Oltre 30 Paesi hanno adottato, o sono in procinto di adottare, una legislazione sull’Economia Sociale e Solidale (ESS), rispetto al cui sviluppo centinaia di amministrazioni pubbliche, in tutti i continenti, hanno implementato politiche e programmi. Questo documento – risalente a gennaio 2018, ma con alcuni aggiornamenti di novembre 2021 – presenta una breve panoramica delle fasi che hanno condotto a questi risultati, nonché alcuni elementi chiave del processo che porta all’adozione di leggi e politiche. In una terza sezione sono proposti alcuni esempi di interventi legislativi. L’articolo si basa sulle informazioni contenute nel sito socioeco.org, limitandosi a legislazioni e politiche pubbliche sull’economia sociale, economia solidale o Economia Sociale e Solidale; non copre la legislazione specifica in materia di cooperative e mutue, microfinanza, commercio equo e solidale o sviluppo economico locale.
DOI: 10.7425/IS.2022.01.04
Le radici di ciò che oggi chiamiamo Economia Sociale e Solidale (ESS – Social and Solidarity Economy, SSE) risalgono ai tempi antichi poiché le comunità si sono sempre organizzate per soddisfare i bisogni collettivi. Gli antenati diretti dell’odierna ESS affondano le radici nella storia europea: la Rochdale Equitable Pioneers Society nel Regno Unito (1844) è considerata a tutti gli effetti come la prima cooperativa; in Germania, Friedrich Wilhelm Raiffeisen istituì una prima unione di credito nel 1864, mentre nello stesso periodo, in Francia, l’economia sociale divenne un movimento capace di includere cooperative, mutue assicurative e fondazioni, accomunate dall’intento di aiutare le persone.
In tempi più recenti, approssimativamente negli anni ‘70 e nei primi anni ‘80, quando la globalizzazione ha portato alla deregolamentazione del commercio e delle finanze, alla delocalizzazione del lavoro e alle varie crisi economiche, persone in tutto il mondo hanno risposto alla crisi creando attività economiche basate sulla solidarietà e sulla risposta a bisogni umani. Cominciò anche a crescere la consapevolezza che il nostro modello di sviluppo fondato sull’estrazione e sul consumo eccessivo di risorse naturali non è sostenibile se vogliamo assicurare il futuro della nostra civiltà. Il Report del Club of Rome pubblicato nel 1972 ha mostrato chiaramente che non possiamo avere una crescita infinita in un mondo finito e anche il riscaldamento globale è stato gradualmente riconosciuto.
In altre parole, la maggior parte delle attività afferenti all’ESS è cresciuta sia come risposta a bisogni concreti, sia come conseguenza di un’esplicita preferenza per attività economiche basate sulla cooperazione e sulla solidarietà anziché sulla concorrenza. Questi due intenti si sono combinati creando un movimento che mira a costruire un modello alternativo di sviluppo.
Nel corso del tempo, in diverse parti del mondo, le persone impegnate nella costruzione di alternative al neoliberismo si sono rese conto che stavano realizzando collettivamente un modello di sviluppo radicalmente diverso; si sono riconosciute come parte di un movimento che si è chiamato in un primo momento economia solidale (come veniva definito nel primo incontro mondiale nel luglio 1997 a Lima), per evolversi poi in Economia di Solidarietà Sociale o, a seconda delle dizioni, Economia Sociale e Solidale nei primi anni del ventunesimo secolo.
Con la crescita del settore, i governi, a diversi livelli, hanno riconosciuto il contributo di questa nuova “entità”, spesso creata al di fuori dello storico settore cooperativo, e anche nuove iniziative di cooperazione hanno contribuito al cambiamento. In altri casi, vi sono state organizzazioni non profit in forma associativa che hanno creato imprese, ad un certo punto riconosciute idonee a ricevere finanziamenti e credito da programmi governativi. Il fatto che queste iniziative fossero molto innovative in nuovi settori che davano risposta a bisogni insoddisfatti – servizi di prossimità come gli asili nido, o servizi ambientali come il riciclo e il riuso – ha rappresentato sia una sfida che una motivazione per sostenere il loro sviluppo.
