Vi sono chiari segni che l’innovazione costituisca una dimensione emergente, di cui già oggi riusciamo a cogliere l’importanza. Negli ultimi decenni abbiamo vissuto le trasformazioni più profonde e rapide della storia umana con l’avvento in tutti i campi di tecnologie impensabili un secolo fa, e una crescita demografica senza precedenti che ha portato l’umanità in un tempo relativamente breve nell’era dell’interdipendenza – se non altro per la limitata disponibilità di risorse naturali vitali in un mondo di oltre 7,8 miliardi di esseri umani, ognuno dei quali in media consuma e inquina più di ciascuno dei 2,4 miliardi che eravamo alla fine della seconda guerra mondiale. Ma i cambiamenti che ci aspettano per il futuro potrebbero essere ancora più rapidi, intensi e radicali. Non solo perché ci vorranno meno di 15 anni per aggiungere un altro miliardo di abitanti alla popolazione mondiale e per l’emergenza climatica, ma perché è in corso la seconda rivoluzione digitale con l’avvento dell’intelligenza artificiale (IA) e perché il dinamismo dell’innovazione sociale non è mai stato così forte, grazie ad un numero crescente di attori che stanno operando e investendo in questo ambito e agli strumenti informatici disponibili, la cui potenza aumenta di anno in anno.
L’accelerazione e l’ascesa dell’IA trasformerà le società di tutto il mondo ancor più di quanto in passato hanno fatto la rivoluzioni industriale, energetica e digitale messe insieme; in che misura ciò porterà a conseguenze positive o negative, lo vedremo nel corso del tempo. Non ultimo, il ruolo svolto dalle tecnologie digitali nella gestione della pandemia da Covid-19 – di cui il telelavoro e le teleconferenze sono solo l’aspetto più visibile – ha costituito un ulteriore elemento di accelerazione.
L’impresa sociale, e con essa gli altri attori dell’Economia Sociale e Solidale (ESS), non possono non essere in prima linea nel guidare questi cambiamenti. Non solo perché restare indietro ridurrebbe lo spazio occupato dall’ESS in un momento in cui, al contrario, deve crescere, ma poiché sono troppo grandi i rischi per le nostre società insiti nell’ultra-digitalizzazione in atto affinché le imprese sociali e il movimento ESS lascino alle logiche di mercato il campo libero per strutturare il nuovo cyberspazio che sarà onnipresente.
L’innovazione sociale è nel DNA dell’ESS. Dalle nuove forme di investimento comune delle tontine africane alla Grameen Bank in Asia, dal terzo settore nato negli USA alle cooperative in Europa, dall’economia popolare in America Latina alle mutue sanitarie e assicurative della International Association of Mutual Benefit Societies (AIM) che fornisce una copertura sanitaria a 240 milioni di persone, l’Economia Sociale e Solidale affonda le sue radici in tutte le culture e tutti i continenti, a partire dall’esigenza di rispondere a bisogni non soddisfatti dal mercato e dallo Stato, o dalla visione umanistica di imprenditori che pongono il benessere e il bene comune al di sopra dei ritorni sugli investimenti.
Le tecnologie digitali non portano solo alla robotizzazione di molte attività, all’utilizzo di droni per le consegne, alla realtà virtuale, alla telemedicina, all’internet delle cose, ai controlli di riconoscimento facciale, ai veicoli senza conducente o ai pagamenti biometrici che rivoluzioneranno i nostri stili di vita ben prima della metà del secolo. Stanno già scuotendo molte abitudini, ponendo all’ESS al tempo stesso sfide e opportunità.
Già oggi vi sono casi eccellenti in cui l’economia sociale diventa protagonista dei cambiamenti guidati dalla tecnologia digitale.
