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Quando si parla di numeri

Redazione

Le cooperative sociali prima e durante il Covid-19

Giuseppe Giulio Calabrese, Greta Falavigna

Startup innovative a vocazione sociale

Alessandro Laspia, Davide Viglialoro, Giuliano Sansone, Paolo Landoni

La complessità del sistema sanitario e assistenziale

Eddi Fontanari

Organizzazione

Le imprese sociali e la loro organizzazione

Redazione

Il contratto di rete tra cooperative sociali

Sara Depedri

Age-management nella cooperazione sociale

Giuseppe Guerini, Emmanuele Massagli, Maria Sole Ferrieri Caputi, Michele Dalla Sega

Le politiche

L’impresa sociale, un pilastro per le politiche

Redazione

Imprese sociali e rigenerazione urbana

Andrea Bernardoni, Massimo Cossignani, Daniele Papi, Antonio Picciotti

Terzo settore e reddito di cittadinanza

Armando Vittoria

Recensioni

Oltre la solidarietà

Federico Creatini

Numero 3 / 2021

Le politiche

Il ruolo delle imprese sociali e delle organizzazioni del terzo settore nei processi di rigenerazione urbana

Andrea Bernardoni, Massimo Cossignani, Daniele Papi, Antonio Picciotti

Introduzione

Nell’accezione comune il termine rigenerazione urbana indica “un’attività di trasformazione che incide sulla struttura e sull’uso della città, il che implica cambiamenti non solo spaziali e fisici ma anche economici, culturali, sociali e creativi, dunque un processo di riqualificazione e di valorizzazione urbana molto complesso” (Galdini, 2008 – p. 50). Si tratta di una parola nuova nel linguaggio delle discipline che si occupano della questione urbana. In precedenza si parlava di ri-qualificazione urbana, in riferimento agli interventi in quelle parti del territorio che presentavano processi di degrado tali da renderli de-qualificati; tuttavia, il passaggio da un’espressione all’altra non è stato di natura meramente lessicale, quanto un simbolico passo all’interno di un percorso più complesso.

Il termine urban regeneration ha origine nei paesi anglosassoni: sono esempi di grandi interventi quelli operati a Liverpool, Manchester, Newcastle, Glasgow. La stessa trasformazione è avvenuta a Bilbao e Barcellona in Spagna, a Torino Genova e Milano in Italia, a Marsiglia e Nantes in Francia, a Lipsia e nell’area della Ruhr in Germania, dove il più grande distretto industriale del Centro-Europa è divenuto un famoso distretto culturale, scientifico, tecnologico ed ambientale.

Il processo di dismissione industriale in tutte le città che hanno storicamente incentrato lo sviluppo sull’attività produttiva va ricondotto ai fattori di trasformazione a livello macro-economico che hanno agito globalmente tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in particolare in quei settori dell’industria manifatturiera più tradizionale e pesante. Altrettanto rilevante è stato l’impatto dell’automazione e delle innovazioni organizzative che hanno limitato l’esigenza di grandi superfici per la produzione e la commercializzazione dei prodotti, ed hanno influito sulla domanda di suolo urbano anche per i settori immuni da crisi. Terzo elemento da considerare è il ruolo dell’obsolescenza dei grandi vecchi impianti ottocenteschi, il cui ammodernamento avrebbe reso necessarie ingenti risorse economiche e tecniche e lungimiranti politiche pubbliche. Quarta ed ultima causa è la pressione esercitata dalla speculazione edilizia, che offriva occasioni di notevoli guadagni agli imprenditori per la delocalizzazione delle aziende in periferia nell’attesa di rivendere le aree, divenute semicentrali, per un riuso residenziale e commerciale molto redditizio.

Questi fattori, sommandosi, hanno prodotto una enorme eredità di edifici abbandonati e spazi degradati, attorno a cui la città è via via cresciuta fino a collocarli in una posizione centrale o semicentrale (Spaziante, 2018). Pertanto, mentre fino agli anni Settanta si verificava un processo di crescita “per addizione” della città, oggi si è passati ad una fase di crescita che dà importanza al riuso della città stessa, con due implicazioni: cambio di destinazione, cioè di funzione, delle aree, e cambio di popolazione all’interno della stessa funzione. Grazie ad investimenti di recupero le aree dismesse, le caserme, i porti, gli scali diventano zone suscettibili di valorizzazione, di rivalutazione. Il riuso funzionale fa sì che una zona cambi destinazione funzionale; la gentrification, invece, mantiene la destinazione di residenza, introducendo un tipo di popolazione differente, con livelli di acquisto superiori. Questo è un processo che incide fortemente sulla fisionomia della città. Mutano le sue funzioni strategiche per garantire l’efficienza del tessuto produttivo locale e l’abilità nell’attrarre ulteriori attività economiche. Allo stesso tempo, si arricchiscono di nuovi significati quelle funzioni tradizionali connesse al benessere collettivo, alla qualità dei rapporti sociali, all’efficienza della forma urbana. Quella attuale diventa quindi una città frammentata, luogo di specificità e complessità, in cui l’economia passa dall’essere industriale all’essere postindustriale o dell’informazione (Galdini, 2008) o della conoscenza (Spaziante, 2018) e per la quale devono essere pensate adeguate politiche di intervento che siano in grado non solo di risolvere problemi attuali ma di anticiparli. Per questi motivi, i nuovi modelli di azione devono avere come finalità il raggiungimento dell’equilibrio tra tre variabili: crescita, equità e qualità ambientale.

I progetti di riqualificazione e riconversione rendono necessaria una trasformazione radicale nell’uso quotidiano degli spazi, un processo condiviso che ha la finalità di reintegrare l’edificio con il territorio, con la città, con i cittadini, con i loro valori e desideri. A tal fine, un elemento indispensabile è costituito dalla partecipazione delle comunità locali. Se da un lato un’area dismessa rappresenta un’opportunità, dall’altro lato va affrontata la sfida di riassegnare correttamente agli edifici esistenti un riconoscimento identitario che è stato perso nel corso del tempo. Le grandi opere architettoniche ed urbanistiche non sarebbero sufficienti senza un piano di recupero delle periferie, un miglioramento tangibile di infrastrutture e qualità della vita e, soprattutto, un reale coinvolgimento della popolazione nel ridisegno della città. Come è stato sostenuto (Galdini, 2008), se i processi di urbanizzazione estensiva caratterizzavano il fare la città, i processi di rigenerazione e riqualificazione invece caratterizzano il fare con la città.

