analizzando l’età media della forza lavoro si riscontra un dato (43,6 anni) che, pur non risultando di per sé critico rispetto al contesto nazionale, è scarsamente capace di restituire una chiave di lettura qualitativa circa la complessità dei contorni che il fenomeno dell’invecchiamento sta avendo nelle cooperative sociali locali. Infatti, se guardiamo all’interno delle singole cooperative, troviamo una situazione molto eterogenea: alcune organizzazioni hanno un’età media piuttosto bassa, prossima ai 30 anni; diverse altre hanno un’età media nettamente al di sopra dei 50 anni (Figura 2).
Figura 2. Distribuzione delle cooperative per età media della forza lavoro. Fonte: nostra elaborazione, Dati CSA-COESI Confcooperative – dicembre 2020.
La problematica dell’invecchiamento della forza lavoro, al di là dei possibili ulteriori sviluppi futuri, è una tematica che già oggi risulta particolarmente rilevante in alcuni contesti[13], anche oltre quanto effettivamente percepito dai cooperatori.
Un’età media più elevata è riscontrabile prevalentemente nelle cooperative fondate in epoca meno recente, in cui vi è stata una sostanziale continuità nell’arco del tempo del gruppo di soci fondatori, senza che siano state adottate diffuse strategie di age-management. Quel che osserviamo oggi in taluni contesti può dunque rappresentare la fotografia di uno scenario che si potrebbe riflettere in futuro su altre organizzazioni oggi più giovani.
Operando un’analisi per qualifiche della forza lavoro, è riscontrabile un’età media più alta per la categoria degli operai (45,9 anni) rispetto agli impiegati (43,4 anni). Logicamente inferiore è l’età media degli apprendisti (24,6 anni), che tuttavia rappresentano una quota residuale. Questo appare un elemento di criticità considerando anche la limitata capacità di retention dei giovani, che potrebbe essere favorita proprio con un maggior ricorso all’apprendistato (Massagli, 2020).
Le nuove assunzioni effettuate nel 2020 hanno riguardato per il 37% lavoratori under 30, per il 43% lavoratori con un’età tra i 30 e i 49 anni e per il 20% lavoratori over 50. La capacità delle nuove assunzioni under 30 di contribuire a bilanciare la quota di lavoratori giovani/anziani è però limitata dal fatto che solo una parte di queste nuove assunzioni avviene tramite contratti di lavoro a tempo indeterminato e questo non permette un ricambio costante dell’organico della cooperativa[14]. Guardando alle nuove assunzioni effettuate con contratto a tempo indeterminato per classi d’età, rileva sottolineare come solo il 17% dei neo-assunti under 30 benefici di questa forma contrattuale. Per contro, si è fatto ricorso a contratti a tempo indeterminato nel 24% dei casi di nuove assunzioni di lavoratori della fascia 30-49 anni e nel 22% delle nuove assunzioni di over 50. Questi elementi contribuiscono a generare un turnover maggiore proprio per le classi d’età più giovani su cui invece dovrebbero concentrarsi i maggiori sforzi di retention per favorire un ringiovanimento degli organici.
La tendenza all’invecchiamento nei contesti di lavoro cooperativi viene percepita come un fenomeno diffuso[15]. In particolare, sono le cooperative di inserimento lavorativo a rilevare maggiormente un innalzamento dell’età media al proprio interno, sottolineando sul punto evidenti difficoltà nell’operare verso il ringiovanimento degli organici[16]. Tuttavia, nonostante la complessità dello scenario descritto, la maggior parte delle cooperative non percepisce l’invecchiamento della forza lavoro come un problema su cui intervenire nell’immediato.
Quando però gli stessi cooperatori sono chiamati a guardare oltre alla dimensione del proprio singolo contesto, per pensare più complessivamente allo scenario della cooperazione sociale territoriale, il tema acquista maggiore rilevanza. Allo stesso tempo, ancor più sentita a livello di sistema rispetto a quanto espresso in relazione ai singoli contesti, è anche l’esigenza di realizzare da subito degli interventi a livello territoriale.
