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ISSN 2282-1694
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Introduzione

Sull’economia sociale nella dimensione globale

Gianluca Salvatori

L’impresa sociale: dalla teoria alle policy

Giulia Galera, Stefania Chiomento

Dal mondo

Esperienze dal mondo

Redazione

Le cooperative agricole familiari in Brasile

Leandro Pereira Morais, Miguel Juan Bacic

Economia solidale: due esperienze dall'America latina

Maura Viezzoli, Luigi Grando

Innovazione sociale: una via mediterranea?

Dario Carrera, Suheli Chrouda, Rosario Sapienza, Marco Traversi

L’ESS per il lavoro dignitoso nell’Africa subsahariana

Jürgen Schwettmann

In memoria

Ricordando Marco Maiello

Felice Scalvini

Numero 1 / 2022

Dal mondo

Innovazione sociale mediterranea. Una nuova generazione di imprese sociali?

Dario Carrera, Suheli Chrouda, Rosario Sapienza, Marco Traversi

Il tema e il metodo

Esiste una via mediterranea per l’innovazione sociale? È possibile codificare, attraverso le pratiche in atto e i fattori abilitanti già in essere, le caratteristiche distintive di una innovazione guidata da una matrice capace di correlare bisogni locali, internazionalizzazione dei modelli di gestione, armonizzazione delle policy e delle metriche di misurazione e valorizzazione dell’impresa sociale e delle proprie evoluzioni nell’area del Mediterraneo?

Questa ipotesi di ricerca – che guidano l’articolo – hanno l’obiettivo di rinvigorire, se non di avviare ex novo, un dibattito che richiami accademici, policy maker, innovatori ed imprenditori sociali ad una narrativa dell’innovazione sociale atta a interpretare le grandi sfide contemporanee per il benessere della società, secondo codici e linguaggi, quindi processi operativi e soluzioni, coerenti con asset locali e visioni sistemiche.

L’articolo è frutto della ricerca finanziata dal Programma Interreg Italia Malta “ENISIE - Enabling Network-based Innovation through Services and Institutional Engagement”,[1] ed ha coinvolto “attori privilegiati” selezionati in Egitto, Giordania, Grecia, Kosovo, Libano, Marocco, Palestina, Serbia, Tunisia e Turchia. Si sono tralasciati Paesi mediterranei in cui esiste una già nota e consolidata tradizione di imprese sociali – Italia, Francia e Spagna – per concentrarsi su Paesi rispetto ai quali le informazioni risultano oggi più frammentarie e si è meno propensi ad individuare pratiche di imprese sociali innovative. Nei Paesi coinvolti nella ricerca si sono innanzitutto individuati degli “ambasciatori”, ovvero i primi punti di contatto con le realtà e gli ecosistemi locali di innovazione sociale, che hanno contribuito alla raccolta di dati quantitativi e apporti interpretativi dei fenomeni in atto. L’indagine ha prodotto un database finale di oltre 300 Organizzazioni che lavorano nell’ambito dell’Innovazione Sociale (di seguito OIS) mappate attraverso un’analisi desk e un approccio snowball sampling, in cui i partecipanti all’indagine hanno coinvolto a loro volta altre organizzazioni rispondenti ai parametri di ricerca (Levine, 2014). A questa fase, è seguita una selezione di 26 pratiche rappresentative in termini di business model replicabili, ancor prima che scalabili, e dei propri ecosistemi.

Di grande rilevanza è risultato il dibattito avviato nella fase preparatoria dei lavori, al fine di addivenire ad una definizione di OIS, codificata a valle di interviste individuali e sessioni plenarie e che caratterizza questa come una organizzazione formalmente riconosciuta, privata (profit o nonprofit) o pubblica (quale articolazione di amministrazioni centrali o locali, quindi specifici programmi o iniziative), con una mission esplicita con ricadute positive sulla società (intesa questa come comunità locale o come piattaforma per le sfide globali).