Nell’ambito di questo scenario, un ruolo di rilievo viene assunto dalle imprese sociali e dalle organizzazioni del terzo settore. Queste realtà, grazie alla loro capacità di ascoltare i territori, aggregare persone portatrici di visioni e valori differenti, essere portavoce di istanze sociali, economiche e culturali provenienti dal basso, connettere realtà pubbliche, imprenditoriali e comunitarie, possono svolgere, in un’ottica di inclusione e di partecipazione collettiva, un ruolo fondamentale, sia nella promozione delle iniziative di rigenerazione urbana, sia nella gestione delle attività derivanti dagli interventi che vengono realizzati. Tuttavia, nella letteratura scientifica su questo tema, è possibile rilevare l’esistenza di un duplice gap. Da un lato, le esperienze di rigenerazione urbana vengono generalmente affrontate e discusse come casi singoli e specifici da cui trarre possibili indicazioni di policy. Sotto questo aspetto, appare difficoltoso rinvenire indagini comparate condotte su ampia scala, volte a delineare le caratteristiche comuni, le differenze, i benefici e le criticità presenti in una pluralità di esperienze di rigenerazione urbana. Dall’altro lato, in questi studi focalizzati su singole iniziative, il ruolo delle organizzazioni del terzo settore, nel caso in cui esse siano presenti, viene spesso delineato come una semplice componente di un processo multidimensionale. Gli aspetti che vengono solitamente approfonditi sono quelli di carattere tecnico (urbanistico, tecnologico, finanziario, ecc.), collocando la dimensione della governance, in generale, e la funzione svolta dalle organizzazioni del terzo settore, in particolare, in una posizione di subalternità.

Traendo spunto da questi gap, il presente lavoro intende identificare il ruolo di tali organizzazioni nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana che si sono sviluppati in Italia nel corso degli ultimi anni e sulla base delle evidenze empiriche elaborare alcune indicazioni di policy che potranno essere adottate dai decisori pubblici sia a livello nazionale che a livello locale a partire dal processo di attuazione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza che attribuisce grande rilevanza alla rigenerazione. A tal fine, il paper presenta la seguente articolazione: nel paragrafo successivo viene brevemente inquadrato il concetto di rigenerazione urbana in un’ottica soprattutto sociale e in relazione ad una prospettiva di innovazione sociale; a seguire viene descritta la metodologia utilizzata per la realizzazione dell’indagine; vengono quindi esposti i principali risultati della ricerca empirica per giungere alla chiusura del lavoro con l’esposizione di alcune osservazioni conclusive ed indicazioni di policy.

Rigenerazione urbana e sfide emergenti

Negli ultimi anni, il dibattito sulla rigenerazione urbana si è sovrapposto notevolmente al tema dell’innovazione sociale, soprattutto dopo il 2011, quando il presidente della Commissione Europea José Barroso, lanciando l’iniziativa “Social Innovation Europe”, definisce l’innovazione sociale come lo strumento principale per rispondere a bisogni sociali che fino ad allora non erano stati affrontati, introducendo anche i temi della sostenibilità ambientale, dell’inclusione sociale e della responsabilità sociale delle azioni degli individui e delle comunità.

Alcuni fattori stanno quindi determinando un cambio di paradigma. Innanzitutto, un diverso contesto urbano e sociale, una città sempre più complessa, in continuo cambiamento, in cui aumentano i fenomeni di polarizzazione socio-spaziale. Poi, una crescente sfiducia nelle istituzioni che si accompagna al fallimento dei tradizionali meccanismi di partecipazione. La crisi del welfare state e la riduzione delle forme di investimento pubblico hanno modificato gli strumenti per la rigenerazione urbana mentre i tradizionali progetti, che non hanno prodotto gli effetti sperati, hanno generato ulteriori fenomeni di espulsione e marginalizzazione delle popolazioni più deboli.

L’innovazione sociale si inserisce in questo quadro presentandosi come strumento di cambiamento nelle pratiche di rigenerazione urbana e di reazione ad un mutato contesto sociale ed istituzionale.

Recentemente, si assiste al moltiplicarsi di iniziative dal basso che sono veri e propri “motori” di rigenerazione urbana via innovazione sociale: interventi community led che impegnano poche risorse, fortemente orientate all’autoimprenditorialità e che, in alcuni casi, diventano anche forme di rivendicazione sociale; interventi che vanno ad operare su spazi innesco o su sistemi di spazi puntuali, avendo spesso come dimensione di riferimento il quartiere; luoghi dove si sperimentano collaborazioni inedite tra diversi settori dell’amministrazione e tra soggetti privati e pubblici di vario tipo, oltre a forme nuove di coinvolgimento dei cittadini. In questi interventi sia in Italia che a livello europeo importante è il ruolo delle imprese sociali e più in generale delle organizzazioni di terzo settore (Bernardoni, Picciotti 2017; Le Xuan, Tricarico 2013).

Se l’innovazione è il risultato di un processo fortemente legato al contesto, sempre di più il lessico sulla rigenerazione urbana si mescola a quello dello sviluppo locale. Più precisamente, Moulaert e Nussbaumer (2005) parlano di “sviluppo territoriale integrato” per definire un approccio basato sullo sviluppo di capitali non tanto economici quanto ecologici, sociali ed umani. Le risorse territoriali da attivare sarebbero basate su una serie diversa di spazi, infrastrutture, capitale umano e sociale, culture, imprese, artigianato locale. Innovare socialmente significherebbe avere chiari i meccanismi con cui leggere e progettare tali risorse in un’ottica di cambiamento. Secondo questo approccio, il territorio sarebbe mediatore e parallelamente attore capace di definire partnership, organizzazione, contenuti e forme di leadership orizzontali, sviluppando culture di innovazione ancorate localmente ma in grado di interpretare gli impatti locali dei fenomeni globali.

In questo scenario, il tema dell’inclusione sociale è uno dei più dibattuti quando si osservano processi di rigenerazione community led. Un processo di rigenerazione non è pubblico quando è realizzato da soggetti pubblici ma quando garantisce l’accesso ai beni rigenerati a pubblici diversi e non alla sola comunità che lo ha realizzato ed è capace di fornire beni e servizi anche a favore di chi non ha attivato la sperimentazione in prima persona. Ciò che è importante non è l’identità del proprietario dello spazio, ma come il processo di riattivazione produca esiti e impatti per popolazioni differenti.