Questi elementi da un lato possono nascondere una percezione superficiale del problema, per la quale si preferisce spostare l’attenzione verso l’esterno; dall’altro, però, si può dedurre una apprezzabile abitudine delle cooperative a ragionare oltre il perimetro della propria realtà, identificando come elemento di rischio un problema che ancora non ha impattato nella propria organizzazione.
Più nello specifico, al centro delle preoccupazioni delle cooperative intervistate vi è l’impatto che la tendenza all’invecchiamento della forza lavoro può avere sull’abilità dei lavoratori di svolgere alcune mansioni, mentre è ritenuto scarsamente rilevante l’impatto su altre dimensioni del rapporto di lavoro (quali la motivazione, la performance del lavoratore, la competitività dell’impresa e il clima aziendale).
Tra le categorie (Figura 3) in cui è stato indicato un impatto più spiccato del fenomeno dell’invecchiamento troviamo in primis il “personale dedito al lavoro di cura della persona”, seguito dal “personale impiegato in attività di pulizia”, dal “personale dedito ai servizi educativi”, dal “personale impiegato in servizi di giardinaggio e dal personale impiegato in attività di gestione di gestione ecologica (servizi di igiene urbana)”, mentre scarsamente rilevante sarebbe l’impatto sulle mansioni impiegatizie.
Figura 3. Quanto la tendenza all’invecchiamento della forza lavoro incide, o potrà incidere, negativamente sulla sostenibilità e sulla capacità dei lavoratori di svolgere alcune mansioni? Fonte: nostra elaborazione sui risultati del questionario realizzato per la ricerca.
Nel caso di problemi legati alle capacità del lavoratore di svolgere la propria mansione, la maggior parte delle cooperative (64%) è riuscita ad attuare accomodamenti (es. orario, carichi di lavoro, strumentazione) che hanno permesso alla persona di continuare a ricoprire la propria funzione. In un numero di casi più limitato (16,1%) è stato necessario operare un ricollocamento in altra posizione, operazione che si è dimostrata difficoltosa. Da qui deriva una delle preoccupazioni ricorrente nelle interviste: al crescere della quota di lavoratori anziani sarà possibile continuare a offrire una risposta efficace usando unicamente le leve dell’accomodamento e del ricollocamento?
Oltre alla tipologia di mansioni, il tema delle patologie croniche è particolarmente rilevante specie per quei contesti cooperativi che si adoperano per l’inserimento di lavoratori svantaggiati[17]. Tra questi, infatti, vi sono persone che hanno avuto problemi di dipendenze che condizionano inevitabilmente, anche a distanza di anni, lo stato di salute, già complicato dall’innalzamento di età. È poi noto come, in generale, a situazioni di disagio sociale si associno frequentemente anche condizioni più critiche di salute.
Rispetto al tema delle limitazioni fisiche, tutte le cooperative intervistate hanno segnalato la presenza di lavoratori con deficit collegati alla movimentazione dei carichi, che si presentano con particolare intensità nei lavoratori dei servizi assistenziali, considerata lo scarso utilizzo in passato di strumentazioni che potessero alleggerire i carichi movimentati. A ciò si aggiunge che alcuni servizi assistenziali si caratterizzano per una certa continuità del servizio negli anni, per cui ad invecchiare non è solo il lavoratore, ma anche l’utente, che per questo diventa più difficile e faticoso da assistere. Risulta pertanto imprescindibile riuscire a mantenere un dialogo aperto e costante con i medici di lavoro, alla ricerca di un rapporto di collaborazione per accrescere la conoscenza delle problematiche legate all’abilità dei lavoratori del settore e della profonda correlazione che c’è tra aspetto fisico e psicologico per alcuni di loro.