Tra i grandi successi internazionali, l’azienda Terracycle, nata dalla sfida lanciata da uno studente della Princeton University negli Stati Uniti per eliminare la nozione stessa di rifiuto, ha sfruttato al meglio il potere delle piattaforme digitali per mobilitare milioni di cittadini e riciclare tutti gli oggetti, compresi i più difficili da reinserire nei circuiti produttivi, fino alla plastica degli spazzolini o delle penne usati, ai guanti di fabbrica e ai tubetti di dentifricio che danno vita a tavoli da soggiorno, da ping-pong o da picnic, annaffiatoi e contenitori per giardini, riuscendo persino a ricavare posaceneri dai mozziconi di sigaretta. Quello di Terracycle è un esempio di ESS che contribuisce allo sviluppo dell’economia circolare e della transizione ecologica, e che al tempo stesso propone anche un diverso concetto di filantropia: Terracycle è stata in grado di creare partnership reciprocamente vantaggiose con marchi importanti come Shell, Carrefour, Nivéa, Nestlé, Burger-King e molti altri, creando al tempo stesso vaste reti partecipative di cittadini impegnati. Ora Terracycle è presente in 21 Paesi, riunisce più di 200 milioni di riciclatori, vanta 7,7 miliardi di rifiuti riciclati e 44 milioni di dollari in donazioni ad associazioni designate dai suoi membri. Oggi la fondazione cui ha dato vita sta aiutando l’India a fare buon uso dei sacchetti di plastica che invadono la natura e la Thailandia a eliminare la plastica dai suoi fiumi.
Un altro successo in America è l’associazione no profit Groundswell che unisce famiglie in un processo di consumo responsabile sostenendo le imprese locali e puntando a ridurre la loro impronta ecologica. Praticando acquisti collettivi di servizi energetici e dotando le abitazioni di accesso condiviso alle fonti selezionate di elettricità, ha già permesso a 4.000 famiglie in 6 Stati di ridurre le proprie spese per l’energia di quasi 2 milioni di dollari e ottenere una riduzione delle emissioni di gas serra equivalenti a togliere dalla strada 27.500 auto per un anno.
Nello stesso spirito di crescente solidarietà si sta diffondendo all’interno delle università in vari Paesi l’iniziativa Swipes for the homeless attraverso la quale, grazie a una piattaforma digitale, gli studenti possono aiutare chi ha difficoltà economiche regalando un pasto. Oltre 2,5 milioni di pasti sono stati distribuiti in circa 140 università. Grazie alla tecnologia digitale nascono nuove alleanze, ad esempio tra studenti e imprese sociali o organizzazioni dell’ESS, e talvolta direttamente con i cittadini. Pertanto, sorgono innovazioni sociali chiamate compreneurship (contrazione de termini community ed entrepreneurship) in cui gli studenti uniscono le loro competenze per aiutare a risolvere problemi sociali. In Germania, un’alleanza tra studenti di giornalismo e vari imprenditori ha permesso di lanciare un giornale di strada venduto da persone senzatetto e persone con disabilità, generando un fatturato di oltre 150.000 euro. In Marocco, una quarantina di studenti della Hassania School of Public Works, rilevando che le aziende dell’ESS hanno bisogno di essere più visibili e più agili nel campo della comunicazione per svilupparsi e potersi finanziare, hanno creato un club di consulenza per aiutare le nuove imprese a decollare, fornendo loro un sito web e supportandoli nel rafforzare la propria presenza sui social network. Oggi assistiamo a una rapida diffusione internazionale di queste iniziative.
Pertanto, l’innovazione tecnologica può essere al servizio dell’innovazione sociale, in particolare attraverso la capacità di collegare migliaia o addirittura milioni di individui con un centro di iniziative che fornisce beni o servizi, e anche, se si dispone di algoritmi opportunamente progettati, attraverso la possibilità per chiunque di vagliare “il mercato” per trovare ciò che gli si addice. In molti Paesi, alcune associazioni di consumatori forniscono già strumenti online per scegliere un’assicurazione sanitaria o i migliori servizi a domicilio e coinvolgono persino gli utenti in un sistema di rating.