Questi ragionamenti appaiono ancora più urgenti se i processi di rigenerazione urbana via innovazione sociale riguardano uno spazio puntuale o una rete di spazi capaci di attivare servizi o prodotti in grado di far registrare un certo impatto urbano, secondo rapporti pubblico-privato particolari e originali forme di partnership multi-settore e multi-livello. A questo riguardo, sorgono due problemi da approfondire: in primis, come i processi di rigenerazione urbana, partendo da un lavoro su spazi puntuali operato da soggetti privati di diversa natura, possano definire effetti su popolazioni e spazialità su scala più ampia e generare effetti che superano i confini delle comunità che li hanno attivati; poi, come le istituzioni e le politiche urbane possano essere garanti di trasparenza, inclusività e durata di tali sperimentazioni (Ostanel, 2017).

Nell’analisi degli interventi di innovazione sociale in contesti complessi definiti marginali, con diversi livelli di accesso alla cittadinanza, resta aperta la questione di come i processi di rigenerazione community based possano evitare la composizione di processi partecipativi elitari, che escludono la parte svantaggiata e distante della popolazione e producono effetti positivi solo per comunità chiuse e autoreferenziali.

Se la rigenerazione urbana tramite pratiche di innovazione sociale agisce localmente tramite la riattivazione di edifici, aree o una rete di spazi di prossimità, vanno chiarite alcune criticità: l’identità dei soggetti che definiscono i bisogni a cui si rivolgono le sperimentazioni; il grado di accessibilità degli spazi innesco; le caratteristiche della redistribuzione su scala urbana degli effetti prodotti da questi interventi; l’atteggiamento e la reazione delle istituzioni di fronte alle sperimentazioni, ed il ruolo assunto di garanzia di un interesse pubblico (Ostanel, 2017). In definitiva, si ha innovazione sociale «se sperimentazioni di rigenerazione urbana dal basso contribuiscono all’inclusione sociale attraverso cambiamenti nell’agire dei soggetti e delle istituzioni» (Ostanel, 2017 – p. 38), intendendo, con il termine “istituzione”, l’insieme di norme e orientamenti culturali, routine, modi di vedere e di operare, che stimolano o puniscono certi comportamenti, sia in modo formale che informale.

I contributi sulla rigenerazione urbana, oltre ai benefici economici, sociali, ambientali e culturali, mettono in evidenza anche alcuni aspetti critici. Questi ultimi, partendo da diverse prospettive, possono essere racchiusi in tre macro-categorie:

  1. quella riguardante i soggetti che guidano i percorsi di rigenerazione (Ostanel, 2017; Gastaldi, Camerin, 2017; De Luca, Da Milano, 2006);
  2. quella riguardante i processi partecipativi e le azioni implementate (Galdini, 2008; Cafiero et al., 2014; Detheridge, 2014; Ostanel, 2017; Spaziante, 2018);
  3. quella riguardante gli spazi, i contesti e gli impatti (Galdini, 2008; Cafiero et al., 2014; Semi, 2015).

In relazione al primo aspetto (figure professionali e competenze), già nella seconda metà del ‘900 Hirschman (1975) parlava di figure tecniche che sapessero partire, nella loro azione progettuale, dalle esigenze del territorio e che riuscissero a svolgere anche una funzione di accompagnamento dall’interno delle traiettorie di sviluppo. Ostanel (2017) riprende questi studi per caratterizzare meglio la figura del progettista. Egli deve essere in grado di comprendere e valorizzare risorse territoriali spesso inespresse, gestire complesse partnership, accompagnare un cambiamento sul luogo stesso, adattarsi ai mezzi a disposizione, imitare elementi di successo di altre pratiche e scoprirne di nuovi. Compreso ciò, il passo successivo è realizzare che i processi di rigenerazione vedono confrontarsi più figure di questo tipo, più centri di sapere, ognuno con le proprie esperienze e peculiarità, che vanno messe in connessione e comunicazione al fine di collaborare. Gastaldi e Camerin (2017) sottolineano come lo sviluppo dei processi di rigenerazione urbana possa essere limitato dall’insufficienza di risorse umane o di competenze a loro disposizione, fondamentali per seguire iter così complessi. Spesso, infatti, nelle amministrazioni locali manca una vera e propria capacità di progetto, intesa come strumento per intercettare domande latenti e per ripensare la funzione di spazi e luoghi. Inoltre, il comportamento speculativo ed opportunistico di parte degli operatori immobiliari, la loro limitata capacità di proporre idee innovative riguardo le funzioni da attribuire e l’assenza di una reale analisi di mercato[1], sono fattori che hanno portato al fallimento, se non addirittura alla mancata attuazione, di molte operazioni.

De Luca e Da Milano (2006), invece, si occupano del ruolo della cultura – intesa nell’accezione più ampia di beni materiali e immateriali – nei processi di rigenerazione urbana. Nella fase di gestione dei progetti, l’eterogeneità dei soggetti coinvolti determina la necessità di poter fare affidamento su nuove figure professionali in possesso di specifiche capacità e competenze. Inoltre, affinché il progetto abbia buon esito, è necessario innescare un processo di mediazione tra gli assetti materiali e immateriali del territorio e la libertà creativa dell’operatore culturale. L’integrazione delle politiche culturali con quelle della rigenerazione passa dalla capacità dei soggetti in causa di superare le naturali differenze di orizzonti temporali e capacità di quantificazione degli impatti.

In relazione al secondo aspetto (processi partecipativi e strumenti), la mobilitazione di attori locali e il coinvolgimento degli abitanti come protagonisti dei processi di riqualificazione sono momenti imprescindibili, mentre la sfida del compito della governance sta nell’utilizzo di strumenti che propongano strategie complessive, non occasionali, di lunga durata, non in conflitto con altre azioni ed interventi (Spaziante, 2018). L’azione dell’amministrazione locale apporta maggiori benefici quando assume il ruolo di facilitatrice. Concretamente, l’azione di programmazione del soggetto istituzionale non deve fermarsi all’assegnazione di fondi e al mero controllo del rispetto delle normative. Deve essere garantito un corretto coordinamento tra i programmi di riqualificazione e le azioni specifiche che coinvolgano tutto il sistema, come incentivi fiscali e contributivi[2] per la nascita e lo sviluppo di nuove imprese in grado di rendere durevole – al di là del singolo edificio – e socialmente pervasivo – oltre aspetti esteriori o di arredamento – l’effetto di rigenerazione ambientale, economica e sociale di una città (Cafiero et al., 2014). Per Detheridge (2014) uno dei limiti ricorrenti nei processi di rigenerazione è quello di considerare solo interessi economici di parte, senza valutare quello del territorio come specifico stakeholder. Un approccio diverso potrebbe prendere in considerazione le comunità di pratiche, cioè quelle attività e processi attuati dai cittadini, che studiano e descrivono le abitudini e i comportamenti di settori interi della popolazione che frequentano gli spazi, non limitandosi dunque solo ai residenti. Così facendo, si potrebbero scoprire nuove modalità del vivere un luogo e nuovi potenziali stakeholder, aprendo la progettazione urbana ad una comprensione più approfondita dei processi che la guidano e che potrebbero determinarne l’evoluzione. Anche Ostanel (2017) pone la comunità al centro del dibattito tra rigenerazione e inclusione sociale ed individua la criticità nel concetto di publicness legato ad aspetti interazionali.