Le organizzazioni, selezionate e classificate con il supporto degli attori locali coinvolti (ambasciatori), sono state verificate e classificate secondo i seguenti criteri:

  • still in business (in attività e operative sul mercato);
  • social innovation oriented (attive nei settori tradizionali di imprenditoria sociale ed in quelli emergenti, quindi con una mission esplicita – da statuto o per attività prevalente – orientata alla tutela dell’ambiente, all’inclusione sociale ed ai bisogni delle comunità di riferimento, o comunque alle sfide dettate dai Sustainable Development Goals della Agenda 2030 delle Nazioni Unite);
  • status giuridico (profit, nonprofit, pubblico);
  • settore di intervento prevalente.

Rispetto a ricerche analoghe svolte in aree geografiche con tradizioni culturali e sistemi giuridici non troppo distanti, la definizione dei confini dell’indagine deve in questo caso fare i conti con una notevole frammentazione, che ha suggerito al gruppo di ricerca l’utilizzo di “maglie larghe” rispetto alle caratteristiche formali (ad esempio la forma giuridica) per concentrarsi su aspetti sostanziali, relativi quindi al tipo di azione realizzata. In sostanza, per “tradurre” tutto ciò in termini più familiari al lettore italiano, si sono selezionate organizzazioni di diverso tipo che operino nei “settori di interesse generale” e che – al di là dello status formale nonprofit o profit – assumano nei fatti almeno in parte l’ottica di produrre un beneficio nella comunità in cui operano e che a tal fine introducano elementi di innovazione rispetto al modo con cui generalmente si agisce in quel settore nel Paese considerato. Ovviamente, mancando un più solido appiglio formale (quello che in Italia sono i vari albi o registri) che renda comparabili le esperienze nei diversi Paesi, ci si è dovuti in parte affidare alla valutazione e al metro di giudizio degli ambasciatori, pur consapevoli di un qualche livello di arbitrarietà così introdotto. Nondimeno, ciò ha consentito di realizzare una prima indagine esplorativa in grado di gettare una prima luce su un fenomeno sino ad oggi poco conosciuto.

Incontri bilaterali, questionari e workshop (online) congiunti con gli ambasciatori hanno favorito una interpretazione ed una codifica armonica del fenomeno innovazione sociale (accogliendo iniziative pubbliche, profit, spinoff pubblici e privati) ed un’architettura della ricerca che ha investigato le sue variabili di matrice mediterranea relativamente a retroterra storici e culturali, normativa di supporto, presenza e natura delle Organizzazioni di Innovazione Sociale (OIS) attive e dei loro fattori abilitanti, quali centri di ricerca e formazione, acceleratori e incubatori, fondi di investimento dedicati e network internazionali.

La geografia dell’innovazione sociale mediterranea: una mappa possibile

Un primo esercizio per approdare ad una geografia mediterranea dell’innovazione sociale, quindi una sua approssimazione e oggetto di futuri studi, viene rappresentata dalla analisi quantitativa di seguito riportata; con una prevalenza della Grecia, con il 15% del numero di Organizzazioni di Innovazione Sociale (OIS) mappate, a cui seguono quasi pari merito Turchia, Tunisia ed Egitto, quindi il resto dei Paesi coinvolti nella prima mappatura.

Figura 1. Numero di OIS mappate per nazione. Fonte: elaborazione degli autori.

Un primo elemento di interesse emerge dalla localizzazione delle iniziative: gran parte di esse sono presenti in grandi centri urbani e, seppur coinvolte in azioni diffuse a livello regionale o internazionale, buona parte del proprio “indotto” culturale e professionale viene espresso in territori con indicatori socioeconomici decisamente privilegiati se comparati a quanto espresso dalla media nazionale.

Figura 2. OIS per auto-definizione. Fonte: elaborazione degli autori.

Oltre il 60% delle OIS oggetto dell’indagine sono organizzazioni private e di queste oltre la metà nonprofit e ascrivibili, secondo una propria codicistica “estensiva” rispetto alle normative di riferimento, ad organizzazioni non governative (NGO) pur essendo registrate come associazioni culturali, cooperative, fondazioni (Figura 4).

Figura 3. OIS in base alla forma giuridica. Fonte: elaborazione degli autori.