Inoltre la tecnologia facilita l’instaurazione di circuiti di credito solidale, dal livello locale a quello regionale (come il sistema Sardex in Sardegna, che consente il commercio all’interno di una rete nel rispetto di un codice etico comune), quindi la creazione di monete “alternative” a livello locale e non-speculative. Sempre attraverso le tecnologie sono nati modelli di banca del tempo in cui viene applicato il principio democratico “un’ora contro un’ora”, indipendentemente dalle rispettive competenze, come avviene a livello locale nelle “accorderie” nate in Canada, ma che ora includono anche servizi scambiabili a livello planetario laddove vi è la possibilità di offrire e ricevere un aiuto tramite collegamento video (corsi di lingua, telemedicina, consulenza legale, servizi informatici, ecc.). L’ESS si vanta spesso delle sue radici locali, ma le tecnologie aprono anche le porte ad una nuova globalizzazione che potrà essere positiva o cadere a sua volta nella trappola di finire per amplificare le disuguaglianze piuttosto che ridurle.
A fronte delle iniziative nate dal basso, le maggiori istituzioni internazionali – come fanno i governi, che intraprendono programmi di incentivazione e sostegno all’innovazione sia tecnologica che sociale per non restare indietro nella competizione internazionale – stanno mettendo a punto da diversi anni strumenti di sostegno coerenti con l’obiettivo dell’Agenda 2030 adottata da tutti i governi nel settembre 2015 di “non lasciare indietro nessuno”.
Così, all’ONU, l’Office of Project Services (UNOPS) ha lanciato una “sfida dell’innovazione globale” intorno alla necessità di progettare infrastrutture resilienti in relazione al cambiamento climatico. Le startup selezionate beneficiano di un passaggio attraverso il programma di accelerazione dell’innovazione della Lund University in Svezia o quello intensivo di Kobe in Giappone, oltre ad essere supportate da un incubatore di uno dei centri di innovazione internazionali implementati da UNOPS.
Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), la più grande fonte mondiale di assistenza tecnica, ha costruito una rete di 91 centri di accelerazione dell’innovazione al servizio di 116 Paesi in via di sviluppo, in gran parte focalizzati su emergenza climatica, inquinamento atmosferico e gestione dei rifiuti. Inoltre, l’UNDP sfrutta la sua presenza in tutti i Paesi in via di sviluppo per far circolare esempi di problemi risolti dagli utenti stessi grazie all’ingegno delle popolazioni locali. È infatti dimostrato che le innovazioni realizzate dagli utenti hanno mediamente risultati migliori in termini di qualità, fattibilità e riproducibilità, nonché di impatto sociale, rispetto a quelle progettate da esperti esterni.
Se l’innovazione sociale che si basa sui progressi tecnologici vanta grandi successi, non è mai immune da rischi. Questo è un dilemma dell’economia condivisa o collaborativa che, crescendo, a volte fatica a mantenere gli obiettivi di miglioramento sociale che ne hanno ispirato la nascita.
Consentire a persone qualificate che dispongono di tempo di lavorare a cottimo e di decidere in autonomia il proprio orario di lavoro, facilitare la commercializzazione di beni inutilizzati o la valorizzazione di capacità professionali non sfruttate, rendere accessibili beni e servizi che determinate categorie sociali non avrebbero potuto comprare, fare uso collettivo di utensili all’interno di un quartiere, scambiare oggetti o servizi, creare rapporti o generare dinamiche sociali: molte innovazioni sociali vengono facilitate da piattaforme digitali spesso avviate in uno spirito di ESS o attraverso una struttura ESS e fanno ormai parte delle nostre vite. Ma hanno raggiunto i loro obiettivi in questo modo?
Uber doveva fornire lavoro a disoccupati che possiedono un veicolo, reddito aggiuntivo a persone che ne hanno bisogno, e rendere i viaggi in auto con autista più accessibili agli utenti dal punto di vista finanziario, creando così una congiunzione di interessi all’interno di un quadro reso flessibile attraverso l’IT. Blablacar doveva consentire a chi compie un lungo viaggio con posti liberi in macchina di aiutare chi desidera intraprendere lo stesso percorso e stimolare la convivialità. L’ambizione di Airbnb era quella di facilitare la reciproca messa a disposizione di spazi per l’ospitalità e rendere i viaggi accessibili a tutte le tasche. A che punto siamo qualche anno dopo?