Infine, la terza macrocategoria di sfide posta dai processi di rigenerazione urbana riguarda i luoghi, nell’accezione di spazi fisici ma anche in quella più ampia di contesti, e gli effetti delle sperimentazioni su di essi. Lo studio non può prescindere dall’analisi di tutti quegli elementi che costituiscono l’imprinting di un luogo e che attribuiscono ad esso un senso riconoscibile nel tempo. Interventi di riqualificazione degli spazi compiuti senza aver studiato prima, e compreso poi, il vissuto dei luoghi non solo non raggiungono gli effetti desiderati ma, a volte, possono rivelarsi deleteri e determinarne il declino. Considerato il momento storico di crescente competizione tra le città, frequentemente la rivitalizzazione del centro è vista come un volano per il rilancio dell’economia locale e per lo sviluppo del turismo. Pertanto, gli investimenti sono riservati alle infrastrutture del centro città, mentre nei quartieri situati immediatamente fuori aumentano le condizioni di degrado.

Oltre alla dicotomia città/periferia, massima attenzione va riposta anche alla distinzione tra le varie scale d’intervento. Il fenomeno della rigenerazione, per essere implementato con successo ed assumere un ruolo di rilancio economico e culturale, ha bisogno di azioni che agiscano simultaneamente su più livelli: quello urbano; quello locale, di quartiere o di distretto; infine, quello del singolo edificio. Operare senza una visione d’insieme che comprenda tutti e tre i livelli renderebbe gli effetti degli interventi distorsivi e controproducenti.

Metodologia della ricerca

Nel contesto teorico ed empirico appena delineato, il presente lavoro intende definire il ruolo assunto dalle organizzazioni del terzo settore nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana. A tal fine, è stata condotta un’indagine empirica sulla base di un approccio metodologico che ha previsto la realizzazione di diverse attività.

In primo luogo, è stato necessario indentificare, in via preliminare, le esperienze di rigenerazione urbana che erano state intraprese sull’intero territorio nazionale e che potevano essere analizzate. Per evitare che questa attività potesse condurre a decisioni arbitrarie, in termini di selezione dei casi e generare, quindi, delle distorsioni nella rappresentazione del fenomeno, è stato ritenuto opportuno introdurre e seguire in modo puntuale due differenti criteri. Da un lato, è stata prevista l’attendibilità delle fonti. In base a questo principio, sono stati scelti ed inclusi ai fini dell’analisi solo gli interventi di rigenerazione urbana documentati da pubblicazioni scientifiche nazionali (articoli pubblicati in riviste e volumi editi da case editrici) e da articoli e saggi presenti nella stampa specialistica nazionale (Avanzi, Disponibile, Labsus), su siti internet e riviste di settore (Iris Network, Urbanpromo, Aiccon, Giornale dell’Architettura, Segnali di Futuro, Riusiamo l’Italia, Audis, Il Giornale delle Fondazioni) e su piattaforme di realtà promotrici di bandi (Culturability, Polmoni Urbani, Fondazione Unipolis, Fondazione Cariplo). Complessivamente, sono state considerate 65 pubblicazioni riferite ad un arco temporale di 15 anni, compreso tra il 2004-2018.

Dall’altro lato, è stato ritenuto necessario che i singoli casi di rigenerazione urbana rispettassero i requisiti di definizione del fenomeno. In base a questo secondo criterio, affinché un’esperienza potesse essere esaminata, doveva mostrare la concreta presenza di cambiamenti non solo fisici ma anche innovativi in ambito economico, culturale, sociale, creativo, ambientale, manageriale. Seguendo questi due criteri, sono stati complessivamente identificati 111 casi di rigenerazione urbana. Gli interventi considerati non sono configurabili, pertanto, come un censimento delle iniziative di rigenerazione urbana condotte sull’intero territorio nazionale ma rappresentano un elenco non esaustivo attraverso il quale poter descrivere le modalità con cui queste operazioni vengono generalmente realizzate e le caratteristiche distintive che presentano.

In secondo luogo, attraverso ricerche specifiche condotte su siti istituzionali, siti dedicati ad ognuno degli interventi considerati e sui social network, sono state acquisite tutte le possibili informazioni di dettaglio riferite alle singole iniziative. Si è pervenuti, in questo modo, alla costruzione di una banca dati, articolata in diverse macro-sezioni e contenente le seguenti informazioni:

  • localizzazione degli interventi (regione, città e numero di abitanti, zona urbana/rurale interessata dall’intervento, distinguendo tra centro, periferia, montagna e waterfront);
  • natura e tipologia degli interventi (mono-intervento o pluri-intervento, numero degli interventi, distinzione tra intervento principale e interventi secondari);
  • finalità degli interventi (mono-finalità o pluri-finalità, numero delle finalità, distinzione tra finalità principale e finalità secondarie);
  • dimensionamento tecnico (estensione espressa in mq, stato di avanzamento dei lavori, anno di avvio e durata in mesi);
  • governance nella fase di start-up (numero e tipologia dei soggetti promotori di natura pubblica e/o privata);
  • governance nella fase di gestione (numero e tipologia dei soggetti gestori di natura pubblica e/o privata);
  • modalità di coinvolgimento e di partecipazione delle comunità locali;
  • finanziamenti ottenuti (ammontare complessivo e natura pubblico e/o privata delle risorse finanziarie investite);
  • comunicazione esterna (presenza su web e sui social network, esistenza di una newsletter e organizzazione di eventi).

Appare evidente che le informazioni raccolte siano molteplici e rappresentino diverse prospettive di indagine (urbanistica, economica, manageriale, finanziaria e di marketing), in grado di restituire una rappresentazione multidimensionale delle esperienze di rigenerazione urbana.

Infine, nell’ultima fase, si è proceduto all’elaborazione dei dati raccolti. Sotto questo aspetto, oltre ad una definizione preliminare delle frequenze semplici o bi-variate associate ad alcune principali dimensioni di analisi, è stata condotta un’analisi descrittiva multivariata (cluster analysis) che ha permesso di individuare i “modelli organizzativi” maggiormente diffusi di rigenerazione urbana e il ruolo che le organizzazioni del terzo settore assumono in questi contesti.