La mancanza di una linea di demarcazione chiara tra le varie anime del nonprofit nei diversi Paesi, fa sì che quella delle NGO sia una forma giuridica di compromesso, per quanto quantitativamente rilevante, in cui le OIS si riconoscono maggiormente. È probabile che questo avvenga per carenze relative alla legislazione locale, o per cogliere opportunità di candidature a bandi della cooperazione internazionale e di grandi donatori.

Figura 4. Tipi di entità in base alla propria auto-definizione. Fonte: elaborazione degli autori.

Altra tipologia ben rappresentata è quella delle business support organization (BSO), appartenenti alle cosiddette organizzazioni abilitanti: spazi collaborativi, quali coworking, maker space, incubatori ed acceleratori. Gli innovation hub invece, a differenza delle BSO – orientate all’accompagnamento ed allo sviluppo della cosiddetta business idea – concentrano il proprio agire verso la costruzione di comunità di innovatori sociali all’interno di spazi fisici e network virtuali, guidati da una visione comune. Seguono quindi: le OIS for profit (12,5%); reti internazionali e franchising (10%); iniziative pubblico-private, promosse da fondi nazionali o internazionali e con orizzonti temporali definiti (10%); le università pubbliche (8,2%), in particolare con programmi di supporto per le startup e spin-off universitari; infine, le cooperative (7%).

Ulteriore elemento da attenzionare è il settore di intervento principale delle OIS mappate. Su 315 organizzazioni, 83 erogano servizi di consulenza e supporto all’ecosistema (social business services), seguite da 78 attive nel settore ampiamente definito “di sviluppo economico e sociale” e riconducibile a progetti specifici di inclusione sociale, empowerment delle comunità locali e promozione di microimpresa.

Seguono le aree di intervento nel settore food & agriculture, tutela ambientale, valorizzazione beni culturali e, di particolare interesse, nel settore della information technology, guidato da iniziative di giovani innovatori sociali, di ritorno da esperienze accademiche e professionali maturate all’estero.

Si evidenzia, infine, una prima generazione di fondi d’investimento privati, orientati alla partecipazione in equity: un’area ancora da investigare con maggiore profondità nella raccolta dati e analisi dei risultati, che potrebbe dare il via ad un primo sentiero di indipendenza dell’area mediterranea (o comunque complementare), da fondi e donatori internazionali.

Figura 5. Organizzazioni per settore di intervento. Fonte: elaborazione degli autori.

Caratteristiche distintive e fattori abilitanti

Pur tenendo ferme le ipotesi della ricerca, quindi dando evidenza, anche empirica, ad un fenomeno presente ed in evoluzione, è bene sottolineare che buona parte delle interpretazioni e della selezione delle iniziative indicate come maggiormente rappresentative (buone pratiche e casi studio), sono influenzate dalla soggettività delle risposte degli ambasciatori coinvolti. Il loro background culturale e professionale, le esperienze maturate all’estero relative alla loro formazione, l’estrazione sociale di appartenenza, suggeriscono una decisa prudenza nel delineare confini definiti e nel codificare caratteristiche distintive e di “unicità” dell’innovazione sociale in chiave mediterranea.

In quasi tutti i Paesi, la social innovation è un fenomeno recente e spesso vincolato alla definizione di impresa ed economia sociale. Pur registrando legislazioni specifiche in Grecia, Kosovo, Tunisia e Turchia, in alcuni casi (Egitto, Libano, Palestina, Kosovo) il linguaggio ed i modelli sembrano importati da donatori internazionali; in altri (in particolare Turchia e nuovamente Kosovo), un determinante ruolo viene giocato dalla diaspora: reti informali di filantropi e investitori emigrati all’estero e promotori di iniziative che possano avere impatto nelle comunità e nei territori di origine.

La marcata presenza di OIS nella forma di organizzazioni non governative è concentrata maggiormente nei Paesi nordafricani. Paesi come Serbia, Kosovo e Grecia, di certo influenzati dalla normativa europea e dalla codifica della social economy, si presentano con normative evolute a favore della cooperazione sociale per l’inclusione e l’integrazione lavorativa (le cosiddetta WISE – work integration social enterprise). In tal senso, il richiamo alla finanza pubblica ed al ruolo centrale e determinante che questa ha nell’indirizzare le evoluzioni delle OIS nei Paesi interessati, resta deciso e, ancora, imprescindibile.