Nel tentativo di crescere, le piattaforme digitali hanno introdotto pratiche manageriali che a volte hanno cambiato la natura del loro progetto. Al fine di creare fiducia ed evitare vari rischi e abusi in un sistema meno controllato rispetto ai taxi convenzionali, agli utenti di Uber è stato chiesto di valutare gli autisti; e subito dopo, agli autisti è stato chiesto di valutare i clienti (a loro insaputa). Quindi, per incoraggiare i conducenti senza obbligo di servizio a rendersi disponibili nelle ore di punta quando impiegano più tempo per effettuare lo stesso viaggio rispetto alle ore non di punta, i responsabili della piattaforma hanno adeguato i prezzi a seconda delle circostanze, modificando però la natura del progetto. In Blablacar, dove era consuetudine partecipare ai costi della benzina, sono state introdotte delle tariffe e il comportamento di molti utenti è passato dall’opportunità di conoscersi e stringere legami ad un atteggiamento di cliente che, cosciente di aver pagato un servizio, sale in macchina con le cuffie in testa e gli occhi inchiodati al computer o al portatile senza scambiare più di due frasi con l’autista per tre ore in viaggio. Le tariffe di Airbnb hanno iniziato a fluttuare con il numero di grandi eventi in città e agli utenti è stato chiesto quale sarebbe stato il loro grado di flessibilità nel fissare i prezzi. La “fissazione dinamica dei prezzi” è diventata gradualmente la norma, senza alcuna consultazione con i fornitori di servizi poiché molte piattaforme di servizi hanno un monopolio esorbitante non solo sulla selezione dei fornitori di servizi e dei clienti, ma anche sui prezzi poiché né i fornitori né i clienti hanno informazioni sufficienti per valutare cosa sarebbe equo. Realizzando quella che si può definire un’industria della reputazione, si sono ripristinati i difetti dell’economia della concorrenza a tutti i livelli e si è ritornati a trattare i rapporti sociali che si volevano migliorare come semplici scambi di mercato. Le modalità di finanziamento di molte piattaforme evolvono con il loro successo, passando talvolta da una logica di mutualizzazione con i fornitori di servizi ad una logica di contratto. Per di più, nel mondo digitale, essendo il rapporto di ciascun fornitore di servizi con il centro di comando della piattaforma senza contatto con gli altri, si è spesso ricreato una sorta di proletariato digitale la cui precarietà è di fatto sfruttata.
Ciò dovrebbe portare le imprese sociali e i vari attori dell’ESS a interrogarsi sulle forme da dare alle imprese del futuro che saranno dotate di una superiore efficienza tecnica, per evitare o limitare il rischio di deriva. Essendo le piattaforme digitali un modello di business emergente, non dovrebbero essere strutturalmente conformi ai principi dell’ESS e dotate di meccanismi che garantiscano che la gestione rimane fedele ad essi? Possiamo considerare le tecnologie come semplici strumenti, quindi socialmente ed ecologicamente neutri? È sufficiente assicurarsi che le piattaforme siano di proprietà dei fornitori di servizi o beni che riuniscono per impedire loro di operare le manipolazioni di cui si fatto cenno sopra?
Uno dei casi più citati dai ricercatori e teorici dell’ESS – che negli anni Dieci lo consideravano un modello alternativo alle insidie dell’economia dei lavoretti (nota come gig economy) –, la piattaforma di servizi locali Loconomics, creata in California circa dieci anni fa nella forma di classica società for profit, aveva deciso nel 2014, una volta raggiunta una base sufficiente per stare in piedi da sola, di trasformarsi in una vera e propria cooperativa appartenente interamente ai fornitori di servizi. Focalizzata sui fornitori piuttosto che sui clienti e sugli investitori come fanno generalmente le piattaforme digitali, si era posta tra i suoi obiettivi a lungo termine la sfida di ridurre le disparità salariali, in particolare eliminando totalmente gli intermediari. Volendo sperimentare un modello in linea con le caratteristiche dell’ESS, Loconomics si è finanziata facendo pagare un abbonamento ai professionisti piuttosto che prendere una commissione sul reddito, dando loro in cambio l’accesso a vari servizi come strumenti di pianificazione, software di gestione, formazioni adatte ai loro bisogni, ecc. Ha inoltre stabilito la parità tra tutti i membri del suo consiglio di amministrazione.