A conclusione di questa sezione metodologica, è opportuno ribadire che l’analisi dei casi individuati non ha una rappresentatività statistica degli interventi di rigenerazione urbana nel territorio nazionale né vuole generalizzare le finalità, le modalità di gestione e di finanziamento che guidano i soggetti coinvolti poiché ogni esperienza presenta delle proprie peculiarità e va considerata singolarmente, nella sua specificità. L’indagine condotta intende invece riconoscere quegli elementi fondamentali, individuati dalla letteratura scientifica, che caratterizzano un fenomeno in rapida diffusione in Italia e nel mondo e definire, nell’ambito di tali dinamiche, la funzione che viene svolta dalle organizzazioni del terzo settore.

Risultati della ricerca

Le principali caratteristiche dei processi di rigenerazione urbana

Il primo passaggio che può essere affrontato, è quello di delineare alcuni aspetti preliminare riferiti ai processi di rigenerazione urbana che sono stati effettuati in Italia nel corso degli ultimi anni, in modo da pervenire ad un primo quadro conoscitivo.

Figura 1. La localizzazione degli interventi di rigenerazione urbana.

Seppur con diversa frequenza, quasi tutte le regioni ospitano almeno uno dei 111 casi raccolti. Inoltre, la loro distribuzione sembra coinvolgere diversi tipi di area, la città metropolitana, quella medio-piccola, l’area interna, il paese montano e quello marittimo.

Tabella 1. Le zone interessate dagli interventi di rigenerazione urbana.

Zona

N.

%

Periferia

60

54,1

Centro

45

40,5

Waterfront

5

4,5

Montagna

1

0,9

Tot.

111

100,0


Poco più della maggioranza degli interventi (Tabella 1) si concentra nelle parti periferiche della città, esterne o addirittura marginali mentre il 40,5% si registra nel vero e proprio centro urbano. Quasi nel 5% dei casi, ad essere oggetto di rigenerazione è il cosiddetto waterfront, ossia la fascia di territorio a contatto con l’acqua, ad esempio una darsena o un molo, come quello di San Cataldo in provincia di Taranto o ancora il lungomare che fronteggia una Colonia a Rimini.

Osservando le tipologie di intervento e considerando che alcune iniziative potevano prevedere una pluralità di interventi, le attività di rigenerazione urbana appaiono alquanto eterogenee (Tabella 2).

Tabella 2. Le tipologie di intervento di rigenerazione urbana.

Tipologia

N.

%

Avvio nuove attività culturali

69

39,0

Servizi

30

16,9

Ambiente ed infrastrutture

29

16,4

Residenziale

19

10,7

Avvio nuove attività commerciali

12

6,8

Recupero attività culturali dismesse

7

4,0

Recupero attività commerciali dismesse

6

3,4

Installazioni artistiche

3

1,7

Laboratorio aperto

2

1,1

Tot.

177

100,0


La prima osservazione è sul ruolo della cultura nella rigenerazione: l’avvio di nuove attività culturali e il recupero di quelle dismesse, complessivamente, raggiungono circa il 43% della totalità delle iniziative, il quadruplo di quelle di tipo commerciale. Sono esempi di queste iniziative la creazione di un centro culturale all’interno dell’ex Ansaldo a Milano, la riapertura di un cinema storico nel centro di Perugia oppure la costituzione di un parco sociale e culturale a Favara. Seguono i servizi, con il 16,9%, e le infrastrutture, con il 16,3%, in cui si opera in modo sostenibile su spazi all’aperto e su edifici, come nel caso di un parco dell’innovazione a Bolzano o di un’area verde pubblica, fortemente simbolica, a Casale Monferrato. Aspetto che ritorna anche in ambito residenziale, dato che la riqualificazione di interi quartieri o di aree industriali in complessi residenziali con annesse aree verdi non può prescindere dalla riduzione dell’impatto ambientale, come il caso dell’albergo diffuso a Belmonte Calabro. Un’esperienza statisticamente poco significativa ma in crescente impiego è quella delle installazioni artistiche. Non si agisce fisicamente su un singolo edificio ma si dispongono opere d’arte più o meno recenti, di autori più o meno famosi, in diversi punti della città, disegnando un vero e proprio itinerario, illustrato in appositi depliant. Si stimola il turismo rendendo la città nella sua interezza un contenitore, visibile a tutti, come nel caso del museo all’aperto a Faenza. Naturalmente, tali iniziative possono insistere su differenti oggetti o aree di intervento (Tabella 3) e prevedere differenti modalità di realizzazione (Tabella 4).

Tabella 3. Oggetto di intervento di rigenerazione urbana.

Oggetto

N.

%

Edificio

44

39,6

Sito industriale

32

28,8

Quartiere

26

23,4

Area naturale

7

6,4

Distretto

2

1,8

Totale

111

100,0


Tabella 4. Le modalità di intervento di rigenerazione urbana.

Modalità

N.

%

Recupero

103

61,3

Costruzione ex novo

13

7,7

Valorizzazione caratteristiche presenti

13

7,7

Installazioni artistiche

12

7,1

Demolizione

12

7,1

Riuso temporaneo o parziale

7

4,2

Bonifica

6

3,7

Occupazione

2

1,2

Tot.

168

100,0


La voce più presente è l’edificio, con il 39,6%, intendendo spazi come cinema, chiese, palazzi, colonie, caserme, condomini, teatri. Seguono aree più vaste, come siti industriali, con il 28, 8% e quartieri, con il 23,4%. Nel primo caso si tratta di veri e propri spazi di archeologia industriale, come ad esempio depositi, opifici, lanifici, officine, tabacchifici, stabilimenti enologici, centrali idroelettriche, falegnamerie. Nel secondo caso, invece, ci si riferisce ad interventi che interessano tutto il quartiere, indipendentemente dalla sua localizzazione.

Considerando la totalità degli interventi, nel 61,3% dei casi si è verificata un’attività di recupero, intendendo questo termine nelle varie accezioni di rigenerazione funzionale, riqualificazione, ristrutturazione sostenibile, risanamento. C’è una sostanziale equivalenza tra altre quattro voci: costruzione ex novo, possibilmente rispettando criteri di sostenibilità; valorizzazione di caratteristiche già presenti, nei casi in cui o per scelta propria o per vincoli della Sovrintendenza vengono mantenuti e valorizzati elementi dalla struttura presente; installazioni artistiche, nei casi già visti di musei all’aperto o di condomini-museo; riuso temporaneo o parziale, quando ci si riferisce ad interventi con una precisa durata temporale, svolti in luoghi e periodi dell’anno particolari, dunque esperimenti volti a testare la riattivazione di uno spazio o la risposta della comunità.