Come nel caso delle imprese private – organizzate in associazioni imprenditoriali o camere di commercio per interagire con i governi – le reti della ESS sono cresciute in molti Paesi. Queste organizzazioni hanno avuto la consapevolezza che, se fossero rimaste isolate, non avrebbero potuto ottenere un riconoscimento dalle autorità pubbliche; così, nel corso del tempo, le loro reti sono entrate in dialogo con diversi ministeri e altri settori della società, compreso il mondo della ricerca e i movimenti sociali. La ESS è stata quindi in grado di dimostrare la sua rilevanza per la società e lo sviluppo economico. In alcuni Paesi sono state implementate politiche su vasta scala e sono state adottate leggi specifiche. Una prima legge in Colombia nel 1998 ha ispirato altri a intraprendere un percorso simile in America Latina.
La crisi globale del 2008 è stata un punto di svolta per diversi motivi. In quegli anni, il tipo di attività economica svolta dalle ESS non ha avuto grandi ripercussioni; e poiché la ESS è spesso cresciuta durante i precedenti periodi di crisi, l’interesse verso questo fenomeno e le opportunità che esso apriva sono aumentati, in parte perché l’economia globale dominata dalla finanza non aveva soluzioni, in parte perché il settore e il movimento della ESS erano meglio organizzati rispetto al passato, anche a livello globale.
Ciò ha posto le basi per il riconoscimento della ESS su vasta scala da parte di organizzazioni come le agenzie delle Nazioni Unite; una delle prime da dare il via a questo processo è stata proprio l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) con incontri a Ginevra e Johannesburg nel 2009 e una prima Academy nel 2010. La conferenza sulla ESS organizzata dall’UNRISD (Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale) nel 2013 ha posto le basi per la creazione dell’Interagency Taskforce sulla ESS delle Nazioni Unite nel settembre 2013.
Durante questo periodo di grande attività, in molti Paesi sono state adottate leggi sulla ESS, sia a livello di legislazioni nazionali, che di organi sub-nazionali e regionali. Inoltre, molti comuni, principalmente in Sud America e in Europa, hanno adottato atti normativi o politiche di riconoscimento o promozione della ESS a livello territoriale. In alcuni Paesi, l’approccio è stato quello di adottare in prima battuta una politica a livello nazionale. Anche oggi, molti altri Paesi sono in procinto di adottare leggi simili, come dettagliato in seguito.
Anche se le iniziative nei vari Paesi sono diverse tra loro, quando si esaminano i processi, spiccano tre fattori comuni che sembrano essere presenti quando viene adottata una politica pubblica sulla ESS.
1. In un Paese – o regione o comune – le persone organizzano e sviluppano attività economiche di ESS per creare posti di lavoro per se stessi e, allo stesso tempo, per rispondere ad un bisogno sociale. Si tratta di una risposta alle disfunzioni della globalizzazione come la disoccupazione, l’esclusione, la disuguaglianza e la povertà. Le persone non sono necessariamente consapevoli del fatto che l’impatto della loro attività ha un significato politico e sociale più ampio, in quanto agisco spesso per necessità. Ma una volta reso evidente che questo approccio crea posti di lavoro, riduce la povertà e fornisce servizi e beni utili, esso viene ufficialmente riconosciuto.
2. Nel corso del tempo, le persone attive nell’ESS riconoscono di essere un settore a tutti gli effetti e gradualmente creano reti per sostenere politiche e programmi di finanziamento. Il settore dell’ESS si fa progressivamente conoscere, viene menzionato nei media nazionali e locali, ecc. Quando la situazione è matura, il settore è in grado di sostenere una legislazione come una legge quadro per l’Economia Sociale e Solidale. Reti ESS forti, basate su un approccio trasformativo all’economia – per un’economia centrata sulle persone – sono essenziali per prevenire il rischio di istituzionalizzazione o di essere strumentalizzati dallo Stato per giustificare la privatizzazione e simili approcci neoliberisti
3. Da parte dei governi, c’è un’apertura a riconoscere l’impatto e le particolarità dell’ESS attraverso una legislazione ad hoc. A volte i governi nazionali non sono pronti ad adottare leggi, ma queste sono implementate a livello regionale o sub-nazionale e, in altri casi, a livello comunale. Altri livelli di governo sono spesso incoraggiati a seguire l’esempio una volta chiarito il tipo e l’utilità di queste politiche.