Tuttavia, sei anni dopo, nel 2020, è stata costretta a cessare l’attività, inciampando in uno dei principali ostacoli attuali per le startup innovative: finanziare il proprio sviluppo per cambiare scala. C’è infatti un momento critico per ogni nuova azienda tra la fase iniziale in cui viene costituita e in cui quindi inizia a sperimentare la propria operatività e quando giunge a regime. La prima fase è spesso finanziata dai fondatori, dal loro entourage, da finanziamenti partecipativi e talvolta da sovvenzioni. La terza fase, che mira a consolidare e aumentare la propria posizione nei mercati, è finanziata principalmente da fondi di venture capital e da fondi di sviluppo. Questo serve agli investitori per garantire la sicurezza del loro portafoglio di fronte alle incertezze speculative, motivo per cui tali finanziatori capitalizzano società redditizie a lungo termine, anche se la percentuale di guadagno non è enorme. Le somme in gioco possono in questa fase essere notevoli, come per il produttore francese di software Mirakl, creato nel 2012 che ha raccolto 300 milioni di euro per accelerare il suo sviluppo internazionale. Tra le due fasi, c’è la fase critica del decollo, quella durante la quale l’azienda che ha iniziato a testare con successo il proprio mercato deve dimostrare di essere redditizia nel lungo periodo. Le liquidità da mobilitare nei Paesi ricchi sono mediamente in un range da 200.000 a 600.000 euro, ma questi sono i più difficili da ottenere perché l’ecosistema di finanziamento è raramente adatto alle startup innovative sociali o dell’ESS. Il crowdfunding raramente raggiunge questi livelli; i fondi di aiuto istituiti dalle grandi società dell’ESS sono focalizzati su investimenti molto più elevati o riservati ad attività più tradizionali come i servizi alla persona o a settori di attività in linea con la vocazione del finanziatore; i fondi governativi sono legati anche loro ad attività tradizionali oppure riservati a innovazioni scientifiche che sono appannaggio del mondo accademico o di imprese prettamente tecniche; e gli investitori di capitale di rischio stanno essenzialmente cercando in questa fase non una crescita ragionevole, ma “unicorni”, cioè rendimenti esponenziali sugli investimenti. Le startup sane dell’ESS si trovano quindi di fronte al paradosso che è proprio la loro vocazione ad aumentare il benessere e il bene comune invece del profitto che le mette in condizione di svantaggio nella raccolta fondi.
Per chi si occupa di ESS, così come per le autorità pubbliche, c’è da avviare un progetto urgente. Bisogna modernizzare i criteri di accesso ai fondi esistenti e dotare gli ecosistemi di finanziamento di nuovi meccanismi adatti alle startup innovative che fanno parte dell’ESS, in modo che il maggior numero di loro possa partecipare alle trasformazioni radicali in arrivo e tradurle in progresso sociale e ambientale e in maggiore coesione sociale.
A tal proposito, vi sono due interessanti iniziative in Quebec.
Avviato nel 1997 dal Chantier de l’Économie Social du Québec e da investitori, il Réseau d’Investissement Social du Québec (RISQ) è il primo fondo di venture capital senza scopo di lucro. Coprendo le esigenze specifiche della fase di pre-avvio di un’impresa, della fase di espansione (decollo) o di quella di consolidamento e sviluppo, ha sostenuto centinaia di imprese innovative con contributi che vanno da $ 20.000 a $ 150.000 e ha contribuito a creare e preservare migliaia di posti di lavoro. Va notato che una delle chiavi del suo successo è che il fondo sostiene le imprese dell’economia sociale che finanzia anche con consulenze personalizzate e formazioni su misura.
La seconda iniziativa è la recente creazione di “The Amplifier” (L’Ampli) da parte dell’associazione Territoires innovants en ESS e del Chantier de l’Economie Sociale. L’Ampli fornisce strumenti adeguati alle esigenze e al livello di conoscenza di ciascuna azienda per facilitare l’accesso alla finanza partecipata che si sta sviluppando grazie alle piattaforme digitali accanto alle fonti esistenti di finanziamento solidale.