I modelli di rigenerazione urbana

Una ricerca più approfondita è stata effettuata per identificare le modalità tipiche, ovvero più diffuse e ricorrenti di rigenerazione urbana. A tal fine, è stata condotta un’analisi multivariata considerando soltanto alcune (per la precisione, 14) delle variabili che complessivamente costituivano la banca dati e che potevano essere ritenute maggiormente esplicative rispetto all’obiettivo dell’indagine. Le variabili utilizzate sono le seguenti: numerosità degli abitanti del luogo in cui l’intervento è stato realizzato; zona oggetto di intervento (centro, periferia, montagna e waterfront); numerosità e tipologie degli interventi; numerosità e tipologie delle finalità perseguite; oggetto specifico dell’intervento (edificio, quartiere, zona industriale, area naturale); tipologia di attività rigenerativa; natura e tipologia del soggetto proponente; natura e tipologia del soggetto gestore; modalità di coinvolgimento della comunità locale. Tuttavia, in questa analisi multivariata non è stato possibile esaminare tutte le esperienze considerate in quanto, per alcune di esse non si disponevano di informazioni specifiche. Complessivamente, i casi di rigenerazione urbana analizzati sono stati 90. Dal punto di vista analitico, data la natura prevalentemente qualitativa delle variabili utilizzate, è stata dapprima costruita una matrice delle distanze calcolate sulla base dell’indice di Gower, procedendo, successivamente, all’aggregazione dei risultati ottenuti attraverso il metodo del legame completo.

La decisione finale derivante da questo processo di aggregazione è stata quella di identificare 10 cluster in quanto questo passaggio della cluster analysis rappresenta l’ultimo in cui vengono incluse tutte le 90 osservazioni effettuate (Tabella 5).

Tabella 5. Il numero e la consistenza dei singoli cluster.

Da questo stadio in poi, come può essere osservato dal dendrogramma (Figura 2), si manifesta un fenomeno di aggregazione progressiva dei cluster in un unico raggruppamento. Questo fenomeno tende a generare un’omogeneizzazione dei dati (pochi cluster con tante osservazioni ed alcuni cluster residui contenenti pochissime osservazioni) e ad impedire che emergano le differenze e le specificità dei singoli cluster. Per questi motivi, si è deciso di mantenere i 10 cluster e di considerare, ai fini dell’analisi, solo quelli che presentano una maggiore numerosità delle osservazioni effettuate. Pertanto, vengono esaminati i cluster 6 (contenente 20 osservazioni), 7 (contenente 24 osservazioni) e 10 (contenente 11 osservazioni).

Questi tre cluster principali assumono delle caratteristiche specifiche che permettono di collocarli in una sorta di “posizionamento ideale”. Da un lato, è identificabile il cluster degli interventi che presentano una maggiore vocazione verso la sostenibilità (cluster 10). Queste iniziative sono prevalentemente promosse e gestite da organizzazioni del terzo settore, vengono generalmente realizzate in zone periferiche e generano, comparativamente ad altri cluster, un coinvolgimento più elevato delle comunità locali. In una posizione intermedia si colloca il cluster degli interventi con una spiccata valenza sociale (cluster 7). Queste iniziative sono anch’esse promosse in larga parte da organizzazioni del terzo settore ma spesso la loro gestione viene effettuata in partnership con altri soggetti, soprattutto di natura pubblica; presentano una maggiore varietà territoriale, interessando aree e contesti differenti, e favoriscono la partecipazione comunitaria attraverso rapporti di natura associativa. Infine, dall’altro lato di questo spazio ideale, trova una propria posizione il cluster degli interventi con una propensione verso il business (cluster 6). In questo caso, appare più elevato il ruolo di promozione e di gestione delle società di capitali e degli enti pubblici e i rapporti che si sviluppano con le comunità locali sono essenzialmente basati su relazioni di utenza.

Di seguito, viene approfondita la natura di questi cluster principali, considerando in modo separato ognuna delle caratteristiche che permettono una loro specifica identificazione.

Figura 2. Il dendrogramma e i cluster individuati.

La prima dimensione che viene esplorata è costituita dalla finalità dei singoli cluster. Questo aspetto appare rilevante in quanto permette di effettuare una tipizzazione dei singoli raggruppamenti. Sulla base delle informazioni che emergono, i cluster più consistenti presentano, infatti, differenti profili identitari, tali da permettere una loro identificazione/denominazione specifica (Tabella 6).

Tabella 6. Le finalità prevalenti dei singoli cluster.

Finalità principale

Cluster degli interventi sostenibili

Cluster degli interventi sociali

Cluster degli interventi di business

Attività culturali e ricreative

45,5

45,8

35,0

Welfare sociale

9,1

12,5

5,0

Hub dell’innovazione e della creatività

18,2

16,7

15,0

Valorizzazione culturale e commerciale luogo

0,0

8,3

15,0

Attività commerciali e artigianali

9,1

4,2

10,0

Parchi, giardini, orti, cascine sostenibili

9,1

8,3

5,0

Complesso residenziale ed uffici

0,0

4,2

5,0

Centro di servizi

0,0

0,0

10,0

Sviluppo sostenibile

9,1

0,0

0,0

Tot.

100,0

100,0

100,0


L’aspetto che accomuna tutti i cluster è la prevalenza di iniziative di rigenerazione urbana sia con finalità culturali e ricreative, sia volte ad innalzare il livello di innovazione e di creatività dei contesti locali. Oltre a queste tematiche che costituiscono una sorta di comune denominatore, esistono degli elementi di differenziazione in base ai quali e possibile individuare il cluster degli interventi sostenibili, quello degli interventi sociali ed il cluster degli interventi di business.

Nel cluster degli interventi sostenibili vi è una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale delle iniziative ed alla gestione sostenibile delle aree verdi e delle attività agricole. Nel cluster degli interventi sociali tra le finalità delle iniziative di rigenerazione è più marcata la presenza del welfare e dell’inclusione sociale. Nel cluster degli interventi di business c’è una maggiore presenza di attività commerciali, turistiche e di sviluppo dei servizi professionali.

Considerando, invece, le zone di intervento, appare evidente la centralità che viene rivestita dalle zone periferiche (Tabella 7).