Buona parte delle iniziative descritte come best practice da parte dei partner locali, quindi le loro fonti di finanziamento e i relativi modelli di business, si presentano dipendenti da fondi della cooperazione internazionale e grandi donatori esteri. Questi esprimono una loro influenza nei territori interessati anche con progetti di sviluppo, ma con metriche e procedure non sempre coerenti con logiche di prossimità e di risoluzione dei bisogni locali in un orizzonte di medio-lungo periodo.

Come segnalato in apertura, accanto alla raccolta dati relativa alle oltre 300 organizzazioni segnalate dagli ambasciatori, si è svolta una analisi più approfondita di 26 buone pratiche. Esse esprimono sostanzialmente tre diversi stadi di sviluppo delle OIS mediterranee mappate: 9 di queste presentano un business model scalabile, 14 replicabile in contesti affini al proprio, le restanti 5 sono ancorate principalmente al mercato locale.

Buona parte delle OIS appartenenti al primo gruppo, sono attive nei settori del turismo e del cosiddetto agribusiness e la quasi totalità presenta un rapporto maturo con la tecnologia e la digitalizzazione dei processi: piattaforme di e-commerce e di crowdfunding (9 in totale), una presenza attenta nel web per la promozione delle proprie iniziative ed il coinvolgimento online delle community, appaiono elementi consolidati e considerati come fattore competitivo nel mercato.[2] 

Figura 6. Mappatura delle OIS. Fonte: elaborazione degli autori.

La dimensione mediterranea sembra essere dettata da buone pratiche potenzialmente replicabili e scalabili nella Regione ed attive in settori quali: supporto alla popolazione migrante e rifugiati, rigenerazione urbana, valorizzazione della tradizione e della cultura locale, turismo, food, artigianato, empowerment di donne e giovani, sostenibilità ambientale ed economia circolare.

Figura 7. Casi studio. Fonte: elaborazione degli autori.

In controtendenza con quanto esposto in precedenza, relativamente all’intero campione di OIS mappate, le buone pratiche selezionate sono in prevalenza organizzazioni a scopo di lucro (15 su 26), seguono le nonprofit (10) nella forma di organizzazioni non governative; infine, solo una pubblica (in Giordania).

I vuoti legislativi evidentemente inducono ad una identificazione by default, da parte degli innovatori sociali, dei propri veicoli imprenditoriali. Seppur intenti a coniugare ritorni economici e sociali, si riconoscono ancora in modelli giuridici antitetici, profit o nonprofit, ben lontani dal favorire modelli ibridi di investimento. A tal riguardo, ovvero della zona grigia tra organizzazioni profit e nonprofit, un terzo delle prime (5) dichiara un approccio payback verso le comunità in cui opera, aprendo uno spazio di dibattito per un possibile riconoscimento normativo a “maglie larghe”, maggiormente inclusivo per gli attori di mercato tradizionali, e con effetti potenzialmente distorsivi per il terzo settore tradizionale (come detto, in cui prevalgono le organizzazioni non governative) nell’arena delle innovazione sociale.

Allo stesso tempo, importare tout court architetture normative maturate in altri contesti geografici, potrebbe comportare pericolose deviazioni verso politiche calate dall’alto ed il cui impatto si esprima maggiormente a favore dei diretti promotori delle iniziative, che dei territori e comunità interessate. In tal senso, diversi sono i processi avviati in alcuni Paesi, in termini di consultazione pubblica e partecipazione alla elaborazione dei principi guida per la produzione normativa di supporto alle OIS.