Sul punto, una buona pratica rintracciabile in una delle cooperative intervistate per contenere i problemi arto-articolari collegati alla movimentazione di carichi è stata quella di condividere con gli operatori la costruzione dei DVR[18], coinvolgendoli nell’indicare quale fosse a loro avviso il rischio maggiore legato alla specifica attività lavorativa[19].
In alcune cooperative vi è particolare attenzione ai carichi di lavoro per i lavoratori over 60 e/o prossimi alla pensione, per cui il ricollocamento in un’altra mansione o l’alleggerimento rispetto ad alcuni compiti risultano essere pratiche consolidate. Anche su questo, in generale si riscontra una buona predisposizione all’ascolto di quelle che sono le esigenze dei lavoratori con incontri annuali e/o periodici.
Sotto il profilo psicologico, invece, l’opinione generale delle cooperative è che i servizi di cura e in generale quelli che pongono al centro la relazione con l’utente sono quelli che, nel lungo periodo, determinano per i lavoratori una componente maggiore di stress. Si riscontra una particolare attenzione nell’attuare pratiche di ascolto o accorgimenti organizzativi che possano prevenire il burnout, ad esempio, operando una rimodulazione dei turni e avviando, in alcuni contesti, una riflessione sulla sostenibilità e sull’organizzazione di alcuni servizi[20].
Nel corso di questi anni, all’interno della cooperazione sociale si sono avviate diverse buone pratiche di particolare interesse proprio per la loro valenza quali strumenti di age-management. Invero, molte di queste misure non vengono realizzate con l’obiettivo esplicito di incidere sui problemi legati all’invecchiamento della forza lavoro o sul miglioramento della sostenibilità del lavoro lungo il corso della vita lavorativa, bensì come soluzioni manageriali. Tuttavia, queste possono comunque risultare, direttamente o indirettamente, efficaci anche nell’ottica della gestione dell’invecchiamento.
Da segnalare in questa sede la diffusione di iniziative di mobilità interna con cui si offre al lavoratore la possibilità di fare esperienza in altri servizi, operando così una rigenerazione dei lavoratori e degli organici, pur senza agire sul versante del turnover esterno.
Sul punto, alcune cooperative hanno immaginato di strutturare un sistema di job rotation con una mobilità temporanea di carattere formativo tra servizi analoghi, effettuando uno scambio tra operatori e dando loro degli obiettivi di monitoraggio e di verifica di alcune pratiche, strumentazioni, routine e attività per mappare quel che accade negli altri servizi. In questo processo, il lavoratore acquisisce consapevolezza dei differenti approcci relazionali e lavorativi per portarli successivamente all’interno della propria equipe di riferimento.
Altro tipo di esperienza è quella che ha portato alla ridefinizione dei profili di alcuni lavoratori permettendo loro di lavorare su più servizi – c.d. “operatori cavaliere”, proprio perché posizionati “a cavallo” su più servizi – e andando incontro ai loro desideri professionali di alternanza tra compiti più operativi e compiti più gestionali.
Complementare alle azioni di mobilità interna è il tema delle qualifiche e della formazione necessaria per operare in certe mansioni. Per quanto le attività di formazione siano abbastanza diffuse nei contesti cooperativi, non risultano specificatamente orientate al tema dell’età e, anche quando lo sono, restano limitate temporalmente alla fase d’ingresso dei lavoratori. Altrettanto limitata è l’attenzione verso la formazione a sostegno del rafforzamento delle competenze digitali dei lavoratori, specie in riferimento a quelli più anziani.
A queste iniziative, si è sovente aggiunto uno sforzo nell’orientare la formazione obbligatoria per i rischi specifici verso una sperimentazione che mettesse al centro percorsi sul benessere lavorativo. In questo caso, le attività hanno previsto una parte pratica di tecniche di gestione dello stress e un’altra più teorica di confronto rispetto al tema, tanto dal punto di vista organizzativo quanto dal punto di vista personale fisico/psicologico.