Tabella 7. Le zone di intervento nelle iniziative di rigenerazione urbana.

Zona di intervento

Cluster degli interventi sostenibili

Cluster degli interventi sociali

Cluster degli interventi di business

Centro

36,4

33,3

35,0

Periferia

63,6

54,2

60,0

Montagna

0,0

4,2

0,0

Waterfront

0,0

8,3

5,0

Tot.

100,0

100,0

100,0


In questo caso, la differenza tra i cluster non risiede tanto nelle voci principali che, come appena evidenziato, vedono le iniziative localizzate in centro o in periferia come prevalenti, quanto piuttosto nei valori residuali. Il cluster degli interventi sociali presenta processi di rigenerazione urbana che vengono realizzati anche in aree meno usuali, come le aree montane e le fasce di territorio waterfront.

Considerando invece la governance dei processi di rigenerazione urbana e, in particolare, le attività di promozione delle diverse iniziative, possono essere identificate alcune specificità (Tabella 8).

Tabella 8. I soggetti promotori delle iniziative di rigenerazione urbana. (*) Incluse le cooperative sociali.

Soggetto promotore

Cluster degli interventi sostenibili

Cluster degli interventi sociali

Cluster degli interventi di business

Cooperativa (*)

27,3

20,8

5,0

Impresa sociale

9,1

4,2

5,0

Associazione

27,3

25,0

30,0

Organismo pastorale

0,0

4,2

0,0

Fondazione

9,1

8,3

10,0

Pubblica Amministrazione

0,0

12,5

10,0

Enti pubblici

0,0

8,3

10,0

Società di capitali

9,1

4,2

15,0

Consorzio

9,1

8,3

5,0

Società consortile

0,0

4,2

0,0

Ordini professionali

0,0

0,0

5,0

Azienda agricola

9,1

0,0

5,0

Tot.

100,0

100,0

100,0


Il cluster degli interventi sostenibili vede tra i soggetti promotori la netta prevalenza di realtà appartenenti al terzo settore. Nel cluster degli interventi sociali compaiono, oltre a realtà quali associazioni, cooperative, imprese sociali e fondazioni, anche soggetti pubblici, nelle forme di enti strumentali o di organismi della Pubblica Amministrazione, confermando l’esistenza, a livello nazionale, di rapporti stretta collaborazione e di complementarità tra soggetti pubblici e privati nella proposta, progettazione ed introduzione di servizi di welfare. Il cluster degli interventi di business evidenzia, infine, un maggior orientamento verso il mix pubblico-privato ma denota anche un maggior protagonismo di realtà commerciali, come ad esempio società di capitali ed ordini professionali.

Il trend appena definito viene confermato anche prendendo in considerazione i soggetti che assumono la gestione delle iniziative di rigenerazione urbana (Tabella 9).

Tabella 9. I soggetti gestori delle iniziative di rigenerazione urbana. (*) Incluse le cooperative sociali.

Soggetto gestore

Cluster degli interventi sostenibili

Cluster degli interventi sociali

Cluster degli interventi di business

Cooperativa (*)

18,2

12,5

10,0

Impresa sociale

0,0

8,3

5,0

Associazione

36,4

25,0

25,0

Organismo pastorale

0,0

4,2

0,0

Fondazione

9,1

8,3

10,0

Impresa di comunità

0,0

4,2

5,0

Pubblica Amministrazione

0,0

4,2

10,0

Enti pubblici

0,0

8,3

10,0

Società di capitali

9,1

0,0

15,0

Consorzio

9,1

8,3

5,0

Società consortile

0,0

4,2

0,0

ATI

18,2

8,3

0,0

ATS

0,0

4,2

0,0

Azienda agricola

0,0

0,0

5,0

Tot.

100,0

100,0

100,0


Il cluster degli interventi sostenibili è caratterizzato da un ruolo delle organizzazioni appartenenti al terzo settore (63,7%) e da una quota significativa attribuibile a soggetti neo-costituiti (ATI). Il cluster degli interventi sociali presenta, invece, una maggiore eterogeneità. Le organizzazioni del terzo settore restano, in termini aggregati, i principali gestori dei processi di rigenerazione urbana (62,5%), anche con la presenza di nuovi attori, come nel caso delle imprese di comunità. Un ruolo di rilievo viene ricoperto dai soggetti pubblici mentre le aggregazioni tendono ad assumere una varietà più elevata. Infine, nel cluster degli interventi di business, accanto alla funzione di gestione svolta dalle associazioni e dai soggetti pubblici, diminuisce il protagonismo delle cooperative mentre diventa rilevante quello delle società di capitali.

Infine, vi è la fase di partecipazione che si presenta complessa da esaminare poiché può essere intesa sia come naturale prosecuzione della gestione, sia come possibilità che ha la comunità di vivere e animare lo spazio rigenerato (Tabella 10). A tal fine, vengono proposte tre differenti categorie concettuali in grado di rappresentare: la fruizione diretta dello spazio e della sperimentazione, come cliente o come cittadino attivo (rapporto di utenza); la partecipazione in qualità di socio o associato, con possibilità di essere consultati, avanzare proposte, votare iniziative ed apportare finanziamenti (rapporto associativo); la possibilità dei cittadini di diventare amministratori delle attività derivanti dai processi di rigenerazione urbana, come nel caso delle imprese di comunità, degli orti collettivi, delle comunità che occupano siti industriali e si auto-regolano, dei membri che partecipano agli esperimenti di albergo diffuso (rapporto di gestione).

Tabella 10. Le modalità di partecipazione delle comunità locali.

Modalità di partecipazione

Cluster degli interventi sostenibili

Cluster degli interventi sociali

Cluster degli interventi di business

Rapporto di utenza

54,5

54,2

60,0

Rapporto associativo

36,4

37,5

35,0

Rapporto di gestione

9,1

8,3

5,0

Tot.

100,0

100,0

100,0


Le tipologie di rapporto che contraddistinguono gli interventi presenti nei tre cluster non presentano sostanziali differenze. La partecipazione viene intesa prevalentemente come rapporto di utenza, ovvero di fruizione semplice e diretta delle aree che vengono rigenerate. La possibilità di diventare soci nella gestione di tali iniziative, e quindi di essere chiamati a valutare proposte e finanziare l’iniziativa, assume una posizione secondaria mentre appare ancora difficoltoso da intraprendere il percorso che conduce i cittadini ad essere protagonisti esclusivi di simili esperienze.