La tabella sinottica riportata nell’Appendice 1 offre un primo tentativo di mappatura del framework normativo esistente nei Paesi oggetto di indagine. In Libano e Tunisia sono al vaglio rispettivamente, nonostante la fase di instabilità, disegni di legge sulla definizione di impresa sociale e sull’economia sociale e solidale (quest’ultima di matrice francese), promosse dalla società civile. In Egitto così come in Marocco, le piattaforme di crowdfunding hanno influenzato un processo di rinnovamento da parte di istituzioni e intermediari finanziari. In Kosovo, Serbia, Grecia, banche specializzate o fondazioni bancarie, in cooperazione con gli attori di rappresentanza del terzo settore, si stanno inoltrando in sperimentazioni di impact investing.

Prime traiettorie di sviluppo per una dimensione mediterranea dell’innovazione sociale

La fotografia che emerge a valle dell’analisi dei casi, dei quadri normativi e dallo stadio di sviluppo delle OIS, si può sintetizzare in nove punti chiave che accennano ad una prima sintesi dei caratteri distintivi del fenomeno nel contesto mediterraneo.

Figura 8. I punti chiave dell’innovazione sociale mediterranea. Fonte: elaborazione degli autori.

In primis, l’innovazione sociale, seppur non codificata, viene riconosciuta quale fenomeno antecedente alla letteratura europea, in particolare di matrice anglosassone e istituzionale (Commissione Europea), e fortemente radicato nelle tradizioni locali. Esperienze millenarie di solidarietà e di attivazione di comunità per il soddisfacimento di bisogni locali, anche attraverso veicoli finanziari originari, sono sfuggite alla letteratura ed alla accademia occidentale, ma rappresentano ancora oggi modelli culturali capaci di determinare il buon esito di futuri programmi di supporto alle OIS nell’area del “Mediterraneo allargato”.

Gran parte delle iniziative, pubbliche e private, sono promosse da soggetti con uno status economico e curriculum formativi e professionali elevati, tali da poter generare, in taluni casi, esperienze e reti elitarie, lontane dalle condizioni delle comunità di riferimento, ma determinati ad agire a loro favore. Questo si riflette, come evidenziato precedentemente, anche dalla densità di OIS presenti nelle grandi città rispetto alle aree interne o periferiche.

Un percorso di riconoscimento del fenomeno, anche istituzionale, maggiormente identitario, che risponda ai bisogni locali, ma si connetta con reti internazionali di supporto, potrebbe rispondere ai punti di debolezza legati alla “giungla” normativa ed a modelli di business condizionati da procedure e visioni dettate quasi esclusivamente da grandi donatori e istituzioni pubbliche internazionali. Tale dipendenza, si riflette sulla capacità di innovazione e sviluppo di mercati emergenti da parte delle OIS, spesso orientate, se non obbligate in mancanza di alternative, ad intercettare fondi pubblici, incluse le misure di integrazione socioeconomica dell’Unione Europea, o delle agenzie internazionali di sviluppo e cooperazione delle Nazioni Unite.

A causa del limitato raggio di azione delle OIS nel Mediterraneo, ovvero di un business model raramente orientato alla scalabilità, le metriche di investimento del venture capitalist tradizionale non trovano una corrispondenza di interessi, motivo per cui è più frequente che queste iniziative intercettino la disponibilità di soggetti filantropici. D’altra parte, una interessante ricerca dal titolo “Developing Social Entrepreneurship and Social Innovation in the Mediterranean and Middle East” (Hausser et al., 2019), mette in luce un emergente orientamento da parte degli attori finanziari nella Regione, analizzando i flussi già in corso, registrando un finanziamento medio nella fase seed – relativo quindi alla fase di elaborazione del progetto di impresa – pari a 400 mila dollari, ed investimenti round B – effettuati cioè nella fase di primo concreto sviluppo dell’iniziativa – da oltre un milione di dollari. Evidentemente, questo influisce anche sulla portata degli ecosistemi afferenti (incubatori, programmi pubblico-privati, attrazione di investimenti dall’estero), che soffrono la competitività internazionale, con benchmark che presentano moltiplicatori decisamente più alti.

Il mismatch tra domanda e offerta di finanza appare evidente. Da una parte innovatori sociali pronti a cogliere le sfide delle comunità, dall’altra, operatori interessati in primis a finanziare iniziative sulla frontiera tecnologica e con modelli scalabili “a tutti i costi”.