Si rileva dunque una cosciente sensibilità verso la più ampia sfera del benessere personale e lavorativo, confermata anche dalla crescente attenzione verso le misure di welfare aziendale, che conferma la presenza di un approccio culturale e organizzativo rivolto al well-being.
Per quanto riguarda l’offerta di beni e servizi offerti ai lavoratori, però, non si rintraccia nessuna specifica previsione rivolta specificatamente a sostenere la forza lavoro più anziana: le misure di welfare[21] sono uno strumento orientato al miglioramento della sostenibilità del lavoro lungo il corso di tutta la vita lavorativa e non solo nella parte finale.
La prospettiva, entro cui si stanno muovendo le cooperative, è dunque quella di agire in modo continuo e preventivo per migliorare la qualità del contesto e del rapporto di lavoro su un orizzonte di medio lungo-periodo. A questo si aggiunge un’attenzione verso la conciliazione tra vita privata e vita professionale[22], per il tramite di forme di flessibilità[23] e dell’articolazione degli orari lavorativi attenti alle esigenze personali e familiari dei lavoratori[24], da sempre uno dei tratti distintivi della cooperazione sociale (Pavolini, 2016).
Coerentemente con quanto appena descritto, si veda come tra gli strumenti che secondo le cooperative devono essere rafforzati in futuro per favorire la gestione dei lavoratori più anziani sono state stati indicate, in primis, proprio le misure di welfare aziendale[25] per favorire la conciliazione.
Figura 4. Gli strumenti da rafforzare in futuro per favorire l’age-management. Fonte: nostra elaborazione sui risultati del questionario realizzato per la ricerca.
In tal senso, grande attenzione viene rivolta anche agli ambiti della formazione professionale, dell’articolazione dell’orario di lavoro e, ancora a misure di welfare aziendale per la tutela della salute, mentre altri ambiti, quali ergonomia e fondi bilaterali, appaiono per lo più sottovalutati nell’apporto che possono dare rispetto alla gestione dei lavoratori più anziani. La scarsa attenzione per il miglioramento dell’ergonomia e per un investimento in tecnologie che potrebbero alleggerire i carichi di lavoro si spiega in parte con il fatto che, come emerso dalle interviste, diverse cooperative ritengono di fare già il massimo in tal senso, anche se molte si auspicano di poter trovare nuove soluzioni o di favorire l’accessibilità di alcune già esistenti (quali le tecnologie assistive).
Per quanto riguarda infine il ricorso a fondi bilaterali, si segnala una scarsa consapevolezza dell’utilizzo che ne viene fatto in altri settori proprio nell’ottica di favorire i ricambi generazionali[26].
Uno degli ambiti di riflessione di maggior interesse nella prospettiva dell’age-management è quello delle pratiche di ricambio generazionale. Tuttavia, misure di questo tipo non sono ancora particolarmente diffuse all’interno delle cooperative intervistate, forse perché molte di loro non si sono ancora trovate a dover affrontare il problema. L’ambito in questione è assai delicato anche da un punto di vista culturale, per cui non è sempre facile tradurre in azione alcune consapevolezze acquisite sull’importanza di operare interventi in tal senso.
«Spesso a fronte di una consapevolezza a livello mentale che è necessario un ricambio generazionale, nella prassi per una persona che ha avuto per tanti anni una certa funzione iniziare a pensare ad una possibile sostituzione coincide con il pensare che è finita una parte importante della sua vita. Capita di far fatica a tradurre ciò che si pensa in azione e capita di far fatica a “mollare” incarichi. È su questa fatica che noi stiamo cercando il più possibile di lavorare».
Risulta quindi importante inquadrare le pratiche di ricambio generazionale non solo entro il quadro di un passaggio di consegne obbligato – a staffetta – ma piuttosto all’interno di una più ampia cornice progettuale che metta al centro la questione della solidarietà tra generazioni, dell’invecchiamento attivo e delle pratiche di trasferimento e acquisizione delle competenze (Ferrieri Caputi, Roiatti, 2020).