Conclusioni ed indicazioni di policy

Il lavoro di ricerca svolto da un lato ha messo in evidenza il significativo ruolo dalle imprese sociali e dalle organizzazioni del terzo settore nella promozione e nella gestione delle iniziative di rigenerazione urbana e dall’altro lato ha fatto emergere alcuni elementi chiave ed aspetti critici che possono determinare l’esito dei processi di rigenerazione.

In primo luogo, la centralità del territorio. La promozione dei processi di rigenerazione passa dalla conoscenza e dall’attivazione delle risorse e degli attori locali che possono essere rafforzate con il supporto di competenze, risorse e progettualità esterne che, però, non devono sostituire le competenze, le risorse e le progettualità che il territorio è in grado di esprimere.

In secondo luogo, il valore strategico della collaborazione tra soggetti pubblici e attori privati. In diverse esperienze analizzate gli attori pubblici sono stati assenti sia nell’attivazione che nella gestione dei processi di rigenerazione. In questi casi alcuni soggetti privatispesso imprese sociali e organizzazioni di terzo settore, hanno svolto un’importante funzione di coordinamento e di attivazione della comunità. Questa attività ha prodotto risultati positivi, tuttavia, non può sostituire il supporto che gli attori pubblici possono dare ad un progetto di rigenerazione urbana che, per sua natura, richiede interventi multidimensionali che solo i soggetti pubblici possono assicurare. È in questa prospettiva che risulta strategica la collaborazione tra soggetti pubblici e organizzazioni private.

In terzo luogo, l’importanza dell’ascolto e del coinvolgimento della comunità locale. Nelle esperienze analizzate gli insuccessi e le problematicità incontrate nello sviluppo dei progetti di rigenerazione sono spesso dovuti all’incapacità di contestualizzare e radicare gli interventi nelle comunità locali attivando la partecipazione dei cittadini che vivono nella città o nel quartiere in cui l’intervento è localizzato. Il saper ascoltare e coinvolgere le comunità locali costituisce un fattore di successo. La partecipazione, tuttavia, è un’attività complessa e non è positiva in sé. Nei casi analizzati i processi partecipativi hanno funzionato nel momento in cui il coinvolgimento della comunità locale ha permesso di definire obiettivi e percorsi condivisi, risolvendo le complessità e le criticità legate ai percorsi di rigenerazione realizzati. In queste esperienze le imprese sociali e le organizzazioni di terzo settore hanno svolto un’utile funzione a supporto della partecipazione dei cittadini.

In quarto luogo, coniugare innovazione e memoria. Non ci può essere intervento di rigenerazione senza trasformazione. L’innovazione e la trasformazione, tuttavia, non devono essere fini a sé stessi ma devono essere funzionali al raggiungimento di obiettivi sociali, ambientali, urbanistici ed economici condivisi. Nei casi di successo studiati un elemento ricorrente è la capacità di valorizzate le storie e le architetture locali, la memoria dei luoghi e degli edifici mettendole in collegamento con le visioni future incorporate dal progetto di rigenerazione.

Infine, saper programmare. Spesso le iniziative di rigenerazione urbana nascono da intuizioni di un ristretto gruppo di persone o da processi di pianificazione aperti in grado di attivare un riuso degli spazi inteso in senso ampio, per poi trovarsi ad affrontare problemi di sostenibilità e continuità nel tempo. Per questo motivo, evitando forme di cristallizzazione dell’esperienza creativa, un ruolo positivo può essere svolto dagli attori pubblici (ad esempio comuni e regioni) che possano supportare lo sviluppo delle iniziative, anche in previsione di una loro sostenibilità nel medio lungo termine e di una loro replicabilità. La fase che precede l’avvio dei processi di rigenerazione è estremamente importante e può determinare l’esito di tutto il processo, per questa ragione deve essere adeguatamente programmata ed integrata con le traiettorie di sviluppo di medio lungo termine del territorio in cui l’intervento di rigenerazione sarà realizzato.

Per valorizzare il contributo che le imprese sociali e le organizzazioni di terzo settore possono apportare ai processi di rigenerazione urbana in termini di radicamento dell’intervento nel territorio, di coinvolgimento dei cittadini e di attivazione di risorse aggiuntive plurali (pubbliche, private e comunitarie) è necessario il pieno riconoscimento istituzionale di queste organizzazioni nei processi di rigenerazione urbana e l’adozione di procedure amministrative che ne riconoscano le specificità ed il valore aggiunto che possono apportare.

In questa prospettiva un importante banco di prova sarà l’applicazione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Nel PNRR un volume significativo di risorse è destinato alla realizzazione di interventi di rigenerazione urbana sia nelle città di dimensioni medio piccole che nelle aree metropolitane. Ad oggi nel piano c’è solo un vago richiamo alle organizzazioni di terzo settore che possono essere coinvolte nella coprogettazione di alcuni interventi di rigenerazione.

Se si vuole valorizzare il contributo delle imprese sociali e delle organizzazioni di terzo settore nell’attuazione del PNRR sarà importante:

  1. individuare in modo esplicito queste organizzazioni come soggetti che possono contribuire a ideare gli interventi di rigenerazione realizzati con le risorse del PNRR e gestire, nell’interesse generale della comunità e senza scopo di lucro, le attività economiche che verranno realizzate nei beni rigenerati utilizzando risorse pubbliche;
  2. individuare nella coprogrammazione e nella coprogettazione, disciplinate dal Codice del Terzo Settore, gli strumenti amministrativi ordinari per regolare i rapporti tra amministrazioni pubbliche ed organizzazioni di terzo settore nell’ambito degli interventi di rigenerazione realizzati con le risorse del PNRR.

DOI: 10.7425/IS.2021.03.01

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Note

  1. ^ «[…] una rilevante incognita consiste nella capacità di assorbimento del mercato, in quanto in molti casi i beni militari non sono i soli vuoti urbani da riempire: ex scali ferroviari, ospedali, mercati generali, macelli ed impianti energetici rappresentano altre tipologie di zone abbandonate. Questo implica che il rischio di una sovra-offerta edilizia sia molto probabile e quindi è elevata la possibilità che i beni messi all’asta non vengano venduti» (Gastaldi, Camerin, 2017 – p. 112).
  2. ^ «[…] Sul piano della rivitalizzazione economica dei quartieri è fondamentale accompagnare le azioni di riqualificazione degli edifici e degli spazi urbani con azioni di innesco per promuovere la nascita di nuove imprese, ad esempio attraverso la creazione di condizioni di vantaggio fiscale e contributivo, come è avvenuto nell’esperienza francese delle Zones Frances Urbaines» (Cafiero, 2013 – p. 52).
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