Altro elemento espresso da parte dei diversi interlocutori durante l’indagine, è la scarsa incisività dello storytelling delle iniziative. La maggior parte degli innovatori sociali mediterranei, ammette di non avere al proprio interno una risorsa delegata esclusivamente alla comunicazione esterna, in particolare online, né di prevedere nel breve e nel medio termine, investimenti in tal senso. Un elemento che riconosciamo come comune a buona parte delle pratiche di innovazione sociale europee o nazionali, in cui per limiti di visione strategica piuttosto che di allocazione delle risorse umane e finanziarie, il raccontare gli impatti del proprio agire, viene limitato a “freddi” strumenti di rendicontazione sociale o di comunicazione interna. Il “come” comunicare il sentiero intrapreso dell’innovazione sociale nel Mediterraneo ed i suoi impatti, resta una sfida di certo e comune interesse.

Le azioni per sostenere l’innovazione nel Mediterraneo

Dalla panoramica relativa ai “punti chiave”, quindi degli elementi in comune delle OIS prese in esame e dei loro ecosistemi, inclusi i contesti istituzionali, emerge una serie di possibili leve di azione che possono, con diversa intensità ed efficacia, promuovere una roadmap per una agenda dell’innovazione sociale mediterranea. Un percorso ed una serie di interventi, codificata con i partner coinvolti (ambasciatori), che assume una connotazione pratica ed allo stesso di visione comune, per la promozione dell’innovazione sociale nell’area, con diversi gradi di fattibilità in termini temporali e di contingenze. 

Figura 9. Le leve di azione per una roadmap dell’innovazione sociale mediterranea. Fonte: elaborazione degli autori.

1. Armonizzazione delle politiche pubbliche di supporto: ad oggi, la presenza di strutture che vedano impegnate aree diverse delle istituzioni nella co-progettazione e nello sviluppo e di programmi di innovazione, nella condivisione dei linguaggi, nella promozione di soggetti giuridici ibridi profit-nonprofit che consentano di allargare la platea degli investitori e degli strumenti finanziari, appare decisamente lontana. L’instabilità di una parte dell’area, oltre che una evidente resistenza al cambiamento da parte degli attori pubblici, lascia intravedere pochi spiragli per un processo concreto di rinnovamento della classe dirigente e dei processi di gestione del consenso.

2. Qualità dei dati e indicatori: Il coinvolgimento degli istituti di ricerca e analisi statistica, ove presenti, per:

  • la mappatura della qualità e densità delle OIS, la loro sostenibilità in termini di business model, prossimità al territorio e grado di internazionalizzazione;
  • standardizzare una definizione di OIS nei paesi del Mediterraneo, così da abilitare comparazioni e misurazioni del loro impatto in termini di contribuzione al PIL locale e nazionale, quindi al benessere dei territori;
  • impostare un Social innovation index, quale parametro di riferimento per un barometro di innovazione sociale nell’area.

 3. Internazionalizzazione: promuovere cluster regionali, con filiere complementari, capaci di intercettare network internazionali di supporto, incrementando la propria attrattività e il potere contrattuale con istituzioni pubbliche e private.

4. Alfabetizzazione alla finanza di impatto e sviluppo di progetti pilota: promozione della finanza di impatto in ambito pubblico e privato, coinvolgendo le realtà di riferimento al livello internazionale (fondi di social venture capital, banche etiche, iniziative di impact investing pubblico-private) e formando il management locale per prepararlo ad un primo piloting di un Mediterranean Impact Fund”.[3]

5. Adesione a network di supporto per incrementare la qualità dei fattori abilitanti locali: professionalizzazione degli innovatori sociali, attraverso programmi di mentoring tra pari e la valorizzazione di organi intermedi quali acceleratori, incubatori, spazi condivisi quali coworking, Fablab e makerspace, in cui facilitare connessioni, scambio di conoscenza e crescita professionale.

 6. Narrativa mediterranea: costruzione di una strategia di storytelling identitaria, a partire da un processo di co-progettazione di principi e modelli, quindi delle pratiche già in atto, che riflettano le caratteristiche distintive e uniche del fenomeno nel contesto mediterraneo.