Il processo può essere difficile. Se in diversi settori di una società non vi è consapevolezza che problemi socioeconomici come la povertà e l’esclusione sono il risultato del modello di sviluppo economico prevalente e che questo deve essere riformato, allora diventa molto difficile andare avanti. In altri Paesi, le persone hanno un atteggiamento attendista, o peggio ascoltano le classi politiche populiste. È importante che il processo di riconoscimento della ESS sia sostenuto da iniziative che partono dal basso.
Spesso si presenta anche un’altra difficoltà. Se il settore dell’ESS è disorganizzato, diviso e costituito da soggetti in competizione l’uno contro l’altro per aggiudicarsi piccoli finanziamenti governativi, la possibilità di formare una legislazione adeguata è più debole. E, se c’è una legislazione, in questi casi è probabile che non sarà adattata alle esigenze del settore. Se non c’è volontà nei governi, anche se i primi due criteri sono soddisfatti, non ci sarà alcuna legislazione. In questi casi, il settore deve continuare a esercitare pressioni su tutti i partiti politici.
In altre parole, la legislazione e le politiche più promettenti e ben adattate sono quelle che sono co-costruite con il pieno coinvolgimento del movimento dell’ESS.
L’adozione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 crea un’importante opportunità per estendere le politiche di ESS in tutto il mondo. Come dimostrato dai position paper stabiliti dalla Task Force delle Nazioni Unite sulla ESS, essa è al centro degli sforzi per progredire su almeno 65 dei 169 obiettivi stabiliti dagli SDGs. Consentire alle persone di uscire dalla povertà grazie alle cooperative di produttori, coinvolgere donne e giovani, creare posti di lavoro dignitosi, città sostenibili, il consumo responsabile, ecc. sono settori in cui l’attività dell’ESS è già in essere. Questo approccio è fondamentale per creare società più giuste ed eque, con un approccio basato sui diritti umani. La ESS è rilevante anche per obiettivi come il numero 16-pace; ad esempio, in Colombia, l’accordo di pace prevede un intervento della ESS per aiutare gli ex militari a sviluppare un’attività economica.
La Costituzione dell’Ecuador del 2008 assegna un ruolo centrale all’economia popolare e solidale (PSE). L’articolo 283 della Costituzione definisce una visione che attraversa l’intero sistema economico e sociale basato sul Buen Vivir (spagnolo) o Sumak Kawsay (lingua quechua). Articolo 283, Paragrafo 2 (traduzione degli autori): “Il sistema economico è composto da forme pubbliche di organizzazione economica, pubblica, privata, mista, popolare e di sostegno, e altre determinate dalla Costituzione. L’economia popolare e solidale sarà regolata da una legge che includerà i settori cooperativo, associativo e comunitario”.
In Bolivia, la Costituzione del 2009, all’articolo 306, afferma che “il modello economico boliviano è plurale” e “destinato a migliorare la qualità della vita e il Buen Vivir di tutti i boliviani”. Il termine economia sociale non compare nella Costituzione come forme pubbliche, private, comunitarie e “cooperative sociali” (Cary, Martins, 2015); ma nel suo piano di sviluppo del 2006, il governo ha riconosciuto vari concetti relativi al Buen Vivir come complementarità, reciprocità e solidarietà. Quindi, possiamo interpretare che in Bolivia l’economia solidale è al centro dell’economia.