In un caso, tra quelli delle cooperative intervistate, è stata avviata recentemente la costruzione di un processo di accompagnamento al ricambio generazionale. Nella fattispecie in oggetto, avendo come prospettiva quella di operare un passaggio generazionale di consegne ai vertici direzionali[27], si è avviato un percorso di studio, progettazione e implementazione di alcune attività affinché questo ricambio potesse risultare condiviso e non conflittuale. Questo progetto di accompagnamento è stato strutturato su due livelli, prevedendo una prima fase di formazione per i futuri membri dell’equipe di direzione[28], a cui seguirà una fase di mentoring che si realizzerà con l’affiancamento on the job. È questo un esempio di processo che mira a creare uno scambio virtuoso tra generazioni con l’ottica di operare una trasformazione organizzativa ai vertici della cooperativa, favorendo la trasmissione delle competenze tecniche e l’acquisizione di nuove soft skills legate al nuovo sistema d’equipe. Un processo nel quale “vincono” tutte le persone coinvolte e che quindi, da ultimo, rafforza la cooperativa.
Se invero l’affiancamento on the job è una pratica di formazione dei nuovi operatori molto diffusa nelle cooperative, risultano però ancora poco diffuse azioni di mentoring continuo e strutturato rivolto alla costruzione di un c.d. ponte generazionale[29] che metta al centro lo scambio di competenze tra generazioni attraverso un ripensamento degli strumenti formativi[30] che possano anche rappresentare uno strumento di promozione e diffusione dell’innovazione[31].
Un’attenzione più diffusa all’interno delle cooperative è invece riservata all’accompagnamento dei lavoratori prossimi alla pensione. Per quanto non siano presenti incentivi all’uscita dal lavoro – nei termini, ad esempio, del pagamento da parte delle imprese della contribuzione volontaria per i periodi non lavorati – la maggior parte delle cooperative sostiene i lavoratori prossimi alla pensione nell’operare una valutazione degli strumenti utili per poter arrivare al conseguimento delle prestazioni pensionistiche[32].
Sul versante dei nuovi ingressi, maggiori difficoltà nell’operare strategie di ringiovanimento degli organici si rintracciano nelle cooperative che hanno nell’inserimento dei lavoratori disabili o con altri svantaggi l’attività prevalente. A tal proposito, uno strumento utile per il reperimento di nuovi profili da assumere, a cui frequentemente le cooperative fanno ricorso, è quello della rete Mestieri Lombardia[33], agenzia per il lavoro, costituita dai consorzi di cooperative sociali lombardi, che opera a livello regionale per l’erogazione servizi di orientamento, selezione, accompagnamento professionale e tutoraggio di persone con problematiche di marginalità sociale e difficoltà ad inserirsi autonomamente nel mercato del lavoro. Alcune cooperative intervistate segnalano l’esigenza di rafforzare la collaborazione con il Consorzio Mestieri Lombardia, quanto di alimentare la condivisione di iniziative di rete per il tramite di organizzazioni già attive quali i consorzi.
Dall’analisi del caso di studio emerge come nel sistema della cooperazione sociale non sia stata ancora sviluppata una riflessione necessaria e diffusa sull’esigenza di progettare interventi rivolti a una migliore gestione dell’invecchiamento dei cooperatori.
Questo non significa che vi sia immobilismo attorno a questo nodo: sono diverse le pratiche censite già in grado di incidere positivamente sulla sostenibilità del lavoro. Tuttavia, l’efficacia di questi strumenti è da ritenersi direttamente proporzionale alla capacità di sviluppare queste azioni non come singoli interventi, ma come tessere di un mosaico concettuale, di un vero e proprio sistema di gestione dei lavoratori lungo il corso dell’età e negli scenari di trasformazione che stanno attraversando il mondo del lavoro (Seghezzi, 2017) che non può che essere condiviso settorialmente.