È importante ampliare la gamma di opzioni, visto che ciascuna singola fonte, per quanto importante, è limitata. Pensiamo a Banca Etica, nata in Italia nel 1999, che conosce bene l’ESS dall’interno, e segue la crescita dei progetti che sostiene. Oggi la Banca conta 44.000 membri e più di 95.000 clienti. Il suo capitale sociale supera i 73 milioni di euro. Raccoglie risparmi per un importo complessivo di oltre 1,5 miliardi e concede prestiti per oltre un miliardo. Il suo tasso di sofferenza (prestiti non pagati) è dello 0,64% contro una media nazionale dell’1,61%. Ha creato una società di gestione (Etica SGR), l’unica in Italia a promuovere esclusivamente fondi comuni di investimento i cui titoli sono selezionati secondo criteri relativi alla responsabilità della loro governance nonché all’impatto sociale e ambientale degli emittenti. Consapevole che il tema è culturale prima ancora che economico e finanziario, la banca ha anche creato la Fondazione Finanza Etica al fine di promuovere una cultura civica attiva e responsabile nel settore finanziario. Va notato, per inciso, che Banca Etica è andata oltre i confini italiani per collaborare in Spagna con la Fondazione Fiare, creata alcuni anni fa per incoraggiare i cittadini a utilizzare i propri risparmi in modo più responsabile. L’elemento vincente di questo progetto è stato la scelta di fondere in un’unica organizzazione due patrimoni che erano stati costruiti attraverso campagne volte a creare una cultura della finanza etica in Italia e in Spagna, dando così respiro e forza ad una visione che trascende i confini e crea relazioni tra persone e organizzazioni che si riconoscono nei valori della finanza etica. Così, oggi in Spagna esiste una struttura operativa la cui vocazione unica è quella di offrire prodotti e servizi di finanza etica, e una fondazione gemella della fondazione italiana: la Fundación Finanzas Eticas.
Senza un aggiornamento del sistema di finanziamento delle innovazioni sociali e tecnologiche guidate dall’ESS proporzionale all’aumento in corso di investimenti privati e pubblici nella corsa all’IA e alla digitalizzazione a tutto campo (la Cina impegna 20 miliardi di dollari all’anno fino al 2025, poi triplicherà la sua spesa annuale per colmare il suo ritardo sugli USA), molte delle potenziali iniziative in atto non arriveranno a consolidarsi.
Attualmente, invece di riconoscere l’interdipendenza di fatto tra le popolazioni della Terra, la corsa all’IA, dalla quale presto dipenderanno tutte le attività economiche, è guidata da una logica di potere e denaro, con Cina e USA in pole position da quando rappresentano da soli i 4/5 dei budget di ricerca del pianeta (l’Europa è solo il 7%). In pista i cavalli si chiamano rispettivamente Tencent, Alibaba, Huawei, Baidu e Xiaomi da un lato e Google, Apple, Facebook, Amazon, IBM e Microsoft dall’altro. Non possiamo davvero organizzarci per scommettere su qualche outsider dell’ESS?
Un sogno? Non necessariamente, se siamo consapevoli di ciò che è possibile e delle nostre responsabilità. Certo, a volte ci vogliono un sacco di soldi, ma non dimentichiamo che grandi successi come Facebook (che sfiora i 3 miliardi di utenti) sono iniziati con alcuni geek riuniti su un angolo di tavolo in cucina. Nei suoi interstizi, il digitale lascia ancora spazio alla fortuna e al lavoro. Dobbiamo imparare dall’esperienza Linux e simili. Quando verrà lanciato un Instagram ESS? È possibile costruire un internet della solidarietà? Se si ha la capacità di rendere le cose accessibili e attraenti, le iniziative partecipative e di condivisione possono acquisire una portata inaspettata. In termini di vita quotidiana, le iniziative di ESS già si stanno moltiplicando in molti quartieri a tutte le latitudini e fusi orari. In un mondo interdipendente in cui lasciare indietro milioni di persone diventa un monumentale errore di gestione, per cui diventa urgente chiedersi in che misura possiamo ancora privatizzare e mercificare la conoscenza invece di strutturarne sistematicamente la diffusione e la condivisione? Di fronte alla confisca mercantile della scienza, il software libero e la scienza 2.0 si stanno sviluppando, facendo uso di tecnologie di rete per fornire libero accesso ai prodotti della ricerca scientifica che vari istituti e individui retti e lungimiranti stanno cercando contro ogni previsione di rimuovere dai mercati.