Negli ultimi anni, molti Paesi hanno adottato leggi per regolare l’ESS: Francia, Portogallo, Ecuador (per attuare i principi della costituzione), Spagna, Messico, Colombia, Bolivia, Capo Verde, Lussemburgo e Grecia. Altri Paesi hanno avviato il processo: Senegal, Marocco, Tunisia, Costa d’Avorio, Sudafrica e altri. Molti altri Stati e Province hanno promulgato leggi sull’economia sociale o solidale, ad esempio in Quebec, Belgio (4), Brasile (9), Argentina e Italia.
Le leggi hanno molti tratti in comune. In sintesi:
Le principali differenze nei diversi contesti nazionali riguardano il tipo di legge. Nella maggior parte dei casi, si tratta di “leggi quadro”. In generale, si tratta di leggi molto generali e indicano una chiara intenzione del legislatore di inquadrare le azioni di tutto il governo a sostegno del settore; sono leggi concise e contano circa una ventina di articoli. In altri Paesi, come la legge del 2014 in Francia, l’approccio è molto diverso e la legge sulla ESS interviene modificando molte altre leggi, spesso in modo abbastanza dettagliato; in questo caso si tratta di un testo normativo assai più lungo, di quasi 90 articoli.
Un esempio. Nel 1998 la Colombia ha adottato la legge 484 sull’economia solidale; una legge che con i suoi 66 articoli definisce i principi che guidano il settore, specifica la sua importanza per l’economia del Paese, istituisce un Consiglio nazionale dell’economia solidale (CONES), crea un fondo per la formazione, ristruttura la gestione delle cooperative, crea il contesto normativo dell’economia solidale e chiarisce l’ambito delle attività finanziarie.
In molti casi, prima di una normativa organica, i governi adottano politiche, programmi, interventi di sostegno finanziario per diverse attività della ESS; in questi casi, le leggi vengono dopo e sono il risultato dello sviluppo della ESS. Dopo alcuni anni, infatti, i governi si rendono conto che una legge diventa necessaria per rafforzare sia il settore, che l’azione del governo nel suo ruolo di supporto. Spesso le leggi includono un articolo con cui il governo adotta piani d’azione per attuare la legge.
Nel caso del Mali, la politica nazionale per la promozione della ESS e il suo piano d’azione, adottato nel 2014, stabiliscono che durante l’implementazione della politica, la legislazione specifica sarà modernizzata come ritenuto necessario e che una legge quadro sarà quindi adottata in seguito. Tale esito è frutto tra le altre cose dell’impegno del RENAPESS – la rete nazionale per la promozione della ESS – che ha lavorato con i governi per elaborare la politica nazionale per la promozione della ESS. Ciò è stato possibile perché RENAPESS è una rete nazionale di oltre 60 organizzazioni di tutti i settori della società. Il processo ha richiesto due anni di preparazione, tra il 2010 e il 2012; poi il colpo di stato del 2012 ha ritardato l’adozione del piano che è però poi stato approvato dal Consiglio dei ministri il 9 ottobre 2014.
I principali punti della politica nazionale per la promozione della ESS in Mali:
Sebbene i livelli locale e regionale non siano, in alcuni, casi deputati ad adottare leggi, il riconoscimento della ESS da parte di questi livelli istituzionali è di fondamentale importanza. Poiché la maggior parte della popolazione mondiale vive nelle aree urbane le autorità locali cittadine sono quelle più vicine alla vita quotidiana delle persone e, dal momento che la maggior parte delle iniziative di ESS hanno origine nelle aree urbane, esse sono spesso sollecitate a sostenerle.
Nell’ultimo decennio, molte autorità locali hanno promulgato politiche o leggi. Ad esempio, 40 comuni in Brasile hanno leggi in questo senso. Al Global Social Economy Forum (GSEF) di Montreal nel settembre 2017, è stata presentata l’iniziativa Seoul Social Economy, così come più di quaranta esempi di partnership tra città e organizzazioni dell’ESS.
Nell’ultima conferenza United Cities and Local Governments (UCLG) tenutasi a Bogotà nell’ottobre 2016, il Documento programmatico “The Role of Local Governments in Territorial Economic Development” identifica la ESS come una delle strategie per gli enti locali.