È la stessa complessità dell’age-management che esige questo sforzo di sistematizzazione: sono eterogenee, infatti, le azioni che si possono attivare: reclutamento; trasferimento di conoscenze, formazione e apprendimento permanente; sviluppo della carriera; pratiche di lavoro flessibile; promozione della salute sul posto di lavoro; gestione della salute e della sicurezza sul lavoro; rotazione e ridistribuzione del lavoro; uscita dal lavoro e transizione verso la pensione[34].
Riconducendo le pratiche attualmente realizzate dalle cooperative in questo quadro di riferimento, particolarmente diffuse risultano essere le misure rivolte alla promozione del benessere sul posto di lavoro per il tramite di diversi strumenti che afferiscono all’ambito del welfare aziendale in senso ampio e misure di flessibilità rivolte al miglioramento della conciliazione tra vita privata e vita professionale[35]. Inoltre, dalla ricerca è stato possibile rilevare una crescente propensione verso misure di ridistribuzione del lavoro con l’avvio di alcune esperienze di mobilità interna e con alcune prime progettualità di ricambio generazionale che, per il momento, restano però limitate solo ad alcune figure.
Figura 5. Pratiche riconducibili agli ambiti dell’age-management realizzate nella cooperazione sociale bergamasca. Fonte: Nostra elaborazione a partire dagli ambiti di age-management individuati da EU-OSHA.
Le iniziative di formazione[36], per quanto diffuse, si ricollegano solo in minima parte a pratiche di ricambio generazionale, sistemi job rotation e di sviluppo carriera. Su quest’ultimo punto, in particolare, sono ancora molto limitate le azioni delle cooperative, così come è posta scarsa attenzione alla fase del reclutamento.
Per quanto riguarda l’uscita dal lavoro, le azioni realizzate si concretizzano per lo più in un raccordo con le strutture territoriali di supporto all’accompagnamento dei lavoratori alle prestazioni pensionistiche pubbliche, mentre non c’è un impegno a sostenere questi percorsi con risorse aggiuntive.
Occorre tuttavia specificare che quando si realizzano iniziative di mobilità interna ed esterna si rintracciano misure di formazione ad esse collegate, volte a rendere possibili questi passaggi (soprattutto sul versante interno, quando il cambio di mansioni necessita di particolari qualifiche). Talvolta, sono addirittura le stesse iniziative di mobilità a rappresentare dei momenti di formazione. Sul punto, però, l’approccio sembra restare quello di offrire formazione come mera risposta a una indifferibile esigenza di cambiamento, identificata e circoscritta temporalmente e rispetto a un preciso contesto lavorativo. Risulterebbe più lungimirante provare a costruire dei sistemi formativi permanenti, dei veri e propri canali formativi sempre accessibili che accompagnino il lavoratore lungo la sua carriera lavorativa e lo preparino al cambiamento di cui egli stesso diventa soggetto attivo. In tal senso, i nuovi sistemi formativi possono diventare essi stessi veicolo di trasformazione dei contesti di lavoro e di costruzione di nuove figure professionali[37].
Infine, si ritiene che risieda nella maggiore integrazione degli ambiti appena richiamati la chiave per costruire un sistema di age-management che tenga conto della multidimensionalità di prospettive con cui il tema dell’età incide sui contesti organizzativi. Affinché si possa cominciare a gettare le basi per la costruzione di questo sistema, rispetto al caso analizzato si propone una sintesi delle principali evidenze attraverso un’analisi SWOT.
Figura 6. Sostenibilità del lavoro e gestione dell’età nella cooperazione sociale bergamasca (Analisi SWOT). Fonte: Nostra elaborazione.