7. Trasformazione digitale: ancoraggio degli investimenti di infrastruttura digitale ad una alfabetizzazione degli strumenti da parte degli attori pubblici, così da favorire nuovi codici di condotta nella produzione e utilizzo dei dati, proprio a partire dai principi dettati dalle OIS. 

8. Knowledge sharing: promozione dello scambio di conoscenza con reti internazionali, privilegiando i principi alle pratiche, al fine di favorire un posizionamento identitario delle OIS mediterranee nel contesto internazionale.

 9. Capacity building: legato allo scambio di conoscenze, incentivare l’attivazione di corsi formativi e curricula orientati ad un “Mediterranean entrepreneurial mindset”.

10. Decelerazione: caratterizzare i processi di creazione di impresa e di innovazione sociale seguendo un approccio controintuitivo, rimodulando la sequenza dei tradizionali modelli di incubazione e accelerazione, per caratterizzare la creazione di future innovazioni sociali mediterranee su valori e principi associati alle competenze e attitudini imprenditoriali.

Il quadro che ne emerge è di una area mediterranea in cui l’innovazione sociale necessita di:

  • capacità di lobbying e rafforzamento dei poteri contrattuali con le istituzioni pubbliche locali (amministrazioni regionali e agenzia di sviluppo), per una comprensione delle opportunità che l’innovazione sociale può scatenare, per mezzo della ibridazione del settore informale con il mercato e gli enti regolatori;
  • una interpretazione autentica del “capitalismo paziente”, che privilegi gli asset locali e metriche di misurazione e ritorno degli investimenti legati ai risultati effettivamente prodotti;
  • una cross-pollinazione delle iniziative in atto, all’interno di task force governative capaci di armonizzare, a partire dai Paesi con maggiore stabilità, interessi economici e ritorno sociale secondo una visione condivisa; una cabina di regia mediterranea, capace di coordinare progetti di sviluppo e investimenti diretti su larga scala, e caratterizzati da principi di impatto sociale ed ambientale;
  • una armonizzazione della raccolta ed analisi dei dati, con un “Med Social Innovation Barometer”, affinché gli effetti della innovazione sociale mediterranea possano essere rigorosamente codificati, misurati, condivisi, dando luogo a logiche di premialità e valorizzazione degli effetti intangibili.

La ricerca si configura quindi quale primo innesco per l’avvio di un dibattito che necessita di maggiore frequenza e interazione tra gli “agenti” di innovazione sociale, quindi di intensità di risorse, per poter alimentare comunità di accademici e practitioner che, sulla scorta di quanto espresso nei decenni precedenti in altri contesti, possano riconoscere il Mediterraneo come un laboratorio emergente di innovazione per la creazione e lo sviluppo di una nuova generazione di imprese sociali in cerca, ancora, di una propria identità.

DOI: 10.7425/IS.2022.01.08

Appendice A

Tabella A. Social Innovation, backgrounds and legal vehicles.

* The laws related to cooperatives are many and detailed in Egypt:
Law 267 of 1960 for public cooperation institutions
Law 109 of 1975 for consumer cooperatives
Law 122 of 1980 for agricultural cooperative societies
Law 14 of 1980 on the housing cooperation code
Law 1 of 1990 on educational cooperatives.
The Cooperative Associations Act No. 317 of 1956 clearly defines a cooperative and makes express reference to certain universal cooperative principles such as democratic power exercised by members (one member one vote)

Appendice B

Tabella B. Social Innovation best practices.

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Note

  1. ^ Per approfondire: https://enisie.eu/
  2. ^ Si veda per approfondimenti l’Appendice B.
  3. ^ Si evidenzia, in tal senso, che la totalità delle organizzazioni coinvolte, non ha accennato a pratiche e modelli di finanza islamica. Un dato che riporta alle questioni aperte legate alle matrici culturali e professionali dei promotori delle OIS, quindi del grado di influenza che le istituzioni pubbliche e i grandi donatori occidentali dimostrano di avere nelle aree oggetto di indagine.
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