Anche il mondo della cultura ha tutto da guadagnare. Nell’area francofona, la piattaforma di streaming di musica e narrazione per bambini munki ha dimostrato che non è necessario arrendersi di fronte agli schiacciasassi delle industrie digitali. La gestione operata dalle piattaforme generaliste della smaterializzazione della musica con l’avvento dello streaming ha devastato questo settore artistico confiscando la maggior parte dei profitti dell’intera industria musicale (in tutti i generi musicali e per tutti i pubblici) a vantaggio proprio e di un pugno di star, a discapito della maggioranza dei talenti condannati a spartirsi solo le briciole dei profitti di vendita. Creata in uno spirito ESS, la piattaforma di lingua francese “munki” ha sviluppato soluzioni innovative che rispondono a ciascuna delle questioni del settore: un modello economico specifico, fattibile ed equo, che fornisce agli artisti una remunerazione 350 volte maggiore rispetto a quella delle piattaforme digitali generali con soluzioni adattate per l’editoria e la distribuzione digitale, compreso il primo servizio di streaming audio dedicato per il pubblico giovane e un formato sostitutivo per i CD nei CD-libri. A differenza delle piattaforme generaliste, il sistema “munki” distribuisce le entrate secondo l’ascolto effettivo di ciascun abbonato in relazione alla sua ragione di pagamento, si svincola dagli intermediari di distribuzione, tutela i piccoli produttori e rispetta una tassazione equa con l’IVA pagata dove si ascolta e non in un paradiso fiscale. Ha anche il merito di sensibilizzare i bambini alla cultura in un ambiente non soggetto a pubblicità. Resta da rimuovere alcuni ostacoli al perfezionamento del modello, tra cui, come spiegato sopra, l’accesso a finanziamenti adeguati per cambiare di scala; e sta ai governi fare la loro parte.
C’è poco tempo per l’ESS per prendere il suo posto nei processi che guidano l’innovazione. In questo ambito si registrano solo accelerazioni, anche se talvolta sarebbe opportuno, viste le possibili esternalità non solo positive, applicare il principio di precauzione.
Ma qual è la situazione dell’economia sociale sul fronte dell’innovazione?
Se guardiamo alla realtà, va riconosciuto che, anche se computer e smartphone sono diventati molto diffusi, c’è ancora molto da fare ovunque per aggiornare il livello tecnologico di molte imprese sociali e dell’ESS che operano ancora con strumenti obsoleti. Non si tratta di sostituire gli assistenti sociali o gli assistenti domiciliari con dei robot, ma di automatizzare determinate attività per risparmiare tempo e guadagnare in efficienza, di migliorare ciò che viene gestito, di servire meglio una comunità più ampia, di accedere a nuove fonti di finanziamento quali il crowdfunding. Si tratta anche di mettere le aziende dell’ESS in sintonia di linguaggio con la moderna filantropia che spesso ragiona in termini di indicatori di performance dove le organizzazioni dell’ESS tendono a parlare in termini di giustizia sociale, equità e bene comune.
C’è una riluttanza alla digitalizzazione legata alle abitudini, alla vocazione di certe imprese sociali, e alla mancanza di competenze o risorse. È quindi importante che vi siano soggetti che investano sull’innovazione dell’ESS. In Francia, AG2R La Mondiale, che fornisce protezione sociale a 15 milioni di individui e 500.000 aziende nei settori della salute, della previdenza, del risparmio, della pensione e dell’assistenza a lungo termine, ha creato DigitESS per accompagnare le aziende dell’ESS nella loro transizione digitale. Dopo avere delineato il quadro della situazione, DigitESS le mette in contatto con strutture esperte e cofinanzia azioni di formazione che riducono i costi, a condizione però che le attività di queste aziende dell’ESS siano in linea con i temi di interesse per AG2R La Mondiale, ovvero invecchiare bene, sviluppare i beni comuni e il lavoro.