Nell’aprile 2017, Barcellona ha adottato “The Impetus Plan for the Social and Solidarity Economy”, un proprio Piano di sostegno all’economia sociale e solidale, che mira a delineare una visione socioeconomica trasformativa della realtà urbana. Comprende un programma d’azione il cui obiettivo è ridurre le disuguaglianze sociali e territoriali, promuovendo nel contempo un’economia al servizio delle persone e della giustizia sociale. Il Piano comprende l’analisi del contesto, il processo di sviluppo e l’insieme delle azioni che si desidera realizzare in città negli anni a venire. È strutturato nelle seguenti parti:
Il governo metropolitano di Seoul ha avviato nel 2012 un Piano completo di sostegno all’economia sociale per la creazione di un ecosistema economico sostenibile. Da allora, in collaborazione con la rete Social Economy Seoul, sono stati compiuti molti progressi nell’attuazione del piano (e un caso studio a riguardo è stato pubblicato nel 2016). L’esempio di Seoul ha certamente ispirato il nuovo governo eletto all’inizio del 2017, che dopo pochi mesi ha dichiarato: “Il 18 ottobre, il Comitato presidenziale per la creazione di posti di lavoro ha tenuto una riunione presieduta dal presidente Moon Jae-in e ha annunciato il primo piano per lo sviluppo dell’economia sociale. L’attuale governo ha fissato l’attivazione dell’economia sociale come uno dei 100 compiti politici e ha esaminato misure per sviluppare il settore dell’economia sociale sulla base di una stretta cooperazione pubblico-privato, gestendo una task force con le agenzie governative competenti e gli esperti privati” (dalla newsletter ICOOP).
La presente legge intende riconoscere il contributo peculiare dell’economia sociale nello sviluppo socioeconomico del Quebec in molti settori e in tutte le regioni del Quebec. Si pone l’obiettivo, inoltre, di stabilire il ruolo del governo nell’economia sociale.
Fanno parte dell’economia sociale e le seguenti entità, incluse nelle norme giuridiche portoghesi:
Altri atti legislativi sono molto diversi da un Paese all’altro, a seconda di esigenze specifiche. Possono contenere ad esempio:
Post-Scriptum di Yvon Poirier
Questa guida è stata originariamente pubblicata nel 2018. Da allora, sono stati compiuti alcuni progressi nell’adozione di politiche pubbliche. Ad esempio, le leggi sono state adottate in Tunisia, in Senegal e a Gibuti. Il sito web socioeco.org ha una sezione dedicata alle legislazioni.
Sono stati compiuti progressi anche nel processo di adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una risoluzione che riconosca la ESS. La ripresa post pandemica aiuta a far avanzare nuovi approcci, tanto più che l’ONU ha riconosciuto prima della pandemia che non era sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2022. Una tale risoluzione è più che necessaria. Vi sono buone probabilità che verrà adottata nel 2022.
Per la prima volta, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha incluso il potenziale dell’ESS in un rapporto preparato per la riunione di marzo 2021 della Commissione per lo sviluppo sociale: “24. Un altro modello alternativo di crescita, volto a trovare un nuovo equilibrio tra efficienza economica e resilienza sociale e ambientale, è l’economia sociale e solidale. L’economia sociale e solidale si riferisce alle imprese e alle organizzazioni, in particolare cooperative, società di mutuo soccorso, associazioni, fondazioni e imprese sociali, che perseguono la solidarietà economica e sociale attraverso la produzione di beni, servizi e conoscenza. Responsabilizzando gli individui attraverso un maggiore controllo sui processi decisionali e sulle risorse, l’economia sociale e solidale promuove il dinamismo economico, la protezione sociale e ambientale e l’empowerment sociopolitico.”
Poirer Y. (2016), Legal and political recognition of social solidarity economy (SEE). An overview on SSE public policies and guidelines, International network for the promotion of social solidarity economy (RIPESS).
UNRISD (2016), Promoting Social and Solidarity Economy through Public Policy, Relazione faro.
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