Uno dei punti di forza del settore è rappresentato dalla presenza di una spiccata sensibilità verso l’ascolto delle esigenze della forza lavoro e la condivisione con loro di alcune volontà di cambiamento interne[38].
Questo c.d. approccio cooperativo rappresenta il substrato culturale (Zamagni, 2013) da cui partire sia per rimodulare le iniziative già presenti, orientandole maggiormente al tema dell’età, sia per avviare nuove misure nel quadro progettualità definita.
In particolare, queste ultime dovranno necessariamente prendere in considerazione alcune delle criticità emerse in questa ricerca, tra cui una formazione poco orientata al tema dell’età, difficoltà di retention dei giovani e una scarsa diffusione di pratiche strutturate di ricambio generazionale.
Rispetto a questi elementi, se le minacce future sono state ampiamente trattate anche nei primi paragrafi di questo paper, occorre segnalare, invece, le opportunità che potrebbero essere offerte da un’azione maggiormente sinergica a livello territoriale. Questa prospettiva di sviluppo è stata indicata proprio dagli operatori coinvolti nella ricerca, che individuano nel potenziamento di azioni a livello territoriale uno degli strumenti su cui insistere maggiormente per fronteggiare il problema dell’invecchiamento della forza lavoro attivando soluzioni comuni. Tra queste, potrebbe essere utile offrire alle cooperative un supporto per favorire l’accesso ad alcuni strumenti di formazione finanziata, per promuovere la diffusione dei percorsi di apprendistato, per sviluppare nuove aree di servizio e per facilitare l’accessibilità delle tecnologie assistive.
Le reti già presenti a livello territoriale potrebbero essere ulteriormente presidiate con l’obiettivo di rafforzare la condivisione dei fabbisogni professionali rispetto ai quali predisporre azioni di raccordo con il mondo delle scuole, ma anche con altri soggetti che sostengono le cooperative in fase di reclutamento di nuovo personale. In tal senso, può risultare rilevante lavorare sulla costruzione di banche dati territoriali più ampie. Questo potrebbe permettere di operare una maggiore programmazione sulle assunzioni, limitando invece logiche di contingenza, che spesso orientano i processi di reclutamento, permettendo altresì di portare avanti una progettualità più strutturata sul tema dell’età che favorisca l’ingresso di giovani. Non solo, un maggior confronto tra le cooperative in uno scenario di rete potrebbe ampliare le opportunità di mobilità dei lavoratori non solo sul versante interno al singolo contesto, ma anche all’esterno. Per quanto informali, si riscontrano già alcuni contatti tra cooperative operanti in servizi simili per il ricollocamento o il suggerimento di lavoratori disponibili a lavorare. Tuttavia, la creazione di una cabina di regia territoriale, volta ad ampliare le opportunità di mobilità dei lavoratori anziani, potrebbe sostenere i crescenti fabbisogni di ricollocamento di questi ultimi all’interno dei contesti lavorativi cooperativi del territorio.
Infine, un ultimo punto su cui può essere utile rafforzare le iniziative di rete riguarda la condivisione delle molte buone pratiche presenti nel settore per superare quella frammentarietà sino ad ora esistente e mettere a valore i molti spunti emersi anche dall’analisi qui condotta.
Pertanto, ancor più importante può essere il sostegno fornito dalle parti sociali non solo per lo sviluppo di misure entro il sistema della contrattazione collettiva territoriale, ma anche, come già accade in alcuni contesti, per la promozione di iniziative che rafforzino il raccordo con le misure pubbliche esistenti. A questo si potrebbe aggiungere la possibilità di avviare sperimentazioni locali che, ponendo al centro il tema del ricambio generazionale, si propongano di operare tramite azioni più tipicamente di contrattazione sociale (ADAPT, 2021) coinvolgendo i diversi soggetti pubblici e privati operanti nel territorio (si veda l’esperienza del “Nuovo ponte generazionale” di Regione Lombardia)[39] per l’attivazione di ulteriori risorse e progettualità.
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