In Europa, il Social Good Accelerator (SOGA) creato nel 2017 ha una visione più ampia poiché supporta aziende, enti pubblici e investitori che sono nell’innovazione sociale senza escludere chi si occupa di innovazione tecnologica, spingendo questi ultimi ad orientarsi verso l’inclusione, i beni comuni e il benessere collettivo. Il suo slogan: “Più tech nel sociale e più attenzione al sociale nel tech”. SOGA ha recentemente condotto un sondaggio per conoscere le esigenze dell’ESS e il suo possibile contributo alle strategie dell’Unione europea sul Big Data e sull’IA.
Ci sono ancora alcune porte da sfondare perché non si apriranno da sole. Stati e istituzioni internazionali che hanno permesso alle aziende dell’economia digitale (tra cui i grandi soggetti dell’economia digitale come Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft e altri) di svilupparsi al punto di superare in solidità finanziaria i budget di diversi Paesi OCSE e avere un’influenza che consente loro a volte di “dettare legge”, affrontano ora la questione dell’adozione di un quadro giuridico per regolamentare pratiche che prendono piede in tutti gli ambiti della vita, compresi quelli relativi alla sicurezza.
Nell’aprile 2021, l’Unione Europea ha presentato una prima proposta di regolamento sull’IA. Prendere in considerazione contemporaneamente questioni industriali ed etiche non è facile e sarebbe bene che l’ESS, con la sua capacità di combinare questi due aspetti, portasse al dibattito le riflessioni della sua esperienza unica. La Commissione Europea desidera creare un mercato unico dei dati, facilitandone la circolazione tra i Paesi dell’Unione, rispettando la vita privata e non mettendo a repentaglio la libera concorrenza. Una quadratura del cerchio che non ha risolto con il General Data Protection Regulation. Peggio: richiedendo ai siti web di chiedere il permesso degli utenti per inserire dei cookies nei loro computer per evitare gli inconvenienti dovuti alla vaghezza giuridica del passato, i legislatori europei hanno di fatto portato molti utenti ad accettare formalmente la cessione dei loro dati perché la legislazione ha cercato di favorire i fornitori di servizi piuttosto che proteggere la privacy dei cittadini.
I dati sono il petrolio del XXI secolo. Necessitano di essere raccolti in numero considerevole per sviluppare algoritmi di IA, ma quelli che riguardano il comportamento di ogni individuo sono la base usata da molte piattaforme digitali per farsi finanziare dalla pubblicità. Se l’ESS non ha specificità per affrontare le questioni relative alla sicurezza informatica, ai rischi legati alla criminalità, al ransomware o alla manipolazione dell’informazione che indebolisce la democrazia, rischia di non avere voce in capitolo nell’orientare l’innovazione verso il bene comune, l’inclusione, la prosperità della comunità, l’etica degli affari, il benessere e il buon vivere. Di fronte alla proliferazione delle criptovalute, oggetto di speculazione senza precedenti e che rischiano di fare perdere ogni significato antropologico al denaro come mezzo di scambio e al valore stesso del lavoro, l’ESS che ha una lunga esperienza con le valute locali e alternative, da Sardex a Céréal, Gonette a Lione o Leman a Ginevra, e con le banche del tempo, deve essere un partner importante nella ricerca di una regolamentazione equa ed efficiente.
È possibile che l’impresa sociale e gli altri attori dell’ESS moltiplichino la loro produttività grazie alle innovazioni tecnologiche in arrivo, o al contrario che vedano crollare il loro progetto di una società dove l’economia è al servizio della prosperità condivisa. I venti della storia sono rilevabili, ma la storia non è mai scritta in anticipo. Un futuro positivo rimane possibile, se si opera in tempo per costruirlo.
DOI: 10.7425/IS.2022.01.11
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